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Copyright Gaggenau.

 

Al via "NO, NO? NO. NO!" personale di H.H. Lim 

Il legame tra scrittura, arte e materia e indagano il valore dell'esperienza come forma di apprendimento.

Apre a Milano, in occasione della Design Week, la personale “NO, NO? NO. NO!” di H.H.Lim e seconda mostra del ciclo “Scripta?”.

“NO, NO? NO. NO!”, a cura di Sabino Maria Frassà, affronta il tema irrisolto e sempre attuale della parola e della comunicazione nella contemporaneità. Quante parole pronunciamo in un giorno? Quante sono necessarie a esprimere e catturare il flusso dei nostri pensieri? E a quante saremmo disposti a rinunciare in un ipotetico esercizio di “digiuno della parola”? A un mondo “urlato”, l’artista malese risponde con un silenzio che riempie lo spazio. Ambiguità, contraddizione, gioco e ironia sono gli strumenti utilizzati da Lim per mettere lo spettatore nelle condizioni di individuare un punto di rottura ed elaborare un pensiero critico, come nel caso delle famose sitting sculptures: sedie con la seduta in alluminio su cui sono incise delle parole, su cui l’artista invita il pubblico a sedersi e a interrogarsi per poter costruire la propria prospettiva.

Con il nuovo progetto artistico “Scripta?”, Gaggenau e CRAMUM raccontano il legame tra scrittura, arte e materia e indagano il valore dell'esperienza come forma di apprendimento.

La scrittura, così come il prodotto artistico, nasce dal gesto fluttuante della mano ed è traccia di idee e memoria di un passaggio. Da questa premessa nasce una riflessione sull’esperienza estetica della parola scritta e del linguaggio nell’arte, punto di partenza del ciclo di mostre che animerà gli showroom Gaggenau DesignElementi di Milano e Roma per tutto il 2023. Dalle opere tattili e inclusive di Fulvio Morella, arricchite da segni in braille, fino all’uso contrastato delle immagini in

relazione al testo scritto dell’artista malese H.H. Lim, passando per le riflessioni sul gesto della scrittura negli ultimi lavori a inchiostro di Marta Abbott e i Calendari di Letizia Cariello, che con il suo filo scrive e cuce insieme oggetti, materie e spazi. In scena un viaggio unico che parte dalla materia, interpretata dal genio umano, per arrivare a tessere luoghi dell’anima, ribaltando il senso secolare della locuzione latina “verba volant, scripta manent”.

“NO, NO? NO. NO!” - mostra personale di H.H. Lim

a cura di Sabino Maria Frassà

Dal 17 aprile al 13 ottobre 2023, lunedì-venerdì ore 10:00 - 18:30

Gaggenau DesignElementi Hub

Corso Magenta 2 (cortile interno), Milano

 



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Copyright foto Sarah Jaquemet.

 

“DA ÜN GIACOMETTI E L’ALTAR” Mostra realizzata dall’Espace des Inventions di Losanna in collaborazione con il Centro Giacometti di Stampa 

Una mostra che presenta in modo originale, grazie a giochi, postazioni interattive e molte riproduzioni, la storia della famiglia Giacometti.

Dall’1 aprile 2023 il Museo in erba ospita una mostra che presenta in modo originale, grazie a giochi, postazioni interattive e molte riproduzioni, la storia della famiglia Giacometti.

Quando si dice Giacometti, solitamente il primo nome a cui si pensa è quello di Alberto, con le sue famose sculture filiformi. Non tutti sanno che della stessa famiglia fanno parte anche altri grandi artisti: Giovanni, padre di Alberto, è un celebre pittore del suo tempo; Diego, fratello e fedele assistente di Alberto, è noto per le sculture, le lampade, gli arredi; Bruno, fratello minore di Alberto e Diego, è architetto e progettista di molti edifici in Svizzera. Infine, Augusto, cugino di secondo grado di Giovanni, pittore innamorato del colore, ha realizzato importanti vetrate e i bellissimi dipinti murali all’interno della stazione di polizia di Zurigo.

La Val Bregaglia ha dato i natali ai Giacometti, vera e propria dinastia di artisti proveniente dal piccolo villaggio di Stampa. La bellezza della natura, dei paesaggi, dei boschi e delle montagne di questa terra ha ispirato Giovanni, Augusto, Alberto, Diego e Bruno e molti altri pittori, scrittori e poeti per secoli. I Giacometti, pur varcando i confini Svizzeri alla scoperta di città d’arte dove apprendere tecniche e stili nuovi, hanno mantenuto un legame forte e indissolubile con la terra d’origine tanto da compiere frequenti viaggi di ritorno in patria.

