"FUORI" uscire dai limiti e dalle costrizioni alla Quadriennale di Roma 2020

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 Sarah Cosulich, foto Alessandro Cantarini

Il direttore artistico della Quadriennale di Roma e co-curatore della Quadriennale 2020 Sarah Cosulich ci racconta la sua carriera, gli albori e la realizzazione dell'esposizione "FUORI".

By Camilla Delpero   

 

Quali sono state le tappe che hanno reso Sarah Cosulich una delle personalità più autorevoli del mondo contemporaneo?

Ho avuto delle opportunità molto diverse che mi hanno dato il privilegio di lavorare in campi differenti del mondo dell’arte contemporanea. Ho studiato storia dell’arte negli Stati Uniti. Ho proseguito gli studi a Berlino dove ho fatto le prime esperienze lavorative, proprio nel momento in cui la città era la culla della contemporaneità e degli stimoli. Ho studiato a Londra con artisti e professori eccezionali. Ho collaborato con Francesco Bonami alla Biennale di Venezia, un’opportunità che ha condensato in 1 anno 10 anni di esperienze lavorative nel mondo dell’arte internazionale. Ho fatto la curatrice in un centro d’arte contemporanea pubblico imparando l’importanza del contesto e dell’audience. Ho diretto per 5 anni una fiera internazionale capendo il valore di una visione strategica e obiettivi precisi. Ho avuto la fortuna di conoscere durante il mio percorso curatori importantissimi e artisti rivoluzionari. Oggi collaboro anche con un’azienda privata, Mutina, che ha scelto di portare avanti un percorso di arricchimento attraverso l’arte. Mentre la Quadriennale è stata l’opportunità per immergermi nel profondo dell’arte italiana, ma anche per portare avanti iniziative a favore degli artisti e delle giovani generazioni che fanno la differenza. Sono stata fortunata e ho sempre avuto il privilegio di credere fortemente in tutti questi progetti  …e non mi è mai mancata la tenacia.

Cos’è l’arte contemporanea secondo lei?

L’arte contemporanea è l’arte. Non la considero diversa se non per il fatto che viene considerata dall’esterno come un’arte meno comprensibile allo spettatore comune. Mi piace pensare a quale sarà il termine (se ci sarà) che verrà introdotto quando l’epoca inclusa nella contemporaneità sarà talmente ampia da richiedere una nuova definizione. Perché il processo di storicizzazione si applicherà anche a epoche che finora abbiamo sentito vicine.

 

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Veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio.

 

Quali artisti ti sono rimasti “nel cuore”?

A Maurizio Cattelan devo molto perché la mia tesi universitaria sulla relazione tra il suo lavoro e la tradizione della commedia dell’arte mi ha portato fortuna e mi ha aperto tante porte. Oltre ad aver avuto poi la fortuna di realizzare diversi progetti con lui. Un altro è sicuramente Pawel Althamer di cui ho curato la mia prima mostra in uno spazio alternativo a Trieste nel 2001. Poi i tanti artisti con cui ho collaborato alla Biennale di Venezia, in particolare Fischli/Weiss, Matthew Barney, Gabriel Orozco di cui ho anche scritto. Poi c’è una figura importantissima: Thomas Bayrle, l’artista degli artisti, un grande artista pioniere, rivoluzionario, “padre” di molti artisti tedeschi e non solo. Dalla Biennale, passando per Villa Manin, il rifacimento di una sua mostra del ’68 a Milano fino ad un progetto realizzato all’aeroporto di Torino, sono state tutte esperienze memorabili e arricchenti. Potrei aggiungere molti altri artisti italiani e internazionali che stimo e con cui rimango in contatto, ma questi sono quelli che rappresentano importanti tappe del mio percorso.

Ora parliamo della mostra FUORI, essa affronta temi legati alla contemporaneità, all’idea di femminismo, femminilità, apparenza e anticonformismo e molti altri. Ce ne può parlare?

La mostra FUORI vuole proporre una nuova lettura dell’arte italiana dagli anni 60 ad oggi, uscendo dalle narrazioni principali che l’hanno caratterizzata. Al di là delle principali voci e correnti artistiche, infatti, insieme a Stefano Collicelli Cagol abbiamo voluto guardare a fondamentali figure di pionieri che costituiscono nuove possibili linee genealogiche per l’arte italiana fino alle giovani generazioni. Durante la nostra ricerca ci siamo resi conto che il motivo per cui questi artisti dell’avanguardia non sempre avevano ottenuto la giusta attenzione era legato al loro non appartenere a determinate categorie che tradizionalmente definivano cos’era arte. Spesso il loro lavoro si muoveva ai margini con altre discipline come cinema, teatro, musica, architettura, moda, design; altre volte erano l’asincronia nel modo in cui la questione di genere si relazionava al loro lavoro. Le loro erano pratiche multidisciplinari, oblique, queer, femministe o magari semplicemente radicate nel femminile. Più che anticonformismo (che implica il ribellarsi a qualcosa) abbiamo riconosciuto artisti che si muovevano liberamente FUORI da qualsiasi tipo di definizione o categorizzazione, per raccontare l’arte italiana in modo trasversale. La mostra è un progetto multigenerazionale e multidisciplinare, trova nel passato alcuni importanti appigli pur concentrandosi sulla contemporaneità. 20 dei 43 artisti in mostra sono infatti giovani.

