Mostre

 

Ohana legno intrecciato frontale

Stefano Boccalini, La ragione nelle mani - Ohana, legno intrecciato, 90 x 400 x 92, 2020

 

La ragione nelle mani  Una mostra di Stefano Boccalini alla Maison Tavel/Musée d’Art e d’Histoire

Un progetto del Distretto Culturale della Comunità Montana di Valle Camonica vincitore del bando di arte contemporanea Italian Council.

Apre il 1° aprile, sino al 27 giugno, a Ginevra alla Maison Tavel/Musée d’Art e d’Histoire la mostra La ragione nelle mani, ideata dall’artista Stefano Boccalini con la collaborazione di quattro artigiani della Valle Camonica.

La Comunità Montana di Valle Camonica e Boccalini, in collaborazione con il partner Art for the World Europa, sono infatti tra i vincitori della ottava edizione del bando Italian Council, programma a supporto dell’arte contemporanea italiana nel mondo promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea dell’allora MiBACT, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.

La mostra La ragione nelle mani è curata da Adelina von Fürstenberg e realizzata in collaborazione con ART for THE WORLD EUROPA. Si tratta della prima di una serie di iniziative che fanno capo all’omonimo progetto, realizzato in collaborazione con importanti partner culturali: Musée Maison Tavel-Musée d’Art et d’Histoire (Ginevra) sede della mostra, Art House (Scutari, Albania), Sandefjord Kunstforening (Sandefjord, Norvegia), Fondazione Pistoletto Onlus, Accademia Belle Arti Bologna, MA*GA – Museo Arte Gallarate e GAMeC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Bergamo.

Dopo aver portato i segni della Valle Camonica in Europa l’opera ideata da Boccalini, composta da vari manufatti, entrerà a far parte della collezione della GAMeC.

Un progetto che si muove su due livelli, quello del linguaggio e quello dei saperi artigianali, attraverso il coinvolgimento della comunità locale.  Tutti i manufatti che compongono l’opera sono stati realizzati in Valle Camonica da quattro artigiani affiancati ognuno da due giovani apprendisti. Gli otto “allievi” sono stati selezionati attraverso un bando pubblico, promosso dalla Comunità Montana e rivolto ai giovani della valle interessati a confrontarsi con pratiche artigianali appartenenti alla tradizione camuna: la tessitura dei pezzotti, l’intreccio del legno, il ricamo e l’intaglio del legno. 

La ragione nelle mani ha preso il via con un laboratorio che ha coinvolto tutti i bambini di Monno, cui è stato raccontato il significato di circa cento parole intraducibili che sono presenti in molte lingue, intraducibili perché non hanno corrispettivi nelle altre lingue e che possono essere solamente spiegate. Insieme ai bambini sono state scelte circa venti parole che identificano il rapporto tra uomo e natura e tra gli esseri umani. Le parole sono infine state sottoposte agli artigiani per capire quali potessero essere le più adatte a essere trasformate dalle loro sapienti mani in manufatti artistici. Ne sono state scelte nove che sono diventate il materiale su cui gli artigiani hanno lavorato con gli apprendisti. 

Qui i significati in breve: ANSHIM Sentirsi in armonia con sé stessi e con il mondo (coreano), BALIKWAS Abbandonare la propria confort zone (filippino), DADIRRI Quieta contemplazione e ascolto profondo della natura (aborigeni australiani), FRILUFTSLIV Connessione con l’ambiente e ritorno al legame biologico tra uomo e natura (norvegese), GURFA L’acqua che si riesce a tenere nel palmo di una mano come metafora di qualcosa di molto prezioso (arabo), OHANA La famiglia che comprende anche gli amici e non lascia indietro nessuno (hawaiano), ORENDA La capacità umana di cambiare il mondo contro un destino avverso (indigeni nordamericani), SISU La determinazione nella ricerca del benessere nella quotidianità (finlandese), UBUNTU Sono chi sono in virtù di ciò che tutti siamo (Africa meridionale).

Nello specifico, la mostra si compone di un raffinato ricamo bianco su bianco a “punto intaglio” con tre parole, montato come un quadro; due legni di noce sapientemente intagliati che presentano due parole; cinque manufatti di legno nocciolo intrecciato, realizzati con la tecnica utilizzata per la creazione di cestini e gerle, che insieme compongono una sola parola; tre pezzotti, tappeti fatti con tessuti lavorati a telaio manuale, ciascuno dei quali riproduce una parola.

Una mostra poetica e di grande bellezza con uno scopo nobile, legato all’ecosostenibilità di una comunità.

 

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Chiara Fumai Presents Nico Fumai, 2009, performance lecture, 45' approx., performance views,Persona inmeno, Palazzo Re Rebaudengo,Guarene d’Alba (Turin), 2010.Courtesy The Church of Chiara Fumai

 

Chiara Fumai  Poems I Will Never Release (2007–2017)

Un progetto prodotto da  Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci e Centre d’Art Contemporain Genève.