L’esposizione, con le sue diciannove postazioni, propone una “passeggiata” ideale nei luoghi della selvaggia valle dei Grigioni, alla scoperta delle opere più significative, passando proprio “Da ün Giacometti e l’altar”, da un Giacometti all’altro: un percorso ludico per giocare con paesaggi, sculture, colori e architetture.

I giovani visitatori (e non solo) hanno qui l’occasione di familiarizzare con diverse tematiche, tra cui: luce e natura nei dipinti di Giovanni, equilibrio e movimento nelle sculture di Alberto, flora e fauna nelle decorazioni che Diego inserisce nei suoi mobili e ancora, funzione di un’architettura, attraverso il lavoro di Bruno.

Si parte dall’albero genealogico dei Giacometti per scoprire i volti degli artisti e del loro entourage, il primo “passo” per orientarsi all’interno di una grande famiglia.

Si prosegue poi in un percorso che permette ai bambini di approfondire e riconoscere tratti comuni e differenze tra i diversi artisti.

Alberto è presentato con le riproduzioni di alcune sue sculture: Il naso, opera del periodo surrealista, invita i visitatori a riflettere su sentimenti ed emozioni ma anche a giocare con nasi e busti di gommapiuma per trovare l’equilibrio del personaggio. L’uomo che vacilla, invece, è filiforme e lotta per non cadere nel vuoto ma, grazie a un sistema di corde da tirare, ci si diverte a riportare la figura nella sua posizione originale.

Nel modulo dedicato a Diego si scopre il meraviglioso mondo della natura che popola i mobili da lui fabbricati. La sfida? Trovare l’intruso senza guardare ma solo toccando gli animali nascosti nel gioco.

Si continua poi con Augusto, con le sue “fantasie cromatiche” e la vetrata realizzata per la Fraumünster di Zurigo: si possono combinare colori e texture per creare composizioni originali e si prova a ricostruire una vetrata con i pezzi a disposizione, seguendo il modello o in modo libero e personale.

Poi c’è Bruno che stimola la curiosità verso l’architettura e invoglia a mettersi alla prova con le fotografie di alcuni suoi edifici e le linee di un labirinto per scoprire se si tratta di una casa, una dogana, una scuola o altro.

Infine s’incontra Giovanni, padre di Alberto, Diego e Bruno, pittore sensibile agli effetti della luce e delle emozioni sulla natura. Anche i bambini sono invitati a trasformare un paesaggio in bianco e nero scegliendo i colori che preferiscono per rappresentare montagne, foreste, prati.

In generale, con “la passeggiata in Bregaglia”, i giovani visitatori, con la scuola o in famiglia, sperimentano in prima persona diverse attività che avvicinano in modo semplice e divertente alla produzione artistica. “Chi trova un Giacometti, trova un tesoro”, verrebbe da dire di fronte a un simile bagaglio di stili, generi, tecniche e materiali da scoprire!

La mostra, già proposta a Stampa, Losanna e Martigny, arriva a Lugano dunque per coinvolgere anche il pubblico ticinese, e non solo, in un’esperienza ludica e originale: un’occasione imperdibile per conoscere e apprezzare i protagonisti, la storia e l’opera di una straordinaria famiglia di artisti svizzeri.

 



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"Paolo Masi. Il nomade dell'arte" 

Una delle più significative fra le ville venete, restaurata per volontà dell'Amministrazione comunale.

"Paolo Masi. Il nomade dell'arte" in mostra, dal 2 al 30 aprile 2023, a Villa Brandolini di Pieve di Soligo (TV), una delle più significative fra le ville venete, restaurata per volontà dell'Amministrazione comunale.

La mostra è promossa dalla Galleria FerrarinArte di Legnago (VR), che da anni rappresenta l'artista Paolo Masi e ne promuove la ricerca, con il contributo della Città di Pieve di Soligo e la collaborazione di Fuori catalogo Circolo anche Culturale.

