Mostre

 



art week

Installation view: sub, 2023, MACTE, Termoli. @ Gianluca Di Ioia

 

MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli presenta "sub" 

Il MACTE presenta un originale progetto espositivo che propone uno sguardo inedito su posizioni tangenti la scena dell’arte italiana.

Betty Danon, Antonio Dias, Jorge Eduardo Eielson, Hsiao Chin, Tomás Maldonado, Roberto Sebastián Matta, Carmengloria Morales, Hidetoshi Nagasawa, e Joaquín Roca-Rey sono tutti artisti nati in Asia o in Sud America; nel secondo dopoguerra hanno trascorso soggiorni più o meno lunghi in Italia e, in alcuni casi, vi ci sono definitivamente trasferiti.

Fino al 14 maggio 2023 con la mostra sub a cura di Michele D’Aurizio, il MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli presenta un originale progetto espositivo che, attraverso le opere di questi artisti e artiste, propone uno sguardo inedito su posizioni tangenti la scena dell’arte italiana, considerate a torto periferiche rispetto alle influenze europee e statunitensi, e apre al dialogo con esperienze radicate in altre geografie.

La mostra nasce da due anni di ricerca di D’Aurizio, invitato nel 2020 dalla appena nominata direttrice Caterina Riva, a concepire una mostra per il museo che tenesse conto della sua posizione geografica e della sua collezione legata al Premio Termoli.

Oggi siamo felici di presentare al pubblico i frutti di quel processo di attenta ricerca e curatela. – commenta Caterina Riva, direttrice del MACTE – sub racconta storie di migrazione incarnate in oggetti e opere d'arte e rimescola le categorie solitamente applicate alla storia dell'arte in una proposta originale pensata in relazione alla posizione del MACTE.

sub ipotizza che le ricerche dei nove artisti e artiste invitati, anche laddove siano legate alla tradizione artistica occidentale, abbiano radici lontane, in culture visive emerse alla periferia del mondo globalizzato. Affiliati a importanti movimenti culturali quali l’Arte Concreta, l’Arte Povera, il Femminismo, le Nuove Tendenze, la Pittura Analitica, e il Design Radicale, questi artisti sono stati raramente riconosciuti per i contributi che vi hanno apportato. Le loro opere hanno scosso i fondamenti teorici dell’arte moderna e contemporanea italiana rivelandone l’impostazione eurocentrica.

In dialogo con la collezione del MACTEafferma Michele D’Aurizio, curatore della mostra - sub crea nuove sinergie e nuovi sincretismi. La mostra invita i visitatori a cogliere questi dialoghi tra linguaggi e tematiche e a ragionare su come forme che possono apparire già viste, in realtà riflettono la differenza etnica e culturale dei singoli artisti.

Il titolo della mostra evoca una dimensione sotterranea, con riferimento diretto alla posizione marginale a cui molti di questi artisti e artiste sono stati relegati dalle politiche culturali del sistema dell’arte italiano. Tuttavia, la mostra considera la “sotterraneità” come una condizione che può essere stimolo e motore della creazione artistica, un indice delle peculiari esperienze storico-biografiche e geo-politiche degli artisti e artiste invitati.

Nelle ricerche degli artisti esposti le topografie dell’arte italiana si espandono e stratificano: arrivano a includere terre d’origine a Sud dell’equatore, si intrecciano alle politiche culturali del Terzomondismo e dei movimenti di decolonizzazione, investono riflessioni sulla condizione di subalternità rispetto a un passato di colonialismo politico e a un presente segnato dalla struttura coloniale del potere, abbracciano preoccupazioni politiche, estetiche e spirituali spesso estranee alle conversazioni dominanti nella società italiana dell’epoca.

Michele D'Aurizio è curatore, critico, e dottorando in storia dell’arte presso la University of California a Berkeley. I suoi studi esplorano la storia sociale dell’arte moderna e contemporanea in Italia e nel mondo; la storia dell’architettura moderna, del disegno industriale, e dell’artigianato; e le tradizioni teoriche del marxismo e della filosofia della tecnologia. Ha studiato al Politecnico di Milano e alla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) a Milano. È stato editor della rivista d’arte contemporanea Flash Art (2014–18) e co-curatore della 16ª Quadriennale d’Arte (2016). È fondatore dello spazio progetto Gasconade a Milano.

 



art week

 

ARTE AGLI ANTIPODI La Collezione Brignoni al Musec di Lugano 

Al Museo delle Culture di Lugano la grande mostra temporanea dedicata alla collezione di capolavori di arte dei Mari del Sud di Serge Brignoni.  