A tre anni dalla sua prematura scomparsa, dal 2 aprile al 29 agosto 2021 il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato dedica a Chiara Fumai la retrospettiva Poems I Will Never Release, a cura di Milovan Farronato e Francesco Urbano Ragazzi in collaborazione con Cristiana Perrella.

La mostra è parte di un ampio progetto che mette insieme diverse istituzioni europee con lo scopo di rivisitare il lavoro dell’artista, preservarne il lascito e trasmetterlo a un vasto pubblico. Presentata alla fine del 2020 al Centre d’Art Contemporain Genève, la mostra – dopo il Centro Pecci – viaggerà per i prossimi due anni a La Loge di Brussels e alla Casa Encendida di Madrid, approfondendo l’indagine su una personalità creativa che ha lavorato in modo marcato sui linguaggi della performance e dell'estetica femminista del XXI secolo.

La mostra è in collaborazione con In collaborazione con La Casa Encendida – Madrid, La Loge – Bruxelles e The Church of Chiara Fumai.

Poems I Will Never Release raccoglie un corpus molto completo di opere, che traducono in forma materiale le performance di Chiara Fumai, pur rispettando l’intento programmatico dell’artista di non documentarle.

Ribellandosi a una sorta di pregiudizio latente legato al suo essere un’artista donna, Chiara Fumai ha messo a punto un vocabolario di minaccia, rivolta, violenza ma anche noia, atto ad innescare situazioni scomode, per promuovere i suoi ideali di femminismo anarchico. Le sue opere, collage, ambienti e azioni, evocano figure femminili che, con il loro coraggio e la loro rabbia, hanno lasciato un segno per poi essere escluse o dimenticate; tra queste Annie Jones, la "signora barbuta", e Zalumma Agra, la "bellezza circassa", entrambe parte dei tour di P.T. Barnum, la terrorista tedesca Ulrike Meinhof, la medium italiana analfabeta Eusapia Palladino, la filosofa e rivoluzionaria socialista Rosa Luxemburg, la scrittrice femminista Carla Lonzi e molte altre.

Una straordinaria e peculiare galleria di ritratti che include anche alcune figure maschili, come l'illusionista Harry Houdini e Nico Fumai, primo personaggio immaginario e unico di origine biografica. Riprende infatti il nome del padre dell’artista per attribuirlo a un cantante, utilizzando l’interesse per l’ Italo Disco degli anni '80 come strategia per interpretare un'epoca storica specifica e per riunire campi differenti di ricerca, tra cui la musica, a cui Chiara Fumai si dedica, come DJ, nei primi anni del suo percorso artistico.

In mostra anche due spazi domestici che hanno segnato la carriera dell’artista: The Moral Exhibition House – installazione ambientale ricreata per la prima volta dalla sua esposizione nel 2012 a dOCUMENTA (13) Kassel – in cui la casa è uno spazio per l'insurrezione femminista sotto forma di un freak show domestico, e la riproduzione di una stanza dell'appartamento milanese in cui l'artista ha vissuto anni cruciali della sua vita adulta. Quest’ultima è un’ironica auto-celebrazione –pianificata per una sua possibile retrospettiva- che contiene una selezione di abiti e oggetti di scena, libri e dischi in vinile: tutti documenti che provengono dall'archivio dell'artista, una parte del quale è conservata a Bari da The Church of Chiara Fumai – l'ente incaricato di preservare la memoria e il patrimonio dell'artista – mentre un’altra parte è stata donata al Castello di Rivoli - Museo d'Arte Contemporanea di Torino.

Poems I Will Never Release comprende inoltre: I Did Not Say or Mean “Warning”, opera con cui Chiara Fumai vinse il Premio Furla nel 2013, in cui incarna lo spirito di una donna anonima che guida lo spettatore attraverso la storica collezione d'arte della Fondazione Querini Stampalia a Venezia; Chiara Fumai legge Valerie Solanas, finta propaganda del Manifesto S.C.U.M di Valerie Solanas, che riflette la prima campagna politica di Silvio Berlusconi; The Book of Evil Spirits, una video installazione prodotta per Contour 7– The Biennial of Moving Image in cui l'artista ha documentato una serie di sedute spiritiche tenute da Eusapia Palladino, riscrivendo retrospettivamente la storia della medium.

L'interesse dell’artista per le esperienze medianiche, la scrittura automatica e la magia nera sono testimoniati dai wall drawings, tra cui This Last Line Can Not Be Translated ideato dall'artista per il Premio New York – vinto nel 2017 – e presentato postumo alla 58° Biennale di Venezia nel 2019.

La mostra cerca di catturare ciò che Chiara Fumai amava definire il suo “slavoro”: una produzione decennale che va ben oltre le performance per le quali era più conosciuta.

Il titolo della mostra è tratto dall'ultimo autoritratto dell'artista: un burattino con una maglietta con il motto Poems I Will Never Release. Sebbene la frase possa suonare malinconica in relazione alla sua precoce scomparsa, in realtà afferma un dato di fatto: Chiara Fumai ha basato il suo lavoro sull'esecuzione di parole scritte da altri. Non ha mai composto poesie ma ha incanalato parole altrui, quelle di donne che avevano bisogno di riscatto e riconoscimento storico.

