Mostre

 



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 La Natura e la Preda. Installation view of the exhibition at PAV - Parco Arte Vivente, Torino, 2022. Courtesy PAV - Parco Arte Vivente, Torino

 

PAV - Parco Arte Vivente presenta LA NATURA E LA PREDA Storie e cartografie coloniali

 

La mostra affronta il tema della memoria coloniale attraverso i lavori di alcuni giovani artisti italiani: Irene Coppola con Vito Priolo, Edoardo Manzoni, Daniele Marzorati e Alessandra Messali.

Venerdì 18 marzo 2022, il PAV Parco Arte Vivente presenta la mostra collettiva La Natura e la Preda, che affronta il tema della memoria coloniale attraverso i lavori di alcuni giovani artisti italiani: Irene Coppola con Vito Priolo, Edoardo Manzoni, Daniele Marzorati e Alessandra Messali.

Lontano dall'essere una condizione innata, indifferente alle circostanze, l'essere preda è un posizionamento che viene conferito in rapporto ad altri soggetti, l'oggetto della strategia mirata del predatore. Possiamo dire che qualcosa diventa preda – e quindi cacciabile – per effetto di un processo di distinzione, gerarchizzazione o esclusione da ordini condivisi.

Per tracciare una teoria della preda è necessario pensare sia alle politiche della rappresentazione, sia ai modi in cui il potere costruisce le identità sociali attraverso la repressione. Rispetto ad altre strategie di conflitto, la caccia non è una lotta tra pari, ma prevede un disequilibrio originario dato dalla supremazia materiale del cacciatore. Confrontarsi oggi con la memoria coloniale, italiana e non solo, non significa avere a che fare soltanto con un passato dimenticato e rimosso: le forme di oppressione che pensavamo di aver lasciato ai tempi dello schiavismo o della piantagione, riemergono nelle riconfigurazioni neo-arcaiche spinte dalla potenza delle politiche economiche neoliberiste.

Preda, che ha la stessa etimologia del verbo prendere, è sempre qualcosa che si acquista con la violenza e la cattura ed è un’azione che abbiamo legittimato e attribuito alla natura. Costruire una teoria della preda può costituire uno strumento importante nell'affrontare la drammatica attualità della memoria coloniale: i quattro artisti emergenti invitati nella mostra non sono dei naturalisti, ma archeologi di una storia sociale della natura, che indagano lavorando sulle rappresentazioni dell’esotico, della caccia, della sperimentazione coloniale sulle piante. Le scene di caccia, le trappole e i richiami per uccelli di Edoardo Manzoni riflettono sull’estetizzazione della violenza delle immagini prodotte in Africa durante il periodo coloniale. La rappresentazione della “bestia” domata e uccisa, esasperate al fine di rendere la battuta di caccia un’impresa eroica, è funzionale alla caccia grossa come strumento esotizzante, metafora dell'assoggettamento delle popolazioni. Il progetto di Daniele Marzorati, a sua volta, ripercorre alcune delle tracce fisiche del rimosso coloniale nel territorio italiano, una ricerca fotografica che attiva connessioni tra il potere normativo della storia ufficiale e oggetti apparentemente neutrali, guardando al legame tra fascismo, colonialismo e razzismo avvalendosi dei concetti di “razza” e “razzializzazione”, così come espressi da Mellino, ossia la gerarchizzazione attraverso l’ideologia della “razza”, che invisibilmente permane nella struttura sociale italiana.

EMILIO SALGARI AND THE TIGER - A Story Written in Far Away Italy, Set in Guwahati 1870, di Alessandra Messali, è il risultato di una ricerca condotta dall'artista tra il 2013 e il 2016 nello stato indiano dell'Assam nell'ambito del Guwahati Research Program (Microclima). Com'è noto, il popolare scrittore Emilio Salgari non viaggiò mai al di fuori dall'Italia, pur avendo scritto più di 200 storie d’avventura ambientate in paesi “esotici”; tra questi, la città di Guwahati, territorio controllato dai colonialisti britannici. Il progetto è un esperimento nel quale le differenze tra testo e contesto riscontrare nei libri di Salgari vengono utilizzate come strumento per riflettere sulle logiche di rappresentazione culturale e in particolare su cosa significhi essere rappresentati.

