Mostre

 



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OGR Torino. Photo Simone Spada for OGR Torino. Courtesy OGR Torino

 

Tutta l’arte delle OGR Torino 

Un programma espositivo di respiro internazionale che conferma l’attenzione ai linguaggi più innovativi e sperimentali della scena contemporanea.

Le OGR Torino, tra i centri di produzione e sperimentazione culturale più dinamici in Europa, dopo la mostra RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON, prima personale in un’istituzione italiana dedicata all’artista statunitense Arthur Jafa, presentano per il 2023 un programma espositivo di respiro internazionale che conferma l’attenzione ai linguaggi più innovativi e sperimentali della scena contemporanea.

Il 29 marzo le OGR inaugurano Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dell’algoritmo una mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero, un’indagine sul cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi in una società in cui si è costantemente classificati, misurati, simulati e riprogrammati.

A settembre 2023 la programmazione artistica prosegue con la mostra collettiva Mutating Bodies, Imploding Stars, a cura di Samuele Piazza. A partire dall’ecologia femminista e dalla teoria degli affetti queer, la mostra espande le possibili nozioni del concetto di corpo, accettando la vulnerabilità e il desiderio come fattori centrali della relazione con l’altro.

A novembre 2023, in concomitanza con Artissima e la Torino Art Week, le OGR presentano due mostre personali dedicate a Sarah Sze e Sara Enrico, entrambe artiste impegnate in una riflessione sui limiti della scultura, con un vocabolario personale in grado di creare forme, spesso instabili, che invitano il pubblico a riconsiderare il modo in cui percepiamo la realtà.

Nel 2023 le OGR Torino proseguono con forza e ambizione il lavoro avviato negli anni precedenti: esplorare le nuove frontiere dell’espressione artistica e amplificare la capacità collettiva di analisi e lettura del presente per acquisire una prospettiva più profonda sul futuro” - dichiara Massimo Lapucci, CEO delle OGR Torino. Questo processo si consolida con l’esplorazione di nuovi megatrend quali l’ArTechnology - coniato proprio alle OGR - per esprimere il punto di vista strategico tra cultura, arte e tecnologia. Con Perfect Behaviors l’attività dell’area espositiva delle OGR aggiunge una preziosa ed energica nota umanistica al lavoro portato avanti dalle OGR Tech, dove una costante attività di ricerca e numerosi programmi di accelerazione sostengono l’innovazione con l’obiettivo di stimolare la crescita e orientarne l’impatto positivo sulle persone.”

La sperimentazione artistica è una forma di rivoluzione culturale e sociale. Esprime l’esigenza umana di esplorare, di cercare la relazione con l’altro per poi attivare ulteriori ricerche: per questo è significativo che si soffermi su temi di grande attualità come le intelligenze artificiali, dove l’incertezza di quelli che saranno gli sviluppi futuri può farci interrogare e attirarci allo stesso tempo. Accettare questa vulnerabilità è un fattore centrale nel nostro essere umani, e mostre come Perfect Behaviors – che ci mettono di fronte a domande, non a soluzioni o interpretazioni – svolgono un ruolo sociale importante nell’attivare un pensiero in linea con principi non solo artistici e culturali, ma umani, afferma Fulvio Gianaria, Presidente delle OGR Torino.

La mostra offre uno spazio di indagine sul cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi in una società in cui si è costantemente classificati, misurati, simulati e riprogrammati. Fino al 25 giugno 2023, nei Binari 1 e 2 delle ex officine, Perfect Behaviors presenta opere di Universal Everything (Regno Unito), Paolo Cirio (Italia), Eva e Franco Mattes (Italia), Brent Watanabe (Stati Uniti), Geumhyung Jeong (Corea del Sud) e James Bridle (Regno Unito) orientate al raggiungimento di un obiettivo comune: restituire al visitatore narrazioni alternative al determinismo tecnologico dominante, contribuendo a rendere visibile ciò che è invisibile, anche se vicino. In un contesto in cui la quantificazione della vita quotidiana è ad opera di sistemi sempre più sofisticati di raccolta dati, la mostra mette in discussione l’idea di intelligenza artificiale come potente creatura autonoma all’interno di opache scatole nere, sottolineando invece come, dietro agli strumenti di misurazione delle interazioni, ci sia sempre l’intervento di qualcuno.