Accompagna la mostra un’importante monografia, a cura di Francesco Urbano Ragazzi, Milovan Farronato e Andrea Bellini, edita da Nero Editions, che comprende testi critici che leggono il lavoro di Chiara Fumai da differenti prospettive, oltre ad una cronologia approfondita della sua opera e ad un’ampia e completa selezione di immagini e documentazioni. Il libro, pubblicato in un’edizione italiana e un’edizione inglese, raccoglie i contributi di Irene Aristizábal, Marcello Bellan, Andrea Bellini, Federico Campagna, Sara De Chiara, Milovan Farronato, Gabriel Lester, Raimundas Malašauskas, Chus Martínez, Mara Montanaro, Paulina Olowska, Cristiana Perrella, Francesco Urbano Ragazzi e Giovanna Zapperi.

La pubblicazione è sostenuta dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nell'ambito del programma Italian Council (2019).

Poems I Will Never Release al Centro Pecci è realizzata in partnership con Intesa Sanpaolo.

 

 

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UN ANNO NELL’ ARTE DEL NOVECENTO E OLTRE  MUSEO NOVECENTO - Programma 2021

Il programma si preannuncia ricco di eventi tra mostre, progetti di ricerca e formativi, atelier, pubblicazioni e uno spazio dedicato al dialogo interdisciplinare.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
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Il programma del Museo Novecento per il 2021 si preannuncia ricco di eventi tra mostre, progetti di ricerca e formativi, atelier, pubblicazioni e uno spazio dedicato al dialogo interdisciplinare.

Si inizia lunedì 22 marzo 2021 con tre appuntamenti.

Il ciclo DUEL, che al piano terra vede presenti artisti internazionali, chiamati ad instaurare un duello dialettico con le opere della collezione permanente del museo, avrà come protagonista Giulia Cenci (Cortona, 1988). Tallone di ferro, così il titolo della sua mostra, nasce e si sviluppa attorno al dialogo con una scultura in bronzo di Arturo Martini, Leone di Monterosso – Chimera (1933-35 ca.), rielaborazione in chiave moderna di un’immagine fantastica appartenente alla tradizione, nata dalla mente dei Greci e poi adottata dagli Etruschi e dai Romani, che tramandarono il mito di un essere terrificante ucciso da Bellerofonte, con il muso di leone, il corpo di capra e la coda di serpente. Cenci, dopo un’attenta riflessione sull’architettura e la storia del complesso delle Ex Leopoldine, realizza due opere site-specific, invadendo lo spazio con creature ‘mostruose’ nate dalle rovine di macchinari industriali e agricoli. L’artista crea una sorta di ‘paesaggio-anatomia’ che si dispiega lungo una complessa catena di montaggio, un assemblage tridimensionale di forme e strumenti abbandonati e fuori uso. Sono costruzioni metamorfiche in cui parti meccaniche evocano o si mescolano a dettagli anatomici, come in una sorta di Frankenstein o chimera. Due enormi bracci meccanici, composti da frammenti di pezzi agricoli e di automobili, ridefiniscono lo spazio, costringendo il visitatore a un percorso obbligato. L’installazione richiama alla mente conformazioni naturali e grandi scheletri di specie estinte, esseri primordiali o provenienti da un altrove biologico, generati da incroci e ibridazioni meticce tra natura e tecnologia. L’opera rivela anche una decisa critica al recente passato post-industriale, con il suo bagaglio di violenza e di carica distruttiva, evocata dai versi di Wystan Hugh Auden che recitano: “Nero fu il giorno in cui Diesel /concepì il suo truce motore che/ generò te, vile invenzione,/ più perversa, più criminale/ perfino della macchina fotografica,/ mostruosità metallica,/ afflizione e infezione della nostra Cultura,/ principale sciagura della nostra Comunità” (fino al 6 giugno 2021).

“étoile”. Titina Maselli, Salvatore Ferragamo e il mito di Greta Garbo. La cappella e la saletta al secondo piano del Museo ospiteranno un nuovo progetto dal titolo étoile, con approfondimenti dedicati ad alcune opere provenienti dalle Collezioni del Comune di Firenze. Il primo appuntamento, realizzato in collaborazione con il Museo Salvatore Ferragamo, a cura di Stefania Ricci e Sergio Risaliti, prende spunto dalla grande tela di Titina Maselli dedicata a Greta Garbo, opera donata dall’artista al Comune di Firenze in seguito all’appello lanciato da Carlo Ludovico Ragghianti all’indomani dell’alluvione del 1966. Come una grande foto in bianco e nero, il dipinto ci introduce nel mondo misterioso e magnetico di una delle più celebri stelle del cinema internazionale. Icona di stile e modello di una femminilità del tutto originale e fuori dagli schemi, Greta Garbo lega la propria immagine a quella di Salvatore Ferragamo, stilista amato dalle dive che con estrema accuratezza e passione ha saputo interpretare il gusto e la personalità della grande attrice di Hollywood. Per l’occasione, come all’interno di un piccolo scrigno, si presentano in dialogo, la tela di Titina Maselli con alcune calzature ideate da Salvatore Ferragamo per Greta Garbo (aperta sino al 4 luglio 2021).

