Disquisire apertamente del rapporto tra arte e fisco è l’inizio di un lungo e tortuoso iter che ha suscitato un rilevante appeal nell’ampia e mutevole platea di soggetti quotidianamente coinvolti nel settore artistico, ossia operatori professionali, amatori, mercanti, appassionati d’arte e collezionisti privati.
Come noto, la bellezza non ha un valore monetario, ma non si può affermare lo stesso dell’opera d’arte e, di conseguenza, per il novero di soggetti che si interfaccia alla monade artistica, è di primaria importanza domandarsi se e in che modo il tanto temuto “leviatano fiscale” possa incidere sulla portata dei vari investimenti in costante proliferazione in tale fiorente settore.
In quest’ottica, la finalità del presente contributo è quella di fornire un quadro il più possibile esaustivo del regime IVA applicabile al mercato dell’arte, considerate anche le esiziali difficoltà originate da una aleatoria normativa fiscale che genera un’imperante incertezza tra gli operatori del settore ma che, al contempo, può rappresentare un fattore strategico nella valutazione dalla convenienza dell’investimento.
La cessione di beni artistici, in quanto generatori di ricchezza, può determinare il sorgere di impatti fiscali che si atteggiano in maniera camaleontica in base alla veste assunta dal soggetto venditore dell’opera d’arte.
In tal senso, è di fondamentale importanza operare una prima bipartizione tra:
- cessione effettuata “occasionalmente” dal soggetto privato
- vendita effettuata, in modo sistematico, effettivo e regolare, dal soggetto operatore professionale nel settore.
Nel primo caso, a titolo esemplificativo, si pensi al collezionista che acquista le opere, oltre che in galleria o all’asta, direttamente da privati, ovvero soggetti che non esercitano l’attività di compravendita di opere d’arte in forma professionale ed abituale. In tale fattispecie, non ricorrendo i presupposti ai fini dell’applicazione dell’IVA, l’acquisto in oggetto non è soggetto all’imposta.
Passando allo scrutinio la seconda fattispecie, l’impianto normativo IVA nazionale prevede un trattamento agevolato per varie tipologie di operazioni aventi a oggetto le opere d’arte: si applica l’aliquota ridotta del 10% alle cessioni effettuate dall’autore dell’opera oppure dai suoi eredi o legatari e alle importazioni di opere d’arte dall’estero. In tutti gli altri casi, ovvero in caso di cessione da soggetto diverso dall’autore o dai suoi eredi o legatari, il trasferimento di opere d’arte da parte di soggetti IVA effettuate nel territorio dello Stato, è soggetto all’aliquota IVA ordinaria, attualmente pari al 22% sul prezzo di vendita.
Procedendo in questa direzione, preme ora porre il focus sulle cessioni di opere effettuate sovente mediante l’intermediazione di un operatore professionale, come gli antiquari professionali o le gallerie d’arte.
Ebbene, giova puntualizzare che il meccanismo IVA si atteggia in modo diverso a seconda che l’intermediario agisca in forza di un mandato con oppure senza rappresentanza.
Nell’ipotesi in cui l’intermediario agisca in nome e per conto del mandante, la vendita si considera effettuata direttamente da quest’ultimo per cui, se il venditore è soggetto IVA dovrà fatturare direttamente all’acquirente l’operazione; l’intermediario, invece, fatturerà soltanto la propria provvigione al mandante.
Diversamente dal caso analizzato in precedenza, nel caso di mandato senza rappresentanza, ai fini IVA sussistono due trasferimenti del bene:
- dal mandante (proprietario) all’intermediario (mandatario). Nel dettaglio, la cessione viene considerata non soggetta IVA se il mandante è soggetto privato, oppure soggetta a IVA se il mandante è soggetto passivo IVA;
- dall’intermediario (mandatario) all’acquirente finale. Si tratta di un’operazione rilevante ai fini IVA poiché posta in essere da un soggetto passivo d’imposta.