A settembre 2023, la mostra collettiva Mutating Bodies, Imploding Stars, a cura di Samuele Piazza, prosegue alcune ricerche avviate dalle OGR nel 2018 con il progetto dancing is what we make of falling. Le opere di Eglė Budvytytė (Lituania), Guglielmo Castelli (Italia) e Raúl de Nieves (Messico), attraverso media e linguaggi che spaziano dalla pittura alla videoinstallazione, indagano nuove forme di soggettività in costante evoluzione. A partire dall’ecologia femminista e dalla teoria degli affetti queer, la mostra espande le possibili nozioni del concetto di corpo, accettando la vulnerabilità e il desiderio come fattori centrali della relazione con l’altro. La mostra prende il titolo da uno dei lavori esposti, Song For a Compost di Eglė Budvytytė: un’esplorazione video ipnotica che affronta alcuni temi centrali del progetto come la riflessione sull’interdipendenza, l’abbandono, la morte e l’idea di decadimento, attraverso forme di coscienza non umane annidate all’interno di un sistema simbiotico.

Le OGR Torino accolgono nel Binario 1 la prima mostra personale in un’istituzione italiana, di Sarah Sze (Massachusetts, Stati Uniti), a cura di Samuele Piazza. Dalla fine degli anni Novanta, l’artista americana ha sviluppato un linguaggio visivo caratteristico che sfida la staticità della scultura. In concomitanza con l’esplosione di informazioni che caratterizza il nostro presente, il lavoro di Sze sembra navigare e simultaneamente rimodellare l’incessante flusso di informazioni della vita contemporanea. Attraverso complesse costellazioni di oggetti e una proliferazione di immagini, l’artista rielabora la mole di narrazioni visive che immagazziniamo quotidianamente, dalle riviste, dalla televisione, dagli smartphone, dal cyberspazio e dalla realtà materiale. La sua pratica evoca il processo generativo della creazione di immagini in un mondo in cui il consumo e la produzione sono sempre più interdipendenti e in cui, in un continuum, la scultura dà origine alle immagini e le immagini alla scultura. Parte centrale della mostra in Italia sarà una nuova opera co-commissionata e co-prodotta dalle OGR Torino, Artangel, Londra e ARoS, Aarhus Art Museum, con il supporto della Victoria Miro Gallery.

La mostra personale di Sara Enrico (Italia), a cura di Samuele Piazza, presentata nel Binario 2 delle OGR è prodotta con il supporto di Fondazione Sviluppo e Crescita CRT – sostenitrice di una fellowship a favore di artisti piemontesi per un periodo di residenza all’American Academy di Roma. Le opere dell’artista, realizzate tramite una sofisticata manipolazione di materiali, dal tessuto al cemento fino alla gommapiuma, vengono allestite in un’ideale processione lungo il percorso espositivo. Il rapporto con la superficie degli oggetti, le tensioni delle strutture e le interconnessioni tra elementi eterogenei invitano a riconsiderare le canoniche categorie percettive immergendo i visitatori in un’esperienza sensoriale, visiva ma quasi tattile.

 



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© Archivio dell'Arte | Luciano e Marco Pedicini

 

JAN FABRE Per Eusebia Il numero 85 (con ali d’angelo) 

Due importanti opere permanenti in corallo dell’artista fiammingo donate da Gianfranco D'Amato e Vincenzo Liverino alla Real Cappella del Tesoro di San Gennaro e alla Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco.

Da giovedì 2 marzo, due importanti opere d’arte arricchiscono la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro e la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, a Napoli. Si tratta di Per Eusebia e Il numero 85 (con ali d’angelo), due installazioni permanenti dell’artista fiammingo Jan Fabre, realizzate grazie alla donazione dell’artista stesso insieme a Gianfranco D’Amato e Vincenzo Liverino.