Paradigma. Il tavolo dell’architetto,  nel loggiato al piano terra del museo, inaugura GENDER GAP, a cura di Laura Andreini, una galleria allestita con i progetti e le maquettes di 20 architette internazionali: Carmela Andriani, Sandy Attia, Cristina Celestino, Izaskun Chinchilla, Maria Claudia Clemente, Isotta Cortesi, Elizabeth Diller, Lina Ghotmeh, Carla Juaçaba, Fuesanta Nieto, Simona Ottieri, Carme Pigem, Guendalina Salimei, Marella Santangelo, Alessandra Segantini, Benedetta Tagliabue, Monica Tricario, Patricia Viel, Paola Viganò e la stessa Laura Andreini. Una riflessione sulla figura professionale delle donne nel mondo dell’architettura, che porta all’attenzione del mondo fiorentino, così segnato dalle figure di grandi architetti di sesso maschile dal Trecento al Novecento. Come dichiarò Zaha Hadid nel 2004 “è molto, molto difficile per le donne distinguersi nel campo dell’architettura, ancora dominato dagli uomini”. In una delle sue ultime interviste Cini-Boeri affermava che quando iniziò a lavorare le donne laureate in architettura non erano neppure considerate architetto. E ancora oggi, molta strada deve essere fatta. “Al momento - dichiara Laura Andreini - la disparità di genere nel nostro settore, come in tutti, esiste, dobbiamo prenderne atto ed individuare strategie per superarla” (fino al 26 settembre 2021).

Ad aprile il Museo Novecento dedicherà ampio spazio al lavoro di artisti giovanissimi, diventando una sorta di palestra-laboratorio per la valorizzazione di nuovi talenti creativi.

Lunedì 12, Chiara Gambirasio (Bergamo,1996) presenterà il suo progetto site-specific ideato per il ciclo Ora et Labora, un intervento realizzato appositamente per il loggiato al primo piano del Museo. Formatasi presso l’Accademia di Brera a Milano, porta avanti una ricerca contrassegnata da grande rigore fromale, chiarezza concettuale e intensa poesia; una ricerca che si dispiega in varie discipline ma che sottende quale minimo comune denominatore il principio essenzialmente pittorico di codifica della realtà attraverso il colore. Questa pratica viene da lei definita “Kenoscromìa”, ossia vibrazione cromatica nel/del vuoto. La sua attenzione si concentra su dei punti di colore che appaiono nella realtà come intrusi, che l’artista si propone di trasformare attraverso l’immagine in fulcri prospettici pluridimensionali (fino al 26 settembre 2021).

Atelier des Beaux-Arts. Sempre ad aprile, due sale al primo piano del Museo Novecento saranno trasformate in altrettanti atelier, in cui lavoreranno, per 6 mesi, due giovani artisti provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Firenze, partner del progetto. Le opere prodotte durante questo periodo saranno esposte in una mostra finale, allestita negli stessi spazi occupati dai due giovani studenti. 

In concomitanza, saranno annunciati i 4 vincitori di WONDERFUL!, premio a sostegno dell’arte italiana indirizzato ad artisti e collettivi under 40, selezionati tra oltre 290 progetti tra quelli che hanno partecipato al bando. 

Estate nel segno del Novecento italiano.

Martedì 15 giugno 2021, il ciclo SOLO, dedicato ai protagonisti del Novecento, proporrà Arturo Marini e Firenze, a cura di Lucia Mannini e Stefania Rispoli con la collaborazione di Margherita Scheggi e Valentina Torrigiani. Un progetto che ricostruisce vicende e intrecci fondamentali nella evoluzione del linguaggio artistico dello scultore, svoltesi in ambiente fiorentino. Arturo Martini (Treviso 1889 – Milano 1947) è presente nella Raccolta Alberto Della Ragione con varie opere significative, come le grandi sculture La Pisana (1933 ca.), il Leone di Monterosso (1933-1935 ca.) e L’Attesa (1935 ca.), oltre a un nucleo di piccole terrecotte. Il legame tra Arturo Martini e Firenze si declina dunque nella presenza, e nel ritorno, di alcune sue opere fondamentali degli anni Trenta - un breve ma rilevante capitolo che attesta la dinamicità culturale della città in quel periodo - e infine anche nel rapporto con le fonti visive che i musei fiorentini avevano potuto offrirgli. 

La mostra si colloca nell’ambito del progetto Dall’Aula al Museo, avviato nel 2019 con il professor Giorgio Bacci. Solo. Arturo Martini e Firenze è frutto di una collaborazione tra il Museo Novecento e il Dipartimento SAGAS dell’Università degli Studi di Firenze (aperta sino al 17 ottobre).