Irene Coppola, infine, presenta Habitat 08°N (progetto sostenuto dall'Italian Council, Direzione Generale Creatività Contemporanea, MiC), realizzato lavorando a stretto contatto con la comunità indigena di Guna Yala (Panama), in collaborazione con l'architetto Vito Priolo: a partire dalla cultura materiale locale, viene costruito un codice di memoria in grado di raccontare la storia del territorio, datare insediamenti, mappare migrazioni e spostamenti.

Nel periodo in cui la mostra sarà aperta al pubblico, su prenotazione, le AEF Attività Educative e Formative del PAV propongono alle scuole e ai gruppi l’attività laboratoriale Wunderkammer d'Altrove, una raccolta di curiosità immaginifiche, in bilico fra il vero e il falso. In relazione alla ricerca di La Natura e la Preda, viene indagato l’esercizio dell’immaginario di ciò che è lontano da noi e, proprio per questo, altamente desiderabile.

Nell’ambito della rassegna di Workshop con gli artisti, sabato 14 maggio Alessandra Messali condurrà il workshop pubblico dal titolo Tigre contro tigre nella giungla delle rappresentazioni.

Per partecipare alle attività è necessaria la prenotazione: 011 3182235 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

La Natura e la Preda inaugura il programma espositivo del PAV per il 2022, che proseguirà con le mostre personali di Elena Mazzi e Regina José Galindo.

La mostra è realizzata con il sostegno della Compagnia di San Paolo, della Fondazione CRT, della Regione Piemonte e della Città di Torino.

 



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Lawrence Carroll al Museo Madre di Napoli

 

Una selezione di cinque sculture tarde forgiate dai corpi di automobili della metà del secolo.

La mostra, a cura di Gianfranco Maraniello, è la prima antologica dell'artista dopo la sua scomparsa nel 2019. Lawrence Carroll (Melbourne 1954 - Colonia 2019) è stato un protagonista della scena artistica americana e, al tempo stesso, un interprete cosmopolita di prospettive poetiche non riducibili alla storia delle avanguardie e delle neoavanguardie; il suo lavoro, infatti, non si inquadra in una specifica tendenza artistica, ma indaga la possibilità stessa di fare pittura dopo e al di là del primato delle scuole e delle teorie che hanno dominato il secondo dopoguerra. Il percorso espositivo esige il tentativo di una corrispondenza alla caratteristica modalità di allestimento delle sue mostre, che hanno sempre privilegiato le relazioni spaziali e sentimentali dell'abitare i luoghi rispetto alla successione cronologica o alla compartimentazione tematica di opere in paralizzanti classificazioni come lo stesso Carroll ha sostenuto, dichiarando: "Nella mia pittura le forme sono sempre mutevoli, la loro stessa collocazione nello spazio cambia, questa inquietudine di pensiero e di spirito è ciò che in un certo senso rende 'vive' le mie opere e le tiene in movimento".

La mostra è realizzata con la collaborazione di Lucy Jones Carroll per l'Archivio Lawrence Carroll.

 



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 Jannis Kounellis, Rosa, 1966, Tec…u carta, 75.5 x 56 cm, ed. 5:9.

 

ML FINE ART presenta JANNIS KOUNELLIS: GLI ANNI SESSANTA

 

La mostra intende raccontare quel momento, a cavallo tra 1961 e 1967, in cui l’artista transitò dalla stagione folgorante dei cosiddetti Alfabeti.

Il progetto espositivo pensato per la prossima primavera presso ML Fine Art, visibile dal 23 marzo 2022, si concentra su un momento cruciale del percorso artistico di Jannis Kounellis (Il Pireo 1936 – Roma 2017), uno tra i più importanti esponenti dell’Arte povera.

