Mostre

 02 Paglen Impossible Objects Install ASG 2018

Trevor Paglen Impossible Objects, 2018 Altman Siegel, San Francisco Installation view Courtesy of the artist and Altman Siegel, San Francisco

 

Le OGR di Torino presentano "TREVOR PAGLEN- UNSEEN STARS"

Trevor Paglen (Maryland, 1974) sarà il protagonista di una grandissima mostra alle OGR di Torino.  

Dal 10 ottobre 2020 al 10 gennaio 2021, l’artista americano Trevor Paglen (Maryland, 1974) sarà il protagonista di una grandissima mostra alle OGR di TorinoUnseen Stars, a cura di Ilaria Bonacossa con Valentina Lacinio, è creata appositamente per gli spazi delle OGR, si inserisce in una più ampia riflessione sullo spazio e il suo controllo che l’artista porta avanti da quasi dieci anni avvalendosi di collaborazioni scientifiche di altissimo livello, dalla NASA al MIT di Boston.

Per l’occasione, Trevor Paglen trasformerà le OGR in uno pseudo-laboratorio aerospaziale: tre “satelliti non funzionali” e una serie di strutture sopraelevate — simili alle impalcature su cui sono soliti operare tecnici e ingegneri — scandiranno l’intera navata del Binario 1 dando vita a uno spazio astratto, la cui illuminazione fortemente teatrale e poliforme amplifica lo sdoppiamento dell’architettura riflessa sulle superfici specchianti dei satelliti.

Sviluppati in collaborazione con ingegneri aerospaziali, i satelliti di Paglen sono sculture concepite nella loro leggerezza per poter orbitare nel cosmo senza una specifica funzione, se non quella di trasformarsi in stelle temporanee. Questi satelliti non funzionali, con le loro forme concave e convesse, diventano sculture minimali, evocative di un nuovo rapporto tra arte, scienza e poteri contemporanei.

In collaborazione con il Nevada Museum of Art e il Global Western, nel dicembre 2018 Paglen ha lanciato in orbita con il razzo Falcon 9 di Space X il satellite Orbital Reflector: una scultura gonfiabile prismatica, lunga una trentina di metri e larga circa un metro e mezzo che, raggiunta la distanza prescelta, si sarebbe gonfiata per orbitare intorno alla Terra per la durata di tre mesi illuminando la volta celeste con un nuovo astro visibile a occhio nudo. Lo shutdown dell’amministrazione pubblica degli Stati Uniti, che ha coinvolto anche i dipendenti della NASA e che è durato dal 22 dicembre 2018 al 25 gennaio 2019, ha interferito con l’attivazione e il monitoraggio del satellite di cui, ad oggi, si è persa traccia ma che forse, nel suo viaggio siderale, continua a illuminare le nostre notti.

Come negli anni Venti l'artista costruttivista russo Kazimir Malevich immaginava la creazione di Sputnik come opere d’arte in orbita attorno alla Terra per raggiungere altri pianeti, così Paglen crea satelliti non funzionali come esperimenti scultorei, dispositivi evocativi del nostro rapporto con lo Spazio e la politica che ne governa la colonizzazione. La ricerca sulla forma di queste opere è una possibile risposta a come l’ingegneria aerospaziale potrebbe evolvere se i suoi metodi fossero dissociati dagli interessi militari. Evidenziando le connessioni interdisciplinari tra i campi della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e dell’arte, Paglen invita tutti noi a prendere parte a una conversazione sul nostro futuro collettivo e sulle modalità di controllo dei governi internazionali.

Se dal punto di vista scultoreo Paglen crea mondi potenziali e alternativi a quelli in cui viviamo, re-immaginando — come nel caso del progetto per le OGR — lo Spazio come un luogo di possibilità, il resto della sua produzione si articola nell’incontro tra fotografia, geografia, installazioni, giornalismo investigativo e conoscenze scientifiche, per dare così vita alla rappresentazione visiva di ciò che lui stesso definisce “trasformazioni della società contemporanea spesso invisibili a noi cittadini”. Le sue immagini vanno oltre la semplice documentazione, per riflettere sulle raffinate dinamiche di controllo, occultamento e manipolazione proprie dei governi dei Paesi industrializzati e delle loro agenzie di intelligence. Con l’intenzione di rendere visibile l’invisibile, il lavoro di Paglen mira a stimolare un grado di consapevolezza sempre maggiore nei confronti delle condizioni in cui viviamo e operiamo, mostrando i meccanismi di sorveglianza e controllo a cui siamo soggetti per interrogarci sulla possibilità di immaginare, attraverso l’arte, futuri alternativi.