L’allestimento delle opere, a cura di Melania Rossi, porta Per Eusebia al Duomo di Napoli, nella Cappella dedicata al Santo Patrono della città, accanto a opere pittoriche di Domenichino e Lanfranco, a più di cinquanta sculture e statue di santi compatroni e ai quattro quintali d’argento dei cosiddetti Splendori della Cappella del Tesoro di San Gennaro.

La seconda scultura, Il numero 85 (con ali d’angelo), occupa invece una nicchia a sinistra dell'altare della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, contribuendo a sottolineare l’aura mistico-sacrale dell’ambiente circostante.

Per Eusebia (2022) è un mirabile pannello completamente realizzato in un cesellato mosaico di corallo rosso del Mediterraneo, allestito nell’Antisacrestia in cui sono custodite le chiavi che aprono la cassaforte contenente l’ampolla con il sangue di San Gennaro, oggetto di culto e devozione popolare.

L’artista ha scelto di richiamare l’inizio della storia di questo culto ricordando la pia donna, parente o nutrice del Santo, che per prima ne raccolse il sangue dopo il martirio nel 305 d.C.: ancora una volta un omaggio, come in altre opere di Jan Fabre, a donne che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia collettiva o nella sua personale.

L’artista smaterializza l’immagine del Santo, che rappresenta in una sintesi poetica di vari oggetti legati al culto del sangue miracoloso: la mitra, realizzata con un tripudio di rametti di corallo e circondata da lingue di fuoco, con grandi tessere di corallo che richiamano i 3328 diamanti, 198 smeraldi e 168 rubini che la adornano; nella parte alta del pannello due chiavi, identiche a quelle usate per aprire la cassaforte che custodisce il sangue, si protendono verso le due ampolle realizzate con cornetti rossi, simboli di fertilità e prosperità. La composizione offre una sensazione di movimento in cui le chiavi toccano i balsamari da dove gocce di sangue rosso scuro scendono simultaneamente ai lati della mitra, formando grappoli di mezze perle e cilindri di eccellente manifattura. Lo sfondo è un infinito chiaroscuro di rosso corallo, un monocromo formato da variazioni naturali di tonalità e conformazioni composto dall’assemblaggio di roselline, cornetti, foglioline simili a piccole stelle marine, che richiamano l’habitat naturale di questo straordinario materiale.

Il numero 85 (con ali d’angelo) (2022) è un’altra scultura in corallo rosso del Mediterraneo che non poteva che essere concepita per la chiesa napoletana delle Anime del Purgatorio ad Arco, in cui Fabre sembra essere entrato in sintonia con quelle rappresentazioni di morte in vita e della vita in morte che sono l’anima del barocco napoletano. L’opera, che sembra una diretta discendente di un’altra scultura custodita nella chiesa, il cosiddetto Teschio Alato realizzato da Dionisio Lazzari per l’altare maggiore nel 1669, è composta da un teschio umano da cui lati spuntano delle lunghe e affusolate ali; sulla fronte il numero 85, il cui significato numerologico è da ricondursi alle anime del Purgatorio, e che stabilisce un contatto diretto con il culto dei morti, o meglio delle anime. L’opera è una sorta di meditazione anatomica in cui si può cogliere la forma della vita che si disfa in altre forme viventi, rivelando la grande passione per la trasformazione di questo visionario artista-entomologo fiammingo, costantemente in bilico tra Bosch, Artaud e Cuvier. Ma è anche un invito a un viaggio iniziatico, a un innalzamento purificativo, richiamato dalle ali tese verso l’alto, che augura la guarigione dell’anima e segue l’idea ascensionale dello stesso Dante Alighieri nel Purgatorio della Divina Commedia.

Per Eusebia e Il numero 85 (con ali d’angelo) sono accompagnate da un catalogo con saggi di Angela Tecce, Melania Rossi, Marino Niola, Sara Liuzzi, Francesco Imperiali di Francavilla e Francesca Amirante, edito da Electa e realizzato grazie al contributo di Studio Trisorio.