Artista di origine greca, Kounellis si trasferisce a vent’anni a Roma per studiare presso l’Accademia di belle arti. Smarcandosi dalle ultime derivazioni dell’arte informale, Kounellis elabora presto una pratica artistica subito tesa al larasuperamento dei limiti tradizionali del quadro.

Attraverso alcune opere di assoluta qualità, la mostra intende raccontare quel momento, a cavallo tra 1961 e 1967, in cui l’artista transitò dalla stagione folgorante dei cosiddetti Alfabeti - opere caratterizzate da composizioni di lettere e numeri su fondo bianco, di grande forza costruttiva e comunicativa - verso un graduale recupero di forme più articolate di rappresentazione.

Una formidabile tela del 1961 ben illustra la serie degli Alfabeti. Resi in questo modo indecifrabili, i segni perdono la loro valenza semantica e, ricomposti in una struttura, emergono con forza dalla superficie dell’opera. Una tela del 1963, in cui campeggia la sagoma di un arcobaleno, è invece uno splendido esempio di quel ristretto gruppo di opere - che prelude alla serie delle Rose del 1966-67 - in cui l’artista mostra un rinnovato interesse per la figurazione e la pittura. Costituita da dipinti meno noti, ma molto significativi, quella stagione segna la riappropriazione diretta, da parte di Kounellis, di elementi di realtà, che vengono rielaborati nel campo della pittura, in modi che si allontanano dalle tendenze dell’arte pop americana allora emergente.

Attraverso una selezione di opere raramente esposte in passato e con l’apporto di una ricerca scientifica condotta da Francesco Guzzetti (Università degli Studi di Firenze), la mostra vuole dunque rivelare al pubblico una stagione in cui l’artista seppe confrontarsi e anticipare le tendenze della nuova avanguardia, imprimendo la propria cifra espressiva su un intero periodo della storia dell’arte a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta.

La mostra è in collaborazione con Rizziero Di Sabatino.

 



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 Mari Katayama, You’re mine #002, 2014, © Mari Katayama, Collezione privata, Roma

 

Io, lei, l’altra Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste

 

L'esposizione ripercorre, attraverso novanta opere, la fotografia degli ultimi cento anni e permette di valutare la nuova concezione della donna e il suo ruolo attraverso una successione di straordinarie immagini. 

Dal 19 marzo al 26 giugno 2022 il Magazzino delle Idee di Trieste presenta la mostra Io, lei, l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste, a cura di Guido Comis in collaborazione con Simona Cossu e Alessandra Paulitti. Prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia – l’esposizione ripercorre, attraverso novanta opere, la fotografia degli ultimi cento anni e permette di valutare la nuova concezione della donna e il suo ruolo attraverso una successione di straordinarie immagini da Wanda Wulz a Cindy Sherman, da Florence Henri a Nan Goldin.

Il ritratto e l’autoritratto fotografico sono una testimonianza straordinaria del difficile processo di affermazione di sé e della conquista di una nuova identità sociale da parte delle artiste donne nel Novecento e nei primi anni del nuovo secolo. I ritratti e gli autoritratti sono luoghi di confronto, ma anche di conflitto fra espressioni diverse dell’identità. A forme convenzionali di rappresentazione si contrappongono nuovi modi di esprimere la propria personalità; i ruoli consolidati della rappresentazione della donna, le pose ripetitive mutuate dai ritratti tradizionali cedono spazio a modalità di espressione inedite.

Da modella al servizio di un artista la donna si trasforma in figura attiva e creativa. Ai ritratti eseguiti da uomini – come Man Ray, Edward Weston, Henry Cartier-Bresson, Robert Mapplethorpe, solo per citare alcuni dei fotografi presentati in mostra – si accostano ritratti e autoritratti di donne artiste e fotografe, tra cui Wanda Wulz, Inge Morath, Vivian Maier, Nan Goldin, Cindy Sherman, Marina Abramović.

