Mostre

 



art week

 Michelangelo Pistoletto, Labirinto, 1969-2022, cartone ondulato dimensioni ambientali. Courtesy Cittadellarte - Fondazione Pistoletto.

 

Palazzo Reale presenta "Michelangelo Pistoletto. La Pace Preventiva" 

Il visitatore della mostra La Pace Preventiva dovrà necessariamente compiere un percorso sinuoso e disorientante camminando all’interno del Labirinto.

Da giovedì 23 marzo a domenica 4 giugno Palazzo Reale presenta “La Pace Preventiva”, una mostra – installazione di Michelangelo Pistoletto pensata appositamente per la suggestiva Sala delle Cariatidi.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto in collaborazione con Skira, la mostra è curata da Fortunato D’Amico ed è parte di Milano Art Week (11-16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con miart, che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e le fondazioni private della città che si occupano di arte moderna e contemporanea, con una programmazione dedicata di mostre e attività.

Il Labirinto di Michelangelo Pistoletto è il percorso della Pace Preventiva, la traccia di un itinerario di consapevolezza esteso all’interno della grande installazione allestita nella Sala delle Cariatidi. L’installazione è il risultato del progressivo srotolarsi dei cartoni ondulati disposti sull’intera superficie dello spazio espositivo in cui si aprono gli spazi che accolgono alcuni tra i più emblematici lavori realizzati da Michelangelo Pistoletto nel corso della sua attività ed è anche una traccia dell’itinerario di consapevolezza che ha gradualmente consentito all’artista di concepire “l’arte al centro di una trasformazione responsabile della società” espressione che costituisce la mission della sua fondazione, Cittadellarte, attiva come scuola a Biella dagli anni ‘90. Un cambiamento possibile, secondo Michelangelo Pistoletto, solo attraverso una reale pratica della democrazia che coinvolga i cittadini e le loro organizzazioni nei processi di trasformazione sociale responsabile.

Il Labirinto segnala la presenza della dualità contrapposta tra il mostro e la virtù. Per chi si addentra nelle sue trame, così come fece l’eroe Teseo, è necessario avanzare evitando passi falsi che potrebbero compromettere la sua vita e quella degli altri. Il rischio è di essere fagocitati dall’unico abitante che dimora nel labirinto, il Minotauro, simbolo universale di tutte le prepotenze, degli scontri e dei conflitti.
“Oggi l’umanità è calata in un immenso labirinto edificato su scala globale, sconfiggere l’ancestrale emblema del male dall’istinto guerrafondaio non è certo cosa facile; l’esito non è scontato e il successo non è garantito. Nel labirinto si entra e si esce solo avendo cura di redigere un meticoloso progetto di idee, pianificando ogni dettaglio per raggiungere gli intenti prefissati.  
È solo attraverso la pratica della Pace Preventiva che potremo annientare il mostro e abbandonare definitivamente il labirinto dei conflitti” - ha dichiarato il curatore della mostra Fortunato D’Amico.

Il visitatore della mostra La Pace Preventiva dovrà necessariamente compiere un percorso sinuoso e disorientante camminando all’interno del Labirinto. In questo “laborioso marchingegno dell’arte” ad ogni bivio egli dovrà necessariamente scegliere il tragitto da effettuare per raggiungere le altre opere in esposizione, soffermarsi davanti a esse e riflettere sulla loro esistenza. All’uscita dall’installazione porterà con sé il ricordo di un’esperienza ricca di contenuti immaginifici e di informazioni pratiche, ma anche la consapevolezza di avere completato un esercizio tangibile, efficace per riflettere sulle modalità per uscire dal labirinto della realtà quotidiana e instaurare La Pace Preventiva.

