Mostre

 



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Carol Rama, Bricolage, 1964, Artigli di animale guazzo e inchiostro di china su carta 455x355 cm collezione privata Torino.

 

“SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” a Casa Testori

Il percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e aggiunge un tassello alla storia scritta da molteartiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità. 

Dopo l’esperienza della mostra “Libere Tutte” del 2019, Casa Testori continua il percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e aggiunge un tassello alla storia scritta da molteartiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità.

“SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” dal 3 aprile al 25 giungo presenta sei giovani personalità artistiche nate tra il 1985 e il1995, chiamate a relazionarsi con una grande figura del recente passato, Carol Rama. Al centro dei lorolavori c’è la relazione con il corpo che diventa terreno proprio dell’espressione artistica. Nelle stanze di CasaTestori entrano opere potenti e talvolta provocatorie che insistono su esperienze soggettive, criticando ladolorosa eredità del sessismo, della violenza e di altre strutture di potere della cultura contemporanea.

Sono lavori che forniscono nuove e preziose intuizioni sia sull’arte storica che su quella contemporanea. Lamostra è concepita come fosse una pièce teatrale, grazie all’aiuto di una vasta gamma di mezzi tra cuidipinti, sculture, performance, disegni e fotografie. Un ottavo protagonista entra poi in scena, il padrone dicasa Giovanni Testori, con una serie di grandi disegni della metà degli anni ‘70 che hanno per soggetto ilcorpo femminile.

A cura di Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi, la mostra porta nelle stanze della dimora di Novate Milanese oltre a Carol Rama e Giovanni Testori, le opere di Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, Giorgia Ohanesian Nardin, Iman Salem.

Intrecciando l’erotismo della pittura di Iva Lulashi, la sensualità delle fotografie di Binta Diaw, le deformatefigure di Zehra Doğan, le sculture o sfingi di Margaux Bricler, figure animalesche, femminili e demoniache, lalunga performance dal vivo di Giorgi Ohanesian Nardin a e le fotografie di Iman Salem, con le opere storiche di Carol Rama e di Giovanni Testori, la mostra mette in scena racconti in cui si mescolano carnalità e passione. Il corpo nell’essere rappresentato si oggettualizza: in tale meccanismo è insita la critica diretta nonsolo ai cliché visivi a cui siamo abituati, ma anche alle modalità di fruizione da essa generate.

Le giovani personalità artistiche invitate, evidenziando l’impegno in chiave di rivendicazione del corpo e andando oltre l’eredità storica del femminismo, hanno sviluppato opere di grande intensità, generando un incontro-scontro che trova ulteriore riflessione laddove ogni elemento presente è frammento di corpo su un palcoscenico vuoto. Questi frammenti di opere-corpo permettono di ottenere equilibri di notevole intensità formale ed estetica molto coinvolgenti per i visitatori. La mostra è nata dalla suggestione delle parole impresse sull’invito che, nel 1995, l’artista afro-americana Kara Walker realizzò per la sua prima personale a New York alla galleria Wooster Gardens/Brent Sikkema,“The High and Soft Laughter of the “Negress” Wenches at Night”, che recitavano così: «Non perdetevil’incredibile “storia di carta” di una negra in schiavitù che narra la sua straordinaria fuga verso la libertà». Parole, queste, messe in relazione a quelle di un articolo che Giovanni Testori scrisse nel 1979 per la primapagina del Corriere della Sera, “La vergogna dello stupro”: «Non vorremmo che, come va succedendo peraltre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse, insomma, per abituare l’uomo a ciò che non è umano. L’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo; ad esso sta inducendolo la spinta negativa chevuol ridurlo a “cosa”. Ora il punto d’arrivo di questo rischio non potrà essere una nuova coscienza, ma il buio e la notte che s’aprono sulla coscienza eliminata o distrutta».