Il rapporto fra soggetto e autore della foto contribuisce alla stratificazione dei significati e arricchisce le possibilità di interpretazione. Se l’intuito ci porta a pensare che le autorappresentazioni offrano un’immagine dell’autore più autentica rispetto ai ritratti eseguiti da altri, le opere raccontano una storia spesso diversa in cui le donne dimostrano di saper imporre la propria personalità a colui che sta dall’altra parte dell’obiettivo; allo stesso tempo i fotografi rivelano una straordinaria capacità nell’interpretare il carattere di chi sta loro di fronte. Leonor Fini, la marchesa Luisa Casati, Meret Oppenheim si servono dell’obiettivo dei colleghi uomini per esprimere tutto il loro fascino e la loro

forza seduttiva. Florence Henri, Francesca Woodman e Nan Goldin al contrario, puntano su di sé l’obiettivo della macchina fotografica per rivelare a loro stesse e a chi le osserva aspetti celati della propria personalità, mettendo in scena, in alcuni casi, le proprie debolezze.

La mostra è suddivisa in sezioni, ognuna delle quali rende conto di una diversa forma di rappresentazione dei ruoli che le donne interpretano nelle fotografie. La sezione “Artiste e modelle” è dedicata alle donne che sono state creatrici e allo stesso tempo hanno prestato i loro volti e i loro corpi per opere altrui, come è il caso di Meret Oppenheim, Tina Modotti, Dora Maar.

La sezione intitolata “Il corpo in frammenti” raccoglie gli autoritratti che restituiscono immagini di corpi parziali, riflessi in specchi fratturati, con l’epidermide percorsa da linee che ne interrompono l’integrità, come se in ciò si rispecchiasse la difficoltà di rappresentarsi. I ritratti degli anni Settanta che hanno per protagoniste Valie Export, Jo Spence e Renate Bertlmann mimano ironicamente l’immagine tradizionale della donna come madre, donna di casa o oggetto sessuale. “Una, nessuna e centomila” raccoglie gli autoritratti delle artiste che, da Claude Cahun a Cindy Sherman, hanno utilizzato il proprio corpo per interpretare attraverso mascheramenti identità o stereotipi diversi. 

Un’altra sezione affronta il tema degli stereotipi nella rappresentazione dalle identità culturali e sessuali, un’altra ancora a quelli nella definizione dei canoni di bellezza mentre alcune fotografie sono dedicate ad artiste accanto a proprie creazioni come nel caso del celeberrimo ritratto di Louise Bourgeois eseguito da Robert Mapplethorpe.

Va infine segnalato che l’esposizione Io, lei, l'altra si inserisce in un progetto avviato dalle istituzioni culturali afferenti l'ERPAC dedicato al tema dell'autoritratto e del ritratto in una prospettiva storicoartistica che spazia dal rinascimento fino ai giorni nostri. A partire dal mese di maggio avrà luogo a Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia la mostra Riflessi, che svilupperà il tema del ritratto attraverso prestiti da numerose istituzioni europee mentre alla Galleria Regionale d'Arte contemporanea Luigi Spazzapan si terrà l’esposizione Artista + Artista che vedrà riuniti interventi di ricerca di artisti legati al Friuli Venezia Giulia.

Catalogo

La mostra è accompagnata dal catalogo Io, lei l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste edito da Skira con immagini di tutte le opere esposte e testi di approfondimento di Guido Comis, Anne Morin, Giampiero Mughini, Anna D’Elia, Laura Leonelli e Alessandra Paulitti.

 



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Giulio Paolini, Studio per "Interno metafisico", 2021 © Giulio Paolini. Foto Luca Vianello. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

 

Museo Novecento presenta Filippo de Pisis. L’illusione della superficialità Giulio Paolini. Quando è il presente? Luca Vitone. D’après (De Pisis – Paolini)

Tre mostre, tre artisti, tre generazioni a confronto in un gioco di incastri e rimandi fatto di coincidenze iconografiche, strategie concettuali e passioni artistiche e letterarie.