Si è aperta al Museo delle Culture di Lugano la grande mostra temporanea dedicata alla collezione di capolavori di arte dei Mari del Sud di Serge Brignoni. A 120 anni dalla nascita dell’artista surrealista e collezionista svizzero, il MUSEC celebra la passione e la visionarietà di colui che, donando alla Città di Lugano oltre 650 opere di assoluto livello mondiale, portò a metà degli anni ‘80 alla nascita del Museo delle Culture.Si è aperta al Museo delle Culture di Lugano la grande mostra temporanea dedicata alla collezione di capolavori di arte dei Mari del Sud di Serge Brignoni. A 120 anni dalla nascita dell’artista surrealista e collezionista svizzero, il MUSEC celebra la passione e la visionarietà di colui che, donando alla Città di Lugano oltre 650 opere di assoluto livello mondiale, portò a metà degli anni ‘80 alla nascita del Museo delle Culture.

ARTE AGLI ANTIPODI è la prima grande mostra che il MUSEC dedica interamente alla Collezione Brignoni nella nuova sede di Villa Malpensata. L’esposizione è un ulteriore tassello del lavoro condotto dal 2005, inizio della fase di rilancio del MUSEC, per realizzare pienamente il sogno di Brignoni all’origine della decisione di donare la sua collezione. L’intenzione di Brignoni era quella di far comprendere alle generazioni future quanto la scoperta delle arte etniche avesse trasformato per sempre i linguaggi delle Avanguardie, e come le opere che aveva collezionato con passione per oltre sessant’anni fossero delle fonti illustri per comprendere le trasformazioni dell’arte del ‘900.

Curata da Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC, l’esposizione temporanea racchiude 73 capolavori dal Sud-Est asiatico e dall’Oceania, tra cui piccole e grandi sculture, maschere, scudi, elementi architettonici che rappresentano l’eccellenza di ciascun genere e di ciascun stile. Oltre a presentare alcune opere mai esposte nella sede originaria del Museo (l’Heleneum), per la prima volta la mostra riunisce opere donate alla Città di Lugano nel 1985 a sculture del piccolo nucleo che Brignoni aveva destinato al Kunstmuseum di Berna il quale, a sua volta, lo ha ceduto al MUSEC nel 2018.

L’originalità del percorso, che si snoda nelle 13 sale dello Spazio Mostre, sui due piani nobili di Villa Malpensata, sta nell’attenzione rivolta allo “sguardo surrealista” che guidò l’artista svizzero nella costituzione della sua collezione. Serge Brignoni (1903-2002) apparteneva infatti alla generazione di artisti europei delle Avanguardie che, tra le due guerre, scelsero di vivere a Parigi. Lì condivisero il desiderio di oltrepassare definitivamente i confini del realismo dell’arte occidentale e nella loro ricerca di nuove soluzioni estetiche finirono per “innamorarsi” di opere d’arte venute da lontano. Gli artisti le scoprirono dapprima nei musei etnografici ma presto iniziarono a ricercarle ardentemente, acquistandole da mercanti e antiquari delle grandi città europee e scambiandosele tra loro. Erano spinti dal desiderio di circondarsi di oggetti misteriosi e un po’ magici, in grado di accendere e stimolare la loro personale e fervente creatività. Una creatività che avrebbe mutato profondamente l’arte di tutto il Novecento, ben oltre la cerchia dei movimenti avanguardistici.

Lo stesso Brignoni amava ricordare che il suo primo incontro fatale con l’arte etnica avvenne all’età di otto anni, nelle sale del Museo storico di Berna, la città dove la famiglia si era trasferita dal Ticino. Il maestro aveva accompagnato la classe a vedere gli Indiani d’America, ma il piccolo Sergio era stato rapito dalle proporzioni inusuali e dalla prorompente carica espressiva di alcune sculture dell’Oceania che intravide in quelle sale. La mostra si apre proprio con una rievocazione dello spazio museale in cui ebbe luogo l’incontro di Brignoni con l’arte etnica, da cui tutto ebbe inizio.Nelle sale successive, le opere sono raggruppate secondo la loro provenienza geografica e culturale: Nuova Irlanda, Nuova Guinea, Borneo, Golfo di Papuasia, Nuova Caledonia, Sulawesi, Nagaland, Bali. Ma il filo conduttore del percorso espositivo resta la relazione interiore di Brignoni con l’arte etnica: i pensieri, le emozioni e i mondi interiori generati dal rapporto tra l’artista-collezionista e le sue opere.3Una relazione all’arte etnica, quella di Brignoni, che si inserisce in una più vasta interpretazione surrealista del ruolo della creatività. Questa visione è esplicitata in una delle prime sale dalla grande riproduzione della mappa del “Mondo al tempo dei surrealisti”. Pubblicata in origine nel 1929 su una rivista belga, la mappa restituisce la dimensione delle varie aree del mondo sulla base del tasso di “surrealtà” dell’arte dei popoli che le abitano. E allora, ecco come la Nuova Irlanda, la Nuova Guinea, il Borneo e le Isole del Pacifico sono rappresentate deformate e ingigantite, perché tanta è la potenza della loro arte nell’esprimere l’estasi, il sogno, l’allucinazione, l’ibridazione delle forme care al Surrealismo e a un artista come Brignoni.

