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 Trasformation 2004.

 

Roger Ballen con "The Place of the Upside Down" a Senigallia

 

La mostra di Roger Ballen sarà l’unica quest’anno in Italia in un museo pubblico oltre alla sua partecipazione alla LIX Biennale di Venezia dove rappresenterà il Sud Africa nel padiglione proprio nazionale.

Senigallia Città della Fotografia presenta la mostra personale del fotografo Roger Ballen, The Place of the Upside Down a cura di Massimo Minini, nella doppia sede di Palazzo del Duca e Palazzetto Baviera, promossa dalla Regione Marche e dal Comune di Senigallia, in collaborazione con la Galleria Massimo Minini e la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi.

La mostra dal 14 aprile al 2 ottobre è prodotta dal Comune di Senigallia nell'ambito di “Senigallia Città della Fotografia” progetto che si distingue per la realizzazione di eventi espositivi originali di alto livello dedicati all’arte fotografica. La mostra di Roger Ballen sarà l’unica quest’anno in Italia in un museo pubblico oltre alla sua partecipazione alla LIX Biennale di Venezia dove rappresenterà il Sud Africa nel padiglione proprio nazionale.

La mostra di Senigallia presenta a Palazzo del Duca un nucleo di opere provenienti dalla collezione di Massimo Minini, uno tra i galleristi italiani che più rappresenta l’Italia nel mondo: sono esposti oltre sessanta scatti in bianco e nero che attraversano tutta la carriera di Ballen, appartenenti alle sue serie più famose come Outland (2000), Shadow Chamber (2005), Boarding House (2009) e Asylum of the Birds (2014). A Palazzetto Baviera invece è esposta una selezione di 12 scatti a colori, assolutamente inedita in Italia e proveniente dalla collezione personale dell’artista, che segna una nuova fase di sperimentazione tecnica nella sua poetica.

Roger Ballen è uno dei fotografi più originali e influenti tra XX e XXI secolo, nato a New York, attivo da oltre quarnt’anni in Sud Africa, sua patria d’elezione. Le sue opere sono stranianti ed estreme, a tratti assurde e oniriche; ritraggono luoghi e situazioni inverosimili eppure perfettamente reali, proprio come avviene quando si sogna. Sono lavori che indagano la condizione umana e le profondità del subconscio, invitando lo spettatore a porsi delle domande su quello che si sta guardando e di riflesso a porsi delle domande anche su sé stesso. Le immagini create da Ballen si caratterizzano per uno stile visivo perfettamente riconoscibile tanto che è stato coniato un neologismo, ballenesque, per definire un’atmosfera misteriosa, caotica, a volte oscura come quella che si ritrova nelle sue opere. Negli anni lo stile dell’artista si è evoluto alla ricerca di nuove possibilità creative e ha sperimentato linguaggi visivi ampi dove la fotografia interagisce con il disegno, la pittura, il collage e la scultura dando vita a una nuova estetica ibrida che lo ha reso famoso in tutto il mondo.

Negli ultimi anni Ballen si è approcciato per la prima volta alla fotografia a colori dopo aver scattato esclusivamente in bianco e nero per più di cinquant’anni, e la mostra di Senigallia, con la sezione di Palazzetto Baviera, rappresenta un’occasione unica per il pubblico italiano di ammirare queste opere dal vivo.

“Avere Roger Ballen a Senigallia nell'anno in cui rappresenta il Sudafrica alla LIX Biennale di Venezia è un elemento di prestigio che ancora una volta conferma il valore di Senigallia Città della Fotografia nel panorama artistico nazionale.” – afferma il Sindaco della città Massimo Olivetti - “Siamo quindi onorati di ospitare la mostra nelle prestigiose sale di Palazzo del Duca e Palazzetto Baviera che negli ultimi anni hanno accolto opere di fotografi fondamentali nella scena artistica internazionale con produzioni sempre originali e votate alla ricerca ed alla diffusione della cultura fotografica."