L'inaugurazione si terrà domenica 2 aprile alle ore 16.30, alla presenza dell'artista, di Stefano Soldan, Sindaco del Comune di Pieve di Soligo, di Luisa Cigagna, Assessore alla Cultura, e di Carlo Vanoni, autore del testo critico in catalogo.

Il percorso espositivo comprende oltre 60 opere del maestro fiorentino, esponente della "Pittura Analitica" e protagonista indiscusso nel panorama artistico italiano. Accanto ai lavori storici, sarà esposto un cospicuo nucleo di opere di recente produzione, alcune delle quali inedite, che evidenziano la continuità di una ricerca avviata negli anni Sessanta e mai interrotta.

«Paolo Masi è il vagabondo dell'arte - scrive Carlo Vanoni - il viaggiatore che incarna un innegabile rischio morale, e ciò proprio in quanto portatore di novità. Perché l'artista, nella sua essenza, rappresenta l'irruzione, lo straripamento, ciò che prevedibile non è. In Paolo Masi nulla è prevedibile. Con i suoi cartoni ha dimostrato di essere sempre pronto al cambiamento. E allora qui, dentro la villa un tempo dimora della nobile famiglia veneta, ma di antiche origini forlivesi, Masi allestisce il suo accampamento con maestosi cartoni; con sentinelle (stele) che fanno la guardia; con dittici, trittici e polittici, che sono immagini indelebili dei suoi precedenti viaggi, sono il passaporto per accedere a nuove frontiere; con segni, tracce e colori che segnano il tempo che passa, dagli anni Sessanta fino a oggi».

Materiali d'elezione per Paolo Masi, un tempo "analitico" e oggi libero da qualsiasi etichetta, sono il cartone e il plexiglas, combinati al segno e al colore per dare vita ad una nuova sintassi. Caratteristica della mostra di Villa Brandolini è l'uso di cartoni di grandi dimensioni, lavorati appositamente per gli ampi spazi della dimora storica, un tempo abitata dalla nobile famiglia veneta.

Nel corso della mostra saranno presentati il libro "Paolo Masi. A modo mio", con testi di Giorgio Bonomi, Anthony Molino e Rosita Lappi, e il catalogo "Il nomade dell'arte", con il testo di Carlo Vanoni e la documentazione fotografica delle opere esposte.

La mostra è visitabile il sabato con orario 16.00-19.00, la domenica ore 10.00-12.00 e 16.00-19.00, gli altri giorni su appuntamento (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), chiuso nelle giornate festive. Ingresso gratuito. Per informazioni e approfondimenti: T. +39 0442 20741, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.ferrarinarte.it.

