REFOCUS #2 Open call fotografica sul territorio italiano all’epoca del post-lockdown
Selezionati i fotografi vincitori. Presentazione in diretta streaming mercoledì 2 dicembre 2020, ore 18.30
Tra le 245 candidature giunte da tutta Italia, venti progetti fotografici hanno saputo meglio raccontare la società italiana durante il periodo immediatamente successivo alla quarantena vissuta la scorsa primavera. La selezione pubblica REFOCUS #2. Open call fotografica sul territorio italiano all’epoca del post-lockdown, promossa dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo in collaborazione con il Museo di Fotografia Contemporanea e Triennale Milano, ha individuato come vincitori gli artisti: Fulvio Ambrosio, Giacomo Bianco, Alessandro Calabrese e Ilaria Tariello, Mara Callegaro, Sofiya Chotyrbok, Daniele Cimaglia e Giuseppe Odore, Antonio Colavito, Giulia De Gregori, Riccardo Dogana, Luigi Greco, Claudio Majorana, Luca Marianaccio, Matteo Montenero, Claudia Orsetti, Nunzia Pallante, Nicolò Panzeri, Claudia Petraroli, Giorgio Salimeni, Claudia Sinigaglia, Andrea Storni.
In continuità con la prima edizione, REFOCUS. Open call fotografica sul territorio italiano all’epoca del lockdown, che si è chiusa con altrettanti venti lavori fotografici riferiti ai mesi di lockdown, la call REFOCUS #2 ha inteso sostenere l’attività di fotografi, artisti, ricercatori visuali under 40, riconoscendone il ruolo fondamentale all’interno della società. Nel loro complesso i due progetti costituiscono un archivio visivo dell’attuale fase storica e stimolano una riflessione sulle trasformazioni in corso e gli scenari futuri.
Ai partecipanti, infatti, è stato chiesto di confrontarsi con l’idea di crisi e di trasformazione, mettendo alla prova gli stessi linguaggi e pratiche dell’immagine nella testimonianza e documentazione della situazione in atto, sullo sfondo delle questioni fondamentali – tecnologiche, politiche, psicologiche, economiche – che nell’attualità prefigurano la società futura.
La totalità delle candidature, omogenee per parità di genere e per fasce di età, è stata esaminata da una Commissione di esperti così composta: Matteo Balduzzi, curatore del Museo di Fotografia Contemporanea; Paolo Castelli, storico dell’arte, funzionario DGCC-MiBACT; Paola Di Bello, artista e direttrice del biennio specialistico di fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera; Davide Giannella, curatore indipendente; Elio Grazioli, critico d’arte contemporanea e docente presso l’Università degli Studi di Bergamo. La Commissione, riunita in sessione plenaria nelle giornate del 13 e 16 novembre 2020, ha selezionato per la qualità artistica e per l’originalità della proposta progettuale presentata 20 autori, cui sarà riconosciuto un contributo economico di 2.000 euro, quale corrispettivo per la cessione dei diritti di utilizzazione delle immagini per la pubblicazione online e cartacea.
Mercoledì 2 dicembre 2020, ore 18.30, un incontro online presenterà al pubblico i venti fotografi vincitori e i rispettivi progetti con interventi e commenti di Michele Smargiassi, giornalista per La Repubblica e autore del blog Fotocrazia, Matteo Piccioni, storico dell'arte DGCC-MiBACT, e Matteo Balduzzi. Introducono Giovanna Calvenzi, Presidente del Museo di Fotografia Contemporanea, e Fabio De Chirico, Dirigente DGCC-MiBACT. La diretta sarà trasmessa in streaming sulla pagina Facebook della Direzione Generale Creatività Contemporanea @CreativitaContemporanea e sui canali Facebook e YouTube del Museo di Fotografia Contemporanea @mufoco.
Al fine di valorizzare l’intero progetto e i suoi autori, i lavori selezionati delle due edizioni REFOCUS saranno esposti in una mostra presso Triennale Milano nel corso del 2021 e un nucleo di opere prodotte, d’intesa con i singoli autori, potrà essere acquisita ed entrare a far parte delle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea.
I FOTOGRAFI
Fulvio Ambrosio, ‘La cura’, per avere affrontato con grande intensità e sensibilità il tema del riavvicinamento ai propri cari dopo la lontananza imposta dal lockdown e per l’originalità dell’approccio in soggettiva come punto di incontro tra linguaggio e tecnologie di produzione delle immagini.
Giacomo Bianco, ‘2020, noi e la Laguna’, che riesce a mescolare tecniche, strumenti e linguaggi differenti in un lavoro stratificato sulla Laguna di Venezia, generando accostamenti delicati ed evocativi, in cui emerge con forza il bisogno di tornare a essere parte dell’ambiente naturale.
Alessandro Calabrese e Ilaria Tariello, ‘Welcome stranger’, per aver affrontato con una ricerca elaborata e originale il tema della ‘Sindrome della Capanna’, ampiamente discusso nella fase del post-lockdown, attraverso il prelievo di screenshot e immagini d’archivio, accostati a inserimenti testuali, rielaborazioni digitali e modellazione di oggetti.
Mara Callegaro, ‘20’s Special’, per aver interpretato il sentimento comune di un annus horribilis in modo ironico e antiretorico, con un impianto tuttavia rigoroso per composizione e grafica. L’ipotetica edizione speciale di francobolli commemorativi celebra questo 2020 trascorso all’insegna dell’incertezza e della quotidianità casalinga.