L’allestimento immerge le opere nell’atmosfera delle avanguardie parigine di inizio ‘900. I colori delle sale via via manifestano una gamma cromatica vivace e sorprendente, liberamente ispirata alle opere pittoriche di Brignoni e di altri esponenti del Surrealismo. Il visitatore è accompagnato durante la visita dalle note delicate della “Gymnopédie n. 1” di Erik Satie (1866-1925), il compositore e pianista che partecipò attivamente al fermento creativo delle avanguardie artistiche nella Parigi dei primi due decenni del ‘900, collaborando tra gli altri con Pablo Picasso, Juan Picabia e Jean Cocteau.

ETHNOMANIA

In occasione di ARTE AGLI ANTIPODI, il MUSEC proporrà ETHNOMANIA, un programma di incontri, degustazioni e atelier ispirati alle culture del Sud-Est asiatico e dell’Oceania. I diversi appuntamenti saranno comunicati sul sito del Museo: www.musec.ch

 



art week

 

Maurizio Cattelan La rivoluzione siamo noi DET

 

"Reaching for the Stars" testo a catalogo del direttore e curatore Arturo Galansino 

"Questo viaggio sarà lungo. Non resta che allacciarsi le cinture e partire per raggiungere le stelle"... "Reaching for the Stars", la collezione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo in mostra a Palazzo Strozzi, visibile dal 3 marzo al 18  giugno.

Reaching for the Stars è un viaggio intergalattico nel cosmo dell’arte, un itinerario lungo e articolato, attraverso fenomeni e figure chiave del contemporaneo: le stelle che ci indicano il cammino. E proprio una stella è il simbolo della collezione formata da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo di cui questa mostra celebra il trentennale, dalle prime acquisizioni nella Londra ruggente di inizio anni Novanta fino alle ultime commissioni agli artisti emergenti degli anni Venti del nuovo millennio. 

32DS 09135ElaBialkowskaOKNOstudio

Copyright ElaBialkowskaOKNOstudio.

 Palazzo Strozzi, con la sua storia secolare legata al mecenatismo e al collezionismo, è sicuramente il luogo ideale per festeggiare questo importante anniversario. Già nella Firenze del Quattrocento si cercavano le risposte alle proprie domande nello spazio infinito, indagando l’influenza sia delle “stelle fisse” che di quelle “erranti” sulla vita degli uomini: lo stesso Filippo Strozzi si affidò agli astri prima di avventurarsi nella costruzione del suo imponente palazzo. Seguendo le teorie degli antichi Romani, che pensavano fosse Mercurio a influenzare la creatività degli artisti, l’incisore fiorentino Baccio Baldini eseguì a bulino la serie dei Sette pianeti (1460 circa), raffigurando i Nati sotto Mercurio mentre dipingono, scolpiscono, cesellano, compongono musica, filosofeggiano, si interessano alle scienze, all’astronomia, all’astrologia, alla matematica: una varietà di attività, ricerche e interessi che appare perfettamente in linea con l’approccio multidisciplinare di questa poliedrica esposizione. Per il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino, nel suo De triplici vita (1489), gli artisti erano invece “nati sotto Saturno” e venivano da lui descritti come lunatici, ribelli, licenziosi, stravaganti e soprattutto «melanconici»: una rappresentazione che avrà, secoli più tardi, il suo corrispettivo nel moderno mito dell’artista maudit.

Seppur le opere esposte a Palazzo Strozzi, a occupare le sale del Piano Nobile, gli spazi sotterranei della Strozzina e il cortile, rappresentino una parte infinitesimale della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, questa selezione vuol rendere conto della varietà e ricchezza della raccolta torinese, attraverso temi e raggruppamenti inediti in grado di fornire al visitatore uno sguardo sulla produzione artistica internazionale degli ultimi decenni: una galassia all’interno della quale brillano gli astri più luminosi della collezione. Queste stelle dell’arte provengono da tutti i continenti, sono originarie di numerose nazioni, testimoniano linguaggi diversi, hanno affrontato nella vita esperienze antitetiche: così, se Hans-Peter Feldmann, il più anziano degli artisti qui esposti, appartiene alla generazione che ancora ha subito i drammi della Seconda guerra mondiale, Giulia Cenci, la più giovane del gruppo, è una millennial.

 02DS 08522photoElaBialkowskaOKNOstudio

Photo ElaBialkowskaOKNOstudio. 

La mostra comincia con l’imponente razzo di Goshka Macuga, posizionato nel cortile, che punta letteralmente alle stelle e sembra in attesa di venir lanciato. Evocando la speranza di salvezza del genere umano in altri mondi, Macuga vuole portarci verso nuovi pianeti, incoraggiandoci a guardare il cielo, a dirigere le nostre aspirazioni verso un orizzonte più ampio. Il razzo è però ancorato al terreno, senza motore, in un’ambigua staticità, mentre impazzano progetti privati di viaggi spaziali ed esplorazioni del cosmo elaborati da megalomani desiderosi di creare un nuovo ed elitario “turismo spaziale”, incuranti nello stesso tempo degli effetti dell’inquinamento e degli sprechi economici ed energetici sulla parte più povera della popolazione mondiale.