Settant’anni fa, nel 1953, proprio nella Sala delle Cariatidi ancora gravata dai segni del conflitto bellico provocati della seconda guerra mondiale, Pablo Picasso esponeva la grande tela Guernica; nel contesto del racconto pittorico si intravede svettare la testa del Minotauro, il mostro che domina la scena del labirinto. Nel 1961 l’artista spagnolo disegna la Colomba della Pace, la stessa che lo studente Manish Paul, della Scuola Secondaria di Vinci, vincitore del premio “Educare alla pace: Leonardo, Picasso, Pistoletto” nell’anno scolastico 2014-2015, utilizzerà, sostituendo il ramoscello di olivo nel becco con il segno-simbolo trinamico del Terzo Paradiso. Michelangelo Pistoletto assume il disegno di Manish Paul, per creare l’immagine-logo de La Pace Preventiva. Pistoletto, già nel 1969, progetta il suo primo Labirinto presso il Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterrdam. All’interno dell’installazione tre membri de Lo Zoo, gruppo artistico multidisciplinare fondato dallo stesso Michelangelo Pistoletto l’anno precedente, svolgono azioni performative suonando dei lunghi megafoni utilizzati come fossero trombe. Negli anni seguenti il Labirinto verrà riproposto in occasione di altre mostre, ogni volta adattato all’ambiente che lo ospita.

I labirinti nella nostra epoca informatica, assumono aspetti conformi alle realtà soft dell’ingegneria elettronica digitale, elaborano e gestiscono le informazioni dell’intera rete dei nodi interconnessi che supportano i canali di comunicazione.
La loro presenza si manifesta attraverso forme diverse, invisibili, che spesso sfuggono anche all’osservazione dei più attenti critici, forse per questo il loro impatto sul pianeta ha assunto dimensioni gigantesche. L’umanità ha oggi a disposizione un dispositivo formidabile per contrastare il mostro e instaurare La Pace Preventiva: La Formula della Creazione di Michelangelo Pistoletto. Esso si presenta come un segno, un simbolo, un'espressione matematica capace di sintetizzare le ricerche individuali e collettive, condotte dall’artista e dalla sua organizzazione, Cittadellarte, insieme agli Ambasciatori del Terzo Paradiso. È uno strumento che trasposto in numeri rivela che 1+1= 3, permutabile con Io+Tu= Noi. 
Tu ed Io, anzi tutti Noi, siamo responsabili della società che creiamo.

La Mela Reintegrata di Michelangelo Pistoletto, una delle opere collocate in mostra, è anche uno dei grandi simboli di Milano (nella sua collocazione definitiva in Piazza Duca D’Aosta), dedicata all'equilibrio tra natura e tecnologia, al cambiamento sostenibile che si può raggiungere solo attraverso una trasformazione responsabile, con l’arte che promuove l’interazione dei diversi settori della società, dall’educazione all’alimentazione, dall’architettura alla moda, dalla spiritualità alla politica.

La mostra La Pace Preventiva si estende con tre installazioni nei Musei scientifici del Comune di Milano, Museo di Storia Naturale, Planetario e Acquario Civico, che ospiteranno una serie di incontri di approfondimento nei mesi di apertura della mostra stessa.
La Pace diventa così il fil rouge di un piano culturale svolto all’interno del labirinto sociale, che aiuta a evitare le incertezze davanti al bivio delle decisioni e imboccare la strada dell’armonia invece di quella che porta sulla via del contrasto e della conflittualità.

Michelangelo Pistoletto nasce a Biella nel 1933. Nel 1962 realizza i Quadri specchianti, con i quali raggiunge in breve riconoscimento internazionale. È considerato uno dei precursori e protagonisti dell’Arte Povera con i suoi Oggetti in meno (1965-1966) e la Venere degli stracci (1967). A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi espositivi, azioni che costituiscono le prime manifestazioni di quella “collaborazione creativa” che svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società. Negli anni Novanta fonda Cittadellarte a Biella, ponendo l’arte in relazione con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società. Ha ricevuto innumerevoli premi internazionali, tra cui nel 2003 il Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia e nel 2007 il Wolf Foundation Prize in Arts “per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d'arte premonitrici che contribuiscono ad una nuova comprensione del mondo”. Nel 2013 il Museo del Louvre di Parigi ospita la sua mostra personale Michelangelo Pistoletto, Année un - le paradis sur terre. In questo stesso anno riceve a Tokyo il Praemium Imperiale per la pittura. Nel 2022 esce il suo ultimo libro La Formula della Creazione edito da Cittadellarte Edizioni. Sue opere sono presenti nei maggiori musei d’arte contemporanea.

