Museo Novecento presenta Maria Lai "IL PANE DEL CIELO"
In apertura degli eventi culturali di Greccio 2023, una mostra riunisce le opere della grande artista sarda.
Fino al 15 ottobre nelle sale di Palazzo Dosi Delfini a Rieti è aperta IL PANE DEL CIELO, mostra che raccoglie quaranta opere della grande artista Maria Lai (Ulassai 1919 – Cardedu 2013) in occasione delle celebrazioni per i Centenari Francescani, 1223 - 2023.
Ideata da Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze, in collaborazione con l’Archivio Maria Lai e organizzata dall’Associazione Mus.e, la mostra, a cura di Sergio Risaliti e Eva Francioli, è stata commissionata dal Comitato Nazionale per l’Ottavo Centenario della Prima Rappresentazione del Presepe Greccio 2023, per rendere omaggio al “Poverello di Assisi” attraverso opere ispirate al creato e all’amore per l’altro, motivi ancestrali eppure di grande attualità, che illuminano la vita del santo e trovano una sensibile interpretazione nel lavoro dell’artista sarda.
"La mostra di Maria Lai, nella prestigiosa sede di Palazzo Dosi Delfini, cuore di Rieti, è la prima grande iniziativa espositiva di Greccio 2023, e ci porta dentro una riflessione sul "sacro contemporaneo", ispirato ai segni francescani così presenti in Valle Santa ma assolutamente universale. Il Pane del Cielo: il pane, se vogliamo, è questa Valle e la sua terra; il cielo invece è il nostro pianeta, è il dialogo di pace con tutti i popoli che lo abitano e si interrogano sul futuro". Lo precisa Paolo Dalla Sega, il manager culturale del Comitato Nazionale, Greccio 2023.
Artefice di una ricerca semplice e al contempo profondamente sperimentale, Maria Lai attinge a riti arcaici della sua terra, ai racconti e alla poesia dimessa del quotidiano, per dare corpo a un immaginario fantastico. Nelle sue opere, cariche di storie e di simboli, il divino e l’umano si fondono, rivelandosi con un linguaggio semplice e universale. Come gli insegnamenti di Francesco, le creazioni di Maria Lai sembrano interrogarci sul mistero dell’esistenza, guidandoci con infantile stupore tra le inesauribili meraviglie del mondo.
Il percorso affida a fragili creazioni in terracotta e pietre, stoffa e legno una funzione religiosa e sociale espressa in parole semplici. Poesie fatte di materiali poveri, opere che, come le parole del Cantico delle creature, abbracciano terra e cielo, uomo e natura, mistero e rivelazione, e ci fanno riflettere sulla forza dell’amore universale.
La mostra trae ispirazione dalla capacità dell’artista di rileggere in chiave contemporanea l’esempio di Francesco, ideatore della narrazione senza tempo del Presepe realizzato per celebrare la nascita di Gesù, la prima volta, nel Natale del 1223 in una grotta di Greccio. “Amo il presepe – diceva Maria Lai – come esperienza di qualcosa che, più ne indago l’inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco. (…) Amo il presepio –perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo”.
Attraverso i suoi presepi, Maria Lai rinnova ogni volta quell’esperienza di avvicinamento al sacro, alla manifestazione di Dio tra noi: minuscole rappresentazioni capaci di riprodurre in un’unica superficie storia, sogni e utopie che resistono tra i popoli. Spesso frammentati e incompleti, chiamano in causa la precarietà della condizione contemporanea, e nello stesso tempo mettono in connessione la finitezza della terra e l’infinità del cielo.
In mostra anche L’offerta, un pane in terracotta, quel “corpo di Cristo” offerto a tutti noi come nutrimento spirituale.
L’interesse per la panificazione, metafora di arte e vita, attraversa l’intera produzione dell’artista, affascinata sin dall’infanzia dalla ritualità e dal mistero del “farsi da sé” dell’impasto. Parte di numerosi progetti espositivi, i pani di Maria Lai hanno negli anni trovato casa proprio nel territorio reatino, come nell’intervento di arte pubblica Olio al pane e alla terra il sogno (1999) realizzato per il Museo dell’Olio della Sabina nell’antico forno di Castelnuovo di Farfa. Il pane evoca la vicenda umana di Cristo e il mistero della transustanziazione dell’ultima cena, temi centrali della storia umana e religiosa di San Francesco, senza dimenticare anche quel rapporto con le umili cose, i valori antropologici e la loro connessione alla spiritualità, che caratterizzano l’opera della Lai.
Fondamentale nella produzione matura di Maria Lai è il ricorso al filo, al ricamo, all’arte del cucito, che emerge nelle Geografie, teli ricamati su cui si dispiegano imbastiture di complesse “mappe astrali” che, ricorda l’artista, “rispondevano all’esigenza di un rapporto con l’infinito, di una dilatazione e proiezione sulle lontananze”.
Le carte geografiche di Lai ci invitano a compiere un viaggio oltre la contingenza, disegnando spazi immaginari, evocando mondi, costellazioni e armonie astrali. Le linee curve e quelle oblique conducono il nostro sguardo verso l’altrove, un vuoto che si carica di mistero e di magia: “Cerco spazi cosmici, cieli, spazi lontanissimi però tattili. Gli spazi che cerco non sono tanto in una superficie, quanto al di là di essa”.
