Mostre

 



art week

 Credits: © Matilde Sambo. Courtesy: l'artista e aA29 Project Room

 

 

MATILDE SAMBO "DORMIVEGLIA" in collaborazione con aA29 Project Room

 

Una mostra che fonde reale e immaginario collettivo, esplorando la complessa relazione tra mondo naturale ed essere umano. 

Con DORMIVEGLIA, la mostra personale di Matilde Sambo (Venezia, 1993) a cura di Yuliya Say, realizzata in collaborazione con aA29 Project Room, l’Associazione Barriera di Torino presenta, dal 7 al 31 luglio 2022, una serie di opere inedite capaci di fondere reale e immaginario collettivo.

L’artista utilizza lo spazio torinese per modulare, con elementi visivi e tattili, la creazione di un ambiente in cui forme apparentemente sconosciute e archetipi convivono, portando lo spettatore nell’evanescente regno del dormiveglia. Con un riferimento già nel titolo della mostra a un limbo fra sonno e sogno, l’artista articola una riflessione sugli attimi di sopore in cui il corpo risulta ancora vigile ma la mente è libera di fantasticare.

Attraverso una ricerca intima, corporea e incorporea, Matilde Sambo esplora la complessa relazione tra mondo naturale ed essere umano, facendo riferimento a narrazioni e studi “ancestrali” e ricercando la visione di un universo interconnesso che riemerge nel presente.

I lavori dell’artista permettono al visitatore di vivere un viaggio attraverso un immaginario arcaico, universale e senza tempo, sculture in argilla cruda, terracotta, tufo, pietra vulcanica, cera e bronzo, da cui l’artista desidera far riemergere forme e pensieri del subconscio.

Con DORMIVEGLIA, lo spazio espositivo viene abitato da creature mutevoli, animali protettori, segni, impronte e rilievi, provenienti da un ricordo comune, interpretato grazie a parole ricamate su drappi e tessuti, versi poetici che si disvelano poco a poco e accompagnano le sculture, gene-rando delle nuove relazioni.

La mostra traccia un percorso che è un continuo ritorno all’origine, una riflessione sul tema dell’evoluzione, in cui l’artista abbandona il concetto di Homo Faber per prendere coscienza dell’Homo Ludens, che interpreta il mondo attraverso il gioco, le forme, il colore, la bellezza.

Dal 7 luglio al 31 luglio 2022

INAUGURAZIONE | giovedì 7 luglio 2022, dalle ore 17 alle ore 22

 



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Roberto Ghezzi, THE GREENLAND PROJECT, 2022. Courtesy the artist

 

Roberto Ghezzi in Groenlandia per un nuovo progetto

 

Un progetto dell’artista Roberto Ghezzi a cura di Mara Predicatori.

Il paesaggio naturale è da sempre il campo di ricerca artistico di Roberto Ghezzi. Dapprima indagato attraverso la pura pittura, negli ultimi anni l’artista toscano,affascinato dagli ambienti e dalle loro specifiche peculiarità, inizia ad operare sempre più immergendosi in essi e tentando di restituirne le specificità e l’essenza. Nascono così agli inizi del Duemila le Naturografie, tele letteralmente scritte dalla natura che l’artista lascia in terra o acqua e ritira nel momento in cui ritiene i sedimenti qui trasferitesi ne restituiscano in qualche modo il sembiante e il DNA. Si tratta di lavori che richiedono a Ghezzi lunghi tempi di realizzazione e portano l’artista a praticare e vivere l’ambiente naturale per lunghi periodi, sondandone caratteristiche, morfologie e divenendone empiricamente un ottimo conoscitore. A questa ricerca, a matrice pittorico/estetica, si affianca quindi, sempre più, ancheun interesse scientifico tale da indurre l’artista a collaborare sovente con biologi e studiosi ed enti che si occupano di rilevare l’impatto che l’uomo ha sulla natura stessa.

In due decenniGhezzi ha realizzato installazioni e ricerche in molti luoghi nazionali e internazionali, legando il suo lavoro a studi sull’ecosistema e sulla biologiain parchi e riserve naturali di tutti i continenti (Alaska, Islanda, Sud Africa, Tunisia, Norvegia, Patagonia, Croazia). In Italia ha realizzato numerosi progetti di ricerca in ogni regione e tipologia di ambiente (Toscana, Emilia Romagna, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Umbria).