In occasione dell'inaugurazione della Fiera Internazionale di Artissima (5-8 novembre 2020) sarà allestita in Binario 2, un'importante opera video che dialogherà con il lavoro di Trevor Paglen e che sarà focalizzato sul rapporto tra arte e tecnologia. Questo allestimento, a cura di OGR in collaborazione con Artissima, fa parte del programma di Biennale Tecnologia, festival dedicato a tecnologia e società promosso dal Politecnico di Torino che avrà luogo dal 12 al 15 novembre. L'opera video sarà visitabile insieme alla mostra di Trevor Paglen dal 5 al 15 novembre.

Trevor Paglen è un artista il cui lavoro abbraccia la creazione di immagini, la scultura, il giornalismo investigativo, la scrittura e numerose altre discipline. Il suo lavoro di ricerca è focalizzato sull’interpretazione del momento storico attuale e sullo sviluppo dei mezzi per immaginare futuri alternativi. Il lavoro di Trevor Paglen è incluso nelle collezioni del Metropolitan Museum of Art; il San Francisco Museum of Modern Art; il Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Victoria and Albert Museum, Londra, tra gli altri. Ha lanciato un'opera d'arte in orbita lontana intorno alla Terra in collaborazione con Creative Time e MIT, ha contribuito alla ricerca e alla cinematografia al film vincitore dell'Oscar Citizenfour e ha creato una scultura pubblica radioattiva per la zona di esclusione a Fukushima, in Giappone. 

 

 

 Autunno blu a Villa Croce dal Blue de Genes di ArteJeans London allinfinito di Yves Klein

 

 

"Autunno Blu" a Villa Croce a Genova

Cinque mostre di arte contemporanea legate dal tema del Blu, allestite contemporaneamente nelle sale bianche del piano nobile di Villa Croce, e accompagnate da relativi incontri dedicati.Cinque mostre di arte contemporanea legate dal tema del Blu, allestite contemporaneamente nelle sale bianche del piano nobile di Villa Croce, e accompagnate da relativi incontri dedicati.  

Il Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce di Genova si prepara per proporre un autunno in blu: dal 30 settembre 2020 al 17 gennaio 2021 si terrà il progetto espositivo Autunno BLU a Villa Croce. Dal Blu di Genova di ArteJeans all’infinito di Yves Klein, prodotto dal Comune di Genova e a cura di Anna Orlando e Francesca Serrati. 

Cinque mostre di arte contemporanea legate dal tema del Blu, allestite contemporaneamente nelle sale bianche del piano nobile di Villa Croce, e accompagnate da relativi incontri dedicati.Cinque mostre di arte contemporanea legate dal tema del Blu, allestite contemporaneamente nelle sale bianche del piano nobile di Villa Croce, e accompagnate da relativi incontri dedicati. 

Il progetto di una mostra plurima comprende cinque eventi espositivi allestiti contemporaneamente nelle sale del piano nobile e sono accompagnati da altrettanti incontri specifici dedicati a ciascuna delle mostre che compongono il corollario di questo programma, al quale se ne aggiungono altri per rendere più che mai viva la nuova stagione autunnale del museo.

ArteJeans: storia di un mito nelle trame dell’arte contemporanea

In collaborazione con l’Associazione ARTEJEANS, London 

L’esposizione di punta di questo intenso programma è la mostra ARTEJEANS: storia di un mito nelle trame dell’arte contemporanea che presenta, in anteprima assoluta le 24 opere generosamente donate alle Collezioni Civiche di Genova da artisti di tutta Italia: Alberto BIASI, Henrick BLOMQVIST, Enzo CACCIOLA, Pierluigi CALIGNANO, Roberto CODA ZABETTA, Maurizio DONZELLI, Ettore FAVINI, GOLDSCHMIED & CHIARI, Riccardo GUARNERI, Emilio ISGRÒ, Ugo LA PIETRA, Marco LODOLA e Giovanna FRA, Carolina MAZZOLARI, Ugo NESPOLO, Giovanni OZZOLA, Gioni David PARRA, Francesca PASQUALI, Pino PINELLI, Fabrizio PLESSI, Gianni POLITI, Laura RENNA, Marta SPAGNOLI; Serena VESTRUCCI, Gianfranco ZAPPETTINI

In cinque dinamici spazi del Museo d’arte Contemporanea di Villa Croce saranno esposti per la prima volta al pubblico i lavori di questi artisti storicizzati e di fama internazionale, accuratamente selezionati dal comitato critico composto da Ilaria Bignotti, Luciano Caprile, Laura Garbarino.