 



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Rita Ackermann, Mama, Yves’s Mask, 2021, Acrilico, olio, pigmenti e matita grassa su tela. Daniel Xu and Flora Huang Collection ©Rita Ackermann. Courtesy of the artist and Hauser & Wirth. Foto: François Fernandez.

 

"HIDDEN", RITA ACKERMANN da New York a Lugano 

Al MASI di Lugano dal 12 marzo fino al 13 agosto una cinquantina fra dipinti e disegni realizzati da Ackermann negli ultimi 30 anni a New York.

“Rita Ackermann. Hidden” si concentra su una selezione di dipinti recenti legati all’opera giovanile dell’artista a partire dagli anni ’90 e presenta una cinquantina fra dipinti e disegni realizzati da Ackermann negli ultimi 30 anni a New York.

Nata a Budapest nel 1968, Rita Ackermann vive e lavora a New York. Fra il 1989 e il 1992, studia all’Università ungherese di Belle Arti di Budapest e al New York Studio School of Drawing, Painting and Sculpture.

Ackermann inventa immagini che si traducono in sensazioni istantanee, le sue ragazzine conturbanti oggi appartengono a un universo visivo globale. I disegni e i dipinti realizzati fra il 1993 e il 1995 (e presenti in mostra) sviluppano composizioni di figure femminili adolescenti moltiplicate come cloni e intente a diverse attività autodistruttive e rischiose. Con la loro presenza ambigua, le sue prime opere fungono da ponte fra cultura alta e cultura bassa, proprio come i miti e le leggende popolari che spesso le valorizzano.

Vent’anni dopo Ackermann abbandonerà la figura, rimuovendo così il vero fulcro del proprio lavoro. Nella serie “Mama” linee e gesti, figure e motivi affiorano in superficie solo per dissolversi e riapparire di nuovo, ma altrove. Una stratificazione complessa del linguaggio visivo, che oscilla fra astrazione e figurazione in un dispiegarsi inconscio della forma – nascosta in profondità nell’astrazione dell’onnipresenza. Nei primi mesi del 2022, Ackermann avvia le sue serie di dipinti più recenti, intitolate “War Drawings”. Olio, matita grassa e acrilico sono densamente lavorati dentro la superficie di tela grezza. Le figure si perdono e le linee sono raschiate e abrase per dar luogo a composizioni frammentate. Ogni dipinto si piega al disastro come elemento purificatore verso un’inevitabile armonia.

L’esposizione sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) pubblicato in collaborazione con MOUSSE Publishing.

 



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 Lucio Fontana, Concetto spaziale, Natura, 1959-1960, bronzo, 65 x 63 x 53,5 cm © Fondazione Lucio Fontana, by SIAE 2023

 

Museo Novecento presenta Giacometti – Fontana 

Un progetto museale inedito presenta l'incontro ideale e il dialogo potente fra due giganti del Novecento, grazie al confronto straordinario fra capolavori in arrivo dall'Italia e dall'estero.

 

Giacometti – Fontana La ricerca dell'assoluto

Alberto Giacometti e Lucio Fontana per la prima volta insieme. Un progetto museale inedito presenta l'incontro ideale e il dialogo potente fra due giganti del Novecento, grazie al confronto straordinario fra capolavori in arrivo dall'Italia e dall'estero. Firenze ospita un doppio appuntamento ideato da Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, che affonda nella ricerca inesausta e ostinata dei due maestri, protagonisti di un viaggio parallelo che intende suggerire nuove strade di analisi e sondare nuove interpretazioni.