Nel caso dellaGroenlandia, la residenza – della durata di circa un mese presso la Red House di Tasiilaq-sarà funzionale a Ghezzi per tentare di restituire, in chiave artistica, il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai. A tal fine, questa volta, per trascrivere artisticamente su supporto tale fenomeno, Ghezzi ipotizza di usare la cianotipia, una particolare tecnica che prevede l’uso di carte fotosensibilizzate per rilevare il rapido mutamento dello spessore del ghiaccio.  

Da ciò seguirà un interessante dialogo, sia preliminare, che successivo alla spedizione, tra l’artista e i ricercatori dell’Istituto di Scienze Polari del CNR. Artista e studiosi, infatti, intrecciando i reciproci sguardi e approcci, offrirannoinedite chiavi di lettura dei fenomeni naturalicontribuendo alla divulgazione e conoscenza, attraverso questaproficua collaborazione multidisciplinare, di suggestioni e rivelazioni su uno dei più problematici fenomeni naturali della nostra epoca.

The Greenland projectdi Ghezzi sarà incentrato pertanto sull’utilizzo della cianotipia a contatto che non utilizzerà tessuti ma una speciale carta fatta a mano secondo un antico procedimento, per accogliere i segni dello scioglimento del ghiaccio.L’artista, dopo un’accurata analisi dei luoghi più idonei - effettuata preventivamente sulle mappe e successivamente in loco - grazie al supporto di Red House,realizzerà delle cianotipie del ghiaccio in scioglimento nella zona di Tasiilaq sulla costa orientale della Groenlandia.La cianotipia è un’antica tecnica fotografica sviluppata dal fotografo e chimico inglese, John Herschel tra il 1839 e il 1842, che sfrutta la reazione di alcuni sali alla luce ultravioletta. Inserendo la carta fotosensibilizzata mediante sali al di sotto del ghiaccio, in una zona di confine dove il ghiaccio è in scioglimento nel mese di giugno, l’artista otterrà delle istantanee del fenomeno del suddetto cambiamento di stato.

L’obiettivo del progetto è quello di lavorare nello stesso punto per circa 25 giorni, realizzando cianotipie della stessa zona al fine di “fotografare” il fenomeno della liquefazione  e, quindi. dell’arretramento del ghiaccio -giorno per giorno- in un determinato luogo.

In tal modo, l’artista ipotizza di produrre un’immagine emblematica del fenomeno del ghiacciaio in arretramento (e della velocità con cui tale processo avviene), con quell’estetica che connota da anni la sua “pittura di paesaggio”. A tale lavoro,  per completezza e nell’intento di fornire alla ricerca artistica un supporto scientifico secondo la consueta logica che alimentail lavoro di Ghezzi, sarà accompagnato un testo del Dott. Biagio Di Mauro del CNR - ISP sullo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia(ad es. sulla velocità dello stesso, sul cambiamento negli anni del fenomeno,  sulle possibili cause e conseguenze, ecc..).

All’esito della residenza artistica le creazioni e il testo scientifico (se del caso, accompagnato anche da visualizzazioni grafiche), saranno raccontate, pubblicate ed esposte attraverso i social, i media sia digitali che cartacei, la televisione e una mostra finale che raccoglierà tutta l’esperienza.

L'intera residenza artistica di Roberto Ghezzi sarà ad impatto neutrograzie al contributo di Phoresta Onlus che calcolerà e poi compenserà mediante la piantumazione di alberi tutte le emissioni di CO2 del progetto.

 

The Greenland Project Roberto Ghezzi fino al 10 luglio

Progetto e residenza d’artista in Groenlandia

Lo scioglimento dei ghiacci tra arte, scienza e sostenibilità

In collaborazione con Biagio Di Mauro del CNR - ISP (Istituto di Scienze Polari)

Curatela: Mara Predicatori

Logistica: Red House by Robert Peroni

Sponsor tecnico: Cartiere Enrico Magnani Pescia

Collaborazione: Phoresta Onlus

 



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A Belluno la mostra per il centenario di Augusto Murer

 

Un'intensa retrospettiva al Museo Civico di Palazzo Fulcis, a Belluno.