Sito ufficiale:  www.pistoletto.it

 



art week

Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation view - 2, Salone Mariano Rossi, Galleria Borghese, Roma - ph. S. Pellion © Galleria Borghese

 

"Giuseppe Penone. Gesti Universali" alla Galleria Borghese 

La Galleria Borghese torna ad aprirsi al contemporaneo, una mostra che è un omaggio all’immutata vitalità della scultura e a un Maestro dell’Arte Povera.

Oltre trenta opere realizzate tra gli anni Settanta e i primi Duemila in un percorso che attraversa il Salone di Mariano Rossi, la Sala di Apollo e Dafne, la Sala degli Imperatori e quella di Enea e Anchise per espandersi nel Giardino dell’Uccelliera ed eccezionalmente nel Giardino della Meridiana: con Giuseppe Penone. Gesti Universali, a cura di Francesco Stocchi, fino al 28 maggio 2023 la Galleria Borghese torna ad aprirsi al contemporaneo, una mostra che è un omaggio all’immutata vitalità della scultura e a un Maestro dell’Arte Povera.

L’esposizione parte dalla ricerca di qualcosa che non è presente negli splendidi spazi della Galleria, offrendo una nuova lettura di quel rapporto tra paesaggio e scultura che la statuaria antica presente nella collezione del museo ci racconta secondo canoni classici. Un percorso che si pone in perfetta continuità con le ricerche sul rapporto tra Arte e Natura che caratterizzano la direzione di Francesca Cappelletti.

Giuseppe Penone. Gesti Universali non propone alcun confronto ma presenta opere scelte come “riflesso” rispetto all’ambiente, offrendo un “completamento” di elementi: nelle sale caratterizzate da un tripudio di marmi, sculture e decorazioni – magnifiche rappresentazioni del mondo minerale – Penone aggiunge un innesto organico di foglie, cuoio, legno che col¬lega e definisce i due universi. Nei Giardini invece, l’integrazione guarda al mondo dei metalli, con sculture in bronzo che dialogano con la ricca vegetazione circostante, arricchita da circa quaranta nuove piante in vaso chiamate a sorreggere alcune opere.

Il percorso espositivo comprende nuclei di opere meno note o iconograficamente poco asso¬ciate al lavoro di Penone, come Sguardo vegetale, e altre esposte per la prima volta in gruppi tematici – Soffio di foglie e Respirare l’ombra – inserite nello spazio come presenze autono¬me e originali. Nell’assenza di mitologia dei lavori di Penone, la narrazione sposta il suo asse, e il rapporto tra tempo naturale e passato storico dà vita a un nuovo presente incerto.

"Questa mostra è un dialogo tra oggetti che esprimono dei pensieri di epoche diverse ma che hanno come filo conduttore comune il rapporto tra l’uomo e la materia che lo circonda. Questo avviene nell’azione che produce l’opera e che accomuna le opere della Galleria Borghese con la realtà di oggi. Solo attraverso una riflessione con i materiali e con lo spirito che ha sviluppato quelle forme d’arte, si può creare un dialogo che non è un confronto ma un tentativo di porre l’attenzione su dei valori che si possono ritenere condivisi.” afferma Giuseppe Penone.

"La mostra Gesti Universali presenta un dialogo che assume la forma di un innesto tra la dimensione minerale, ampiamente presente nella Galleria Borghese, e quella organica che caratterizza l’opera di Penone. Un’interrogazione sulla scultura libera da ogni sensazionali¬smo, volta a indagare la rappresentazione della natura in relazione al tempo di un passato storico. Un dialogo di idee e materiali, rispetto a un confronto di forme e simboli, che esprime tutta la vitalità della natura umana e di quella vegetale.” dichiara il curatore della mostra, Francesco Stocchi.