Paolo Masi è nato l'11 maggio 1933 a Firenze, dove vive e lavora. La sua azione artistica, strettamente legata a una continua sperimentazione sul modo di operare e trasformare i materiali, si muove in continua tensione verso nuove ricerche, individuando di volta in volta nuove soluzioni. Alla prima personale nel 1960 alla Strozzina a Firenze seguono numerose mostre nelle principali gallerie italiane ed europee: Numero (Firenze), Cenobio (Milano), L'Aquilone (Firenze), Schema (Firenze), Christian Stein (Torino), Lydia Megert (Berna), d+c Mueller Roth (Stoccarda), Thomas Keller (Monaco), Primo Piano (Roma), La Polena (Genova), Ariete (Milano), La Piramide (Firenze), Centro d'Arte Spaziotempo (Firenze), Galleria Studio G7 (Bologna), Fondazione Mudima (Milano). Dopo il confronto con le sperimentazioni post-informali e la ricerca nell'ambito dell'astrazione e del Neoconcretismo, si avvicina alle contestuali esperienze analitico-riduttive, scomponendo e riorganizzando sul pavimento e a parete aste di alluminio, specchi, fili o piccole stecche di plexiglas colorato che estendono anche alla terza dimensione la ritmicità dello "spazio-colore". Ritorna alla bidimensionalità attraverso il progetto "Rilevamenti esterni-conferme interne" (1974-76), sviluppato all'esterno con foto Polaroid di tombini, muri e pavimenti iniziate nel 1974 a New York e, contemporaneamente, all'interno dello studio con le "Tessiture" (tela grezza cucita) e i "Cartoni da imballaggio", dove utilizza per la prima volta adesivi trasparenti e coprenti, facendo emergere la struttura interna del materiale. Nel 1974 Masi è fondatore, insieme a Maurizio Nannucci e Mario Mariotti, di un collettivo che gestisce lo spazio no profit "Zona" a Firenze, esperienza che troverà la sua continuazione nel collettivo "Base" a partire dal 1998. Si ricordano le partecipazioni alle mostre collettive "I colori della pittura. Una situazione europea" (a cura di Italo Mussa, Roma 1976); XXXVIII Biennale di Venezia (1978); XI Quadriennale romana (1986); "Kunstlerbücher" di Francoforte; Erweiterte Photographie "Wiener Secession", Vienna (1980); "Livres d'artistes", Centre Georges Pompidou, Parigi, (1985); "Arte in Toscana 1945-2000", Palazzo Strozzi, Firenze, Palazzo Fabroni, Pistoia (2002), "Pittura Analitica. I percorsi italiani 1970-1980", Museo della Permanente, Milano (2007) e "Alla Maniera d'Oggi. Base a Firenze", Chiostro di San Marco, Firenze (2010); "La Torre di Babele", Ex fabbrica Lucchesi, Prato (2016), "Versus. La sfida dell'artista al suo modello in un secolo di fotografia e disegno", Galleria civica, Modena (2016), "Pittura Analitica. Ieri e oggi", Mazzoleni Art, Londra - Torino (2017); le personali a Bludenz (2014), al Museo d'Arte Contemporanea di Lissone (2014), alla Fondazione Mudima di Milano (2014). Nel 2013, in occasione della mostra allestita presso Frittelli arte contemporanea a Firenze, viene pubblicato il volume monografico "Paolo Masi. La responsabilità dell'occhio" a cura di Flaminio Gualdoni.Nel 2014 Masi presenta l'installazione "Riflessioni Riflesse" nel chiostro della Basilica di Sant'Ambrogio di Milano, quindi nel Cortile del Palazzo dell'Archiginnasio a Bologna (2015), in Piazza San Fedele a Milano (2016) e l'opera "Camminate come figli della luce" nella Chiesa di Sant'Eufemia a Verona (2016). Nel 2016 partecipa alla collettiva "Interrogare lo spazio" a cura di Luigi Meneghelli presso la galleria FerrarinArte di Legnago (VR) cui segue, nel 2017, organizzata dalla stessa galleria, la mostra "Pittura analitica origine e continuità" che, curata da Giorgio Bonomi con Michele Beraldo e Alberto Rigoni si tiene presso Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, la Rocca di Umbertide Centro per l'Arte Contemporanea di Umbertide e la Rocca Roveresca di Senigallia. Nel 2018 il Museo MA*GA di Gallarate gli dedica la mostra antologica "Paolo Masi. Doppio Spazio", a cura di Lorenzo Bruni e "Le Murate. Progetti Arte Contemporanea", centro di arte contemporanea del Comune di Firenze, produce la mostra "Paolo Masi. QUI", a cura di Valentina Gensini, commissionando 12 opere monumentali appositamente concepite e realizzate per il complesso monumentale. La personale "Paolo Masi, Pittura, vibrazione e segno. 60 anni di ordinata casualità", organizzata da FerrarinArte e curata da Matteo Galbiati, ne celebra in modo antologico il lavoro con mostre presentate, tra il 2019 e il 2021, presso la Kromya Art Gallery di Lugano (Svizzera), Palazzo del Monferrato ad Alessandria, da FerrarinArte a Legnago - in questa occasione è stata editata l'omonima monografia per i tipi di Silvana Editoriale - presso la Rocca di Umbertide Centro per l'Arte Contemporanea di Umbertide e Palazzo Ravasio a Verona. Nel 2022 inaugura "La continuità del segno" presso Kromya Art Gallery di Verona, da cui il titolo della monografia pubblicata da Vanillaedizioni, successivamente presso il DAV - Dipartimento di Arti Visive di Soresina (CR) espone per la prima volta la serie scultorea "Steli" nella mostra "A Modo Mio", curata da Anthony Molino e da Francesco Mutti.

 



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Hedi Mertens, Unità quadrilatere uguali si incontrano in un quadrato centrale, 1969, olio su tela, Collezione privata 

 

Hedi Mertens "La logica dell’intuizione" al MASI di Lugano 

Il progetto espositivo restituisce al pubblico l'opera e la singolare storia di un’artista che partendo da una profonda conoscenza teorica ha trovato in Ticino le condizioni favorevoli per applicarla e sviluppare la propria arte.