Si può immaginare di salire a bordo del missile per dirigersi verso il remoto angolo dell’universo disseminato di stelle luminosissime fotografato da Thomas Ruff, attraversare campi magnetici balenanti di colori come le pennellate di Albert Oehlen e le aurore spaziali di Greifbar 48 di Wolfgang Tillmans, imbattersi nelle creature ancestrali di Thomas Schütte, nei replicanti ibridi di Avery Singer, negli incroci zoomorfi di Paola Pivi e ritrovarsi a viaggiare nel tempo, fino alle archeologie post-apocalittiche di Marc Manders e alla vanitas di rovine erose e catalizzate dal tempo di Adrián Villar Rojas. Il razzo di Macuga ci parla anche del nostro momento storico e della caducità della condizione umana al tempo dell’onda lunga post-pandemica, con i cambiamenti provocati e le incertezze lasciate, in uno scenario inquietante di disastri ambientali che stanno mettendo in dubbio la possibilità per gli esseri umani di continuare a vivere sulla Terra. Anche le opere di Damien Hirst) alludono alla nostra fragilità, con l’illusoria immortalità ricercata attraverso i processi di imbalsamazione o attraverso le fredde teche disertate dalla presenza umana. Le sigarette, presenti spesso nei suoi lavori sono una breve esplosione di piacere che porta alla morte, «la corruzione assoluta della vita». Evoca la precaria condizione umana anche Viral Research di Charles Ray, tavolo di laboratorio predisposto per una lezione sul fenomeno dei vasi comunicanti ed espressione figurata della società, dove i vasi di vetro, diversi per forma e dimensione e collegati da tubi in cui scorre un inchiostro nero e denso, veicolano sensazioni di “contaminazione” suscitate dalla minacciosa sostanza vischiosa abbinata alla fragilità del vetro.

Anche Maurizio Cattelan, indefesso provocatore e protagonista dello star system dell’arte, gioca sul tema del memento mori con Bidibidobidiboo, la scena surreale di uno scoiattolo appena suicidatosi, che rovescia il rassicurante immaginario disneyano in una totale perdita di speranza. Un’opera che trasuda amara ironia e, come tutte quelle dell’artista, aperta alle più varie e personali interpretazioni. Spiazzante è anche La rivoluzione siamo noi, autoritratto iperrealista dello stesso Cattelan, che ci guarda attraverso gli occhi del suo pupazzo-caricatura, appeso a un appendiabito modernista e vestito di un abito di feltro, attributo tipico dello “sciamano” Joseph Beuys, figura iconica degli anni Settanta ed evocato pure dal titolo. Un autoritratto è anche quello di Pawel Althamer che ha usato cera, grasso, capelli e intestino animale per affrontare un soggetto centrale nel suo lavoro.

L’artista, che si è invec chiato e imbruttito, si offre nudo allo sguardo del pubblico per osservarsi dall’esterno e indagare il tema dell’alienazione e della solitudine. Drammaticamente ironico è Lullaby, opera ancora di Cattelan, sacco che raccoglie macerie dell’attentato mafioso del luglio 1993 al PAC di Milano, costato la vita a cinque persone. Altri temi di dolorosa attualità sono trattati da Josh Kline con le sue sculture iperrealistiche che alludono al dramma della disoccupazione, di chi è stato respinto dalla società: i due lavoratori, chiusi in un sacco di plastica e pronti per essere gettati nell’immondizia, prefigurano un futuro distopico in cui si assisterà alla cancellazione della dignità delle persone, “forza lavoro” eliminata e sostituita da macchinari e dall’intelligenza artificiale.

 shirirn

Shirin Neshat, (Qazvin, IR, 1957, vive e lavora a New York), Faceless from Women of Allah Series, 1994 stampa fotografica, inchiostro; cm 149 x 107 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. 

Temi sociali, in particolare legati alla condizione della donna, sono affrontati da alcune star della “Pictures Generation”, come Cindy Sherman, Barbara Kruger, Sherrie Levine, e da diverse female artists appartenenti a diverse generazioni. La serie di Sherman Untitled Film Stills, che ha dato inizio alla pratica performativa e concettuale in ambito fotografico, riflette in particolare su tematiche quali la rappresentazione e l’identità, essendo le fotografie ricostruzioni fittizie di scene cinematografiche che ci sembra di riconoscere come reali, perché ispirate a immaginari e sguardi ormai introiettati attraverso i media. 

Se Sherman trasforma la propria persona assumendo fattezze sempre diverse e atteggiamenti contrastanti, Vanessa Beecroft pone al centro del suo lavoro la rappresentazione del corpo femminile, in una sperimentazione continua tra performance – che attingono, oltre che all’attualità sociopolitica, alla storia dell’arte con citazioni di opere del passato – e la pratica disegnativa, come attesta il Disegno qui esposto. Il laconico titolo indica il punto di partenza del modus operandi dell’artista, che nella figura anoressica pone l’accento sul tema del rifiuto del proprio corpo.