A seguire, alla metà di luglio, un nuovo appuntamento del ciclo DUEL sarà invece dedicato a Vinicio Berti, di cui ricorre il centenario della nascita e di cui il Museo Novecento conserva un importante fondo di opere, frutto della donazione della vedova dell’artista. All'esposizione di un dipinto rimasto a lungo nei depositi, pressoché sconosciuto dalla critica, si affiancheranno la realizzazione di un volume dedicato a tutte le opere della Raccolta e l'organizzazione di un convegno, volto ad approfondire la figura di questo importante, sebbene spesso trascurato, maestro dell'arte toscana del Novecento.

Settembre all’insegna di Jenny Saville.

Giovedì 16 settembre 2021

Dopo Henry Moore, di cui il Museo Novecento sta esponendo circa 150 opere tra disegni, incisioni e sculture, sarà la volta della personale dell’inglese Jenny Saville, tra le più apprezzate esponenti del movimento artistico britannico yBa (young British artist). La Saville si è affermata per essere una delle pittrici che più si è ispirata alle teorie femministe, infrangendo i ruoli storicamente assegnati alle donne nel mondo dell’arte. Fin dagli inizi i suoi studi hanno focalizzato il suo interesse sulle "imperfezioni" della carne, dettagli da cui è rimasta affascinata fin da bambina, quando vide per la prima volta i dipinti di Tiziano e Tintoretto in occasione di un viaggio in Italia. Tutta la sua recente produzione è incentrata sulle tematiche femminista e transessuale e sfida l’immagine stereotipata che abbiamo del corpo femminile e maschile.  Celebri gli ultimi dipinti dedicati a un classico soggetto dell’arte rinascimentale: madre con figlio, ispirati ai gruppi con figure di Michelangelo e Leonardo. Ed è proprio con Michelangelo che la pittrice innescherà un dialogo a Casa Buonarroti, per un progetto artistico che si annuncia tra i più significativi dell’anno.  

Al Museo Novecento sarà presente sia al piano terra che al primo piano, con una serie di dipinti e disegni. La mostra di Jenny Saville si estenderà anche nella Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio e in altre sedi, assecondando una linea curatoriale che ha sostenuto la necessità di una diffusione del linguaggio contemporaneo in altre sedi oltre le mura delle Ex-Leopoldine (fino al 13 febbraio 2022).

 Autunno nel nome del Monte Verità e di Leoncillo.

Il 29 ottobre, aprirà la mostra dedicata al Monte Verità, Anarchia, danza e architettura, a cura di Sergio Risaliti, Nicoletta Mongini e Chiara Gatti, in collaborazione con Fondazione Monte Verità che ha sede nel Canton Ticino.  Il progetto si articolerà su più livelli, sottolineando la radicale sperimentazione che trovò casa nelle vicinanze di Ascona, dove seguendo l’esempio del barone Eduard von der Heydt si riunirono in comunità uomini e donne decisi a rinnovare la società in senso spirituale, neo pagano, creando un paradiso anarchico e coltivando uno stile di vita improntato al vegetarismo e alla teosofia. Dire Monte Verità significa evocare cent'anni di utopia e ideali, incontri virtuosi e ricerche estetiche, esperienze eterodosse in campo coreografico e architettonico. Immagini d'epoca, testimonianze, proiezioni, abiti e oggetti simbolo, punteggiano un viaggio alle origini di questo cenacolo multidisciplinare, fervida culla della controcultura europea, meta nel tempo di figure memorabili come Rudolf Laban, danzatore e teorico della danza libera, Carl Gustav Jung, Hermann Hesse, Marianne Werefkin, Isadora Duncan, Jean Arp, Hugo Ball e non ultimo Harald Szeemann, tra i più celebri curatori d’arte contemporanea. In contemporanea con la mostra dedicata a questa affascinante storia, quanto mai attuale oggi, sarà realizzata la seconda edizione del Festival Match, dedicato alle arti performative a cura di Stefania Rispoli e Jacopo Milani. 

Venerdì 29 ottobre 2021

Il secondo appuntamento con il ciclo SOLO sarà all’insegna di Leoncillo. Curata da Martina Corgnati e Enrico Mascelloni, la mostra vuole indagare per la prima volta la complessità dei richiami all’antico e al classico che hanno animato il lavoro di Leoncillo Leonardi (Spoleto, 1915-1968). Riferimenti classici e mitologici abitano l’immaginario del grande scultore umbro sin dagli esordi, dopo il trasferimento a Umbertide da Roma e l’avvio della collaborazione con le ceramiche Rometti. Una fase caratterizzata da un intenso legame con la Scuola romana, in cui si inscrivono le prime esperienze segnate dalla presenza di mostri e invenzioni mitologiche. Più tardi, nel dopoguerra, il rapporto con l’antico, oltre che con l’arte del popolo etrusco, continua e si carica di una più aspra urgenza esistenziale. Non più cultura, ma dramma. La mostra di Leoncillo si aggiunge a quelle di Martini, Medardo Rosso, Mirko, Manzoni, Vedova, Agnetti, Severini, Mauri, in coerenza con l’intento scientifico del progetto SOLO, nato per valorizzare artisti del Novecento presenti nelle collezioni civiche e per colmare le lacune derivanti dall’assenza delle opere di alcuni dei maggiori esponenti delle avanguardie nelle stesse. 