La mostra Giacometti – Fontana. La ricerca dell'assoluto, a cura di Chiara Gatti e Sergio Risaliti (fino al 4 giugno 2023), sarà ospitata all'interno degli spazi monumentali del Museo di Palazzo Vecchio, in particolare nella Sala delle Udienze e nella Sala dei Gigli, dove oggi si conserva la celebre Giuditta di Donatello. Per la prima volta, infatti, saranno messe in relazione queste due colonne portanti del XX secolo, così distanti nelle attitudini e nella vita, ma altrettanto legate da una riflessione sulla verità nell'arte, conquistata attraverso l'esperienza della materia e insieme dell'immaginazione, in bilico fra la dimensione primordiale del tempo e quella cosmologica dello spazio. Un colloquio che vuole suscitare domande piuttosto che dare risposte, per stimolare il dibattito critico e inattese narrazioni attorno ad affinità di pensiero e riferimenti condivisi. Una mostra in cui le opere accostate acquistano la potenza evocativa di un sogno, la cui presenza va interpretata cercando risposte lontane nel tempo e nel futuro.   In concomitanza con questo grande progetto, il Museo Novecento dedicherà ben due piani delle ex Leopoldine alle sculture e ai disegni di Lucio Fontana. La mostra Lucio Fontana. L'origine du monde, (dal 2 marzo al 13 settembre 2023), nasce dalla volontà di esplorare alcuni aspetti ancora poco sondati dell'opera del maestro italo-argentino, tra gli autori più innovativi del secolo scorso, quali la relazione originaria tra creazione artistica, procreazione e nascita della vita nell'universo, e il rapporto tra mondo finito e infinito. Saranno presentati disegni, dipinti e sculture dal '46 fino agli ultimi anni della sua lunga carriera. "Questa esposizione ci offre un'occasione unica per provare a comprendere il rapporto tra passato e modernità e la continuità del dialogo interno al mondo dell'arte e degli artisti" dichiara Dario Nardella, Sindaco di Firenze. "Tutto si tramanda e si trasforma. Nella Sala dei Gigli l'umanità frastagliata di Giacometti si confronta con l'umanesimo di Donatello, espresso nell'imponente Giuditta appena sottoposta a cura e pulizia, mentre l'esperienza del rapporto tra uomo e cosmo definita da Fontana si rapporta con la geometria perfetta del soffitto e con l'enorme globo della Sala delle Carte geografiche poco più avanti, il perfetto riassunto della cosmogonia dei Medici. Siamo di fronte a un cortocircuito di storia, arte, sensazioni e percezioni che rende davvero inedito questo progetto e cha fa di Firenze ancora una volta non solo la naturale culla dell'arte ma anche sede perfetta dei tanti rinascimenti che si manifestano continuamente dal passato ad oggi". "Un inedito progetto espositivo che unisce due giganti del Novecento artistico" commenta Alessia Bettini, vicesindaca e assessora alla Cultura. "Per la prima volta le opere di Alberto Giacometti e Lucio Fontana saranno messe a confronto e dialogheranno con gli spazi monumentali di Palazzo Vecchio grazie a un allestimento straordinario. Una mostra unica e imperdibile".  "Questo progetto di mostra nasce da un sogno" spiega Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento e ideatore delle due mostre. "Un viaggio nel tempo più remoto e nel futuro più distante. Figure umane scarnificate, ridotte all'essenza, prosciugate ma erette in piedi o in cammino su un piano corrugato come di un pianeta ancora in via di formazione. E su questo terreno piccole e grandi forme vulcaniche simili a grandi polpette, rugose, plasmate da forze originarie, nel loro viaggio infinito nel cosmo prima di atterrare come meteoriti ai piedi di quei corpi antidiluviani, ominidi sulla soglia di vita e morte, di giorno e notte. Svegliatomi ho riconosciuto in quelle figure opere a me note di Alberto Giacometti e Lucio Fontana. L'Homme qui marche, la grande Femme debout, i Concetti spaziali in bronzo o terracotta. Da quel giorno sono passati molti anni. Ma il sogno non ha cessato di interrogarmi, di sollecitarmi fino a oggi. Finalmente l'immaginario si ricongiunge alla sua matrice onirica nella concretezza della mostra. Le opere di Giacometti e Fontana adesso stanno assieme, accostate nella mostra Giacometti – Fontana. La ricerca dell'assoluto all'interno delle sale di Palazzo Vecchio e ci invitano a interrogarci sul senso poetico emerso con questi accostamenti.  Un senso poetico ritrovato. Forse è questa la cifra dell'immortalità e dell'eternità di questi capolavori. Figure che interrogano il mistero dell'essere dell'uomo sulla terra e nel cosmo. Che si tratti di vita all'ennesima potenza, o dell'enigma dell'esistenza, lo capiremo anche di fronte alle opere di Lucio Fontana esposte in questa occasione al Museo Novecento. Il titolo della mostra, L'origine du monde, derivato dal celebre capolavoro di Courbet vuole dare senza mezzi termini indicazione del percorso scientifico che apre a nuove letture sull'opera di questo genio italo-argentino". "Per la prima volta due giganti del Novecento si incontrano e si toccano" dichiara Chiara Gatti, Direttrice del MAN di Nuoro e curatrice della mostra. "Non si tratta del solito dialogo ideale senza basi scientifiche, come spesso accade nel mondo delle mostre. Giacometti e Fontana si sfiorano nella storia, lavorano negli stessi anni, citano gli stessi maestri (Giotto fra tutti), percorrono le stesse rotte e, soprattutto, guardano nella stessa direzione: verso il vuoto, l'invisibile, il sacro, l'altrove fisico e mentale".