“Le Marche accolgono un nome illustre. Siamo orgogliosi di poter ospitare Roger Ballen nella nostra regione: affascinante, unico nel suo genere, uno degli artisti della fotografia più influenti e importanti del ventunesimo secolo. Crediamo nella forza della cultura, crediamo nella forza dell'arte. Il contributo della Regione alla mostra di Ballen va proprio in questa direzione. L'evento darà vigore alla visibilità del nostro territorio oltre i confini e contribuirà in maniera concreta alla promozione delle nostre Marche nel mondo”, dichiara l'assessore regionale alla Cultura, Giorgia Latini.

 



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 Traugott  Richard, Costume bernese, dalla serie «Costumes Suisses», 1883 c.,  Albumina, dipinta. Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

 

"Dal Vero - Fotografia svizzera del XIX secolo" al MASI di Lugano

 

La mostra è la prima panoramica esaustiva dedicata ai primi cinquant'anni di diffusione del medium fotografico in Svizzera. 

Il MASI Lugano dal 3 aprile fino al 3 luglio presenta "Dal vero. Fotografia svizzera del XIX secolo". La mostra è la prima panoramica esaustiva dedicata ai primi cinquant'anni di diffusione del medium fotografico in Svizzera e presenta importanti opere storiche mai esposte prima d'ora, come la prima fotografia in assoluto del Cervino e le più antiche foto scattate nel Cantone Ticino. La sensazione data dalla nuova esperienza visiva, l'immediato scambio tra arte e fotografia, il suo ruolo chiave nello sviluppo del turismo, il suo impiego come testimonianza degli usi e costumi locali e nell'ambito industriale e scientifico sono alcuni dei focus tematici esplorati dalla mostra.

La storia della diffusione della fotografia in Svizzera viene così delineata in un percorso approfondito e piacevole al contempo, che abbraccia oltre 400 opere fotografiche dal 1839 agli anni '90 dell'Ottocento – molte delle quali mai esposte prima – provenienti da oltre 60 collezioni pubbliche e private. I differenti accenti nelle diverse zone e regioni linguistiche del paese tratteggiano così il carattere progressista e lo sviluppo dinamico del giovane stato federale nell'Europa dell'Ottocento.

La mostra è coprodotta con Fotostiftung Schweiz, Winterthur e Photo Elysée, Losanna, ed è ospitata nella sede del MASI Lugano presso il LAC.

Il percorso

“Specchio dotato di memoria”: così veniva definito il dagherrotipo, procedimento fotografico di sviluppo delle immagini su lastra di rame, uniche e non riproducibili. Questa tecnica raggiunge la Svizzera, anche quella più interna, grazie a fotografi itineranti, che con le loro pesanti macchine fotografiche realizzano immagini chiare e precise, secondo natura, appunto, “dal vero”.

Nelle sezioni iniziali della mostra, dedicate agli esordi della fotografia e quindi alla dagherrotipia, spiccano, tra gli altri, alcuni maestri svizzeri di quest'arte come il banchiere, diplomatico e dilettante ginevrino Jean-Gabriel Eynard e l'incisore Johann Baptist Isenring, celebre per i ritratti dagherrotipi a “grandezza naturale”. Emerge chiaro come, nei suoi primi passi, anche in Svizzera la fotografia fosse ancora fortemente intrecciata – per la scelta dei soggetti, principi compositivi e utilizzo – con le altre arti, in particolare la pittura, a cui si sostituirà come valida alternativa per ritratti economici. Ma anche con le arti grafiche, di cui si mette al servizio. Proprio Isenring diffonderà infatti in Svizzera l'utilizzo della fotografia come modello per incisioni, tecnica impiegata anche dalla prima fotografa donna, Franziska Möllinger, nelle sue vedute svizzere pubblicate come litografie dal 1844. Risale invece al 1842 uno dei rari dagherrotipi conosciuti del Ticino, il ritratto di un giovane sconosciuto ed elegantemente vestito – esempio lucente della borghesia in ascesa – realizzato a Lugano.