Nel corso del 2021, la Sala Cinema ospiterà proiezioni e installazioni video in relazione alle grandi mostre allestite nelle altre sale del museo.

MUSEO NOVECENTO OFF Progetti Speciali in altre sedi

Sono molti anche i Progetti Speciali OFF che il MUSEO NOVECENTO cura e organizza per il 2021, in altre sedi, coinvolgendo e collaborando con importanti istituzioni del tessuto cittadino.

Un sogno che finalmente si avvera. Dal 25 aprile il Guerriero ferito di Henry Moore arriva a Palazzo Vecchio, nel Terrazzino di Saturno 

In collegamento con le mostre dedicate ad Henry Moore presso il Museo Novecento, l’opera Guerriero ferito dello scultore inglese, attualmente esposta presso il Chiostro di Santa Croce, verrà ricollocata nel luogo originariamente voluto da Moore. Il trasferimento avverrà il giorno 25 aprile, la stessa data che, nel 1974, avrebbe dovuto, secondo le volontà dell’artista, contrassegnare l’installazione del bronzo al centro del Terrazzino di Saturno in Palazzo Vecchio. Il progetto, realizzato in collaborazione con il British Institute e l’Opera di Santa Croce, rimarrà esposto per circa sei mesi. Un sogno rimasto per lungo tempo nel cassetto, un sodalizio infranto per molte ragioni, indecisioni, tentennamenti, rinvii, hanno segnato il destino del Guerriero ferito, dono fatto alla città da Henry Moore all’indomani della sua epica esposizione al Forte di Belvedere. 

La magia calligrafica di Ali Banisadr racconta di favole e misteri al Museo Bardini.

Un omaggio alla Divina Commedia in Sala dei Gigli dal 29 marzo al 29 agosto 2021

Originario di Teheran, Ali Banisadr (1976) si è trasferito negli Stati Uniti da bambino e le sue opere sono influenzate dalle sue vicende biografiche e dalla condizione di rifugiato di guerra. Il suo approccio all'astrazione evoca temi legati all’isolamento, alla memoria, alla nostalgia e alla violenza. L’uso del colore richiama una sorta di orientalismo fiabesco che è allo stesso tempo maestoso e medievale. Oltre la superficie luminosa e vivida della tela il gesto pittorico replica il caos di un attacco. Lo sfondo fratturato, che ricorda le vetrate, è ispirato dal ricordo del suono delle finestre infrante durante i bombardamenti. Questa connessione sinestetica tra memoria uditiva e visualizzazione è coerente in tutto il suo lavoro.

Le opere di Ali Banisadr saranno esposte all’interno Museo Bardini mentre nella Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio troveremo una sezione con dipinti che l’artista ha voluto dedicare alla Divina Commedia di Dante, in occasione delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta.

Anj Smith  al Museo Bardini - 30 Settembre 2021 – gennaio 2022

La mostra dell’artista inglese Anj Smith (Kent, 1978), pensata per gli spazi del Museo Bardini, presenterà opere recenti e nuove produzioni, realizzate durante il lockdown ed esposte per la prima volta a Firenze all'interno di una istituzione pubblica italiana.

La sua pittura si propone come un campo di azione in cui il tempo, lo spazio, la gravità e la prospettiva possono essere mutevoli e instabili. In questo contesto l'artista crea la sua personale cosmologia in cui oggetti e ambienti diversi si scontrano per evocare molteplici narrazioni frammentate. Il familiare e l'estraneo, il contemporaneo o l'arcaico, si intrecciano per creare opere intense e psicologicamente cariche. I dipinti, spesso di piccole dimensioni, racchiudono una ricchezza di idee e informazioni attraverso una moltitudine di dettagli, colori e consistenze. Esperienze personali, arte, design, moda, letteratura, cultura popolare, natura e ambiente permeano la sua pratica di emozioni e ansie vissute.

 

 

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 Chiara Fumai, The Book of Evil Spirits, 2015 Production stills Photo: PRed 

Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato presenta il programma espositivo per il 2021

Il programma è caratterizzato dall’equilibrio tra attenzione alla scena italiana e aperture internazionali e dal grande spazio dato alla multidisciplinarietà.

Grandi artiste donne; importanti collaborazioni con istituzioni culturali italiane e internazionali; sperimentazione attraverso linguaggi e materiali diversi, dalla performance alle opere su carta, dai video agli ambienti sonori, dalle sculture al design; attenzione alla ricerca e al progetto sono i cardini della stagione espositiva del 2021 del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, attuabile grazie alla conferma dei contributi pubblici del Comune di Prato e della Regione Toscana, al supporto di Intesa Sanpaolo come sponsor, e al sostegno da parte di partner e donatori che hanno affiancato il Centro Pecci negli ultimi anni.