Progetto

Le stanze al piano terra di Casa Testori sono dedicate a opere site-specific di Margaux Bricler, Binta Diaw,Zehra Doğan e Iva Lulashi. Per l’inaugurazione Giorgia Ohanesian Nardin con Iman Salem daranno vita a unaperformance che sarà documentata in mostra dagli scatti fotografici live realizzati da Iman Salem. Alle paretidel grande salone, un omaggio all’artista Carol Rama il cui lavoro si è dimostrato prezioso riferimento permolte artiste contemporanee, in particolare per la sua visione moderna della femminilità e per il suo mododi rappresentare, fin dagli anni Trenta, il proprio corpo, insofferente rispetto alle costrizioni e alle ipocrisie borghesi. Lavori intensi degli anni Sessanta che celebrano un’identità raffinata e animalesca insieme, e che hanno anticipato un nuovo sentire: materiali come gomme, occhi di vetro, pelli, peli e unghie sono elementi che ricorrono in queste sue opere, vere messe in scena della propria identità.

I miei lavori – disse l’artista nel 1997 rispondendo a una domanda di Corrado Levi - piaceranno moltissimo a quelli che hanno sofferto, e che dalla sofferenza non hanno saputo cavarsela… perché avendo avuto unamadre in clinica psichiatrica ed essendomi anch’io sentita bene in quell’ambiente lì… perché ho iniziato inquel modo lì ad esser con dei gesti e dei modi senza preparazione né culturale, né di etichetta… credo che tutti quanti ameranno di più quei gesti, perché sono gesti che, per delle ragioni che non oso dire, appartengono a tutti… perché la follia è vicina a tutti… e c’è assolutamente chi la nega… e chi la nega è soltanto un folle, malinconico, triste, inavvicinabile… perché è come la cultura; la cultura è un privilegio, che avrei potuto farlo anch’io… però mi sono sentita sempre più duttile al disegno, a un quadro, una storia, a una composizione.

Un ambiente al piano terra permetterà di guardare le opere solo dall'esterno, attraverso un foro. All’interno vengono presentati alcuni lavori che Giovanni Testori realizzò nel 1975 e che espose alla Galleria del Naviglio di Milano: grandi carte a grafite, con close up su soggetti anatomici femminili. La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione della Galleria del Ponte, Torino e Prometeogallery,Milano.

Info

Casa Testori, Largo Angelo Testori, 13, 20026 Novate Milanese MI

3 aprile - 25 giugno 2022

INAUGURAZIONE: 2 aprile 2022 dalle 16.00 alle 19.00ORARI DI APERTURA: martedì – venerdì: 10.00-13.00; 14:30-18.00 | sabato: 14:30-19:30 | domenica e lunedì: chiuso

www.casatestori.it | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | tel. +39.02.36586877

INGRESSO: GRATUITO (Obbligo di green pass rafforzato e mascherina)

 



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LA COLLEZIONE IMPERMANENTE #3.0

Presentano al pubblico una ricca selezione di opere del patrimonio del museo realizzate da autori di generazioni diverse, dagli anni Novanta a oggi.  

LA COLLEZIONE IMPERMANENTE #3.0

a cura di Sara Fumagalli,Valentina Gervasoni e A. Fabrizia Previtali

11 marzo 2022 – 8 gennaio 2023

Terzo capitolo del ciclo La Collezione Impermanente, la mostra inaugura le celebrazioni dedicate ai trent'anni della GAMeC presentando al pubblico una ricca selezione di opere del patrimonio del museo realizzate da autori di generazioni diverse, dagli anni Novanta a oggi. 

L'esposizione è un display fluido che da un lato si prefigge di approfondire temi che hanno attraversato la storia dell’arte degli ultimi trent’anni, partendo dalle opere della Collezione organizzate in una serie di allestimenti tematici, con l’intento di creare collegamenti inediti e rivelare contrasti e risonanze inaspettate; dall’altro intende porre l’accento sull’impermanenza, intesa come apertura a nuove possibilità e prospettive future.

La mostra lavora anche sulla temporaneità, sottolineando il carattere non definitivo delle sue narrazioni grazie a riallestimenti ciclici nel corso dell’esposizione, accanto a nuove presentazioni e interventi di giovani artisti chiamati a dialogare con le opere del museo.