 

Lucio Fontana L'origine du monde

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Lucio Fontana, Ambiente spaziale, 1948, gouache su carta, 37,7 x 22,5 cm © Fondazione Lucio Fontana, by SIAE 2023

 

La ricerca dell'assoluto è il punto di contatto tra Giacometti e Fontana. Cercando l'assoluto entrambi hanno raggiunto l'essenziale rinunciando all'imitazione e superando i limiti della rappresentazione simbolica e figurativa con una pratica artistica che ha fatto perno sul gesto e la manipolazione, sulla concentrazione e la rinuncia alla forma definitiva. Mentre Lucio Fontana (1899-1968) cercava l'infinito della vita, tra mondo naturale e spazio cosmico, proiettando la mente oltre la superficie della tela e nella trasformazione pre-logica della materia, Alberto Giacometti (1901-1966) scrutava l'essenza dell'esserci, al di là della presenza, a partire da uno "stare sulla terra" di matrice heideggeriana, ma spogliando di ogni dato superfluo l'immagine, orfana di corporeità, sensualità, gravità, ridotta a uno stelo dell'anima, un concentrato in potenza di vita e, insieme, caducità. Mentre Fontana aspirava a quel punto di sutura dove inizio e fine coincidono e, dentro la materia oscura, cercava la luce affondando le mani nel cratere della germinazione per estrarne un bagliore, Giacometti era torturato dalla finitudine e viveva nell'ombra, sulla soglia in cui morte e vita si annullano. Figure dalle indoli opposte, ma accompagnate dalla stessa magnifica ossessione, quella per l'invisibile che è dentro e fuori di noi, nella carne e nel cosmo, nelle cellule e nelle stelle. Entrambi hanno lavorato la materia togliendone ingombro e opacità, mineralizzandola, alla ricerca dell'assoluto (teorizzata da Jean-Paul Sartre nel suo leggendario testo del 1948) dentro i volumi erosi della materia stessa, quella dell'eterno sigillato nei confini della forma. Il progetto Giacometti Fontana. La ricerca dell'assoluto offrirà un confronto mirato fra le loro opere, volto a dimostrare punti di tangenza e contatti virtuosi frutto di un sentimento condiviso sbocciato sullo sfondo di un'epoca afflitta dagli interrogativi sull'uomo e il suo ruolo nell'universo. Un' indagine antropologica lega le riflessioni dei due artisti: entrambi guardano al mondo come a un luogo di passaggio, di transito, e tentano di rappresentare l'immateriale attraverso la materia, logorata da Giacometti e forata da Fontana. Uno struggente senso del sacro nutre il loro slancio verso l'ineffabile e l'insondabile. Sempre a ricercare il mistero dell'esistenza e del senso della vita, spingendosi fino al prima della cultura e all'irraggiungibile dell'infinito, Fontana e Giacometti rimandano a un altrove da afferrare con le mani, da ghermire nella materia, da reificare in una immagine, in un corpo, in un volto o in un gesto.  Grazie a prestiti provenienti da importanti istituzioni e collezioni, fra cui la Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence e il Museo del Novecento di Milano, la mostra sarà articolata in un gioco tanto poetico quanto filologico di rimandi, dialoghi e citazioni, punteggiato di opere iconiche, quali L'Homme qui marche e una Femme debout di Giacometti, forme antediluviane che abitano il tempo, e i Concetti spaziali di Fontana, grumi di materia, coaguli prebiotici o meteoriti realizzati dallo scultore italo-argentino in bronzo o terracotta. Non mancherà di suscitare emozione e inedite riflessioni l'accostamento mai immaginato fra L'objet invisible di Giacometti e la Signorina seduta di Fontana: un confronto teso a studiare il valore formale e semantico del vuoto che le mani sfiorano e disegnano nello spazio, allegoria della presenza di un'assenza, di un peso immateriale, di un volume incorporeo, rappresentazione di un'attesa, di un desiderio e di una possibilità oltre il visibile.