Grazie allo sguardo esterno, quello dei viaggiatori, comincia a essere immortalata la grandiosità del paesaggio svizzero e delle sue montagne. Sorprende il taglio incredibilmente moderno degli spettacolari dagherrotipi dell'artista inglese John Ruskin, che realizza le prime fotografie del Ticino, come quella di una roccia vicino al Castelgrande di Bellinzona (1858) o, nel 1849, la prima immagine mai scattata del Cervino. Di lì a breve, la fotografia si rivelerà un veicolo potentissimo per la pubblicità turistica, processo favorito dallo sviluppo delle infrastrutture di trasporto svizzere, che va di pari passo con la semplificazione del processo fotografico (grazie all'uso dei negativi in vetro e stampe all'albumina). Nascono così motivi popolari e “mete” turistiche, come la cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen, immortalata nell'immagine dell'inglese Francis Frith, del 1863. È dell'anno seguente una foto mozzafiato del celebre fotografo francese Adolphe Braun, che cattura le infinite distese del ghiacciaio del Rodano attraversato da un gruppo di scalatori, tra cui anche una donna.

 



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LA MOSTRA PERSONALE DI PAOLA PEZZI "PASSAGGI DI STATO" AL GAGGENAU DESIGNELEMENTI HUB DI MILANO

 

Il progetto artistico e culturale a cura del direttore artistico di CRAMUM Sabino Maria Frassà racconterà la materia che si fa meraviglia attraverso il genio umano. 

Il 4 aprile la mostra personale di Paola Pezzi "Passaggi di stato" al Gaggenau DesignElementi di Milano apre il nuovo ciclo di mostre "MATERIABILIA" promosso da Cramum e Gaggenau. Il progetto artistico e culturale a cura del direttore artistico di CRAMUM Sabino Maria Frassà racconterà la materia che si fa meraviglia attraverso il genio umano.

Se è vero che la natura è straordinaria, la capacità dell'essere umano di dare forma a qualsiasi sostanza ci avvicina a tale perfezione. Gli spazi Gaggenau DesignElementi di Milano e Roma si trasformeranno quindi, a partire da aprile 2022 e nel corso di tutto l’anno, in una ideale Wunderkammer: in mostra, opere nate dalla capacità dell’essere umano di plasmare la materia - indipendentemente dalla sua preziosità - per trasformarla in meraviglia. Gli artisti mostreranno, con materiali comuni, immaginifici futuri… dietro l'angolo.

La prima mostra del ciclo “Materiabilia” porta allo showroom Gaggenau DesignElementi Hub di Milano la mostra personale di Paola Pezzi “Passaggi di Stato”, che raccoglie opere iconiche provenienti da oltre trent'anni di carriera, a raccontare l’evoluzione dell’artista bresciana.

“Tutta l'esistenza è un passaggio di stato: anche noi, come la materia, siamo sottoposti a pressioni e mutazioni dell'ambiente esterno, che ci spingono a trasformarci continuamente. La sfida è rimanere sempre noi stessi” spiega il curatore della mostra Sabino Maria Frassà. "Tramite gli elementi ricorrenti del movimento circolare e dei materiali presi dalla vita quotidiana, il gesto artistico di Paola Pezzi disciplina e domina la materia, dando vita a forme e dimensioni tattili che instaurano un’immediata empatia con lo spettatore, e in cui è chiara la dimensione del divenire - un divenire a cui non possiamo che guardare con curiosità, aspettando un nuovo passaggio di stato".

 

PASSAGGI DI STATO

Mostra personale di PAOLA PEZZI

a cura di Sabino Maria Frassà

30 marzo - anteprima stampa su invito (per info scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

4 aprile – 31 luglio

Gaggenau DesignElementi Hub di Milano

Corso Magenta 2 (Cortile interno, Citofono 33)

Lunedì – venerdì 10:00 – 19:00

su appuntamento 02 2901 5250; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Promotori: Gaggenau & Cramum

 



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Vedo Rosso presso la Collezione Olgiati

 

L'esposizione mette in dialogo lavori di trentacinque artisti e artiste di generazioni, nazionalità e culture differenti in un percorso immersivo, che indaga il tema del rosso nella sua varietà di significati e qualità espressive. 