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ARTISTI IN MOSTRA

Giorgio Andreotta Calò, Cory Arcangel, Carlo Benvenuto, Ruth Beraha, Filippo Berta, Mariella Bettineschi, Stefano Boccalini, Pol Bury, Maurizio Cattelan, Bruno Ceccobelli, Isabelle Cornaro, Mario Cresci, Berlinde De Bruyckere, Latifa Echakhch, Ettore Favini, Gianfranco Ferroni, Roland Fischer, Anna Franceschini, Giuseppe Gabellone, Gelitin, Rochelle Goldberg, Renaud Jerez, Roberto Kusterle, Sol LeWitt, Lorenza Longhi, Iva Lulashi, Kris Martin, Nicola Martini, Eva e Franco Mattes, Ryan McGinley, Nunzio, Ken Okiishi, Ornaghi&Prestinari, Aitor Ortiz, Yan Pei-Ming, Cesare Pietroiusti, Pablo Reinoso, Antonio Rovaldi, Namsal Siedlecki, Ettore Spalletti, Priscilla Tea, Jol Thoms, Josh Tonsfeldt, Remco Torenbosch, Federico Tosi, Sislej Xhafa, Chen Zhen.

 

DANCING PLAGUE

PREMIO LORENZO BONALDI PER L’ARTE - ENTERPRIZE

XI EDIZIONE

a cura di Panos Giannikopoulos

11 marzo - 29 maggio 2022

Il curatore greco porta al museo il progetto vincitore della XI edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte - EnterPrize che mette in dialogo storia europea, colonialismo e pandemia attraverso le opere di Benni Bosetto, Ufuoma Essi, Klaus Jürgen Schmidt, Lito Kattou, Petros Moris, Eva Papamargariti, Konstantinos Papanikolaou, Mathilde Rosier, Michael Scerbo ed Elisa Zuppini.

Partendo dall'episodio della Piaga del ballo - fenomeno sociale verificatosi in Europa tra il XIV e il XVII secolo, quando, in una sorta di isteria collettiva, gruppi di persone ballarono ininterrottamente in uno stato di trance per intere settimane - la mostra rivisita questo episodio di contagio e viralità culturali, esaminandone il contesto sociale e di genere, la ricomparsa nei secoli e la somiglianza con avvenimenti accaduti in altri luoghi.

La mostra affronta temi come la teoria queer e la pulsione di morte, la danza come mezzo per creare identità e resistenza culturale per i corpi meno privilegiati, il movimento degli organi essenziali e degli arti trasformato in linguaggio, il ballo come esplorazione e invenzione delle possibilità dei nostri corpi, come mezzo per entrare in relazione con altri corpi e trasformare noi stessi e le persone intorno a noi, come prassi interlinguistica che abbatte i confini sociali e rivela una sorta di consapevolezza che è stata oppressa dall’ordine simbolico.

 



art week

Drawing of a seven years old childKanjipungaman. Paua New Guinea 1953. FCM MUSEC

 

L’INFANZIA DEL SEGNO Disegni di bambini della Nuova Guinea della Collezione Wirz

La mostra è il decimo episodio del fortunato ciclo Dèibambini del Museo delle Culture.  

L’esposizione temporanea «L’infanzia del segno. Disegni di bambini della Nuova Guinea della Collezione Wirz» è il decimo episodio del fortunato ciclo Dèibambini del Museo delle Culture, realizzato all’Heleneum (precedente sede del MUSEC) tra il 2006 e il 2014.

Il trasferimento del MUSEC a Villa Malpensata ha segnato un’interruzione del progetto originario, ma al contempo ha stimolato un ripensamento critico delle sue modalità. Senza rinunciare all’idea di concepire il museo come luogo privilegiato per la generazione di «universi virtuali» a misura di bambino, è stato creato un nuovo punto di partenza: le opere d’arte infantile del passato, da prendere a spunto e a modello per l’elaborazione tematica delle grammatiche espressive.

L’idea è quella di costruire un ponte fra ieri e oggi, attraverso l’esplorazione profonda dei contenuti espressivi di specifiche e puntuali esperienze di creatività infantile. Contenuti che non soltanto interconnettono le culture con una formidabile e sostanziale unitarietà, ma che sono serviti come inesauribile fonte per il rinnovamento dei linguaggi artistici del Novecento.

Sono parole cariche di speranza quelle di Francesco Paolo Campione, Direttore del MUSEC e ideatore del ciclo dedicato alla creatività infantile:

«Il mio più intimo auspicio, nel momento in cui il progetto «Dèibambini» riprende vita, è che il nostro ponte possa essere solido e pieno di poesia, per collegare le generazioni di piccoli artisti attraverso l’uso del disegno, della pittura e della scultura, strumenti alla portata di tutti che permettono un’appropriazione libera e autonoma degli spazi di una fantasia oggi forse fin troppo assediata da una incontenibile invasione della tecnologia».