Il Museo d'arte della Svizzera italiana presenta nella sede di Palazzo Reali la mostra "Hedi Mertens. La logica dell’intuizione." Il progetto espositivo restituisce al pubblico l'opera e la singolare storia di un’artista che partendo da una profonda conoscenza teorica ha trovato in Ticino le condizioni favorevoli per applicarla e sviluppare la propria arte.

Personalità estremamente versatile, Hedi Mertens (Gossau, 1893 – Carona, 1982) segue una formazione pittorica classica, ma inizia a dipingere con costanza soltanto negli anni Sessanta, in età ormai avanzata, dopo un percorso di vita ricco di esperienze ed incontri eccezionali in Svizzera e all’estero. Ciò nonostante riesce a sviluppare, in poco più di vent'anni, un corpus di opere di straordinaria intensità, da cui si sprigiona tutta l'energia e la forza di un lavoro giovanile. Nella sua ricerca Mertens abbraccia i principi dell'arte costruttivo-concreta svizzera, rispetto alla quale il suo lavoro si può considerare una “variante poetica”.

Attraverso una selezione di oltre 30 dipinti che coprono l'intero arco di produzione di Hedi Mertens dai primi anni Sessanta fino alla fine degli anni Settanta, l'esposizione al MASI ripercorre le diverse fasi e lo sviluppo dell'opera di quest'artista ancora poco nota al grande pubblico. Le analisi e le teorie compositive assimilate da Mertens grazie all’intenso scambio di idee con artisti e intellettuali vicini all’astrattismo e all’arte concreta svizzera sono rievocate in mostra da alcune opere puntuali dei quattro principali rappresentanti dell’arte concreta zurighese: Richard Paul Lohse, Max Bill, Camille Graeser e Verena Loewensberg.

Nella sua ricerca artistica Hedi Mertens riprende e indaga alcuni dei fondamenti dell’astrazione geometrica. Il quadrato, protagonista della sua produzione, le permette nella sua forma assoluta di coniugare la logica di infinite possibilità combinatorie con una certa libertà, che segue la sua intuizione personale. Un approccio che si riflette soprattutto nella scelta dei colori, per cui l'artista rinuncia a schemi rigidi e sceglie piuttosto contrasti e accostamenti cromatici guidati dalla propria sensibilità individuale. Nella fase finale del suo lavoro si riconosce un allontanamento dai modelli assimilati per approdare ad uno stile decisamente più personale. Negli ultimi dipinti è lo sfondo bianco a dominare sugli altri elementi: la tela risulta pervasa da una più profonda spazialità e da un'atmosfera meditativa, una condizione che ben rispecchia il periodo trascorso in Ticino dall’artista.

Nel percorso espositivo sono presentate anche alcune lettere, documenti e testimonianze sulle vicende biografiche dell'artista.

L’esposizione è realizzata in collaborazione con il Museum Haus Konstruktiv di Zurigo, dove verrà presentata nella primavera 2024. In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo bilingue italiano/tedesco edito da MASI Lugano / Museum Haus Konstruktiv / Scheidegger & Spiess / Edizioni Casagrande, con testi di Francesca Benini ed Evelyne Bucher e un saggio di approfondimento di Medea Hoch sull’opera di Hedi Mertens, come pure le immagini di tutte le opere esposte a Lugano e a Zurigo.

Il percorso

"Dipingo quadri simili ai suoi, ma solo in sogno!" (Ich male Bilder den Ihren verwandt aber nur in Traum!) scrive Hedi Mertens nel 1951 a Richard Paul Lohse, artista e teorico, tra i maggiori portavoce e promotori dell'arte concreta. Insieme all’artista Leo Leuppi, un altro importante esponente della scena artistica svizzera, Lohse è assiduo frequentatore del Bünishof, la villa nella periferia zurighese dove Mertens vive con il secondo marito e che negli anni trenta diventa un punto di ritrovo per importanti intellettuali e personalità di spicco dell’epoca, tra cui Carl Gustav Jung ed Hermann Hesse. Gli scambi e le preziose esperienze vissute da Hedi Mertens in questo periodo troveranno espressione nella sua ricerca artistica successiva, influenzata anche dal legame con l'India, nato attraverso il contatto con il santone indiano Shri Meher Baba e il viaggio durato due anni nel subcontinente indiano. Il trasferimento in Ticino nel 1952 – prima a Solduno e poi a Carona vicino a Lugano – risulta condizione ideale per l'ultimo progetto di vita di Mertens che, forse proprio grazie alla tranquillità trovata nel sud della Svizzera, riprende a dipingere nel 1960.