Sherman ha influenzato direttamente Sarah Lucas, Young British Artist della prim’ora che con due opere in mostra, Love Me e Nice Tits, si oppone all’immagine della donna oggetto secondo i tradizionali stereotipi maschili. Love Me gioca in modo ambivalente: sulla parte inferiore di un corpo femminile, seduto con le gambe aperte in una posa invitante, è sovrapposto un collage composto da immagini di occhi e bocche, che alludono all’intercambiabilità tra «bocche e orifizi sessuali, sguardo e atto sessuale», in bilico «tra fisicità e simbolismo». Fa pensare, invece, a un’era preistorica la Femme sans tête di Berlinde De Bruyckere, in cui un corpo femminile brutalmente mutilato viene messo “in vetrina”, in una oggettivazione di dolore, paura, lacerazione e vulnerabilità: emozioni che toccano soprattutto le donne, maggiormente vittime di violenza. 

sherman

Cindy Sherman, (Glenn Ridge, USA, 1954, vive e lavora a New York), Untitled Film Still #24, 1978, stampa fotografica; cm 20 x 25,5, Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Sebastiano Pellion di Persano. 

In opposizione a ogni corporeità prorompente, Fiona Tan offre col suo raffinatissimo video Saint Sebastian uno sguardo su una femminilità eterea e insieme carica di tensione: le due facce dello schermo presentano visioni antitetiche della cerimonia di iniziazione del Toshiya, ambedue giocate sull’eleganza degli abiti, delle acconciature e dei gesti, ma in cui l’intimità composta di un lato si fronteggia con l’energia fremente dell’altro. Il riferimento nel titolo al santo martirizzato dalle frecce vuole congiungere cristianesimo occidentale e filosofia buddhista, mentre la gara di tiro con l’arco rappresentata nell’opera mostra la spiritualità zen di questa pratica tradizionale, che prevede «l’arte del respirare, tendere l’arco, rimanere in tensione, scoccare» (come afferma Eugen Herrigel in Lo Zen e il tiro con l’arco, Milano, 1975). L’ampia rassegna di videoinstallazioni comprende anche un lavoro dell’artista di origine iraniana Shirin Neshat, che ci parla della condizione delle donne sotto una teocrazia dittatoriale e il loro ambiguo essere state allo stesso tempo protagoniste e vittime della rivoluzione khomeinista, e un video dell’egiziano Wael Shawky, che rilegge le Crociate da un’ottica musulmana, trasformando la narrazione in uno spettacolo musicale di marionette grottesche.

Anche Andra Ursuţa indaga e den uncia gli stereotipi culturali e razziali con la sua straniante scultura, che critica le discriminazioni subite dalla popolazione rom, mentre Lynette Yiadom-Boakye, figlia della diaspora africana in Inghilterra, rilegge il genere tradizionale del ritratto attraverso personaggi di colore fittizi, per sottolineare l’esclusione dei neri dall’immaginario storico-artistico. Questioni e soprusi razziali sono denunciati anche dal «carbone animato» di William Kentridge sulla segregazione in Sudafrica. 

lynette

Lynette Yiadom-Boakye, (Londra, UK, 1977, dove vive e lavora), Switcher, 2013, olio su tela; cm 150 x 140, Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. 

Una domanda di fondo sottende una mostra su una delle più importanti raccolte europee di arte contemporanea: come fa un collezionista a puntare alle stelle? La storia di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo può essere d’ispirazione per cercare, nei cieli dell’arte, una risposta a questo impossibile interrogativo. Una grande collezione si forma grazie a una irrefrenabile passione, seguendo le proprie intuizioni, spinti da una pantagruelica curiosità, oltre che, ovviamente, dalla propria cultura e dal proprio gusto. Una collezione è fatta di scoperte e anticipazioni, ma è anche frutto di errori, occasioni mancate e può comprendere qualche assenza ingombrante. L’universo dell’arte è infinito e ogni velleità di completezza resterà disattesa anche dal più instancabile esploratore spaziale; importante è che sia chiara la rotta e che il radar funzioni bene.

Questo viaggio sarà lungo. Non resta che allacciarsi le cinture e partire per raggiungere le stelle. 

 

Arturo Galansino

 

 



art week

©Francesca Piovesan - Courtesy Fulvio Morella, Gaggenau e Cramum; (Lelièvre Paris per le opere tessili)

 

"Romanitas" A Roma dal braille alle stelle 

Romanitas è il primo appuntamento del progetto artistico e culturale “Scripta?” concepito da Sabino Maria Frassà per Gaggenau e CRAMUM: un ciclo di quattro mostre che indagano il legame tra scrittura, arte e materia. 

Dopo l'Istituto dei Ciechi Museo Braille di Milano "l’arte tra le dita" di Fulvio Morella arriva al Gaggenau DesignElementi di Roma con la mostra Romanitas in occasione della XVI Giornata nazionale del braille (21 febbraio 2023). Curata da Sabino Maria Frassà, l'esposizione rimarrà aperta fino al 31 luglio e ospiterà, oltre ai noti quadri scultura del ciclo Blind Wood, le inedite opere tessili dell'artista che ha trasformato il braille in arte.