Come nasce il progetto:

L’infanzia del segno

Nel 1952 l’artista svizzero Dadi Wirz (n. 1931) intraprende un viaggio in Nuova Guinea con il padre Paul, etnologo e collezionista tra i più celebri del Novecento.

Seguendo un progetto che si rifà ad alcune teorie educative del primo dopoguerra, Dadi consegna matite e colori ai bambini che incontra nei villaggi, raccogliendo nel corso di un anno centinaia di disegni. Annota sul retro dei fogli il nome dell’autore e, in diversi casi, anche l’età presunta e il villaggio di provenienza. Nasce così una raccolta unica al mondo, 229 disegni infantili che costituiscono un documento straordinario per interrogare il nostro modo di vedere l’infanzia e interpretare le ragioni profonde della creatività.

I disegni sono stati preziosamente custoditi dall’artista fino al 2020, quando li ha donati al MUSEC, che ne ha assicurato il restauro e la conservazione, secondo moderni principi museologici.

Le opere mostrano forme di base ricorrenti in tutta la produzione grafica infantile, quali: il cerchio, il quadrato, il triangolo e la spirale. Segni che sembrano però acquisire significati originali in relazione allo specifico contesto visivo e culturale di provenienza.

Con l’obiettivo di restituire il valore più profondo del sistema grafico dei «bambini di Wirz», il progetto curatoriale di Anna Castelli e Isabella Lenzo Massei propone un confronto, non soltanto visivo ed emozionale, con due diversi generi artistici. Da una parte le sculture tradizionali dell’area del fiume Sepik (dove vivevano molti dei piccoli artisti), che riallacciano il discorso alle sue fonti storiche. Dall’altra opere di artisti della Nuova Guinea, attraverso i quali poter valutare il significato dei disegni infantili rispetto all’arte contemporanea dell’Isola, che rielabora forme della tradizione iconografica e racconta la complessa interazione culturale tra i nativi della Nuova Guinea e l’Occidente.

La mostra e il catalogo

Sono 79 i disegni di bambini della Nuova Guinea in mostra nello Spazio Maraini di Villa Malpensata, tutti realizzati tra il 1952 e il 1953. Ad accompagnare i disegni di bambini troviamo 7 serigrafie su carta dal Weltkulturen Museum di Francoforte sul Meno realizzate da Timothy Akis (c. 1944–1984) e Mathias Kauage (c. 1944–2003), due artisti della Papua Nuova Guinea che appartengono alla generazione dei piccoli artisti protagonisti della mostra, e 11 opere di arte etnica del Sepik della Collezione Brignoni del MUSEC. Le opere di arte etnica sono esposte sia nello Spazio Maraini, a corredo dei disegni di bambini, sia nello Spazio Tesoro, insieme a una videointervista a Dadi Wirz condotta a fine 2021 da Moira Luraschi e Paolo Maiullari, ricercatori del MUSEC.

Frutto di una lunga ricerca interdisciplinare, il catalogo che accompagna l’esposizione fornisce una preziosa occasione di indagare il nostro modo di vedere l’infanzia e interpretare le ragioni profonde della creatività. La veste grafica di Valeria Zevi è un restyling integrale del progetto grafico originario della collana di Maurice Hoderas.

Il collezionista

Dadi Wirz nasce a Basilea nel 1931; trascorre la sua infanzia e la sua giovinezza in un continuo peregrinare, accanto al padre Paul, etnologo, viaggiatore e collezionista tra i più celebri del Novecento. Negli anni ‘40, anche per sfuggire al clima di guerra, vive a lungo in Sud America, in Sri Lanka e nella Repubblica Dominicana.

Dopo aver conseguito la licenza federale svizzera come fotografo, all’inizio degli anni ‘50 Wirz frequenta l’Académie André Lhote di Parigi, dove ha modo di conoscere, tra gli altri, Calder, Ernst, Giacometti e Arp. Alla fine del 1952, appena ventenne, accompagna il padre in un lungo viaggio attraverso la Nuova Guinea. Da qui, nel 1954, si trasferisce in Brasile, alla ricerca di nuovi linguaggi in grado di stimolare la sua esperienza creativa. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1955, Wirz decide di compiere un secondo e ancora più impegnativo viaggio di ricerca in Nuova Guinea, sentendo urgente la necessità di conoscere e ritrarre un mondo di cui aveva la percezione dell’imminente crepuscolo.