Come emerge dai primi lavori in mostra, realizzati all'inizio degli anni Sessanta, per le sue composizioni Mertens prende le mosse dai metodi sistematici elaborati dagli artisti concreti, che aveva analizzato a fondo. Il quadrato è il soggetto eletto a protagonista di tutte le sue opere, costruite su ordini pittorici spesso regolati da operazioni aritmetiche e geometriche come la divisione, la moltiplicazione, il contrasto, la centratura, la dispersione, la digressione, la progressione, la simmetria, l'intreccio, la rotazione, ecc.

Nei lavori delle fasi iniziali emergono chiare le influenze degli artisti concreti svizzeri, con cui si apre la prima sala della mostra. Ad esempio, l'opera Quadrato costituito da unità colorate, con quattro quadrati uniti a formare un blocco del 1965, evoca la struttura dei dipinti dell'artista Camille Graeser, che compone sulla tela strutture basate sull'equivalenza dei quanti, in cui quadrati di dimensioni diverse sono ordinati in modo da generare una progressione. La serie di opere intitolate Unità quadrilatere uguali è caratterizzata da griglie a unità quadrata e fitti reticolati che richiamano invece le composizioni di Richard Paul Lohse. Le opere concrete di Max Bill sembrano aver influenzato alcuni dipinti come Sequenza diagonale di quadrati con quadrato rosso del 1973, in cui Mertens applica la rotazione della tela di 90 gradi, che diventa così un rombo. Costantemente alla ricerca di nuove soluzioni formali, in quegli stessi anni l'artista sperimenta diversi motivi, come quello del quadrato nel quadrato, che sottintende il principio della cornice all’interno del dipinto, o quello della suddivisione della tela attraverso elementi a “L”.

“Una simbiosi di rigore quadrato e di cromaticità intuitiva” (eine Symbiose von quadratischer Strenge und intuitiver Farbigkeit), così è stata definita la sua opera dalla storica dell'arte Ludmila Vachtová. Al rigore dei sistemi per le sue composizioni basate sulla logica, Hedi Mertens accosta infatti una scelta dei colori più libera, passando da pastelli a toni intensi, da colori primari – integrando il bianco e il nero – a colori mescolati, creando contrasti chiaro-scuro o freddo-caldo che seguono un suo personale senso dei colori.

Avvicinandosi alle opere dell'ultimo periodo, le regole geometriche complesse che caratterizzavano i primi lavori dell'artista giungono a una semplificazione, per risolversi in un linguaggio più lirico e meditativo. Il colore bianco, che nei titoli viene definito dall’artista elemento muto della tela, prende il sopravvento sugli altri elementi: si genera così una spazialità più mistica, in cui le forme sembrano sospese nel campo pittorico e spesso sono raggruppate ai margini della tela (Quattro quadrati nello spazio). La tavolozza si fa più fredda, predilige le tonalità scure luminose e insieme una gamma cromatica opaca che conferisce maggiore solennità alla composizione. Una tensione verso l’armonia e la contemplazione, questa delle ultime opere, che caratterizza la cifra più autonoma della ricerca di Hedi Mertens e rimane come testamento di un'artista ancora troppo poco conosciuta, che con questa mostra si vuole far riscoprire.

 



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"Edmondo Bacci. L’energia della luce". alla Collezione Peggy Guggenheim 

"Bacci dipingeva la luce, quella luce che per lui era pregnanza delle cose, e da cui deriva il titolo della mostra stessa, una mostra che presenta le fasi più salienti, liriche ed esplosive del percorso artistico del pittore".

È stata presentata alla stampa Edmondo Bacci. L’energia della luce, a cura di Chiara Bertola, Responsabile del programma di arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia, Venezia, allestita negli spazi espositivi della Collezione Peggy Guggenheim dall’1 aprile al 18 settembre, 2023.