L'indagine sulle forze primigenie che sono all'origine del manifestarsi della vita sulla terra e nel cosmo e della stessa creazione artistica, sono il fulcro tematico della mostra Lucio Fontana. L'origine du monde. Il titolo evoca il celebre quanto scandaloso dipinto di Gustave Courbet e declina il significato gnoseologico di quel dipinto ottocentesco verso un'interpretazione archetipica dell'eros come forza generatrice della vita umana e del cosmo. Eros sempre in bilico tra l'alto del mondo platonico e il basso materialismo delle funzioni corporali sessuali.  La mostra intende proporre un'inedita riflessione sull'opera di Fontana, la cui arte appare essere non tanto maschile, vulcanica, demiurgica, come molta letteratura critica ha già sostenuto, quanto allusiva alla forza generativa femminile, che è attiva nella mente dell'artista come nella natura, nel cosmo e nel corpo fecondo della terra. Nuova luce può essere gettata sui suoi "tagli", i suoi "buchi", le sue rappresentazioni grafiche, eseguiti spesso con gesto primario, infantile, come una pulsione istintuale, prima ancora di essere progetto e riproduzione.  La mostra riunirà una serie di disegni e piccole sculture che permetteranno di interrogarsi sulla genesi degli Ambienti Spaziali, dei Concetti Spaziali e delle Nature, e sulle prefigurazioni in essi implicite. Com'è noto, la ricerca di Lucio Fontana si svolge all'insegna di una nuova esperienza e concezione non solo dello spazio, ma anche del tempo, colto in una doppia dimensione: verso il passato dei primordi, quello della nascita della Terra, e verso il futuro dell'Universo, quello della sua dimensione incalcolabile. La sua ricerca approfondisce la dimensione ctonia, originaria, tellurica di una materia appena generata, non in senso religioso ma cosmologico. Una dimensione che riporta il nostro immaginario agli inizi del creato, della Terra e della Luna, alla cui conquista Fontana fu sensibile, come se quegli ammassi di materia compatta e carica di energia, come meteore, o come se quell'insieme di perforazioni, in forma di spirali e vortici, fossero galassie in formazione. Una esplorazione che abbraccia e riunisce il micro e il macrocosmo, il livello più organico, primario, notturno della sessualità e quello diuturno dell'immaginazione concettuale.  

La mostra si avvale del supporto e del prestito di un consistente nucleo di opere della Fondazione Lucio Fontana.       

Un ringraziamento speciale alla Fondation Marguerite et Aimé Maeght e Giò Marconi. Si ringraziano inoltre Hotel Savoy della Rocco Forte Hotels e Ginori 1735.

 

Museo Novecento Tel. +39 055 286132 / Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Piazza di Santa Maria Novella, 10 – Firenze 

www.museonovecento.it Orario: Lun – Mar – Mer – Ven – Sab – Dom | 11:00 – 20:00 Giovedì | chiuso

Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Museo di Palazzo Vecchio Tel. +39 055 2768224 / Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Lun – Mar – Mer – Ven – Sab | 9:00 – 19:00 Giovedì | 9:00 – 14:00 Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.

 



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Archivio Emilio Scanavino presenta EMILIO SCANAVINO. LUCE E MATERIA. Fotografie degli anni Sessanta 

Una mostra dedicata alle fotografie di uno dei protagonisti della generazione dell’informale e del movimento spazialista.