Augusto Murer, schivo protagonista della scultura italiana del Novecento, viene celebrato in una intensa retrospettiva al Museo Civico di Palazzo Fulcis, a Belluno fino al 18 settembre.
La mostra è il momento di punta delle celebrazioni che la Regione del Veneto, la Provincia di Belluno e i Comuni di Belluno e di Falcade (dove ha sede il Museo Murer e dove l’artista è nato il 21 maggio del 1922), con Longarone Fiere, hanno voluto per ricordare un artista che, come evidenzia Elio Armano – che delle celebrazioni per il centenario è il promotore – non fu “solo” un grande scultore ma anche un uomo, e un intellettuale, che si immerse nella storia del suo tempo”.

Murer è noto ai più per i grandi bronzi espressionisti. Dal monumento realizzato nel 1968 a Vittorio Veneto per il cinquantesimo della prima guerra mondiale, alla grande figura in bronzo del 1974 sulla sommità del Grappa, al celebre monumento alla “Partigiana”, realizzato in collaborazione con Carlo Scarpa per essere collocato lungo la Riva che conduce ai Giardini della Biennale. Un pathos, che si ritrova anche in tanti lavori religiosi, come il grande portale della chiesa di Caxias do Sul, dedicato all’epopea degli emigranti veneti in Brasile.

Ma è nel disegno e nello scolpire il legno, materia prima delle sue vallate, facilmente reperibile e poco costosa, che Murer esprime la potente immediatezza della sua arte. Sono in legno le opere dei secondi anni ’40. Con sculture in legno partecipa al Premio Suzzara, tra i più prestigiosi nell’Italia del dopoguerra. È del ’53 l’esordio milanese, sostenuto da Orio Vergani e Renato Birolli, mostra che lo impose sulla scena nazionale.
Da lì un percorso fitto di opere, in legno e in bronzo, di disegni e di frequentazioni. Con Mario Rigoni Stern, per il quale realizza la serie di acqueforti dedicate a “Il Sergente nella Neve”, con Rafael Alberti, che gli dedica la poesia “Augusto Murer scultore 1977, con Andrea Zanzotto.
Viene chiamato a lavorare ed esporre in diversi Paesi tra Europa e Americhe, le sue opere entrano nei musei più importanti. Ma l’epicentro non si sposterà mai dai monti di casa. E qui volle lasciare testimonianza di se, disponendo che il suo Studio, costruito in mezzo ai boschi delle montagne Agordine, diventasse un Museo, centro di arte e di cultura che conserva i suoi bassorilievi, le sue opere scolpite nel legno e quelle fuse in bronzo.
Non a caso, la mostra al Museo Civico di Palazzo Fulcis, curata da Dino Marangon, si sofferma sugli anni ’40 e ’50 dell’artista. Sono quelli del fondamentale incontro con Arturo Martini, anni in cui Murer mette a punto un suo autonomo linguaggio, proprio operando con il disegno e con e sul legno. Si trattò di un rapporto breve, racchiuso nel volgere dell’autunno 1943, “fino a quando il maestro e l’allievo dovettero abbandonare Venezia per seguire strade indicate da opposte ideologie”. A proposito del maestro, Murer non esitò a riconoscere che Martin gli tolse le “cateratte dagli occhi” fornendogli una nuova visione dell’arte.
La vocazione di Murer di misurarsi con i grandi spazi viene sottolineata in mostra dall’esposizione del bozzetto in bronzo della “Partigiana” veneziana e, all’esterno del Museo, da una Maternità del 1971 e dal sensuoso ed essenziale “Torso” femminile” (1985), “dolce e rigoroso insieme”.
“La mostra – anticipa il professor Marangon – offre alcuni capolavori di quel realismo originario che pare essere la cifra più vera dell’arte di Murer, gentilmente messi a disposizione dalla famiglia: opere nelle quali fenomeno e simbolo appaiono così strettamente fusi insieme da impedire ogni facile svolgimento narrativo, costituendo così un continuo interrogativo in grado di superare ogni codice e ogni aspettativa precostituita.
La mostra è accompagnata da un volume edito da Antiga Edizioni. Nell’opera, curata da Dino Marangon, all’introduzione di Carlo Cavalli, conservatore del Museo Civici di Palazzo Fulcis, seguono contributi di Elio Armano, Gianni Berengo Gardin, Dino Bridda, Francesco Jori, Mirko Marzaro, Giuseppe Mendicino, Paola Marini, Tiziana Pagani Cesa, Franco Posocco e Chiara Visentin.