A fare gli onori di casa la direttrice Karole P. B. Vail, che ha salutato i numerosi giornalisti e ospiti presenti. Vail ha sottolineato l’importanza di questo omaggio all’artista veneziano Edmondo Bacci, prima e più esaustiva personale a lui dedicata, che ben si inserisce nella tradizione espositiva del museo che, da anni, accanto ad esposizioni di respiro internazionale, ospita rassegne volte a celebrare i protagonisti della scena artistica nazionale del secondo dopoguerra, quali Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Tancredi Parmeggiani, e ora Bacci. “Nel 1949 Peggy Guggenheim si trasferisce a Venezia, a Palazzo Venier dei Leoni”, ricorda Vail. “In laguna prosegue con entusiasmo la sua attività di collezionista e mecenate, ma invece di aprire una galleria, come aveva fatto a Londra e a New York, decide di sostenere alcuni artisti veneziani, che guardano a lei come a un faro di speranza nell’Italia del dopoguerra. Tra questi artisti c’è appunto Bacci. Nella sua autobiografia Peggy lo descrive come il suo “secondo protégé…un pittore molto lirico…le cui opere erano ispirate a Kandinsky”. È dunque per noi estremamente significativo ricordarlo oggi con una monografica”.

Accanto alla direttrice, Francesca Lavazza, Board Member di Lavazza Group, Institutional Patron della Collezione Peggy Guggenheim e sostenitore della mostra, che ha aggiunto: “Questa mostra ha un significato profondo e coerente con il percorso iniziato nel 2017 con la Collezione Peggy Guggenheim. Venezia è per noi città di elezione, simbolo culturale del nostro Paese, e del fragile rapporto tra natura e arte, tra uomo ed ecosistema. Qui hanno trovato voce avanguardie e artisti nazionali e internazionali, valorizzati e scoperti dalla stessa Peggy Guggenheim, figura fondamentale nel mondo dell’arte che ammiro profondamente. Le opere di Edmondo Bacci esprimono la sua capacità di rappresentare la luce del mondo, e quella interiore che risiede nelle cose e nell’uomo. La mostra rende omaggio a questo grande artista e alla sua cifra espressiva, presentando opere che, al di là della pittura stessa, sono dense di significato e potenza creativa”.

La curatrice Chiara Bertola ha successivamente preso la parola, entrando nel cuore del percorso espositivo. “Per me questa mostra rappresenta un ritorno a casa di Edmondo Bacci, a casa di Peggy Guggenheim, collezionista sensibile e rara, che aveva intuito come, dietro a una figura così timida e schiva, quale era Bacci, si celasse un grandissimo artista. Fu lei, per prima, a capire che l’energia del colore delle sue opere era qualcosa di speciale, di unico. Dal percorso espositivo ho cercato di far emergere, il più possibile, il linguaggio di Bacci, cercando di portare lo sguardo dentro l’esperienza dell’artista stesso [..] Bacci dipingeva la luce, quella luce che per lui era pregnanza delle cose, e da cui deriva il titolo della mostra stessa, una mostra che presenta le fasi più salienti, liriche ed esplosive del percorso artistico del pittore, dalle sue “Fabbriche”, alle “Albe”, per arrivare ai più noti “Avvenimenti”. Nel percorso non manca una sorta di deviazione, che definisco inedita, dedicata ai suoi lavori più sperimentali, e in qualche modo tattili, per terminare poi con il grande tributo che la XXIX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1958 gli dedica, offrendogli un’intera sala, ricreata ora in mostra”.