Inaugurato lo scorso anno in occasione del centenario della nascita dell’artista, l’Archivio Scanavino torna ad accogliere il pubblico nei suoi spazi con la mostra Emilio Scanavino. Luce e Materia, dedicata alla produzione fotografica dell’artista.

L’inaugurazione della mostra avverrà in occasione di Milano MuseoCity, con tre giorni di apertura straordinaria, venerdì 3, sabato 4 e domenica 5 marzo, dalle 10.00 alle 19.00.

La mostra rimarrà visibile, inoltre, dal 6 marzo al 23 aprile 2023 con ingresso libero e visita su prenotazione (scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

Emilio Scanavino. Luce e Materia presenta una selezione di scatti fotografici di Emilio Scanavino (1922-1986) realizzati negli anni Sessanta: immagini caratterizzate da inquadrature ravvicinate, che ritraggono particolari, tracce, elementi isolati su sfondi sconfinati e indefiniti, mostrando un’alfabetizzazione dei soggetti che vengono replicati più volte, con riprese diverse.

Pittore e scultore di origini genovesi, Scanavino è considerato uno dei protagonisti della generazione dell’informale e del movimento spazialista che si affermano in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

La ricerca artistica di Scanavino cerca di definire un nuovo alfabeto, una nuova lingua composta da segni grafici e plastici, fisiologici e tangibili, organici e astratti. Con questa mostra sarà possibile scoprire come, con la macchina fotografica, l’artista abbia “catturato la vita”, in emozioni, racconti e rivelazioni prodotte dalla luce.

Emilio Scanavino nasce a Genova nel 1922, dove dopo il liceo artistico si dedica sin da subito alla pittura, inaugurando nel 1942 la sua prima mostra personale con opere di matrice espressionista. Dopo un inizio figurativo, la pittura di Scanavino diventa sempre più vicina alle caratteristiche del postcubismo, con una graduale sintetizzazione delle forme fino alla loro dissoluzione.  Dopo i soggiorni a Milano, Parigi e Londra, nel 1950 lavora con Tullio Mazzotti alla sua Manifattura ceramica ad Albisola insieme a Lucio Fontana, Sebastian Matta, Guillame Corneille, Asger Jorn, Wilfredo Lam, Gianni Dova, Roberto Crippa, Enrico Baj. Nello stesso anno, espone alla XXV Biennale di Venezia e riceve ex-aequo il Primo Premio alla V Mostra regionale genovese. Negli anni successivi si avvicinò al gruppo milanese degli spazialisti esponendo nella Galleria del Naviglio di Venezia il primo Ambiente spaziale di Fontana. Nel 1954 espone ancora alla Biennale di Venezia dove parteciperà nuovamente nel 1958, vincendo il Premio Prampolini, nel 1960, con una sala personale e nel 1966, anno in cui consegue anche il Premio Pininfarina.

Continua negli anni seguenti la sua attività espositiva internazionale che lo vede partecipare a diverse mostre a Londra, Parigi, Milano, Tokio, Città del Messico, etc.

Nel 1971, in occasione dell’invito per la XI Biennale di San Paolo del Brasile, insieme allo scultore Alik Cavaliere per Biennale di San Paolo del Brasile, crea la grande opera dedicata ai martiri per la libertà, ma non viene esposta per intervento delle autorità consolari che la censurano per il soggetto “di natura politica e quindi extra artistica”. Oggi l’opera è esposta al Museo della Permanente di Milano. Nel 1973 la Kunsthalle di Darmstadt presenta una sua vasta mostra antologica che, viene riproposta a Venezia a Palazzo Grassi e poi a Milano a palazzo Reale, nel 1974. Nel 1975 Partecipa alla X Quadriennale di Roma e l’anno successivo inizia la collaborazione a Milano con Giorgio Marconi. Alterna la sua attività tra l’Italia e Parigi, che è costretto a lasciare per motivi di salute alla fine degli anni ‘70. Vive e lavora tra Milano e Calice Ligure fino alla sua scomparsa nel 1986.