Il rosso e il suo universo simbolico sono al centro della mostra Vedo Rosso, il nuovo allestimento tematico della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, visitabile dal 26 marzo al 12 giugno 2022. L'esposizione mette in dialogo lavori di trentacinque artisti e artiste di generazioni, nazionalità e culture differenti in un percorso immersivo, che indaga il tema del rosso nella sua varietà di significati e qualità espressive. In mostra sono esposte trentanove opere tra dipinti, fotografie, sculture e installazioni.

L’esposizione pone in relazione una selezione di opere provenienti dalla Collezione Olgiati, principalmente dagli anni Sessanta a oggi, di cui molte presentate per la prima volta in questa occasione. La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati ha scelto questo affascinante tema per proporre un confronto esemplare tra artisti e artiste fra loro distanti cronologicamente e stilisticamente, ponendo l’accento sulla molteplicità di interpretazioni del colore rosso. L’allestimento si configura dunque come un’originale indagine sulla valenza simbolica del rosso, articolata secondo associazioni visive e semantiche solo in parte fedeli alla cronologia e alle distinzioni storiografiche. È proprio attraverso questa prospettiva inedita sui temi fondativi e sulle principali tendenze che compongono la Collezione che si possono cogliere nuove corrispondenze tra linguaggi solo apparentemente inconciliabili, dove il dialogo tra le avanguardie storiche del Novecento e la contemporaneità è elemento fondante.

Il percorso espositivo si apre con una riflessione sul colore rosso in termini metafisici. I calchi in gesso dipinto di Claudio Parmiggiani, accostati a quadri di due protagonisti della Transavanguardia italiana, Mimmo Paladino e Francesco Clemente, accolgono il visitatore coinvolgendolo in un’atmosfera di enigmatica sospensione ed evocando un arcano simbolismo che attinge a iconografie del passato, talvolta intessute di memorie personali. 

Nell’orizzonte simbolico del rosso si coglie anche il rapporto rosso-velocità: l’esuberanza del rosso si accompagna all’iconografia dell’automobile in una varietà di opere che spaziano da un collage di carte colorate del 1929 del futurista Fortunato Depero, a un significativo esempio dei più recenti quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto, fino a un omaggio allo scultore Jimmie Durham, recentemente scomparso, insignito del Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2019.

Segue un capitolo dedicato a uno tra i nuclei fondanti della Collezione Olgiati, il Nouveau Réalisme: i francesi Arman e Martial Raysse esaltano il potere attrattivo del rosso per celebrare gli oggetti della quotidianità elevandoli a nuova materia artistica. E ancora l’uso del rosso contraddistingue le ricerche degli astrattisti italiani Ettore Colla e Piero Dorazio; se questi ultimi ricorrono alla riduzione del colore alla sua funzione espressiva più “semplice, perentoria e incisiva”, gli originali collages dell’americano Conrad Marca-Relli e le celebri impronte di pennello del ticinese Niele Toroni costituiscono ulteriori indagini sul colore rosso secondo personalissimi codici astratti.

Uno spazio autonomo è dedicato a un nucleo di tre opere dell’anglo-indiano Anish Kapoor, che ci trasporta nella dimensione esistenziale e filosofica del rosso attraverso l’immagine poetica del “fiore” – la scultura 1000 Names, 1982 – interamente ricoperto di pigmento puro, sostanza viva che diviene essenza stessa dell’atto creativo.

