Veduta dell'allestimento "Werner Bischof. Unseen Colour" © MASI Lugano, foto: Alfio Tommasini
Il MASI presenta al pubblico un dialogo a due voci tra Marco Bischof e Clara Bouveresse, professoressa all’Università di Evry/Paris Saclay specializzata in fotografia del Novecento.
Qual è il ruolo del colore nella fotografia e come è cambiato nel corso del tempo? In occasione della recente riscoperta delle fotografie a colori di Werner Bischof esposte per la prima volta nella mostra “Werner Bischof. Unseen Colour” il MASI Lugano presenta al pubblico un dialogo a due voci tra Marco Bischof, figlio del fotografo svizzero e direttore della Werner Bischof Estate, e Clara Bouveresse, professoressa all’Università di Evry/Paris Saclay specializzata in fotografia del Novecento.
La conversazione si svolgerà in inglese con traduzione simultanea gratuita in italiano.
Maggiori informazioni su masilugano.ch.
Evento nell'ambito di «Cultura in movimento»
LA MOSTRA
Il MASI Lugano presenta fino al 16 luglio 2023 una mostra di opere inedite di uno dei più grandi maestri del reportage e della fotografia del Novecento, Werner Bischof (Zurigo, 1916 – Truijllo, Perù, 1954). Attraverso circa 100 stampe digitali a colori da negativi originali dal 1939 agli anni '50 restaurati per l'occasione, viene esplorata per la prima volta in modo completo l'opera a colori del fotografo svizzero.
Conosciuto soprattutto per i suoi reportage in bianco e nero realizzati in tutto il mondo, Bischof è stato un artista della fotografia, capace di cogliere in scatti iconici la testimonianza della guerra e la rappresentazione dell'umanità. Come recita il titolo “Unseen Colour”, l'esposizione al MASI intende mettere in luce un aspetto nuovo e meno conosciuto del lavoro di Bischof, ampliando e approfondendo la conoscenza e l'idea che abbiamo di questa importante figura di fotografo. In un momento storico in cui la fotografia a colori godeva di scarsa considerazione ed era relegata alla dimensione pubblicitaria, emerge infatti come Bischof avesse invece colto le potenzialità del colore come mezzo espressivo, rendendolo parte fondamentale del suo processo creativo.
Il percorso della mostra si propone come un libero viaggio a colori attraverso i mondi visitati e vissuti da Bischof e copre tutto l’arco della sua carriera, in un’alternanza di immagini inedite ottenute dall’utilizzo di tre diverse macchine fotografiche: una Rolleiflex, dai particolari negativi quadrati, un'agile Leica, dal formato tascabile, e una Devin Tri-Color Camera, macchina ingombrante, che utilizzava il sistema della tricromia, ma garantiva una resa del colore di alta qualità. Il nucleo di immagini scattate con questa macchina è reso fruibile al pubblico per la prima volta grazie alla scoperta e alle relative indagini sulle lastre di vetro originali da parte del figlio dell'artista, Marco Bischof, che dirige l’archivio intitolato al padre.
I soggetti delle fotografie in mostra sono quelli noti del fotografo svizzero, capace di combinare come pochi altri estetica ed emozione in una composizione perfetta: dagli esperimenti formali dei primi anni di ricerca alle fotografie di studio e moda, dal racconto del dopoguerra in Europa alla presentazione intimistica dell’Estremo Oriente, dalle campagne fotografiche negli Stati Uniti fino all’ultimo viaggio in Sud America. Le opere esposte rivelano la grande capacità tecnica e l’accurata ricerca formale di Werner Bischof, indagine che diventa più costante nella produzione degli ultimi anni e che assume nuova vitalità grazie al colore.
È parte del percorso espositivo anche una sezione introduttiva in cui l'artista e il suo contesto sono raccontati attraverso negativi originali e documenti d'epoca, tra cui la Devin Tri-Color Camera acquistata per Bischof dall’editore che pubblicava le prestigiose riviste “Du” e “Zürcher Illustriert” e oggi conservata presso il Musée suisse de l’appareil photographique a Vevey.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Scheidegger & Spiess e Edizioni Casagrande in italiano, inglese e tedesco, con testi di Tobia Bezzola, Clara Bouveresse, Luc Debraine e Peter Pfrunder