Sofiya Chotyrbok, ‘Gesti’, per il lavoro di ricerca sulla gestualità come cardine della comunicazione umana e tramite delle relazioni: attraverso processi di prelievo e di ingrandimento dell’immagine, viene sottolineata la distanza tra la condizione attuale e una memoria tattile che ancora riconosciamo come imprescindibile.
Daniele Cimaglia e Giuseppe Odore, ‘Storie dell’abitare’, che sottolineano l’importanza delle relazioni, in questo caso di vicinato, come risorsa di socialità e mutuo aiuto: un dispositivo semplice e consolidato come il set fotografico viene spostato nello spazio del cortile condominiale e genera un processo partecipativo e coinvolgente fatto di ritratti, memorie testuali e oggetti materiali.
Antonio Colavito, ‘Il visibile e l’invisibile’, per il reportage molto rigoroso e controllato con cui affronta uno dei temi più discussi in questo momento storico: la riconversione produttiva in funzione dei nuovi bisogni generati dalla pandemia, in questo caso una piccola-media industria del Mezzogiorno che ha così garantito la sopravvivenza economica dello stabilimento e della comunità.
Giulia De Gregori, ‘Nuova Arcadia’, per la riflessione simbolica sul processo di transizione verso un’esistenza sempre più digitale proposta con grande libertà di approccio: a partire dall’archivio fotografico familiare, con successive manipolazioni tra analogico e digitale, ha prodotto immagini ibride, frutto di sperimentazioni e manipolazioni.
Riccardo Dogana, ‘Wallpapers’, che si confronta con la difficoltà attuale e futura del mercato immobiliare nelle principali città italiane come cartina di tornasole delle grandi crisi economiche e sociali. L’esito visivo si configura come una serie di giustapposizioni e montaggi che sembrano richiamare i lavori concettuali degli anni Settanta.
Luigi Greco, ‘Missing ring’, per avere prodotto un lavoro irriverente e divertente, al limite del non-sense, riproponendo in chiave visiva alcune fake news circolate sui media durante la pandemia che vengono reinterpretate attraverso simulazioni, allestimenti, montaggi e manipolazioni.
Claudio Majorana, ‘All the things that seemed so important’, per la forza evocativa delle immagini che, in un dialogo delicato tra figura umana e paesaggio, raccontano la spensieratezza di un periodo e di una generazione: adolescenti che ritrovano tempo e spazio dopo il periodo di isolamento, in un ritorno alla normalità estiva fatto di complicità, confidenza, gioco e avventura.
Luca Marianaccio, ‘Effetto farfalla’, che con grande coerenza stilistica si muove tra le più attuali tendenze fotografiche contemporanee, in una narrazione per frammenti dove la realtà si mescola alla fiction nel delineare le vite di un territorio ai margini, quello di Grottaglie, toccando indirettamente questioni centrali e opposte come lo spopolamento dei centri storici e il ritorno ai borghi.
Matteo Montenero, ‘Valba Dë Carsaj’, che evoca le incertezze e le paure di una generazione in crisi di identità, attraverso immagini cupe e suggestive realizzate in un luogo ben delimitato, la Val di Susa. Lo stato d’animo sospeso dei ragazzi si rispecchia in un paesaggio incompiuto, tra natura e macerie.
Claudia Orsetti, ‘Vanished (Svanita)’, per avere affrontato il difficile tema della lontananza e della successiva scomparsa di un proprio caro a causa del Covid-19. Con un’esplorazione intima attraverso gli oggetti, il lavoro fotografico consente di riappropriarsi di una memoria svanita senza poter essere vissuta.
Nunzia Pallante, ‘Heracleum’, per una ricerca che si nutre dello scarto nella percezione dei luoghi tra la chiusura imposta dal lockdown e la successiva riapertura. Un nuovo confronto tra immaginazione e realtà viene reso attraverso un processo di creazione artistica in cui il materico si fonde con il fotografico.
Nicolò Panzeri, ‘Anatomy of a virus’, per la rielaborazione in chiave figurativa e ironica di alcuni degli elementi più ricorrenti durante l'intera pandemia, ossia grafici e diagrammi che interpretano l’andamento del contagio. Semplici strutture, create con l’assemblaggio di oggetti quotidiani, diventano composizioni stratificate e sorprendenti, in una serie di consapevoli still-life.
Claudia Petraroli, ‘L’arte, il geroglifico della potenza’, per aver affrontato in modo inaspettato, con immagini astratte e immaginifiche, una delle dinamiche più insidiose del lavoro a distanza, precario e senza tutele. Le tracce lasciate dalle prestazioni di postproduzione fotografica diventano simbolo dell’appropriazione di tempo e creatività che la pandemia ha contribuito ad accrescere.
Giorgio Salimeni, ‘Redeo’, perché ha saputo mostrare senza filtri né strumentalizzazioni, senza edulcorarla né spettacolarizzarla, una delle tante realtà di disagio - in questo caso una comunità terapeutica per soggetti con disturbi psichiatrici - rese ancora più fragili dalla pandemia e dimenticate dai media di fronte all’emergenza Covid-19.
Claudia Sinigaglia, ‘21 days monochrome series’, per una riflessione sui temi del cambiamento e dell’adattamento che avviene attraverso oggetti diventati parte della quotidianità e segno della convivenza con la minaccia di contagio. Una serie di riprese ravvicinate producono immagini monocrome e astratte, che tuttavia conservano una loro matericità autoreferenziale.
Andrea Storni, ‘Un affare di famiglia’, che muove da un’analisi personale, lucida e consapevole della difficile situazione familiare in atto, per sviluppare un progetto fotografico disomogeneo, libero da ogni costruzione estetica precostituita, capace di riassumere e giustapporre in maniera potente e non codificata generi, strumenti e linguaggi diversi della fotografia.