Nella sezione successiva un monocromo rosso del 1956 di Yves Klein – uno tra gli esponenti di maggior rilievo del Nouveau Réalisme – è emblematico della scelta di semplicità cromatica assoluta che contraddistingue l’intero percorso creativo dell’artista, nella tensione verso l’immaterialità del vuoto. Uno spazio immateriale, cosmico e spirituale viene evocato anche nelle superfici monocrome costellate di buchi di Lucio Fontana. Il suo Concetto spaziale (Teatrino), 1965, viene qui presentato in relazione ad altre due importanti opere del XX secolo, un autoritratto del 1969 di Gino De Dominicis e un igloo del 1988 ca. di Mario Merz, in un dialogo ideale sul tema dell’immortalità dell’opera d’arte, nonché sulla dialettica tra individuo e universo. Segue un omaggio all’arte concettuale di Giulio Paolini, presente in mostra con un iconico collage del 1969, dove la scelta del rosso è del tutto arbitraria e subordinata alla riflessione sullo spazio della rappresentazione. E ancora nelle opere di Tano Festa e Mario Schifano, protagonisti della scena artistica romana dei primi anni Sessanta, il rosso convive con la sperimentazione pittorica e l’indagine consapevole sul linguaggio dell’arte. Di Schifano viene esposto nella sala successiva l’imponente paesaggio intitolato Palma, 1973, attivando una sorprendente corrispondenza con il cielo infuocato di rosso del dipinto Aurora boreale, 1938, di Luigi Russolo.

L’ultima sezione presenta opere della stretta contemporaneità, dove il rosso è associato a temi di stringente attualità. Attraverso sculture ispirate al colore e alla forma delle gocce di sangue, l’italiana Chiara Dynys e la palestinese Mona Hatoum, pur con accezioni e modalità diverse, alludono metaforicamente a tematiche quali la fragilità umana, l’oppressione e la marginalità della condizione femminile, mentre gli americani Kelley Walker e Wade Guyton, protagonisti della scena New Pop, offrono uno sguardo altrettanto profondo sulla simbologia del rosso come rappresentazione ed evocazione della violenza sia essa fisica o psicologica.

Artisti e artiste in mostra: 

Arman (Nizza, 1928 – New York, 2005) / Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994) / Francesco Clemente (Napoli, 1952) / Ettore Colla (Parma, 1896 – Roma, 1968) / Gino De Dominicis (Ancona, 1947 – Roma, 1998) / Fortunato Depero (Fondo, 1892 – Rovereto, 1960) / Piero Dorazio (Roma, 1927 – Perugia, 2005) / Jimmie Durham (Houston, 1940 – Berlino, 2021) / Chiara Dynys (Mantova, 1958) / Tano Festa (Roma, 1938-1988) / Lucio Fontana (Rosario, Santa Fé, 1899 – Comabbio, 1968) / Marco Gastini (Torino, 1938-2018) / Wade Guyton (Hammond, 1972) / Mona Hatoum (Beirut, 1952) / Anish Kapoor (Bombay, 1954) / Yves Klein (Nizza, 1928 – Parigi, 1962) / Conrad Marca-Relli (Boston, 1913 – Parma, 2000) / Mario Merz (Milano, 1925-2003) / Gabriel Orozco (Xalapa, 1962) / Mimmo Paladino (Paduli, 1948) / Giulio Paolini (Genova, 1940) / Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943) / Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) / Walid Raad (Chbanieh, 1967) / Martial Raysse (Golfe Juan, 1936) / Sterling Ruby (Bitburg, 1972) / Ed Ruscha (Omaha, 1937) / Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 – Cerro di Laveno, 1947) / Salvatore Scarpitta (New York, 1919-2007) / Mario Schifano (Homs, 1934 – Roma, 1998) / Sacha Sosno (Marsiglia, 1937 – Monaco, 2013) / Wolfgang Tillmans (Remscheid, 1968) / Niele Toroni (Muralto, 1937) / Kelley Walker (Columbus, 1969) / Aaron Young (San Francisco, 1972)

 



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 Jorge Pardo, Installation view, Mongrel, Museum of Art and Design at MDC, Miami, 2021-2022
Photo: Oriol Torridas; Courtesy: Museum of Art and Design at MDC

 

 

GióMARCONI presenta JORGE PARDO

 

Quattro grandi opere su carta, quattro dipinti incisi e una serie di nuove lampade: una selezione di opere multicolore che evidenzia la posizione dell'artista al limite tra pittura e scultura, architettura e design, artigianato e produzione digitale.