Info: www. mubel.comune.belluno.it

 



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USA, New York,1956, Marilyn Monroe ©Elliott Erwitt

 

SUMMER JAMBOREE e SENIGALLIA CITTÀ DELLA FOTOGRAFIA presentano la mostra fotografica “ICONS” di Elliott Erwitt

 

Oltre settanta gli scatti, tra i più celebri di Elliott Erwitt, che raccontano uno spaccato della storia e del costume del Novecento visto attraverso lo sguardo tipicamente ironico di uno dei più grandi maestri di tutti i tempi.

In occasione del Summer Jamboree 2022, che si terrà a Senigallia dal 30 luglio al 7 agosto, le sale del primo piano di Palazzetto Baviera ospitano dal 30 giugno al 16 settembre la mostra fotografica “ICONS” di Elliott Erwitt. L’esposizione, a cura di Biba Giacchetti, è organizzata da Summer Jamboree in collaborazione con SudEst57.

Oltre settanta gli scatti, tra i più celebri di Elliott Erwitt, che raccontano uno spaccato della storia e del costume del Novecento visto attraverso lo sguardo tipicamente ironico di quello che è considerato uno dei più grandi maestri della fotografia mondiale di tutti i tempi.

Il Summer Jamboree, il Festival Internazionale di musica e cultura dell’America anni ’40 e ’50 più grande d’Europa, che da anni anima la città di Senigallia, torna quest’anno per la sua XXII edizione finalmente al completo, con tutti gli ingredienti per ricreare quella magia festivaliera che lo ha sempre caratterizzato. Ci saranno i grandi concerti ad ingresso gratuito con la partecipazione di artisti nazionali e internazionali in esclusiva, irresistibili record hop, i tanto acclamati dopo festival alla Rotonda a mare e finalmente il ritorno dei balli Swing e il Rock’n’Roll in grandi spazi allestiti per l’occasione.

Dal 30 giugno un grande evento espositivo anticipa e accompagna la manifestazione: la grande mostra fotografica “ICONS” di Elliott Erwitt, a cura di Biba Giacchetti, ospitata nelle sale di Palazzetto Baviera. Organizzata da Summer Jamboree in collaborazione con SudEst57, rientra nel palinsesto di Senigallia Città della Fotografia.

La mostra presenta oltre settanta scatti di uno dei più grandi maestri della fotografia mondiale di tutti i tempi, Elliott Erwitt, selezionati dalla curatrice Biba Giacchetti insieme allo stesso Erwitt stesso, che nel luglio di quest’anno compirà 94 anni. Le opere esposte racchiudono l’intero percorso della sua lunga vita professionale attraverso le sue più celebri fotografie, quelle che lui stesso ama di più. I famosi ritratti di Che Guevara, di Kerouac, di Marlene Dietrich e delle grandi star del cinema, una su tutte Marilyn Monroe. E ancora, fotografie che hanno fatto la storia, come il diverbio tra Nixon e Krusciev, il funerale di Kennedy, il grande match tra Frazier e Alì. Non mancano le icone più amate dal pubblico per la loro forza romantica, come il California Kiss, la fotografia simbolo dell’amore senza tempo: l’immagine riflessa nello specchietto retrovisore di una coppia che si bacia dentro un’automobile. Una foto che sembra costruita a tavolino, ma è in realtà spontanea, come racconta Erwitt nella sua biografia “La fortuna”, spiegando come il caso ha avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione dei suoi scatti più famosi. Si aggiungono poi le fotografie più intime e private, come quella della sua primogenita appena nata, osservata sul letto dalla mamma, oltre a una collezione di autoritratti che racconta come Erwitt ami prendersi gioco anche di se stesso.