 

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Irma Blank, Quadriennale d'arte 2020 FUORI / 2020 Art Quadriennale FUORI, veduta dell'allestimento / installation view, foto DSL Studio.

 

Come riescono due curatori, dalla diversa prospettiva, esperienza e formazione a far dialogare temi così vasti e complessi raggiungendo un’armonia di insieme?

Questa mostra non è nata precedentemente, ma è stato il risultato di un percorso di ricerca portato avanti insieme a Stefano per l’istituzione stessa e in linea con la sua missione. L’intenzione della mostra è nata proprio dalle ipotesi scaturite da questa ricerca che abbiamo condiviso fin da subito. Ci siamo trovati a fare studio visits, a percorrere e a testare idee comuni o a partecipare a osservazioni in un ricco programma di iniziative parallele dedicate all’arte italiana a cui abbiamo dato vita in questo triennio con Quadriennale, dai workshop di Q-Rated al bando di Q-International. Tra le tante consapevolezze condivise c’è stato l’addentrarsi nell’incommensurabile negli immaginari dei giovani, quella dimensione indicibile che abbiamo trovato accumunare spesso le loro ricerche in cui il mostruoso e il sublime si intrecciano in una realtà parallela. L’armonia d’insieme nel nostro lavoro è la conseguenza di un’opportunità che ci è stata data dalla Quadriennale, quella di lavorare insieme per tre anni. In questo modo abbiamo potuto pensare a una mostra nuova, libera da interpretazioni precostituite. Abbiamo anche voluto adattare il format della mostra Quadriennale a una contemporaneità globale che richiede un costante ripensamento del modello espositivo a beneficio degli artisti.

 

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Camoni Naldi Rossano Gualandris, Quadriennale d'arte 2020 FUORI / 2020 Art Quadriennale FUORI, veduta dell'allestimento / installation view, foto DSL Studio.

 

La Quadriennale vuole essere specchio del nostro tempo. Tuttavia il messaggio primario della mostra è stato affiancato dall’attuale situazione di emergenza. Ci può spiegare come le opere create nel corso dei tre anni precedenti possano mantenere la forza del messaggio primario, ma anche interpretare l’attuale situazione?

Alla Quadriennale d’arte 2020 FUORI ci sono opere create dagli anni 60 ad oggi perchè abbiamo scelto di tracciare un percorso. Al tempo stesso è interessante notare come questo complicato 2020 ha avuto sicuramente un impatto, sia nella creazione di alcuni lavori da parte degli artisti che nella lettura stessa di alcuni creati precedentemente. La “stanza respiro” di Cloti Ricciardi, un rifacimento dell’artista del suo lavoro del 1968, oltre a tematizzare l’instabilità del white cube e l’interazione del visitatore con l’opera, oggi acquisisce anche altre implicazioni. Così come le pennellate che seguono il ritmo del respiro nelle tele di Irma Blank. Ci sono però anche artisti che hanno presentato progetti nuovi realizzati proprio in relazione a questo momento storico e stabiliscono importanti simboli di connessione tra la mostra e il pubblico o la città. L’installazione di luce di Norma Jeane nell’arcata del Palazzo delle Esposizioni (e visibile di notte dalla via Nazionale) lo illumina pulsando alla frequenza del respiro dell’artista collegato in tempo reale con un dispositivo che indossa per tutta la durata della mostra. Mentre la potente installazione di parole e lettere di Giulia Crispiani, scardina con la sua un’avanguardia poetica i limiti imposti dalla pandemia, con i cartoni della pizza (da lei riconosciuti come unica forma efficiente di comunicazione tra le persone durante l’isolamento) che divengono supporti per riflessioni e condivisioni.

 

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Nanda Vigo, veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio.

 

Spesso indago il tema dell’apparenza, di ciò che si vuole essere al di “FUORI”. Apparenza è anche superficiale e in un certo senso anche superfice. Tra gli artisti invitati si può ritrovare anche questa tematica dell’apparire, del voler essere qualcosa al di fuori della convenzione? Ci parli del rapporto tra superfice e profondità.