 



art week

 

 

SASHA VINCI "IL GIOCO DELLA DERIVA"

Una performance e un’installazione site specific che l’artista crea appositamente per il chiostro catalano.

Martedì 8 marzo 2022, alle ore 18:30, nel Centro Culturale La Mercé di Girona, in Spagna, si inaugura Il gioco della deriva di Sasha Vinci, a cura di Lara Gaeta, una performance e un’installazione site specific che l’artista crea appositamente per il chiostro catalano.

Il progetto gode del patrocinio del Comune di Girona, promosso dal Centro Culturale La Mercé e realizzato in collaborazione con aA29 Project Room, galleria d’arte contemporanea che rappresenta l’artista in Italia.

Il gioco della deriva rappresenta una nuova declinazione, sia formale che concettuale, della ricerca dell’artista sul Multinaturalismo: un’utopia possibile che fonde, trasforma e mescola insieme degli elementi e delle fisicità naturali, umane e artificiali, per dare origine a delle configurazioni nuove, che trovano una loro logica e coerenza nella contemporaneità. Come è accaduto in altre performance, anche in questo caso Sasha Vinci intende coinvolgere nel progetto gli studenti del Centro Culturale La Mercé di Girona, per riflettere e dare forma insieme all’opera. Per l’artista, infatti, il vero cambiamento sociale ha sempre una matrice collettiva, e le giovani generazioni devonodebitamente essere incluse. Bisogna rivolgersi soprattutto a loro per fare presa non solo sul presente, ma anche sul futuro più immediato.

La performance di Sasha Vinci si presenta come un allegorico ed enigmatico tableau vivant, in cui le diversepersone coinvolte, in relazione con lo spazio del chiostro catalano, creano una composizione plurale persuperare il “corpo individuale” e generare il “corpo universale e politico”. Sculture di foglie bianche, duttili e delicate, si adagiano al corpo umano degli studenti-performer, alterandonele sembianze fisiche e generando una trasfigurazione che pone l’accento sul concetto di multinaturalismo. Una composizione musicale inedita, creata dall’artista insieme al musicista Vincent Migliorisi, scandirà invecei ritmi della performance, creando una dimensione sonora che trae ispirazione dall’antica simbologia musicalenarrata da Marius Schneider nelle Pietre che cantano.

Al termine della performance, i vari elementi scultorei “indossati” dagli studenti rimarranno dei testimonisilenziosi all’interno del chiostro, assemblati in un’unica installazione site specific. Attraverso quest’opera Sasha Vinci fa riferimento alla molteplicità, che altro non è che la caratteristica essenziale della vita e della realtà. Il gioco della deriva ci suggerisce che non esiste un solo mondo, ma molteplici e con pari dignità, perché la nostra collettività è una rete complessa dove gli umani oltre a generare relazioni fra loro, creano rapporti sociali anche con i non-umani e con la tecnologia.

Il tema del Multinaturalismo è dunque un cambio di prospettiva per l’artista e uno slittamento dell’asse delle priorità: non è più necessario fare delle distinzioni relative solo agli esseri umani e parlare di differenti cultureche interagiscono tra di loro, portando con sé un bagaglio di usi, costumi, religioni e linguaggi e che convivono le une con le altre in maniera più o meno tollerante e pacifica. È invece molto più interessante e indispensabile ampliare la prospettiva e fare riferimento a “differenti nature”: quella umana, animale, vegetale, minerale (e altre nuove che ancora non si conoscono, ma che solo si immaginano) che si moltiplicano e si combinano insieme, per imparare a vedere non solo dalla prospettiva antropocentrica, ma anche da tutte le altre complementari. Dunque Multinaturalismo sta per Sasha Vinci al posto di Multiculturalismo, per annullare le contraddizioni originate dall’uomo, per tornare ad avere un contatto diretto e autentico con la natura in tutte le sue forme, e per imparare a rispettare in primo luogo noi stessi.

(Lara Gaeta, “Multinaturalismo. Da ciò che si conosce a ciò che si immagina”)

Con Il gioco della deriva l’artista conferma così, la sua indole visionaria e multiforme a sondare quei territori di confine in cui il concetto di “deriva” è uno spingersi oltre, estremo, incondizionato e attrattivo, per generare nuovi punti di contatto con la Natura, meravigliosa, universale e violenta.