Romanitas è il primo appuntamento del progetto artistico e culturale “Scripta?” concepito da Sabino Maria Frassà per Gaggenau e CRAMUM: un ciclo di quattro mostre che indagano il legame tra scrittura, arte e materia. Le opere tessili di Fulvio Morella sono realizzate su tessuti donati da Lelièvre Paris, partner della mostra insieme a DesignElementi.

Lo spazio romano di Gaggenau "diventa ancora una volta un luogo di esperienze condivise di bellezza, per ritrovare una comunicazione più autentica con sé stessi e con gli altri attraverso l’arte,” commenta Sabino Maria Frassà, curatore della mostra. “Quello che resterà sarà un’esperienza sul doppio piano, visivo e percettivo, attraverso il connubio tra segni, immagini e materiali preziosi, tra vista e tatto”. Uno spirito alla base della ricerca artistica di Fulvio Morella, che integra la percezione visiva dell’opera d’arte con gli altri sensi, principalmente il tatto, e che proprio attraverso l’atto di tornire il legno, eliminando gli strati più superficiali, indaga l’essenza della realtà.

Fulvio Morella ha concepito la mostra Romanitas come un progetto di ricerca quasi ontologico. Il fine è riflettere sul futuro, fondendo in modo pluridisciplinare e multisensoriale la visionaria e profetica filosofia di Friedrich Nietzsche con il valore emblematico dell’Antica Roma. Nelle inedite opere tessili, come in quelle in  legno e braille, la Città Eterna diventa metafora dell’esistenza umana in bilico tra gravitas e vanitas, che sempre ritornano. Tutto si ripete e la nostra libertà consiste, secondo Fulvio Morella, proprio nel comprendere "tale eterno ritorno".

Non a caso l'artista sceglie l'oro e il colore porpora del legno amaranto per evocare la forte dimensione spirituale, emotiva ed empatica di queste nuove opere. Non solo, Morella menziona esplicitamente il filosofo tedesco Nietzsche in diverse opere scegliendo come immagine simbolo della mostra la clessidra. Sulla Clessidra in legno così come sulla grande opera "Sipario di stelle", realizzata su un tessuto donato da Lelièvre Paris, l'artista riporta la massima di Nietzsche: "L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!".

 

morella stelle 2

 

Queste nuove "rivoluzionarie" opere tessili di Morella sono l'altro elemento distintivo del percorso espositivo Romanitas. Lo spettatore non si trova così di fronte o sotto le dita "solamente" una scritta in braille, tipica dei lavori precedenti, bensì un insieme di stelle ricamate. Ogni stella sostituisce un punto dell'alfabeto braille; le frasi vanno perciò a costituire sui tessuti Lelièvre Paris quasi una costellazione. Come spiega il curatore Frassà “Attraverso queste opere Fulvio Morella dà forma compiuta a un’evoluzione quasi futurista del braille, ricca di significati e suggestioni. L'artista ci fa vedere le stelle: non più soltanto su legno ma anche su tessuto siamo spinti a scoprire in un cielo stellato nascosti e seducenti messaggi in braille”.

La memoria e il rapporto tra passato e futuro, tra rovina e rinascita sono elementi trasversali a tutte le opere in mostra “Romanitas”. Non c’è alcuna nostalgia nei confronti di un glorioso passato, bensì la consapevolezza che, prima o poi, il passato tornerà. Del resto, cosa ha reso “eterna” Roma se non la capacità di valorizzare il genio umano in tutte le sue forme? Le opere in mostra permettono così di tratteggiare un ideale percorso fatto di simboli: dopo il Pantheon e il Mausoleo di Augusto, in mostra per la prima volta un’opera che reinterpreta l’Anfiteatro Flavio, ma anche immagini archetipiche come quella della clessidra che rimanda al fluire ininterrotto del tempo e che in forme e materiali diversi sarà presente sia in apertura che a chiusura della mostra.

Se le armoniche forme geometriche rimangono la cifra caratteristica dell’artista, è sempre più forte nella sua produzione la dimensione concettuale: Morella intende coinvolgere in modo attivo lo spettatore. La tornitura del legno è così integrata all’esperienza tattile del braille, fino a diventare il punto di partenza per sperimentare insieme al pubblico nuove prospettive e visioni sul futuro: la vera sfida che l’artista ci propone è proprio quella di non fermarci alla superficie delle opere, abbracciando un’esperienza multisensoriale che permetta di scoprire cosa si cela “oltre al sipario”... dal braille alle stelle.

Fulvio Morella dal 2018 porta avanti il Progetto Blind Wood con cui ha introdotto la scrittura in braille all’interno della sua ricerca artistica. L'artista impiega il braille da un lato come elemento decorativo e, dall’altro, come chiave per comprendere e interpretare la forma delle opere, che, a prima vista astratte, rileggono in chiave contemporanea monumenti, luoghi storici e simboli di un’antichità oggi ancora viva come antichi teatri (Ferentino, Tuscolo e Ostia) e maschere della commedia romana.