Con la mostra di Giuseppe Penone concludiamo la serie di mostre che da due anni cercano di comunicare al pubblico della Galleria Borghese la ricerca su arte e natura, su creatività dell’artista e elementi naturali. Il percorso si svolge in maniera significativa da alcune sale del museo allo spazio esterno, consentendo al visitatore di mettere a fuoco relazioni fra la materia e il gesto dell’artista e riscoprire la potenziale alleanza fra l’essere umano e la natura nel ciclo del tempo.” afferma la direttrice della Galleria Borghese, Francesca Cappelletti.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Electa con un’intervista all’artista di Francesco Stocchi e un saggio di Andrea Cortellessa. Il volume propone immagini delle ope¬re allestite nelle quattro sale del museo e nei giardini, descrivendo un osmotico flusso fra la materia organica e le sale interne nonché fra le opere di bronzo e la ricchezza botanica degli esterni.

L’esposizione è stata realizzata grazie al supporto di FENDI, sponsor ufficiale della mostra.

 



art week

 

 

Nicoletta Rusconi Art Projects e ARTbite in collaborazione con Regione Lombardia presentano Salon Bite&Go 

Salon Bite&Go apre le porte a nuove letture raggiungendo il pubblico, interessandolo e incuriosendolo, al di là del valore di ogni singola opera, con un approccio fresco che etichettare non si può. 

Nicoletta Rusconi Art Projects nel 2019 fonda ARTbite Project, scegliendo Instagram come piattaforma per addentrarsi nell'arte contemporanea e scoprirla in modo inedito, divertente e mai banale. Due anni dopo, nel 2021, una versione fisica e itinerante di ARTbite si afferma con il nome di Bite&Go.

ARTbite è una vetrina online e Bite&Go si muove: è questo un modo sinergico per crescere insieme. In un'epoca trans-pandemica Bite&Go si definisce in un modo trasversale, raggiungendo di volta in volta destinazioni sempre diverse.

Autonomo e indipendente, questo progetto ha nella sua stessa natura la capacità di attualizzarsi in sempre nuove forme che rispondono a ciò che gli artisti giovani e il pubblico amano e cercano. In questo senso si colloca la volontà di coniugare l'online e l'itineranza in un momento di profonda inclusività e coinvolgimento.

«Era una grande giornata per lui; si inaugurava il Salon des Refusés, una novità di quell'anno, in cui avrebbe figurato la sua opera, respinta dalla giuria del Salon ufficiale.[...] Alcune carrozze, rare a quell'ora, risalivano mentre un flusso di gente rapido e incoerente come un formicaio s'affollava sotto l'arcata enorme del Palais de l'Industrie.[...] La folla, già densa, aumentava di minuto in minuto poiché tutti disertavano il Salon ufficiale, correvano spinti dalla curiosità, stuzzicati dal desiderio di giudicare i giudici, divertiti, soprattutto, fin dalla soglia, dalla certezza di vedere cose estremamente buffe.»

Corriamo, con la mente, indietro di 160 anni. Il primo Salon des Refusés sconvolse la pittura francese, trasformando in modo irreversibile lo sguardo, la mano e il pennello del pittore. Fu quello l'anno - per qualcuno il più probabile in cui far cominciare la pittura moderna - della svolta radicale negli equilibri. In un certo senso da sempre il sistema dell'arte, fa fronte all'avanzata sulla scacchiera mondiale di nuovi soggetti, nuove dinamiche e nuovi mercati.

Nello scenario di uno stabilizzato circuito galleria-collezionista-casa d'aste-museo, che si ammira e si rispetta, ARTbite Project pone in essere una nuova svolta, cercando una più ampia connessione con la realtà e mirando all'innovazione senza scandagliare il passato.

Salon Bite&Go apre le porte a nuove letture raggiungendo il pubblico, interessandolo e incuriosendolo, al di là del valore di ogni singola opera, con un approccio fresco che etichettare non si può. Identificarlo, per riconoscerlo, implica accettare che esso è il riflesso delle passioni e degli interessi di chi l'ha fondato. Lontano dalla prospettiva di un'attività per pochi privilegiati e dal sentimento di una dimensione solitaria, Salon è pensato per unire in nome dell'arte libera da qualunque tipo di dogma. Nella consapevolezza garantita, che ogni artista in mostra è selezionato da un board competente in materia di storia dell'arte.