L’artista affida al ricamo anche la sua autobiografia, i suoi pensieri, i suoi aforismi, traducendoli in delicate scritture su stoffa, dove il linguaggio scritto si combina con l’immagine annullando le distanze tra poesia e arti visive. Riflessione su una pratica antichissima e legata alla figura femminile, il cucito appare un luogo di libertà, in grado di tradurre istanze universali e personali.
L’amore per il creato avvolge tutto il lavoro dell’artista per la quale l’opera è “oggetto di indagine scientifica, ma possibilità di contatto con l’universale (…) Il contatto deve essere però diretto e individuale: non come atto mentale, ma attraverso il corpo, la materia”. Maria Lai osserva la vita in tutte le sue forme, dando voce alla sua varietà: le sue opere sono espressione di un amore puro e senza filtri nei confronti della natura e degli esseri viventi. “Io sono una bambina che gioca, una capretta ansiosa di precipizi. Ascolto il silenzio sospesa tra cielo e terra”. La capretta, umile e caparbia, è una sorta di alter ego dell’artista, che con determinazione porta avanti la propria ricerca rivelando la forza generativa dell’arte, che sfida le convenzioni e celebra con linguaggio semplice la meraviglia della creazione.
“La mostra Maria Lai. Il pane del cielo ribadisce la centralità del Museo Novecento nel panorama artistico italiano – dichiara Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze – rilanciando il suo ruolo di istituzione culturale impegnata nella realizzazione di progetti volti a valorizzare tanto le collezioni del Comune di Firenze, quanto gli artisti in esse presenti, attraverso mostre che valicano i confini della città metropolitana per aprirsi al territorio nazionale. La presente esposizione si colloca infatti nell’alveo dei progetti ideati negli ultimi anni, che hanno visto presentare un cospicuo numero di opere provenienti dalla raccolta Alberto Della Ragione. In questa occasione abbiamo concentrato l’attenzione sul lavoro di Maria Lai, una protagonista dell’arte italiana del XX e XXI secolo, una cui opera è di recente entrata a far parte delle collezioni novecentesche del Comune di Firenze. La sua ricerca, oggi nota ad un pubblico sempre crescente anche grazie all’infaticabile lavoro dell’Archivio Maria Lai, ci è sembrata la più adatta a reinterpretare in chiave contemporanea la spiritualità senza tempo di San Francesco d’Assisi, celebrata oggi grazie all’articolato e intenso lavoro del Comitato Nazionale Greccio 2023”.
Maria Lai nasce nel settembre 1919 a Ulassai. Di salute cagionevole, viene affidata alle cure degli zii, con i quali vivrà fino all’età di nove anni, trascorrendo la propria infanzia a Cardedu. Dopo un breve soggiorno a Ulassai, si trasferisce a Cagliari, dove nel 1932 si iscriverà all’Istituto Magistrale, divenendo allieva dello scrittore Salvatore Cambosu, con il quale instaurerà un profondo e duraturo rapporto di amicizia. Dopo alcuni anni trascorsi Roma, dove si era trasferita nel 1939 per frequentare il Liceo Artistico – seguendo, tra le altre, le lezioni di Marino Mazzacurati – nel 1943 si sposta a Venezia, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti. Qui avviene il fondamentale incontro con lo scultore Arturo Martini, i cui insegnamenti influenzeranno radicalmente la sua ricerca successiva. Alla fine della guerra, dopo un viaggio rocambolesco, rientra in Sardegna, dove conosce lo scrittore Giuseppe Dessì. Tornata a Roma (1954), sul finire degli anni Cinquanta riscuote i primi importanti riconoscimenti, sanciti, tra l’altro, dalla mostra personale organizzata alla Galleria dell’Obelisco (1957). Negli anni Sessanta, segnati da una profonda crisi, inizia a sperimentare nuove tecniche e a lavorare con materiali diversi. Nascono così i Pani e i Telai, a cui si affiancheranno, dalla fine del decennio successivo, le Geografiee i Libri cuciti. Nel corso degli anni Settanta espone in diversi musei e gallerie, oltre che alla Biennale di Venezia (1978), e la sua ricerca inizia ad aprirsi a una dimensione ambientale (La casa cucita, Selargius, 1979). Nel 1981 realizza a Ulassai la celebre performance collettiva Legarsi alla montagna, spesso ricordata quale primo esempio di arte relazionale in Italia. Le sperimentazioni avviate negli anni Settanta vengono approfondite e sviluppate nel corso dei decenni successivi, durante i quali si intensificano anche le azioni teatrali e gli interventi sul territorio (La disfatta dei Varani, Camerino, 1983; L’albero del miele amaro, Siliqua, 1997). Lasciata definitivamente Roma per Cardedu nel 1993, continua a lavorare intensamente, firmando, tra gli altri, il progetto per il Museo dell’olio della Sabina a Castel Nuovo di Farfa (1999-2001). Insignita della Laurea Honoris Causa in Lettere presso l’Università degli Studi di Cagliari (2004) per “l’originalità della sua vasta produzione artistica, riconosciuta e apprezzata in Italia e nel mondo”, nel 2006 inaugura a Ulassai il Museo di Arte Contemporanea Stazione dell'arte, dove viene raccolto un cospicuo nucleo dei suoi lavori. Presente, con le proprie opere, in prestigiose istituzioni culturali, muore a Cardedu nel 2013.