Nella mostra romana l'artista ha spinto la sua ricerca oltre, trasformando l'alfabeto braille in costellazioni di stelle, non solo ricamate, ma anche protagoniste della prima opera NFT di Morella intitolata ROMANITAS NFT. Infine nella giornata del Braille - 21 febbraio - 21 persone sono state selezionate e invitate a prendere parte alla performance "ROMANITAS": guidati dall'artista, dopo esser stati bendati, i partecipanti sono stati invitati a superare il "Sipario di stelle" per vedere con le mani le opere e riflettere insieme sulle emozioni e i ricordi suscitati da tale esperienza.

 

"Romanitas"

mostra personale di Fulvio Morella a cura di Sabino Maria Frassà

Dal 21 febbraio al 31 luglio 2023

lunedì-venerdì ore 10:30 - 13:00 / 15:30 - 19:00

Gaggenau DesignElementi

Lungotevere de’ Cenci 4, Roma

Visite aperte al pubblico solo su appuntamento previo contatto e-mail o telefonico.

E-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

T. +39 06 39743229, +39 371 1733120

 

 



art week

Roberto Ghezzi, installazione Naturografia© lago Trasimeno, 2022. Ph. Mara Predicatori

 

L'IMPRONTA DELL'ACQUA. Il Trasimeno tra arte e scienza nell'opera di Roberto Ghezzi 

Protagoniste del progetto sono le Naturografie© di Roberto Ghezzi, opere inedite che riescono a creare un ponte tra arte e scienza.

L’impronta dell’acqua, mostra personale dell’artista Roberto Ghezzi a cura di Mara Predicatori, diffusa in sei diversi spazi di altrettanti comuni umbri, dal 18 febbraio al 16 aprile 2023.

L’impronta dell’acqua è un progetto culturale promosso da Arpa Umbria in collaborazione con Roberto Ghezzi e Mara Predicatori, con il sostegno della Fondazione Perugia, in partnership con l’Unione dei Comuni del Trasimeno, i Comuni di Castiglione del Lago, Corciano, Magione, Panicale, Passignano sul Trasimeno, Tuoro sul Trasimeno e le associazioni Laboratorio del Cittadino e Faro Trasimeno e che ha visto, ai fini della disseminazione, anche la partecipazione di alcune classi delle scuole del territorio e la collaborazione dell’Accademia di Belle Arti di Perugia. L’impronta dell’acqua ha l’obiettivo di introdurre nuove forme di progettazione, nuove modalità di produzione scientifica e artistica, nuovi linguaggi liberi e innovativi per parlare del lago Trasimeno. Una mostra e un progetto complesso che intendono restituire una riflessione sulla rappresentazione paesaggistica e delle sue componenti biologiche e naturali attraverso la sinergia tra la pratica dell’artista, lo studio scientifico-biologico dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente - Arpa Umbria - e la rilettura dell’azione in chiave artistica delle pratiche di produzione e rappresentazioni di Roberto Ghezzi.

Protagoniste del progetto sono le Naturografie© di Roberto Ghezzi, opere inedite che riescono a creare un ponte tra arte e scienza. Si tratta di tele create secondo un processo studiato dall’artista affinché sia la natura stessa a lasciare traccia di sé su supporti collocati nell’ambiente naturale per lunghi periodi. Grazie a questa prassi, Ghezzi è in grado di restituire al pubblico opere di grande fascinazione estetica, ma anche capaci di fungere da matrici di raccolta degli organismi tipici dell’ambiente naturale. Roberto Ghezzi da anni mappa territori e paesaggi. In due decenni Ghezzi ha realizzato installazioni e ricerche in molti luoghi nazionali e internazionali, legando il suo lavoro a studi sull’ecosistema e sulla biologia in parchi e riserve naturali di tutti i continenti (Alaska, Islanda, Sud Africa, Tunisia, Norvegia, Patagonia, Croazia). In Italia ha realizzato numerosi progetti di ricerca in ogni regione e tipologia di ambiente (Toscana, Emilia Romagna, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Umbria).

Le fasi del progetto: Il progetto ha visto in prima battuta la realizzazione delle opere. Nei mesi di agosto/ottobre-dicembre, intrecciando istanze di ricerca di Arpa e di tipo artistico e pratico, secondo la propria metodologia di lavoro, Roberto Ghezzi ha installato tessuti pretrattati in 4 diversi habitat dell’isola Polvese e altre tele presso la costa di Castiglione del Lago. Una volta che la natura ha compiuto il suo corso e l’artista ha deciso che il processo di formazione delle tele era compiuto, sono state ritirate e si è avviata una fase di studio ecologico e biologico al microscopio da parte di Arpa e una fase di trasformazione dei tessuti in opere adatte per le 6 mostre che si apriranno nel mese di febbraio/aprile 2023.