Il progetto coinvolge artisti giovani, mid-career ed established, operanti ognuno con i diversi linguaggi dell'arte contemporanea, che saranno invitati a realizzare una nuova opera, di piccola dimensione, nella massima libertà di media e tema. Il percorso espositivo si articolerà in scale, che Bite&Go ha assunto come identità grafica dal 2021, tavoli e cavalletti che ricreeranno la dimensione più intima della creazione artistica: lo studio.

Sfumando i confini tra immaginazione e percezione, Salon Bite&Go vuole essere questo: la fusione di creazione e contaminazione.

Salon di Bite&go

Palazzo Lombardia, Spazio NP

Piazza Città di Lombardia - Via Restelli, Milano

Orari

opening: mercoledì 12 aprile, ore 18-20

aperture: dal 13 al 17 aprile, ore 11-18

aperture serali: dal 18 al 20 aprile, ore 18-21

 



art week

Installation views della mostra "Eve Arnold. L'opera 1950-1980" a CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia. Fotografie di Antonio Jordán.

 

Eve Arnold L’opera, 1950-1980 a CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia 

Eve Arnold, un’altra leggenda della fotografia del XX secolo, la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951.

 

"Non vedo nessuno come ordinario o straordinario. Li guardo semplicemente come persone davanti al mio obiettivo". 

Eve Arnold

 

Dopo il grande successo di Robert Doisneau, CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia di Torino propone fino al 4 giugno 2023, un’altra leggenda della fotografia del XX secolo: Eve Arnold, la fotografa americana che ha saputo raccontare il mondo con un «appassionato approccio personale», unico strumento reputato da lei indispensabile per un fotografo.

Per intendere la sua importanza nella storia della fotografia, è sufficiente ricordare che Eve Arnold è stata la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951.

Determinazione, curiosità e, soprattutto, la volontà di fuggire da qualsiasi stereotipo o facile categorizzazione le hanno permesso di produrre un corpus eclettico di opere: dai ritratti delle grandi star del cinema e dello spettacolo ai reportage d’inchiesta dove ha affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico di ieri e di oggi.

L’esposizione, curata da Monica Poggi e realizzata in collaborazione con Magnum Photos, si compone di circa 170 immagini, di cui molte mai esposte fino ad ora, e presenta l’opera completa della fotografa a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori, realizzati alla fine del secolo. Le opere selezionate affrontano temi e questioni come il razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo. Anche se la sua fama planetaria è senza dubbio legata ai numerosi servizi sui set di film indimenticabili, dove ha ritratto le grandi star del periodo da Marlene Dietrich a Marilyn Monroe, da Joan Crawford a Orson Welles.

«Metaforicamente parlando – ha affermato Robert Capa – il suo lavoro cade a metà fra le gambe di Marlene Dietrich e la vita amara dei lavoratori migranti nei campi di patate». Ed è proprio un servizio dedicato all’attrice tedesca, ottenuto quasi casualmente, ad accendere i riflettori sul suo talento, dandole accesso al mondo dello spettacolo. Gli scatti più noti sono quelli che hanno come soggetto Marilyn Monroe, con la quale stringe un vero e proprio sodalizio artistico dopo che la diva nel 1954 la avvicina a una festa dicendole: «Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, riesci a immaginare cosa potresti fare con me?». Il rapporto con Marilyn fa nascere immagini passate alla storia soprattutto per aver raccontato la personalità dell’attrice celata dietro alla facciata da diva. Eve Arnold dimostra una straordinaria capacità di entrare in sintonia con i propri soggetti, abbattendo barriere e reticenze, anche attraverso gli iconici ritratti a personaggi come Joan Crawford, che si fa immortalare durante infiniti rituali di bellezza, o Malcolm X, che le concede di seguirlo a distanza ravvicinata durante i più importanti raduni dei Black Muslims e del quale realizza un ritratto che diviene subito una vera e propria icona.