INFO

Centre Cultural La Mercè

Pujada de la Mercè, 12 / 17004 / GIRONA

www.girona.ct/ccmT. +34 972 223 305

aA29 Project Roomwww.aa29.itT. +39 339 1796205

 



art week

 László Moholy-Nagy Lucia Moholy: Untitled (Portrait of László Moholy-Nagy), 1925 Gelatin silver print, 9.3 x 6.3 cm The Museum of Modern Art, New York Thomas Walther Collection. The Family of Man Fund © 2021 Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Bonn Digital Image © 2021 The Museum of Modern Art, New York.

 

Dopo la prima tappa al LAC di Lugano i Capolavori della collezione Thomas Walther approdano al Centro Italiano per la Fotografia di Torino

Una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi.

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta, per la prima volta in Italia, la mostra “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”: a Torino dal 3 marzo al 26 giugno 2022 una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare linguaggi delle arti plastiche, così gli autori in mostra, una nutrita selezione di fotografi famosi e altri nomi meno noti, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo assolutamente centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo.

Un fermento creativo che prende avvio in Europa per arrivare infine negli Stati Uniti, che accolgono in misura sempre maggiore gli intellettuali in fuga dalla guerra, arrivando a diventare negli anni Quaranta il principale centro di produzione artistica mondiale.
Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione Walther valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre.
Oltre ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis), del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troviamo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.

A riprova della ricchezza di poetiche e pensieri, all’interno della collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York si trovano fotografie realizzate grazie alle nuove possibilità offerte dagli sviluppi tecnici di questi anni, ma anche una molteplicità di sperimentazioni linguistiche realizzate attraverso diverse tecniche: collages, doppie esposizioni, immagini cameraless e fotomontaggi che raccontano una nuova libertà di intendere e usare la fotografia.

È la particolarità di questi decenni a spingere il collezionista Thomas Walther a raccogliere, tra il 1977 e il 1997, le migliori opere fotografiche prodotte in questo periodo riunendole in una collezione unica al mondo, acquisita dal MoMA nel 2001 e nel 2017.

La mostra nasce da una preziosa collaborazione fra il Jeu de Paume di Parigi, il MASI di Lugano e CAMERA, dove è possibile vedere per l’ultima volta in Europa questi grandi capolavori della fotografia prima che tornino negli Stati Uniti. L’importanza storica, il valore artistico e la rarità dei materiali esposti rendono quindi questa mostra un appuntamento imperdibile.

Accompagna l’esposizione il catalogo edito da Silvana Editoriale in associazione con the Museum of Modern Art, New York, che include un saggio critico di Sarah Hermanson Meister, brevi introduzioni alle sezioni della mostra e riproduzioni di opere presentate.

Mostra organizzata dal Museum of Modern Art, New York.
A cura di Sarah Hermanson Meister, curatrice del Dipartimento di Fotografia, The Museum of Modern Art, New York e Quentin Bajac, direttore del Jeu de Paume, Parigi con Jane Pierce, assistente alla ricerca, Carl Jacobs Foundation, The Museum of Modern Art, New York.
Coordinamento e sviluppo del progetto a CAMERA: Monica Poggi e Carlo Spinelli.

L’attività di CAMERA è realizzata grazie al sostegno di numerose e importanti realtà.
Partner istituzionali: Intesa Sanpaolo, Eni, Lavazza; Socio Fondatore: Magnum Photos; Con il Contributo di: Fondazione Compagnia di San Paolo, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Torino; Sostenitori: Tosetti Value, Reale Mutua; Mecenati: Mpartners, Synergie Italia; Promotori: PTG Notai Associati, CMFC Studio Associato; Fornitori ufficiali: Mit, Cws, Dynamix Italia, Le Officine Poligrafiche MCL di Torino, Reale Mutua Agenzia Torino Castello; Radio Ufficiale: Radio Monte Carlo; Con il Patrocinio di Regione Piemonte, Città di Torino.

Un ruolo importante è anche giocato dalla comunità degli “Amici di CAMERA”, privati cittadini che sostengono, anno dopo anno, le attività dell’ente in qualità di benefattori.