Tre mostre, tre artisti, tre generazioni a confronto in un gioco di incastri e rimandi fatto di coincidenze iconografiche, strategie concettuali e passioni artistiche e letterarie: Filippo de Pisis, Giulio Paolini e Luca Vitone si incontrano al Museo Novecento in un dialogo a tre voci, all’interno di un progetto espositivo a partire dal 18 marzo e fino al 7 settembre 2022.

La nuova stagione di mostre propone un progetto espositivo sorprendente e del tutto originale, che consente di approfondire la conoscenza di tre artisti apparentemente molto diversi tra loro, rileggendone la produzione a partire da una prospettiva inedita. Tre mostre personali, separate ma interconnesse, che danno vita a un gioco di specchi e di confronti tematici.

Qualcosa accomuna il percorso artistico di Filippo Tibertelli de Pisis (Ferrara, 1896 – Milano 1956), eclettico pittore e letterato ferrarese, e quello di Giulio Paolini (Genova, 1940), uno dei grandi protagonisti dell’arte italiana e internazionale dagli anni Sessanta ad oggi. Le loro opere funzionano come rebus e allegorie, gli oggetti e gli elementi che compongono il loro repertorio visivo vanno decifrati per entrare nel gioco misterioso e spiazzante dell’arte, il cui significato ultimo rimane comunque inafferrabile. Molti dei lavori sia di De Pisis sia di Paolini sono un continuo andare e venire nella storia dell’arte. Ecco allora invocate opere di autori appartenenti ad epoche passate o contemporanee: quadri all’interno di quadri, catene di riferimenti iconografici e di amori figurativi, che vanno da Poussin a Chardin, da El Greco a Goya, da De Chirico all’arte classica. Se in un dipinto di De Pisis scopriamo evocate le fattezze di Antinoo, in Paolini il canone di bellezza classica ritorna attraverso un calco in gesso di una scultura di Policleto. Pur appartenendo a due stagioni dell’arte distanti, nei due artisti si riscontrano molteplici assonanze. Come in De Pisis, anche in Paolini presentare lo studio dell’artista o gli strumenti del pittore, è un modo per parlare del gioco dell’arte e del mondo delle immagini. Nelle loro opere De Pisis e Paolini combinano ricordo e memoria, leggerezza e malinconia, eludendo costantemente la cronaca e l’appiattimento sulla realtà fenomenica. Non ultimo, è importante notare come entrambi abbiano affidato il proprio immaginario e i propri sentimenti e pensieri alla scrittura, in particolare alla poesia.

La mostra Filippo De Pisis. L’illusione della superficialità, nata da un’idea di Sergio Risaliti, co-curata con Lucia Mannini e organizzata in collaborazione con l’Associazione per Filippo De Pisis, ospiterà oltre quaranta opere del pittore e letterato ferrarese al primo piano del Museo Novecento. Accusato spesso di perseguire una pittura dalla “superficialità decorativa” di matrice neo-impressionista – per via della pennellata rapida e leggera e dei piacevoli accostamenti cromatici – De Pisis ha invece costruito molti dei suoi maggiori dipinti tramite un gioco di rimandi e riferimenti, autobiografici e culturali. L’esposizione, nata da un’attenta rilettura della critica, a partire da Francesco Arcangeli fino a Paolo Fossati, intende sottolineare questa complessità attraverso un’attenta e studiata selezione di opere nelle quali l'artista ha adottato espedienti che anticipano, in fondo, quelli dell’arte concettuale degli anni Sessanta. La magica e misteriosa sospensione tra realtà e irrealtà è protagonista delle nature morte di De Pisis anche quando è una tela vuota a sollecitare nell’osservatore una riflessione, invitandolo a indagare più in profondità il senso delle cose esibite in un dipinto e andando oltre la piacevolezza visiva della sua pittura.