Proprio le immagini del controverso leader trovano posto in mostra insieme ai diversi servizi dedicati da Eve Arnold alla comunità nera e alle rivendicazioni degli afroamericani che negli anni Cinquanta stavano prendendo piede in tutti gli Stati Uniti. Il suo primo lavoro è, infatti, un reportage dai toni densi e fumosi dedicato alle numerose sfilate di moda di Harlem, organizzate nella totale indifferenza del mondo della moda bianca. Realizzato come esercitazione per un corso alla New School for Social Research di New York tenuto dal celebre Art Director di “Harper’s Bazaar”, Alexey Brodovitch, il progetto la trasforma in pochissimo tempo in una delle autrici più richieste da giornali e magazine internazionali. Questi scatti sono rivoluzionari sia per la scelta del soggetto che per lo stile: uscendo dall’estetica patinata dei magazine del periodo, Arnold racconta i momenti spontanei dietro le quinte, l’attesa prima dello spettacolo, l’impazienza del pubblico. Il lavoro è realizzato in situazioni di scarsa luminosità e, non volendo utilizzare il flash, Eve Arnold passa ore in camera oscura per esaltare l’atmosfera intima degli ambienti, ponendo le basi del suo particolare stile dove la teatralità di un’illuminazione naturale e la vicinanza emotiva ai soggetti sono imprescindibili. Il servizio è considerato troppo scandaloso per i giornali americani, tanto da venire pubblicato nel 1951 dal londinese “Picture Post” e poi da diverse riviste europee. A questo seguiranno numerosi altri reportages da tutto il mondo, come quelli realizzati in Cina nel 1979 e l’imponente progetto sull’uso del velo in Medio Oriente, avviato dopo aver assistito a un discorso del presidente tunisino Habib Bourguiba che esortava le donne a togliere il velo per entrare nella modernità: luoghi e temi in grado di aprire dibattiti anche sull’oggi.

La carriera di Arnold è a tutti gli effetti un inno all’emancipazione femminile. I suoi soggetti sono nella maggior parte dei casi donne: lavoratrici, madri, bambine, dive, suore, modelle, studentesse, immortalate senza mai scivolare in stereotipi o facili categorizzazioni, con il solo intento di conoscere, capire e raccontare. Questo principio la guida anche nelle fotografie più intime e delicate, come quelle realizzate all’interno dei reparti di maternità degli ospedali di tutto il mondo, soggetto a cui ritorna costantemente per esorcizzare il dolore subito con la perdita di un figlio avvenuta nel 1959.

La scelta e la disposizione delle immagini in mostra è finalizzata a restituire la ricchezza dell’opera di questa autrice, sottolineata anche attraverso numerosi documenti d’archivio, testi, provini di stampa, libri e riviste in grado di arricchire la scoperta di una vera e propria leggenda della fotografia.

L’esposizione è accompagnata dal catalogo “Eve Arnold”, edito dalla nuova casa editrice Dario Cimorelli editore.

 



art week

Courtesy l’artista. Ph. Lorenzo Palmieri

 

NINA CARINI "Aperçues" alla Basilica di San Celsio 

L’allestimento trae ispirazione dall’idea di una visione percepita appena prima di svanire, costruendo un itinerario di sei installazioni, concepite per generare interstizi, passaggi, aperture verso realtà senza tempo.

Negli spazi della Basilica di San Celso a Milano è visibile fino al 15 aprile la mostra Aperçues, personale dell’artista Nina Carini a cura di Angela Madesani e Rischa Paterlini. Il progetto espositivo è realizzato con il patrocinio di Regione Lombardia e del Municipio 1 | Comune di Milano. Il titolo della mostra riprende la parola francese aperçues (visioni, scorci), che l’artista incontra per la prima volta nelle pagine dell’omonimo volume di Georges Didi-Huberman (2018).

Nell’interpretazione dell’autore, aperçue è lo scorcio di un’immagine che appare e, prima di scomparire, lascia alle proprie spalle la scia di una domanda, di un ricordo o di una sensazione. L’allestimento ideato da Nina Carini trae ispirazione dall’idea di una visione percepita appena prima di svanire, costruendo un itinerario all’interno della Basilica di San Celso attraverso sei installazioni, concepite per generare interstizi, passaggi, aperture verso realtà senza tempo.