“Nonostante l'oggettiva difficoltà a fare previsioni, mi sento di dire che il 2021 sarà un anno importante per il Centro Pecci. – dichiara la Direttrice Cristiana Perrella, appena confermata alla guida del museo per i prossimi tre anni – Si raccoglie il risultato di un triennio di lavoro molto intenso e concentrato sul definire un'identità chiara per il museo come centro di ricerca e produzione culturale legato al carattere, alla vocazione, alle storie del territorio ma allo stesso tempo partecipe del dibattito internazionale sui suoi temi più aggiornati e rilevanti e inserito in un'intensa rete di scambi e collaborazioni con principali istituzioni italiane e straniere. Molto è stato fatto in questa direzione e su queste basi continueremo a costruire la programmazione di tutte le attività del Centro Pecci per i prossimi anni del mio mandato”.

La programmazione del Centro Pecci per il 2021 si apre a marzo con Marialba Russo, fotografa che con sguardo antropologico ha documentato gli anni Settanta, un periodo carico di fermenti politici, culturali, lotte operaie e lotte femministe: al Centro Pecci verrà esposta la serie fotografica che riprende in modo sistematico i manifesti dei film a luci rosse apparsi nelle strade di Napoli tra il 1978 e il 1981.

Ad aprile inaugura la retrospettiva dedicata a Chiara Fumai, prematuramente scomparsa nel 2017, per omaggiare la personalità creativa che ha sviluppato in modo marcato i linguaggi della performance art e dell'estetica femminista del XXI secolo. Chiara Fumai. Poems I Will Never Release, 2007–2017, curata da Milovan Farronato e Francesco Urbano Ragazzi in collaborazione con Cristiana Perrella, è coprodotta con il Centre d’Art Contemporain di Ginevra.

A maggio il programma prosegue con Senza Fretta, a cura di Luca Lo Pinto e Elena Magini, una personale di Simone Forti (Firenze, 1935) – artista, danzatrice, coreografa, originaria di Prato, vive e lavora a Los Angeles – in cui il corpo ha un ruolo centrale, e con Cambio, progetto che parte da un’indagine sulla responsabilità ambientale del design e sull’industria del legno condotta dallo Studio Formafantasma, organizzato in collaborazione con la Serpentine Gallery di Londra.

Sempre indagando il territorio tra arte e design, dopo l’estate saranno protagonisti alcuni artisti italiani di fama internazionale: la mostra Domus Aurea. Martino Gamper, Francesco Vezzoli e le ceramiche di Gio Ponti propone un dialogo tra personalità artistiche caratterizzate da una comune capacità di eclettica sperimentazione attraverso i linguaggi e i materiali, dalla trasversalità del proprio progetto, dall’attitudine ironica, dal rapporto libero e creativo con la tradizione.

Verrà infine proposta un’importante mostra personale di Cao Fei (Guangzhou, 1978) con opere che esplorano le trasformazioni della Cina contemporanea affrontando domande universali sul prossimo futuro, con una particolare attenzione all'impatto dell'accelerazione della crescita economica, dello sviluppo tecnologico e della globalizzazione sulla società. Il progetto è realizzato in collaborazione con il MAXXI, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo, e vedrà la presentazione in contemporanea, a Prato e a Roma, di due mostre dedicate all’artista, rispettivamente curate da Cristiana Perrella e Hou Hanru e Monia Trombetta.

Le grandi mostre personali proseguiranno nel 2022 con Massimo Bartolini, a cui sarà dedicata, in primavera, la prima retrospettiva, raccogliendo trent’anni di lavoro.

Infine, prosegue anche nel 2021 la valorizzazione del patrimonio del Centro Pecci: non solo le opere della collezione– protagoniste di un nuovo allestimento tematico – ma anche gli archivi e la biblioteca, risorse preziose per la comunità, diventeranno sempre più accessibili e produttivi in termini di ricerca generata. Anche l’imponente archivio di Lara-Vinca Masini, di circa 200 mila oggetti tra libri, documenti e opere, andrà – come desiderio della studiosa recentemente scomparsa – ad arricchire il CID/Arti visive, Centro di ricerca e documentazione del Centro Pecci.

Gli archivi e i materiali da loro conservati, collocabili fra lo statuto del documento e quello dell’opera d’arte, saranno inoltre i protagonisti della mostra Musei di carta, curata da Stefano Pezzato e Andrea Viliani, Curatore e Responsabile del CRRI (Centro di Ricerca Castello di Rivoli).

Oltre alle mostre, nel 2021 il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci riaprirà finalmente le sale didattiche, dopo oltre cinque anni di chiusura. Tutta l’area è stata ristrutturata e sarà completata da un Urban Centre, costituendo un complesso fondamentale per aprire sempre più il museo alla città e alla partecipazione.

L’obiettivo rimane quello di affermarsi come un centro di riferimento nazionale e internazionale per la creatività contemporanea, ma anche di coinvolgere in modo attivo la comunità intorno al museo e farne uno spazio comune.