Un grande dono per Genova, per risarcire con l’arte contemporanea il dramma della caduta del ponte Morandi e guardare al futuro.

Da un’idea di Ursula Casamonti (proprietaria e fondatrice di Tornabuoni Art, London) e Francesca Centurione Scotto, Artejeans nasce come associazione per supportare, con la creazione di un nucleo fondante di importanza artistica ragguardevole e la creazione di una inusuale e rara collezione di opere in jeans, l’atteso evento di GenovaJeans, ideato da Manuela Arata che celebrerà il telo di Genova, jeans in inglese, come materiale col quale la Superba si è vestita fin dal Medioevo e identificativo della stessa città.

Gli artisti si sono dovuti cimentare con una tela jeans di 200 x 180 cm, offerta dal partner della manifestazione Candiani, liberamente interpretandola e trasformandola in opere d’arte che scendono nell’essenza “blue” più intima della città.

“Un viaggio simbolico nel tempo e nella storia del jeans, nelle forme e nelle geografie culturali dell'arte italiana. Le opere di questi artisti sono piccoli grandi ponti verso e da Genova all’Italia e al mondo (…) opere d’arte pensate unicamente per la volontà di contribuire alla nascita, a Genova, di una nuova realtà delle arti visive contemporanee, aperta a tutti e capace di riscattare, ancora una volta, la comunità e la collettività dal silenzio e dall'assenza, dalla solitudine e dall'isolamento… raccontando anche fisicamente lo sforzo della città di ripartire, rinascere, ricostruire.” scrive Ilaria Bignotti, una delle curatrici del catalogo.

Klein vs Strozzi. Sotto il segno del blu

In collaborazione con i Musei di Strada Nuova, il MART di Rovereto e le gallerie Matteo Lampertico Arte Antica e Moderna di Milano e UniMediaModern di Genova

Un’immaginaria sfida tra due tavolozze, quella del maggior pittore del Seicento ligure, il pittore Cappuccino Bernardo Strozzi, dopo la riscoperta operata dalla specialista di riferimento Anna Orlando, con uno dei più interessanti protagonisti del Novecento, il francese Yves Klein, universalmente noto per la sua ossessione per il blu, che si traduce in suggestiva bellezza anche concettuale.

Genova accoglie e declina l’idea di Vittorio Sgarbi realizzata nell’inverno-primavera 2019-2020 al MART di Rovereto, dove un lavoro di Klein di collezione privata era posto in dialogo con la grande pala di Strozzi raffigurante la Madonna con Gesù Bambino in gloria e santi della Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo di Tiarno di Sopra (Tn), caratterizzata dalla tinta folgorante della veste della Madonna e di San Pietro.

Grazie alla generosa collaborazione di alcuni collezionisti privati e di alcuni galleristi, saranno esposti a Genova alcuni esemplari delle opere pittoriche e scultoree del francese tra le quali una Nike.

Il dialogo sarà con un magnetico dipinto di Bernardo Strozzi, il San Francesco dei Musei di Strada Nuova, la cui sagoma si staglia sulla magia di un fondo blu.

Klein vs Ascolini. 

In occasione della mostra Autunno Blu a completamento della mostra verranno messe anche in dialogo le fotografie di Vasco Ascolini con il blu di Yves Klein. 

In mostra sette gigantografie (cm. 100 di base per cm. 130 altezza) del grande Vasco Ascolini. Si tratta di scatti di mosse di judo – chiamate Kata - a sottolineare molti interessi - quali judo, corpo in scena e teatro - che hanno accomunato i due grandi maestri, i quali rappresentano una pietra miliare nel panorama artistico a cavallo fra il Novecento e gli anni Duemila. Yves Klein, come il Maestro Ascolini, ha praticato judo. Entrambi sono stati Cintura nera. Klein riteneva che dallo Zen gli derivasse una forza speciale. Diceva che la avvertiva mentre praticava judo, ma anche in tutte le forme d'arte che ha frequentato.

Riprendendo questo limpido ricordo, a Quid Magazine il Maestro Ascolini racconta: “Klein ha avuto una vita brevissima. È morto a trentasei anni, nel 1962, per un infarto. Io ho fotografato due miei judoka, facendo eseguire a loro quello che faceva Klein. Le foto risalgono ai primi anni Settanta. Ad Arles hanno avuto un grande successo in una personale al Musée Reattu”.