Gió Marconi è lieto di annunciare la terza mostra personale in galleria dell'artista cubano Jorge Pardo, in programma dal 25 marzo al 9 maggio 2022, in cui verranno presentate quattro grandi opere su carta, quattro dipinti incisi e una serie di nuove lampade: una selezione di opere multicolore che evidenzia la posizione dell'artista al limite tra pittura e scultura, architettura e design, artigianato e produzione digitale.

In questa nuova serie di dipinti, Pardo crea piani di colore che emergono e svaniscono producendo forme che si intersecano e si sovrappongono tra loro. Le sue opere sono combinazioni di immagini, prima stratificate digitalmente, poi tagliate a laser su MDF, e successivamente dipinte a mano in acrilico. Sono lavori che esplorano la tecnica della pittura stratificata sperimentata dall'artista nel corso della sua carriera, in cui i riferimenti e il materiale di partenza sono una fusione di fotografie personali, opere del passato sue o di altri artisti. Tutti questi strati – generalmente dai due ai sette per dipinto  – arrivano a coesistere uno accanto all'altro.

Queste opere, sebbene apparentemente astratte, rappresentano una moltitudine di memorie sovrapposte, paragonabili a un personale scavo archeologico dell’artista. Gli oggetti che ne derivano sono ibridi tra pittura e scultura, e raccontano il suo stile colorato, massimalista ed eclettico.

Lo stile delle opere è fortemente connesso al retaggio latinx di Pardo e al fatto che il suo studio si trovi a Mérida, in Messico. Le opere e le tecniche pittoriche in mostra rivelano anche le influenze dalla cultura messicana e maya, con frequenti riferimenti all'estetica culturale e al paesaggio. In questo nuovo corpus di lavori, Pardo rivela inoltre un interesse per il trascendente: "Si tratta di farli scomparire e trasformarli in qualcos'altro (...) e che inizino a dialogare tra loro".

Anche nei disegni l’artista mescola foto di famiglia e una vasta gamma di altre immagini che evocano l'ambiente culturale dei suoi anni di formazione. Come nei suoi dipinti, Pardo trasforma i disegni in semi- astrazioni strutturate dai colori abbaglianti, ridimensionando, sovrapponendo  e  colorando  i  materiali originari al computer. Dopo averle tradotte in grafica vettoriale, le immagini vengono stampate su carta cotone Fabriano e colorate manualmente a matita.

Sebbene a volte appaiano immagini riconoscibili – come un fiore o un volto – l'effetto complessivo dei disegni ha a che fare con le emozioni e l’atmosfera che i colori e le forme evocano nello spettatore.

Anche le lampade, che completano la mostra, sono realizzate a partire da un sistema modulare in più parti. Costruite in legno di betulla e alluminio, successivamente dipinte con vernici ad alcool, ogni lampada è composta di vari elementi che, come nelle matrioske russe, vengono assemblati per comporre l'oggetto finale.

L'idea di Pardo, trasmessa attraverso i dipinti, i disegni e le lampade, è quella di coinvolgere lo spettatore nell'atto del guardare, aumentando la sua consapevolezza: ciò che si vede a una prima occhiata è solo l'inizio di quello che c'è da scoprire, nella moltitudine di elementi e strati di cui le sue opere sono composte.

Nato a L'Avana nel 1963, Jorge Pardo ha studiato all'Università dell'Illinois, a Chicago, e ha conseguito il Diploma in Belle Arti presso l'Art Center College of Design di Pasadena, in California, dove è stato allievo di Stephen Prina e Mike Kelley.

Negli ultimi progetti dell’artista è inclusa una commissione site-specific per il Public Art Program dell'Università di Houston, Texas (2021). Inoltre, i lavori di Pardo sono stati esposti al Museum of Art & Design del Miami Dade College, in Florida (2021); Pinacoteca de Estado São Paulo, San Paolo (2019); Musée des Augustins, Tolosa (2014); Irish Museum of Modern Art, Dublino (2010); K21 Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf (2009); Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles (2008); Museum of Contemporary Art, North Miami (2007). Nel 2017 i dipinti dell'artista sono stati inclusi nella 57a Biennale di Venezia. Pardo attualmente vive e lavora a Mérida, in Messico.