Da un punto di vista scientifico, l’impronta che la natura ha lasciato su queste tele ha permesso una analisi ecologica da parte di Arpa Umbria, che restituisce una lettura delle peculiarità ambientali ed ecologiche del lago Trasimeno. L’analisi ecologica ha permesso di evidenziare le caratteristiche uniche e particolari del lago e dei suoi abitanti, di evidenziare come l’unicum sia formato da più ambienti ognuno contraddistinto da specifici segni distintivi: la presenza o l’assenza di una specie vegetale o animale, l’insistenza di una architettura o la duttilità di un corso d’acqua, il ruolo dell’essere umano nella tutela o nella distruzione di un ambiente protetto. Lo studio biologico ha esaminato più da vicino le componenti animali, vegetali e minerali che hanno accolto per diversi giorni le tele dell’artista, accettandole nel proprio evolversi, assumendole come parte integrante del proprio divenire. Sulle tele infatti gli insetti si sono riprodotti, le piante hanno trovato supporto per crescere, gli animali matrice per la propria alimentazione. La restituzione di questa integrazione è rappresentata dalle numerose sfumature di colore: ogni organismo ha dipinto la tela con colori brillanti o tenui, secondo il suo essere o il tempo del suo passaggio o del suo permanere. Acqua, aria e terra hanno poi dato il loro contributo spostando, trasportando, rimuovendo, permanendo.

Da un punto di vista artistico, Ghezzi, pur ancorandosi da un punto di vista scientifico agli specifici habitat in cui interviene e dunque operando secondo una logica site-specific, di fatto porta avanti una ricerca sul linguaggio artistico in sé e più nello specifico una rilettura contemporanea del genere paesaggistico. Come spiega la storica dell’arte e curatrice Mara Predicatori, l’opera di Ghezzi si inquadra nella millenaria riflessione sulla rappresentazione del reale e sulla trasfigurazione che porta con sé. Le tele sono infatti mimetiche rispetto alla realtà che raffigurano (è la natura stessa che lascia la propria materia sulla tela) ma allo stesso tempo, l’immagine non è giammai realistica rispetto al reale ma ne è un rimando simbolico. Nella alchemica collaborazione tra artista e natura risiede il mistero di queste opere, più paesaggio dei paesaggi, eppure di matrice astratta-informale. Un ritorno alla pittura (la logica dei colori, delle trame, la ricerca sul limite tra visibile e non) che tuttavia si innesta sulla pratica performativa, il lavoro site-specific e che nel contrasto tra metodo applicato e arbitrio della scelta creativa sembra eludere il dualismo tra positivismo-romanticismo portando a una terza via di sconfinamento. Nuovi “paesaggi contemporanei” che, a distanza di circa 500-600 anni dalle raffigurazioni in bilico tra paesaggio reale e immaginario del Trasimeno compiute da Beato Angelico (si ricordi la prima raffigurazione del lago nel 1430 nell’Annunciazione presso il Museo Diocesano di Cortona), Perugino e Raffaello, portano a indagare il divenire dell’arte e le plurime matrici linguistiche per farlo.

Nel mese di febbraio si apriranno le mostre che restituiranno al pubblico i risultati della sperimentazione. Nello specifico, il primo appuntamento è a Castiglione del Lago presso il Palazzo della Corgna di Castiglione del Lago, dove sarà possibile visionare le Naturografie©prodotte in ciascun habitat, installazioni frutto della combinazione di elementi di prelievo e una serie di disegni e rielaborazioni artistiche dei foto ingrandimenti delle immagini realizzate al microscopio prodotti da Arpa Umbria. La mostra, nata come restituzione artistico-poetica e non didascalica, conserverà l’impianto scientifico ed educativo nei rimandi esplicativi presenti tramite QR in mostra e dunque nel sito web dedicato.

I risultati del progetto saranno restituiti attraverso una mostra diffusa. Presso Palazzo della Corgna di Castiglione Del Lago vi sarà una esposizione principale con una restituzione di tutte le Naturografie© e opere riferite ai vari habitat campionati.

In altri cinque comuni del comprensorio del Trasimeno (Corciano, Magione, Panicale, Passignano sul Trasimeno, Tuoro sul Trasimeno), saranno visibili invece dei trittici dell'autore, appositamente pensati, che forniranno chiavi di lettura plurime al lavoro grazie alla natura eterogenea degli spazi ospitanti che offrono agganci diversi alla ricerca.  La restituzione, infatti, pur affrontando l'ambiente lago che fa da legante, di fatto fornirà in modo latente un'esperienza estetico/conoscitiva che rifletterà input diversificati e impressioni di tipo multidisciplinare che nascono dal confronto con la storia e altre opere contemporanee (Centro Informazioni presso il Parco Campo del Sole, Tuoro), la ricerca stratigrafica e le testimonianze del territorio (Museo Antiquarium di Corciano), il rapporto con le pratiche del lavoro (Museo della Pesca di San Feliciano), con la rappresentazione della natura nell’opera storica di Perugino (Chiesa di San Sebastiano di Panicale), con la dimensione documentale anche del lavoro artistico (sala comunale di Passignano) a testimonianza ancora una volta del forte legame che unisce l’arte e la scienza.