Rocco Borella. Omaggio Blu per il centenario

In collaborazione con l’Associazione Culturale Rocco Borella e Luciano Caprile

Il maestro genovese (1920-1994) al quale Villa Croce dedicò un’antologica nel 1992, due anni prima della sua morte, noto per i suoi “cromemi”, è ricordato nel centenario della nascita con opere della collezione permanente di Villa Croce e prestiti da collezioni private.

La selezione, a cura del critico Luciano Caprile, profondo conoscitore dell’artista, sarà focalizzata a evidenziare il suo uso del colore blu.

Ben Patterson. La Costellazione restaurata

In collaborazione con il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale

Realizzata dall’artista al Museo di Villa Croce per la mostra “The Fluxus Constellation” nel 2002, che celebrava i 40 anni del movimento, e donata al museo, l’opera Constellation of the first magnitude di Ben Patterson ricrea un ironico cielo stellato, i cui astri luminosi, accesi a intermittenza, sono i volti degli artisti Fluxus abbinati ai loro segni zodiacali.

La mostra è l’occasione per presentare l’opera per la prima volta al pubblico dopo il restauro condotto tra il 2017 e il 2019 dalla studentessa del Centro di Restauro della Venaria Reale Alessandra Scarano, con la supervisione della prof.ssa. Alessandra Bassi.

Fulvio Magurno. Animulae, 2020

In collaborazione con la Galleria Capoverso di Stefania Ghiglione, Genova

L’artista fotografo, nato in Sicilia, cresciuto a Napoli e genovese d’adozione, presenta in questa occasione il suo inedito lavoro Animulae: un lavoro site-specific che include una serie di 10 stampe UV su tavola dallo spessore di 2 cm e dal formato ridotto (cm 30 x 20).

Come una sorta di icone, e insieme un dichiarato omaggio a Yves Klein, le opere sono ispirate ai Crocifissi settecenteschi di Anton Maria Maragliano (1664-1739) che virano, per effetto di elaborazione cromatica delle esposizioni multiple, verso una vibrante sinfonia di blu, quasi un riflesso dell’evanescenza dell’anima rispetto alla consistenza della carne e del corpo.

 

GIORNI DI APERTURA E ORARI

Giovedì e venerdì 15-19

Sabato e domenica 11-19

Scuole su prenotazione 335-5699409 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Prevendita biglietti su www.ticketone.it

 

 4. Brigitte Schindler Cerimonia giapponese 2019

 Brigitte Schindler, Cerimonia giapponese 2019, stampa a colori su carta cotone / colour print on cotton paper. © Brigitte Schindler

 

Collezione Maramotti, in collaborazione con Museo Casa Mollino, è lieta di presentare la nuova mostra "Mollino/Insides"

Attraverso alcuni scorci dell’ultima enigmatica dimora di Mollino si accede alle fotografie degli anni ’50 e ’60 delle modelle di Mollino, sfumate nell’essenza misteriosa dell’immaginario che abitano. 

Prendendo spunto dal tema di Fotografia Europea 2020 “Fantasie. Narrazioni, regole, invenzioni”,Collezione Maramotti, in collaborazione con Museo Casa Mollino, è lieta di presentare dal 4 ottobre 2020 al 16 maggio 2021 la nuova mostra Mollino/Insides, con opere pittoriche di Enoc Perez e fotografie di Brigitte Schindler e di Carlo Mollino.

Attraverso alcuni scorci dell’ultima enigmatica dimora di Mollino in via Napione a Torino – che ospita ora il Museo Casa Mollino – trasformata dall’interpretazione pittorica di Perez e dall’occhio fotografico di Schindler, si accede alle fotografie degli anni ’50 e ’60 delle modelle di Mollino, sfumate nell’essenza misteriosa dell’immaginario che abitano.

Dalla seconda metà degli anni Novanta Enoc Perez, artista portoricano con base a New York, ha avviato una ricerca su architetture iconiche del Novecento e su come queste siano state appropriate dall’immaginario collettivo come forme e metafore sociali di fascinazione e di bellezza. Al contempo, dalla materia pittorica affiora una consistenza fantasmatica delle immagini, simboli che il tempo trasfigura e trasporta in una dimensione più indefinita, a tratti onirica. Alla Collezione Maramotti appartengono già diverse opere dell’artista, tra cui un dittico su Casa Malaparte realizzato per una mostra temporanea nel 2008 e ora esposto in permanenza.

Nel settembre 2019, Perez ha visitato il Museo Casa Mollino e scattato delle fotografie degli interni, a partire dalle quali ha tratto e realizzato, specificamente per questa mostra, alcuni nuovi dipinti di grandi dimensioni.