Con un’ottantina di opere, molte delle quali mai esposte prima, tra dipinti e disegni inediti, provenienti dall’Archivio Edmondo Bacci, collezioni private e musei internazionali, tra cui il Museum of Modern Art di New York e l’Art Museum di Palm Springs, California, si tratta della prima e più esaustiva personale dedicata all’artista veneziano Edmondo Bacci (1913-1978). Il percorso espositivo prende il via dal nucleo di tele, in bianco e nero, intitolate Cantieri e Fabbriche, che l’artista realizza tra il 1945 e il 1953, ispirate agli altiforni dell’area industriale della vicina Marghera, e influenzate dal contatto con gli artisti del Fronte Nuovo delle Arti, in particolare Vedova e Armando Pizzinato. Bacci esclude qui il colore: i soggetti sono risolti pittoricamente attraverso la contrapposizione di soli bianchi e neri che intessono un’imprevedibile geometria di movimenti accidentati, resi dall’alternarsi dinamico delle masse luminose bianche con quelle della tenebra assoluta. Tra il 1952 e il 1953 lo spazio frontale e in bianco e nero delle prime Fabbriche subisce un importante mutamento strutturale aprendosi sempre di più verso significative valenze cromatiche. È qui che cominciano a capirsi e formarsi quelle che saranno le caratteristiche linguistiche della pittura di Bacci: una pittura astratta che elimina progressivamente il segno per fondarsi invece, sempre di più, sulla funzione spaziale del colore. Si prosegue con le Albe, tele del 1954, caratterizzate dalla rottura definitiva dei piani cromatici, testimonianza del delicato e quanto mai affascinante percorso di ricerca che conduce l’artista dalle Fabbriche ai suoi celebri Avvenimenti, realizzati nel corso degli anni Cinquanta e i successivi Sessanta, protagonisti delle sale successive. Gli Avvenimenti rappresentano il nucleo più poetico, creativo e felice del lavoro dell’artista e il cuore pulsante della mostra stessa, opere dove lo spazio non è più sorretto da una griglia geometrica ma si genera unicamente dalle relazioni degli eventi di colore. Un colore che diventa spazio assoluto e che abolisce ogni limite tra superficie e volume, tra dimensione e traiettoria; il colore diventa pura materia di luce nel suo graduale processo di affrancamento dalla più pesante materia dell’Informale. Sarà questa l’occasione per poter ammirare una serie di Avvenimenti che nel corso degli anni Cinquanta sono stati acquisiti da diversi collezionisti statunitensi grazie alla mediazione di Peggy Guggenheim e di Alfred H. Barr Jr, allora direttore del Museum of Modern Art di New York, che acquistò dall’artista Avvenimento #13 R, del 1953, e che tornano ora in Italia per la prima volta. Intorno al 1956, infatti, molte tele del giovane Bacci varcano l’oceano, aprendo così un importante periodo espositivo americano che culmina nella sua personale tenutasi alla storica Seventy-Five Gallery di New York nello stesso anno.

La mostra dà altresì spazio a un altro aspetto interessante, e meno noto, del linguaggio dell’artista: lo sperimentalismo degli anni Sessanta-Settanta a cui Bacci rivolge la sua ricerca negli ultimi anni di lavoro. È qui che si incontrano i suoi “Gessi”, le “Sagome”, i “Teatrini”, tutte opere che riflettono l’incessante ricerca artistica di Bacci che in quegli anni si spinge verso nuove indagini extra pittoriche, rivolte alla materia. Ad affiancare questi lavori, un’importante sezione è dedicata a un gruppo inedito di disegni e “Carte bruciate”, provenienti da diverse collezioni italiane e soprattutto dall’Archivio Edmondo Bacci, dove l’artista interpreta su carta le potenzialità proprie del segno grafico e del colore, approfondendo la sua ricerca attraverso una serie di opere apparentemente dissimili ma accomunate tutte da una forza evocativa – creativa.

Il percorso espositivo si conclude con un tributo alla partecipazione di Bacci alla XXIX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, nel 1958. Dalla sua prima partecipazione, nel 1948, l’artista viene regolarmente invitato ad esporre alla celebre manifestazione, ma in questa occasione gli viene dedicata un’intera sala, ricreata ora in parte nella mostra a Palazzo Venier dei Leoni con i più celebri Avvenimenti dell’epoca, tra cui spicca Avvenimento #299, del 1958, proveniente dall’Art Museum di Palm Springs. Nella prefazione del catalogo realizzato per la Biennale Peggy Guggenheim scrisse: “c’è una veggenza nel colore, il quale esplode in tutta la sua gioiosa ebbrezza…Potrei suggerire Kandinsky per una uguale potenza poetica” (Catalogo della XXIX Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, 1958). A chiudere la sala una sorprendente tela di Giambattista Tiepolo, Il Giudizio finale (1730-35 c.), della Collezione Intesa Sanpaolo, alla Fondazione Querini Stampalia, Venezia, testimonianza di come, fin dalla sua formazione artistica, presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, Bacci sia stato fortemente influenzato dalle grandi tele del passato, in particolare dal colorismo luministico di Giovanni Bellini, Giorgione, e soprattutto dalla spazialità dei grandi affreschi e cieli di Tiepolo.

Edmondo Bacci. L’energia della luce è accompagnata da un ricco catalogo illustrato, edito da Marsilio Arte, con saggi della curatrice Chiara Bertola, Martina Manganello, Barry Schwabsky, Toni Toniato, Riccardo Venturi.