Alessandra Baldoni
Trovarsi. Ritrovarsi. Proteggersi. Incontri e dialoghi per uno sguardo più umano
Due artiste umbre che si raccontano in una mostra attraverso due linguaggi visivi diversi seppur complementari. Il dialogo è infatti il punto di forza di questa doppia personale, che si percepisce già all’entrata della galleria, prima di iniziare la visita.
By Maria Grazia Camerota
La mostra Trovarsi. Ritrovarsi. Proteggersi, a cura di Maria Grazia Camerota, Federica Lazzarini, Patrizia Renzetti, Denise Ticozzi, organizzata presso la galleria ADD-art di Spoleto dal 10 marzo al 5 aprile 2019, mette a confronto i lavori di Alessandra Baldoni (Perugia, 1976) e Benedetta Galli (Perugia, 1976). Le due artiste umbre si raccontano attraverso due linguaggi visivi diversi seppur complementari. Il dialogo è infatti il punto di forza di questa doppia personale, che si percepisce già all’entrata della galleria, prima di iniziare la visita.
All’inizio Baldoni e Galli si presentano in modo separato, ognuna con la propria identità, la propria storia personale ma già con lo sguardo rivolto l’una verso l’altra. La mescolanza delle loro visioni di vita si ha in un secondo momento, prima timidamente e poi in modo più completo, in un moto ascensionale che avvolge lo spettatore, il quale si trova a entrare fisicamente a contatto con le opere, raggiungendole o avvicinandosi ad esse.
Comincia così un altro dialogo, un altro confronto, che silenziosamente prende forma tra le mura della galleria. Lo spettatore, interagendo con i lavori delle artiste, inizia a riflettere e a interrogarsi. Il suo corpo, il suo sguardo si intreccia con quello di Baldoni e Galli. Una nuova storia viene a delinearsi, a partire dall’incontro tra le esperienze di vita delle artiste e quelle dello spettatore, iscritte e protette nei loro corpi.
I corpi rappresentati sono accarezzati con lo sguardo dallo spettatore in maniera differente: nelle opere di Baldoni, le emozioni e i corpi delle persone fotografate sono percepite in modo soggettivo, a seconda del proprio vissuto; nelle opere di Galli invece lo sguardo si fa più intimo e silenzioso, quasi a non voler rompere e a far rimanere intatte le sfere trasparenti che custodiscono e proteggono il corpo dell’artista. In entrambi i casi lo sguardo, che si posa e indaga i corpi rappresentati, conducono verso il medesimo fine: la scoperta e riscoperta di sé stessi.
Il viaggio introspettivo che lo spettatore compie permette di mettere in moto la sua memoria attraverso i ricordi che affiorano nella sua mente, e la scintilla che la riaccende viene fornita dalle stesse artiste. Particolari, dettagli e tracce volutamente lasciate nelle fotografie di Baldoni, costruite ad hoc e caratterizzate da scenari immaginari nei quali però ognuno di noi può ritrovare assonanze con il proprio vissuto; autoscatti di memoria per il corpo nudo di Galli, posto in posizione fetale, immortalato da lei a vent’anni e continuamente riproposto e mescolato al corpo nudo maschile, alle lettere e alle parole.
In entrambi i casi, il mezzo fotografico mostra e protegge al tempo stesso i corpi rappresentati: più visibili quelli di Baldoni, più nascosti quelli di Galli. Ciò nonostante questi corpi si reiterano, si perpetuano, in un continuo cambiamento ed evoluzione che conducono verso la ricerca della propria e altrui identità, liberamente espressa nelle sue varie forme.
Benedetta Galli, dettaglio
Gli scatti di Baldoni e Galli non sono quindi fissi e immobili, ma dinamici e pieni di vita. Le emozioni che scaturiscono dalla loro visione e dal loro ricordo non si esauriscono dietro al semplice click della macchina fotografica ma continuano a vivere anche dopo lo scatto, rinnovandosi infinite volte.
Attraverso lo scatto fotografico, l’anima umana prende così forma ed entra a contatto con persone diverse, che non si conoscono, ma con le quali si avvia un mutuo e reciproco scambio emozionale: a partire dalla propria storia personale, si penetra nelle storie degli altri, si vivono le loro emozioni, che vengono poi trasformate ulteriormente in nuova e pura energia.
Perché l’arte ha il forte potere di mettere in comunicazione le persone, farle interrogare e far scoprire loro che hanno in comune più di quello che pensano, prima fra tutte la fragilità umana. Una fragilità che può aiutare a essere più umani e meno spietati, più solidali e meno solitari, all’interno di una nuova comunità che guarda il genere umano con sguardo puro e semplice, con la rinnovata consapevolezza di non volersi più solo proteggere ma anche di farsi proteggere dall’altro.