La stessa Casa è stata e continua ad essere fonte di ispirazione anche per Brigitte Schindler, la cui passione per la fotografia ha dato vita, negli ultimi tre anni, a immagini suggestive e prospettive inedite degli interni, ricche di dettagli rivelatori. Queste fotografie di Schindler – mai esposte prima – intercettano il mistero sospeso negli ambienti, le sottili connessioni tra gli oggetti accuratamente scelti e posizionati da Mollino. In un raffinato equilibrio di specchi, riflessi, metamorfosi e disvelamenti, le sue visioni introducono chi guarda in profondità a un percorso di scoperta estetica e concettuale del complesso mondo di Carlo Mollino, personalità multiforme del Novecento, conosciuto, tra le altre cose, come architetto, designer e fotografo.

La fotografia accompagna Mollino (1905-1973) dall’infanzia fino alla sua scomparsa. Egli la utilizza come strumento per la creazione di una realtà diversa, alternativa. Il corpo femminile è un tema ricorrente, dai primi ritratti di ispirazione surrealista alle polaroid di nudi degli anni Sessanta. Con grande minuzia, Mollino sceglie e prepara ambienti, oggetti, vestiti, accessori per ritrarre le sue modelle, le trasporta in uno spazio particolare accuratamente studiato, ne glorifica la bellezza, ne esalta l’iconografia. Attivato da uno sguardo visionario e teso alla sperimentazione, Mollino si dedica alla composizione di un’immagine ricercata e multiforme della controparte femminile ideale della sua esistenza, alla creazione di quello che Fulvio Ferrari, direttore del Museo Casa Mollino, definisce un “esercito di farfalle”, che completi Mollino e lo accompagni anche oltre la vita terrena.

Mollino molto raramente utilizza come ambientazione per le sue fotografie la sua ultima dimora di Via Napione – mai realmente abitata e sempre tenuta segreta –, disegnata nei minimi dettagli e concepita come specchio della sua visione del mondo. In un percorso eclettico in cui sempre il contenuto precede la forma e la forma non è mai scontata, dalla camera oscura del fotografo alla camera oscura, nascosta e segreta, delle sue case (in particolare dell’ultima), Mollino lavora con la materia della “parentesi necessaria” che è la nostra vita, studia ed esplora la bellezza della natura (umana e non) per indagare il senso profondo dell’esistenza attuale e preparare la sua prosecuzione ultraterrena.

Oltre al soggetto delle opere in mostra – Mollino e il suo raffinato e complesso immaginario – trasformazione e creazione visionaria accomunano i tre autori.

Perez muta in pittura l’architettura e gli spazi, passando attraverso la riproduzione fotografica, aggiungendo nuovi livelli di lettura e di valori associati a quelle immagini. L’utopia degli architetti nella progettazione di edifici e spazi è condivisa dall’artista nella dimensione del linguaggio pittorico e nel valore della sua espressione.

Mollino costruisce concettualmente e fisicamente i mondi/case in cui ambientare le sue fotografie. Ogni oggetto, ogni dettaglio diventa simbolo e attivatore di storie e rimandi. Con un approccio mentale estremamente ordinato e uno stile a un tempo composto ed estremo, Mollino dà vita a narrazioni e scenari altri, simbolici e spesso di complessa decifrazione.

Schindler si concentra sull’essenza di dettagli all’apparenza minori, sulla loro capacità di diventare chiavi e indizi per accedere a una magia dello sguardo, a nuove “stanze visive”. Ogni scatto condensa lo scenario di un racconto che si rivela attraverso gli oggetti del mondo, grazie a uno spostamento della loro percezione.

La mostra sarà accompagnata da un libro con testi di Mario Diacono e Fulvio Ferrari e contributi di Enoc Perez e Brigitte Schindler.

 

Collezione Maramotti

Via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia

Tel. +39 0522 382484

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www.collezionemaramotti.org

 

 1. Shepard Fairey Bias By Numbers 2019 Silkscreen and mixed media collage on paper HPM 76 x 104 LR

 Shepard Fairey, Bias By Numbers, 2019, Silkscreen and mixed media collage on paper HPM, 76 x 104

 

La Galleria d’Arte Moderna di Roma inaugura la mostra “3 Decades of dissent”

 Un progetto espositivo esclusivo curato dallo stesso Shepard Fairey, urban artist tra i più conosciuti al mondo. 