Occorre rilevare che nelle situazioni sopra delineate la provvigione dell’intermediario dovrà essere fatturata separatamente dall’operazione di cessione dell’opera, trattandosi di una diversa prestazione di servizio.
Giova all’esaustività del presente contributo puntare ora i riflettori sul c.d. “regime del margine” disciplinato dal D.L. n. 41/1995, ovvero un regime speciale, nonché facoltativo, di applicazione dell’IVA per il commercio di beni mobili usati, oggetti d’arte, antiquariato o dal collezione, avente lo scopo cardine di evitare lo scoglio della doppia imposizione dell’IVA per l’acquisto di beni che rientrano nel circuito dei c.d. beni usati, avendo essi già assolto l’imposta in una precedente vendita dal consumatore finale.
Al fine di evitare la suddetta situazione di double taxation, il corrispettivo di cessione del bene rivenduto non viene assoggettato ad IVA, ma soltanto la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto comprensivo di eventuale IVA, maggiorato dei costi di riparazione ed accessori: tale differenza costituisce il cosiddetto margine. A titolo esemplificativo, si pensi al caso in cui un’opera d’arte venga acquistata da una galleria al prezzo di 1000,00 euro e, successivamente, rivenduta a 1500,00 euro. Qualora il soggetto intermediario abbia sostenuto spese di restauro pari a 100,00 euro, il margine su cui calcolare l’IVA sarebbe pari a 400,00 euro, ovvero la differenza tra prezzo di successiva vendita (1500,00 euro) e prezzo di acquisto oltre spese sostenute (1100,00 euro).
Per completezza, di seguito si elencano le colonne portanti del sopracitato istituto:
- la cessione dell’opera d’arte deve essere assoggettata in modo definitivo ad IVA;
- la cessione deve riguardare beni mobili usati o gli oggetti indicati nella tabella allegata al D. L. n. 41/1995 (ossia quadri, incisioni, stampe, sculture, arazzi, smalti, fotografie artistiche, francobolli e altri oggetti di antiquariato aventi più di cento anni);
- i beni sopra indicati devono essere acquistati da privati in Italia o in altro Stato membro. Sono considerati privati anche i soggetti passivi che non hanno potuto detrarre l’IVA all’atto dell’acquisto o dell’importazione.
Ai fini della determinazione del margine, il legislatore nazionale ha sancito tre metodi, diversificati in virtù della natura dei beni rivenduti e dei soggetti rivenditori e comportanti meccanismi di calcolo differenti:
- il regime analitico in base al quale per ogni singola operazione la base imponibile IVA viene individuata dalla differenza tra il prezzo di vendita comprensivo dell’IVA e quello di acquisto inclusivo delle eventuali spese accessorie;
- il regime globale - esteso esclusivamente a particolari attività di commercio non esercitate da ambulanti tra cui francobolli, monete o altri oggetti da collezione e qualsiasi bene con costo inferiore a € 516,46 - secondo cui il margine viene determinato con riferimento alle cessioni e agli acquisti considerati in toto nel periodo mensile o trimestrale e non sulla base delle singole operazioni effettuate;
- il regime forfettario applicabile a coloro che effettuano commercio di beni usati in forma esclusivamente ambulante. Il margine su cui viene individuata l’imposta è calcolato forfettariamente mediante l’applicazione di una percentuale predeterminata sul prezzo di vendita. In particolare, per le cessioni di oggetti d’arte il cui prezzo di acquisto manca, non è determinabile oppure è irrilevante, l’ammontare del margine è pari al 60%.
In conclusione, il regime del margine non risolve certamente la complicazione di un’imposta sulle opere d’arte tra le più alte nel panorama globale e, dal quadro delle soluzioni fiscali sopra analizzato, non può sottacersi che emerge con evidenza uno scenario di mercato fortemente bistrattato dalla leva fiscale a differenza di altri mercati concorrenti (Francia, Germania, Regno Unito, Belgio) che applicano, invece, alle transazioni commerciali delle opere d’arte aliquote nettamente inferiori se non addirittura dimidiate.
Federico De Vito
Associate di Loconte&Partners di Milano