 

 

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 Rajasthan, India, 2010 ©Steve McCurry

 

STEVE MCCURRY. Icons

La mostra di Conegliano riunirà un centinaio di sue Icons, opere che hanno fatto della fotografia costume, oltre che testimonianza dei tempi.

La mostra è a cura di Biba Giacchetti, organizzata da ARTIKA, in collaborazione con Sudest57 e Città di Conegliano.

Steve McCurry non ha bisogno di presentazioni. La mostra di Conegliano riunirà un centinaio di sue Icons, opere che hanno fatto della fotografia costume, oltre che testimonianza dei tempi. Sono frutto di una precisa visione dell’artista, che afferma “La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana”. Riuscendo nell’intento in modo magistrale.

Nel 1979 le truppe sovietiche invadono l’Afghanistan per soccorrere il governo nel tentativo di spezzare la resistenza dei mujahidin, a loro volta sostenuti dagli Stati Uniti. Nel maggio dello stesso anno Steve McCurry, travestito da afghano, entra nel paese con un gruppo di ribelli. L’allora giovanissimo fotografo si presenta privo di documenti e accompagnato esclusivamente dalla macchina fotografica e da un coltellino svizzero.
Il viaggio comincia dall’India centrale, dove McCurry si trovava da quasi due anni, per continuare in Pakistan, a ovest dell’Himalaya. Nella piccola cittadina di Chitral, il fotografo entra in contatto con alcuni rifugiati, i quali gli fanno indossare un logoro shalwar kameez e lo conducono al confine.

“Mi sentivo allo stesso tempo spaventato ed eccitato nel partire dal Pakistan in quegli abiti per entrare clandestinamente in un altro paese, senza alcuna possibilità di comunicare con il resto del mondo”.

Steve McCurry si trova così nel mezzo della guerra fredda, testimone esclusivo e segreto di un conflitto manovrato da Stati Uniti e Unione Sovietica. Il fotografo aveva all’epoca ventinove anni e, nonostante le inevitabili tensioni ed il rischio costante di perdere la propria vita, vive una delle esperienze più esaltanti della propria carriera. Situazione che gli permette, in primo luogo, di incontrare amici e di sperimentare quel senso di umanità e di solidarietà internazionale che è capace di perdurare anche nelle situazioni geo-politiche più complesse del pianeta. Nel giugno di quell’anno il fotografo trascorre tre settimane con i compagni afghani, comunicando con un linguaggio fatto di segni e gesti.
Dell’Afghanistan McCurry porta con sé il senso di semplicità, l’essenzialità connaturata alla vita di stenti che accompagna i protagonisti di una guerra. Nel suo primo viaggio il fotografo americano realizza esclusivamente immagini in bianco e nero, impiegando una pellicola Kodak Tri-X ad alta velocità. Nella messa in posa dei soggetti e nell’intensità che trapela da molti sguardi si intuisce già lo stile futuro del McCurry “a colori”, capace, come pochi altri, di stabilire un profondo e unico legame tra il fotografo e il suo soggetto.

McCurry torna in Afghanistan innumerevoli volte, spesso al servizio di riviste internazionali. Ogni viaggio rischia di compromettere la sua vita ma egli dimostra sempre di accettarlo senza compromessi.
Una delle sue ultime esperienze risale al 2002, anno in cui viene scattata l’immagine qui riportata.
Siamo di fronte ad uno dei suoi ritratti indimenticabili. L’opera fa parte di un lavoro di documentazione sulle miniere in Afghanistan. Il paese possiede infatti un terreno ricchissimo di minerali non ancora del tutto sfruttato; un luogo malsano in cui la gente vive in condizioni di povertà estrema. Siamo alle porte di una miniera di carbone e il protagonista dell’immagine era appena riemerso dal suo turno di 12 ore.

McCurry lo confessa: “Tutto avrei immaginato, ma certo non il suo immediato desiderio, appena uscito alla luce del sole, di accendersi una sigaretta”. E invece eccolo qui con la sua sigaretta e lo sbuffo di fumo.
Il suo sguardo è pieno di forza e dignità; la luce dei suoi occhi ipnotizza lo spettatore. La storia ci racconta di un uomo estremamente stanco, ma assolutamente non piegato dalle fatiche che la vita gli ha riservato.
Questa è la tempra degli afgani. Un popolo fiero, che non rinuncia alla sua dignità neppure nelle situazioni più avverse.

Informazioni utili per la visita
ORARI DI APERTURA
dal mercoledì al venerdì: 10 - 13 e 15 - 18
sabato, domenica e festivi: 10 - 19
(La biglietteria chiude 30 min. prima)

CALENDARIO SPECIALE
22 dicembre: inaugurazione
24 e 31 dicembre: 10 - 13 e 15 - 17 / Natale chiuso
29 dicembre e 5 gennaio: 10 - 13 e 15 - 18
01 gennaio: 14 – 19 / 06 gennaio, Pasqua, Pasquetta e 1° maggio: 10 - 19