La Galleria d’Arte Moderna di Roma ospiterà dal 17 settembre al 22 novembre 2020 SHEPARD FAIREY / 3 DECADES OF DISSENT, un progetto espositivo esclusivo curato dallo stesso Shepard Fairey, urban artist tra i più conosciuti al mondo, insieme a Claudio Crescentini, Federica Pirani e galleria Wunderkammern. Sperimentatore assoluto di linguaggi, stili e messaggi politici tramite l’arte, l’artista statunitense Shepard Fairey (Charleston, 1970) ha voluto creare un concept unico e irripetibile appositamente per la Galleria d’Arte Moderna, presentando un nucleo unitario di trenta sue recenti opere grafiche inedite (2019) - con il quale ripercorre molti dei suoi temi di dissenso, tra cui la lotta per la pace e contro la violenza razziale, la difesa della dignità umana e di genere, la salvaguardia dell’ambiente - in dialogo con importanti opere della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina.

La mostra, ad ingresso gratuito con la MIC, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e galleria Wunderkammern. É organizzata in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.

Sarà accompagnata da un catalogo, pubblicato da Silvana Editoriale, con testi di Maria Vittoria Marini Clarelli, Claudio Crescentini, Federica Pirani, Arianna Angelelli insieme a Daniela Vasta e galleria Wunderkammern.

L’iniziativa fa parte di Romarama, il programma di eventi culturali promosso da Roma Capitale.

Ad aprire l’esposizione, un’opera che ne circoscrive anche il limite temporale dei tre decenni di dissidenza: una copia autografata di HOPE (2008), una delle opere più celebri di Fairey, in cui l’artista ha ridefinito il volto di Barack Obama, creando l’immagine iconica che ha fatto il giro del mondo, simbolo del primo politico di origini afroamericane a ricoprire la carica di Presidente U.S.A. Lo stesso Obama, in una lettera a Fairey poi resa pubblica, si congratulò direttamente con lui.

L’artista ha da sempre definito il suo stile come politico, audace e iconico, basato sulla stilizzazione e idealizzazione delle immagini, così come dimostrano anche altre opere in mostra, fra le quali la ridefinizione della celeberrima campagna di sticker dal titolo “André the Giant Has a Posse”, con il volto del campione di wrestling disseminato su migliaia di muri delle città americane. “André the Giant”, nella sua versione HENDRIX, sarà presente in mostra insieme a JESSE - con il volto del Reverendo Jesse Jackson - della serie “Brown Power”. In questa opera Fairey adotta esplicitamente il linguaggio visivo dei decenni Sessanta-Settanta e in particolare del movimento Black Power, utilizzando una combinazione di colori pan-africana - rosso, nero e verde - ripresa dai combattenti per la libertà e i diritti degli afroamericani. Così come espresso in un’altra sua opera in mostra, POWER AND EQUALITY dedicata ad Angela Davis, fondamentale attivista del movimento afroamericano statunitense e militante del Partito Comunista degli Stati Uniti d'America.

Anche in questo caso ritorna potente l’iconicità dell’uso del segno di Fairey, sempre molto riconoscibile, anche per essere pura espressione di legami con la tradizione grafica dell’arte dissidente e avanguardista dell’Europa del Novecento. Dal Futurismo al Costruttivismo russo, come nell’opera in mostra GUNS AND ROSES, definita dal gioco linguistico e visivo fra rock - il titolo riprende la denominazione dell’omonimo gruppo musicale - e i simboli pacifisti, specificatamente anni Sessanta, con le rose nei fucili. Il pacifismo quindi, altro tema dominante di Shepard Fairey, che va di nuovo a legittimarsi con la sua (ri)appropriazione della grafica del Modernismo europeo, come nella serie OBEY LOTUS ORNAMENT e in quella, sempre in mostra, della serie MONEY con Lenin, Mao e Nixon. Così come in un’altra opera di forte impatto politico GREETINGS FROM IRAQ, strutturata come una cartolina dove però le “bellezze” dell’Iraq diventano i bombardamenti aerei americani.

I personaggi di spicco dell’attivismo politico pacifista e anti-razzista, la volontà di operare e lottare per la pace del mondo e contro la violenza razziale, la difesa della dignità umana e di genere, la lotta contro la violenza sulle donne e l’infanzia violata, la salvaguardia e difesa dell’ambiente. Questi in breve alcuni dei temi politici della nostra contemporaneità perseguiti dall’arte di Shepard Fairey e rivitalizzati dalle sue opere in mostra, con un’idea base, fare dell’arte la legge del “dissenso” politico privato in funzione pubblica. Dissenso attivo e puntuale che va a connettersi, per scelta dello stesso artista, con una serie di “Interferenze d’arte”, ossia rapporti - concettuali, tematici, iconografici - che Fairey stesso, insieme agli altri curatori della mostra, ha voluto intenzionalmente creare per la Galleria, facendo dialogare le sue opere e i suoi temi con le opere della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina, costruendo percorsi visivi che tendono a loro volta verso altri e più personali intrecci visuali con i quali il pubblico potrà interagire e confrontarsi. Un concreto bisogno di sfidare visivamente sé stesso e la propria arte con l’arte del suo e del nostro recente passato.