Un insieme di immagini che rappresenta uno splendido spaccato della storia e del costume del Novecento, narrato attraverso l’inconfondibile sguardo ironico del fotografo, il suo tocco magico, la sua grande capacità compositiva e il costante omaggio all’assurdo e a ciò che può apparire ambiguo. Sempre in bianco e nero, esse raccontano la vita, le miserie e le passioni che la scandiscono, con l’obiettivo fissato quasi esclusivamente su persone e animali, colti in atteggiamenti apparentemente insignificanti, a volte anche comici. Ciò che ne emerge sono le emozioni proprie degli esseri umani, viste e rappresentate in modo semplice e sincero.

“ICONS” è il concentrato di tutta la genialità di Elliott Erwitt, il meglio della sua lunga carriera e rappresenta un percorso sintetico e completo del suo sguardo sul mondo, in un compendio unico di umanità, leggerezza e profondità

 

 



art week

Iskra Shahaj, opera 90 olio su tela di lino, 75x100cm, 2019.

 

Wanderlust Summer

 

Una collettiva brillante come il solleone che vede esporre, per la prima volta in Italia, l’artista africano Nii Odai e la cinese Zhang Le. A completare il cerchio di questo viaggio estivo le opere dell’artista albanese Iskra Shahaj. 

Lo scopo dell'arte è di dare una forma alla vita” si dice in uno dei passaggi più famosi della commedia di Shakespeare ‘Sogno di una notte di mezza estate’. Il prossimo 5 luglio varcate, quindi, la soglia della WinArts di Via Carlo Ravizza 18 a Milano aspettandovi qualcosa di speciale, perché Wanderlust Summer, la collettiva che inaugura quella sera alle 18.30, in qualche modo lascerà in voi  un segno facendovi vivere un sogno estivo.

L’estate su tela ha il potere di definire le diverse sfumature del viaggio che porta con sé. Infatti ‘wanderlust’, nella sua accezione più moderna, significa desiderio di viaggiare, di fare di nuove esperienze, vivere la libertà e l'emozione di essere stranieri. E il viaggio, nell’arte, è un atto di pensiero, un’attitudine, un’inclinazione che conduce alla scoperta e di conseguenza alla conoscenza. Si può attraversare l’universo, senza muovere un passo dal punto in cui ci si trova perché la verità è che riprodurre l’estate non è una sfida da poco, ma è anche un divertimento per l’artista, libero di inseguire il piacere e rappresentare quello che è più caratteristico della sua cultura. Il viaggio, come stato mentale, ne è il filo conduttore che porta alla creazione di qualcosa di significativo, come un’opera nel mondo dell’arte.

La prospettiva di Nii Odai, nato in Ghana nel 1991, vincitore del premio di artista dell'anno presso BE OPEN Art, mette in primo piano la volontà di trasmettere un messaggio di ispirazione che evochi emozioni e virtù naturali. Una caratteristica delle opere di Nii Odai è l’uso di colori grezzi. Secondo l’artista sono la manifestazione più vicina della creazione, del creatore e della sua capacità di evocare le nostre emozioni. Sarà una vera e propria sorpresa vedere le sue opere in Italia per la prima volta dal vivo.

I fiori di Zhang Le, artista cinese classe 1999, sono la combinazione di due contraddizioni: la prosperità e vitalità da un lato e la fragilità e il decadimento dall’altro. È evidente il fascino di questa combinazione contraddittoria, dove la bellezza è breve e fragile perché la fioritura è sempre accompagnata da un rapido decadimento. I fiori diventano il simbolo di vita e si inseriscono in questo contesto con il predominio della vivacità dei colori della natura al suo massimo grado di fertilità. Anche per questa artista si tratta della prima esposizione in Italia e le aspettative sono molto promettenti.

L’estate di Iskra Shahaj, albanese di nascita, ferrarese di adozione e che oggi vive ad Abu Dhabi, è influenzata dai colori del mediterraneo e del deserto che sviluppano in lei immaginazione e creatività. Nelle opere dell’artista non c'è narrazione, si tratta di un attimo catturato durante la giornata. Per questo motivo i quadri non hanno un titolo ma solo un numero che li identifica. Le sue tele hanno come tema ricorrente la solitudine, intesa come un momento di raccoglimento con se stessi.  La protagonista della scena è sempre una donna ma il suo interesse è rivolto principalmente al gioco di luce e colore che si crea nelle pieghe dei suoi vestiti.

Tre artisti e un solo tema, tre modi di guardare l’estate cercando di immortalarla prima che fugga e di rubarne un granello da fissare sulla tela prima che passi per sempre lasciando spazio alla malinconia dell’autunno.

Nii Odai

Theophilus Tetteh (classe 1991), noto anche con il suo nome d’arte Nii Odai, è un artista contemporaneo africano del Ghana. Ha studiato graphic design e pittura alla scuola d'arte Marimus, sperimentando diverse tecniche. Recentemente ha vinto il premio di artista dell'anno presso la galleria online BE OPEN Art (che dà visibilità agli artisti emergenti di tutto il mondo) ed è anche membro della Ghana Association of Visual Artists (GAVA).

Una caratteristica delle opere di Nii Odai è l’uso di colori grezzi. Secondo l’artista sono la manifestazione più vicina della creazione, del creatore e della sua capacità di evocare le nostre emozioni. "Essere un artista per me significa semplicemente imitare i principi della creazione e del nostro creatore", dice.   "Vorrei che il mio lavoro trasmettesse un messaggio di ispirazione che evochi emozioni e virtù naturali" conclude.

Zhang Le

Zhang Le è un’artista cinese nata nel 1999. Ha frequentato all’Università di HuaQiao il corso di Pittura a olio (2017 – 2021) e dal 2021 frequenta l’Accademia di belle arti di Brera.  Filosofia creativa Il fiore è la combinazione di due contraddizioni la prosperità e vitalità da un lato e la fragilità e il decadimento dall’altro. E’ evidente  Il fascino di questa combinazione contraddittoria dove la bellezza è sempre breve e fragile perché la fioritura è sempre accompagnata da un rapido decadimento. Il fiore diviene simbolo della vita. Combattiamo sempre instancabilmente contro il decadimento eterno, a volte senza tener conto della fragilità del mondo.  “Vorrei che il mondo fosse coperto di fiori per nascondere una civiltà sempre più fredda e materialista, in attesa di un diverso tipo di rinascita”.

Iskra Shahaj

Iskra Shahaj è nata nel 1988 a Vlore (Albania). Trascorre la sua infanzia in questa città poetica. L’attrazione per l’arte incomincia dalla più tenera età, quando la magia e i colori del mediterraneo sviluppano l’immaginazione e la creatività. Frequenta la scuola d’arte della città di Vlore e nel 2006 si trasferisce in Italia, a Ferrara. Ottiene una laurea in Beni Culturali e Scienze Geologiche. Vive e lavora ad Abu Dhabi. L’artista ha sempre avuto una particolare attenzione alle figure femminili, probabilmente perché il primo impatto con le immagini, le linee, le forme ed i colori erano i figurini disegnati dalla  madre sarta. Guardava e riguardava le immagini rimanendo  talmente colpita che  iniziò   a disegnare fin da piccolissima. Da lì è nata la sua passione per la pittura. I quadri, sia che si tratti di scene di interni o di esterni, hanno sempre come tema ricorrente la solitudine, intesa come un momento di raccoglimento con se stessi. Non c'è narrazione, si tratta di un attimo catturato durante la giornata. Per questo motivo i quadri non hanno un titolo ma solo un numero che li identifica. C’è riflessione, attesa e introspezione. Nelle scene d’interni l’artista vede una correlazione fra l'interiorità dello spazio e lo sguardo introspettivo del soggetto. La protagonista della scena è la donna ma il suo interesse è rivolto principalmente al gioco di luce e colore che si crea nelle pieghe dei suoi vestiti. Utilizza  spesso colori forti in contrasto con le pose molto delicate.

www.winarts.it