Tra i grandi maestri dell’arte italiana del Novecento, Giulio Paolini è il protagonista di un progetto espositivo inedito, che riunisce opere della sua produzione più recente in dialogo con l’architettura rinascimentale delle sale al piano terra del Museo Novecento. Il titolo della mostra, Quando è il presente?, a cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti, è ripreso da una lettera scritta nel 1922 da Rainer Maria Rilke a Lou Andreas Salomè, da cui Giulio Paolini trae spunto per condurre una propria meditazione sul tempo e sulla nostra impossibilità di afferrarlo, combinando gli interrogativi sul ruolo dell’arte e la figura dell’artista con quelli sull’esistenza e il suo fluire. Come sempre nella sua produzione, Giulio Paolini ricorre a un vasto repertorio di riferimenti letterari, mitologici e filosofici, richiamati attraverso la riproduzione fotografica, il collage e il calco in gesso, cui fanno da pendant allestimenti articolati e compositi, imperniati su citazioni, duplicazioni e frammentazioni, per dar vita a un teatro dell’evocazione. I lavori di Paolini chiamano in causa gli strumenti del fare artistico, la figura dell’autore e il suo rapporto con l’opera e con l’osservatore, in una ricerca che trae nutrimento dalla storia stessa dell’arte: dalla nascita della prospettiva rinascimentale alla sopravvivenza del mito nell’iconografia, fino al perpetuarsi dei modelli classici e al ritorno della sospensione temporale tipica della metafisica di de Chirico. Lo stesso Paolini ha più volte dichiarato il suo amore incondizionato per il Beato Angelico, eleggendo il Museo di San Marco di Firenze a suo museo ideale. In occasione di questa mostra, l’artista torinese ha realizzato un collage incorniciato allestito su un cavalletto, ispirato al celebre affresco del Noli me tangere conservato all’interno del convento di San Marco. L’opera sarà esposta proprio all’interno della cella omonima di fronte al dipinto del frate domenicano.

De Pisis e Paolini costituiscono due importanti riferimenti per Luca Vitone, che entra nella costruzione del progetto espositivo continuando questa mise en abyme con una serie di opere site-specific all’interno della mostra D’après (De Pisis – Paolini). Mentre un dipinto di De Pisis dà modo a Vitone di elaborare una scultura olfattiva il cui profumo pervade una stanza del museo, opera realizzata in collaborazione con Maria Candida Gentile e ispirata alla tela Il gladiolo fulminato, conservato a Ferrara e volutamente non presente in mostra, nell’altro caso Vitone ha recuperato dallo studio di Giulio Paolini della polvere, diventata materiale pittorico per realizzare un acquarello che attraverso questo espediente vuole mettere in scena l’atelier dell’artista. L’operazione di Vitone si completa con una doppia installazione all’interno dello spazio espositivo che ospita la mostra dedicata a De Pisis. In una delle prime sale il visitatore scoprirà un erbario che allude agli interessi botanici del ferrarese, che amava anche definirsi naturalista, entomologo e miniaturista. Nello stesso spazio vi si potrà imbattere in un pupazzo, le cui fattezze ritraggono Vitone. Il medesimo meccanismo di traslazione o transfert è testimoniato da un fantoccio di pezza che appare in una foto di De Pisis nel suo studio, documento d’archivio utilizzato da Vitone per realizzare una carta da parati che fascerà nella sua totalità le sale espositive al primo piano del museo. Su questa carta da parati saranno esposte le opere di De Pisis presenti in mostra, in un allestimento straniante che alimenta il gioco evocativo e concettuale dell’intero progetto espositivo.

Tre mostre che creano un dedalo di riferimenti e di connessioni tra un universo artistico e l’altro, e che trasportano lo spettatore in “teatro dell’evocazione”.