“Interferenze” perciò fra le sue opere esposte e quelle di altri artisti contemporanei appositamente selezionati dall’artista, insieme al team curatoriale, e allestite, su idea dello stesso Shepard Fairey, in una sequenza unica tramite la quale il pubblico potrà riconoscere molte suggestioni stilistiche e artistiche di Fairey nello specchio dell’arte contemporanea italiana. A cominciare dal gioco di sguardi del “Big brother is watching you” con “Il dubbio” (1907-08) di Giacomo Balla, proseguendo con “Commanda” in dialogo con “Donna alla toletta” (1930) di Antonio Donghi. E ancora: “Exclamation” con “Il Cardinal Decano” (1930) di Scipione; “Jesse” con “L’autoritratto” (1937) di Renato Guttuso; il pugno chiuso di “Obey fist” con il totalizzane “Il Comizio” (1949-50) di Giulio Turcato, in cui le essenze cromatiche delle bandiere rosse si trasformano in forza politica e voce d’artista antagonista. Stessa cosa per il confronto con “Compagni Compagni” (1968) di Mario Schifano. “Guns and Roses” di Fairey si confronterà invece con il “Cannone” di Pino Pascali (1965) nell’altrettanto iconica foto di Claudio Abate; “Proud parents” con “Gli Arnolfini Mazzola at Madmountain” (1978) di Luca Maria Patella; “Nixon Money” con “1) Willy Brandt / 2) Morder von Rechts / 3) Non esiste l’anima?”  (1992-97) di Fabio Mauri. E altri ancora, fino a coprire un ideale arco storico virtuale che va dal XIX secolo all’oggi dissidente di Shepard Fairey.

In mostra per le “Interferenze d’arte” opere di: Claudio Abate, Carla Accardi, Giacomo Balla, Domenico Belli, Felice Casorati, Emanuele Cavalli, Primo Conti, Nino Costa, Giorgio de Chirico, Fortunato Depero, Antonio Donghi, Francesco Guerrieri, Virgilio Guidi, Renato Guttuso, Fabio Mauri, Cipriani Efisio Oppo, Pino Pascali, Luca Maria Patella, Fausto Pirandello, Giuseppe Salvatori, Mario Schifano, Scipione, Mario Sironi, Giulio Turcato e altri.

 

 Behind the Walls02 da Beh

Paolo Ventura: Behind the Walls#02 (da Behind the Walls) 2011

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia ospita Carousel, un percorso all’interno dell’eclettica carriera di Paolo Ventura

Sin dalle sue prime opere Ventura unisce alla capacità manuale una particolare visione poetica del mondo, costruendo delle scenografie all’interno delle quali prendono vita brevi storie fiabesche. 

Dal 17 settembre al 8 dicembre CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia ospita Carousel, un percorso all’interno dell’eclettica carriera di Paolo Ventura (Milano, 1968), uno degli artisti italiani più riconosciuti e apprezzati in Italia e all’estero. Dopo aver lavorato per anni come fotografo di moda, all’inizio degli anni Duemila si trasferisce a New York per dedicarsi alla propria ricerca artistica. Sin dalle sue prime opere Ventura unisce alla grande capacità manuale una particolare visione poetica del mondo, costruendo delle scenografie all’interno delle quali prendono vita brevi storie fiabesche e surreali, immortalate poi dalla macchina fotografica.

Con “War Souvenir” (2005), ambientato in un tempo imprecisato che rimanda alle atmosfere dell’Italia della Seconda Guerra Mondiale, ottiene i primi importanti riconoscimenti, come l’inserimento all’interno del documentario della BBC “The Genius of Photography” nel 2007. Dopo dieci anni negli Stati Uniti, rientra in Italia dove realizza alcuni dei suoi progetti più celebri, all’interno dei quali mescola fotografia, pittura, scultura e teatro, come ad esempio nella scenografia di “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo, frutto dell’importante collaborazione con il Teatro Regio di Torino, di cui CAMERA ha esposto alcuni lavori preparatori a gennaio del 2017.