Spiega Angela Madesani: “Il tempo, la vulnerabilità dell’esistenza e dei fenomeni sono al centro della ricerca dell’artista: il “per sempre” in contrasto con la precarietà del tutto sono una chiave di lettura delle opere, appositamente realizzate da Carini per la sua prima personale nel capoluogo lombardo. Si sviluppa qui un dialogo eloquente tra la materia e il linguaggio, tra la teoria e la poesia ”.

Il progetto espositivo convoglia tutti i media espressivi che caratterizzano la ricca produzione artistica di Nina Carini, a iniziare dal suono. La prima opera che accoglie il visitatore fin dagli spazi esterni della Basilica è l’installazione sonora Le cose in pericolo (A,B,C,D,E…) , realizzata con testi tratti da Glossopetrae di Simona Menicocci e in collaborazione con i bambini dell’Istituto Armando Diaz e dell’Istituto Antonio Scarpa di Milano. Si prosegue nel percorso espositivo con Venere Bugiarda 3023, installazione ripensata per l’occasione e posta in dialogo con gli spazi architettonici che la accolgono.

Spiega Rischa Paterlini: “La ricerca di Nina Carini è in continuo sviluppo processuale e oggi trova particolare affondo nella performance e nella scultura. È proprio sotto il segno della sperimentazione con un materiale come la pietra che Nina Carini nel 2020, invitata dal collezionista Enzo Nembrini, realizza la sua prima opera scultorea site specific: Venere Bugiarda. Un’installazione dove due astri dialogano tra loro e che in occasione della mostra viene ripensata chiedendo al fruitore di riflettere sul tema della bellezza scoprendo anche la sofferenza della stessa che presto svanirà. Le opere di Nina Carini sono sempre create e pensate per essere vissute dall’osservatore in totale armonia con il luogo e con i materiali che caratterizzano gli spazi che le circondano. Non fa eccezione la Basilica di San Celso, luogo sacro costruito prima del 1000 per volere dell’Arcivescovo di Milano Landolfo II, affidata ai monaci benedettini e le cui trasformazioni nei secoli hanno rappresentato la storia della città di Milano.”

In un continuo scambio tra materia e spiritualità, l’itinerario di visita restituisce uno scarto verticale in prossimità dell’altare, che accoglie l’opera realizzata nel corso della residenza presso Fonderia Battaglia Mani come rami che toccano cielo, per poi estendersi sino all’opera Senza Voce, che scruta il passaggio del visitatore dalla sua posizione all’interno del confessionale.

Accompagna la mostra un libro concepito come un vero e proprio progetto d’artista, curato da Angela Madesani e Rischa Paterlini e arricchito da un testo del filosofo Davide Dal Sasso. Il volume, pubblicato da Allemandi Editore, ripercorre la ricerca di Nina Carini attraverso testi e immagini, con un particolare approfondimento dedicato ad Aperçues. La selezione di opere che compongono Aperçues traccia un sentiero nell’articolata produzione di Nina Carini, affiancando un’importante opera proveniente dalla collezione di Enzo Nembrini e installazioni appositamente concepite per l’occasione. Sospesi tra un’impostazione orizzontale e bidimensionale e una tensione verticale e tridimensionale, i lavori in mostra interpretano il dialogo armonico tra realtà e mistero, tra macrocosmo e microcosmo, tra visibile e invisibile.

Dice Davide Dal Sasso: “Il movimento nell’apparente immobilità alimenta le ricerche di Nina Carini: la possibilità che, nella loro concretezza, le sue opere esprimano comunque una continua oscillazione tra costanza e mutabilità.” La realizzazione della mostra è supportata da Ecoedile Srl, OT e Collezione Enzo Nembrini, con la collaborazione di Allemandi Editore e NM Contemporary, Principato di Monaco e la sponsorizzazione tecnica di ArtDefender Insurance.