Il titolo FUORI in realtà non ha una relazione con l’idea dell’apparenza. Per noi il FUORI rappresenta l’uscire dai limiti, dalle costrizioni (le prime legate da questo 2020 di confinamento) ma soprattutto dalle categorie o dai confini tra arti visive e altre discipline, in modo da andare a comporre un panorama di voci che si intrecciano. FUORI è un invito a uscire dagli schemi, ad assumere una posizione eccentrica, fuori dal centro, ad adottare uno sguardo obliquo, di mutua relazione con l’altro da sé. FUORI di testa, FUORI moda, FUORI tempo, FUORI scala, FUORI gioco, FUORI tutto, FUORI luogo.. il fuori inteso in modo positivo. FUORI è un appello a uscire dal recinto autoreferenziale in cui spesso l’arte contemporanea e le sue istituzioni si rinchiudono, per aprirsi verso pubblici e ambiti di produzione culturale differenti. FUORI è un riconoscimento degli approcci femminili, oltre che femministi, delle ricerche nell’ambito queer e degli immaginari gender fluid nella storia dell’arte contemporanea, con un esplicito omaggio all’esperienza del FUORI!, la prima associazione per i diritti degli omosessuali, formatasi agli inizi degli anni Settanta.

 

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Cinzia Ruggeri, Mano, veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio.

 

Pervade nella mostra anche il tema dell'ossessione, del desiderio, ce lo può approfondire?

Un’altra linea di ricerca della mostra oltre a quella dell’incommensurabile è il desiderio inteso come l’energia fisica, mentale ed erotica che l’artista canalizza nella sua pratica ma che spesso in passato non veniva letta nella sua forza indipendente ed esplicita. FUORI infatti è un viaggio spettacolare tra realtà parallele, ossessioni, visioni cosmiche, pulsioni erotiche, forme infinite e indefinite del desiderio dell’artista. Il desiderio è anche inteso in mostra come ripetizione quasi ossessiva, quell’abilità dell’artista di rimanere immerso nell’urgenza della sua pratica in modo indipendente dall’esterno, come è successo con molti artisti pionieri che hanno portato avanti in modo coerente il loro approccio senza considerare la riconoscibilità un limite.

 

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Veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio.

 

Il Palazzo delle esposizioni è il luogo per eccellenza della Quadriennale di connotazione fascista. Il passato dialoga e influenza le opere create apposta per la mostra?

Palazzo delle Esposizioni è stata sede in passato di mostre di propaganda fascista oltre ad aver ospitato, negli anni Trenta, le prime Quadriennali negli anni 30 fortemente connesse con il regime. Nella terza Quadriennale del 1939 per esempio furono esclusi degli artisti di origine ebraica, tra cui alcuni di loro premiati nelle edizioni precedenti. Questo complicato passato è emerso sicuramente in mostra, come per esempio nella scelta di presentare due opere sugli scaloni del palazzo, luoghi fortemente simbolici. L’installazione con i fiori giganti di Petrit Halilaj e Alvaro Urbano, un inno alla libertà dell’amore in tutte le sue forme, e la pittura murale di Amedeo Polazzo che supera la tradizione propagandistica per parlare di limitazioni e aperture infinite attraverso immagini ambigue e fluide. Parlano del passato coloniale opere come quella di Gianikian-Ricci Lucchi, coppia di cineasti d’avanguardia che intervengono su vecchie pellicole di propaganda, oppure il duo Petti-Hilal che guardano alla colonizzazione al contrario di chi, rientrato da Asmara, ne ha replicato le architetture in alcuni borghi siciliani. Il Palazzo è infatti un tema ricorrente nella mostra e il rapporto tra architettura e potere è un punto centrale anche nei progetti di artiste come Monica Bonvicini, Luisa Lambri e altri. Abbiamo però tematizzato il Palazzo anche nella scelta di concentrarci sul display della mostra collaborando con l’architetto napoletano Alessandro Bava nel progetto di allestimento. La sua interpretazione dello spazio ha seguito una ricerca e uno studio del palazzo e degli allestimenti che lo avevano storicamente caratterizzato, al fine di offrire al visitatore un nuovo percorso.

 

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Petrit Halilaj e Alvaro Urbano, veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio.

 

La rivista si chiama Quid perché vuole indagare quella scintilla che rende uniche le cose. Per Sarah dove lo ritrovi il quid nella vita o nell’arte?

La trovo nell’irrazionalità e in ciò che non posso comprendere… e nella sfida che richiede il provarci. Sono una persona razionale affascinata dalla irrazionalità. La mia scintilla è l’energia dell’inaspettato.