In quest’occasione le sale del museo ospitano alcune delle opere più suggestive degli ultimi quindici anni – provenienti da svariate collezioni, oltre che dallo studio dell’artista – in un’assoluta commistione di linguaggi che comprende disegni, modellini, scenografie, maschere di cartapesta e costumi teatrali. Non mancano i progetti più iconici della prima fase della sua produzione: il già citato “War Souvenir”, “L’Automa” e una selezione dalle “Winter Stories”, in cui i protagonisti delle narrazioni sono dei burattini e gli ambienti dei piccoli set teatrali costruiti dallo stesso Ventura sul tavolo del suo studio. Con le “Short Stories” si sancisce una fase nuova della sua ricerca: di ritorno dalla Grande Mela si stabilisce nel piccolo borgo di Anghiari, nei pressi di Arezzo, dove, all’interno di uno studio particolarmente luminoso ricavato da un vecchio fienile, allestisce una pedana e un fondale su cui lui stesso impersona, insieme alla moglie e al figlio, brevi vicende paradossali e fiabesche. Un elemento che ritroviamo anche nei progetti più recenti che, pur perdendo la sequenzialità narrativa, rimangono ricchi di una suggestione surreale. In particolare, lo si nota nei collage in cui i soggetti – gli stessi che ricorrono nell’intera produzione dell’artista: soldati, maghi, artisti, pagliacci e saltimbanchi – si stagliano su una superficie che nel corso degli anni ha lasciato sempre maggior spazio alla pittura.
Non si tratta, tuttavia, di un percorso lineare né di una retrospettiva, quanto piuttosto di una messa in scena di tutti i temi più frequenti della sua poetica, fra i quali spiccano quello del doppio e della finzione. Le prime sale dello spazio espositivo torinese diventano quindi un’autentica full immersion nella poetica di Ventura, un vero e proprio ingresso all’officina dove nascono e si compongono le storie elaborate dall’artista, anche grazie all’allestimento di alcuni degli elementi che concorrono alla loro realizzazione. Un viaggio e un racconto, dunque, secondo quelli che sono i temi e le modalità espressive predilette da Ventura, rappresentante di una fotografia volutamente narrativa: non a caso, i testi che accompagneranno questo percorso saranno stesi e scritti direttamente dall’artista, che diviene la voce narrante della mostra.

La seconda metà dell’esposizione sarà invece dedicata interamente a due nuovi e inediti progetti: il primo è “Grazia Ricevuta”, rivisitazione affettuosamente ironica del tema dell’ex voto, che Ventura naturalmente rielabora a partire dalla manipolazione dell’immagine e dalla presenza costante della sua figura e di quella delle persone a lui vicine. Un ulteriore affondo nella cultura popolare, così amata e ben conosciuta da Ventura, una cultura che da sempre fornisce icone e tematiche al multiforme artista milanese. Il secondo lavoro inedito esposto in questa occasione è il frutto di una residenza svolta presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma, avviata grazie alla collaborazione fra CAMERA e l’ente ministeriale. Sulla scorta dello studio e della riflessione sulla rappresentazione delle vicende risorgimentali, a partire dagli Archivi dell’ICCD, Ventura allarga il proprio orizzonte ai temi della rappresentazione della guerra attraverso la fotografia e della difficile accettazione della modernità del mezzo fotografico in un paese fortemente legato alla tradizione come l’Italia del XIX secolo. Tutto questo attraverso il romanzesco rinvenimento di una serie di rare carte salate, risalenti al periodo risorgimentale, nel corso della residenza romana dell’artista.
Pressoché sconosciute al pubblico sono anche le prime opere, che ritroviamo eccezionalmente in mostra, con le quali Ventura inizia a sperimentare con un obiettivo close-up e un flash anulare alla fine degli anni Novanta, dopo essersi allontanato dall’ambiente della carta patinata.
Conclude il percorso una grande e spettacolare installazione, che trasforma l’intero lungo corridoio di CAMERA nel palcoscenico sul quale appare e si sviluppa una città immaginaria, composta dalle tante architetture realizzate da Ventura nel corso degli anni, riassemblate e reinventate per questa occasione in un allestimento di grande suggestione.

Curata da Walter Guadagnini, con la collaborazione di Monica Poggi, la mostra sarà accompagnata da un volume monografico, pubblicato da Silvana Editoriale, che ripercorre per la prima volta in modo esaustivo e organico tutte le tappe salienti della ricerca dell’artista. Oltre al saggio dello stesso Guadagnini, al suo interno troviamo un testo della scrittrice e critica letteraria Francine Prose e una lunga intervista di Monica Poggi.
L’attività di CAMERA è realizzata grazie a Intesa Sanpaolo, Lavazza, Eni, Reda, in particolare la programmazione espositiva e culturale è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo.