IL REGIME DEI BENI CULTURALI E LA DICHIARAZIONE DI INTERESSE CULTURALE di Beatrice Molteni
L’Italia è un Paese con un prezioso patrimonio storico-artistico, tale da risultare una delle Nazioni con il maggior numero di siti riconosciuti come “Patrimonio dell’Umanità” da parte dell’UNESCO (attualmente 55, pari a circa il 5% dei beni ricompresi nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità).
È necessaria, dunque, una corretta e adeguata conservazione, valorizzazione e manutenzione di tali beni, sia da parte del settore pubblico, sia quello privato, in accordo con il principio enunciato all’art. 9 della Costituzione in cui si afferma che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
L’attività di tutela e di promozione dei beni culturali da parte della pubblica amministrazione trova la sua disciplina positiva nel D.Lgs. n. 42/2004 (“Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”) che definisce beni culturali le “cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”.
Il primo passo da compiere per l’esercizio delle richiamate attività di tutela e valorizzazione, la cui funzione è quella di concorrere a preservare la memoria della comunità nazionale, è dato dalla individuazione delle “cose”, mobili e immobili, che possano rivestire un interesse culturale, poiché solo a seguito del riconoscimento di tali beni, rientranti in questa speciale categoria, si potrà dare esecuzione alle successive attività di valorizzazione e protezione.
Difatti, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 9/2004, la tutela di un bene culturale consiste in “ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e ambientali”, mentre per valorizzazione si intende “ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e a incrementarne la fruizione”.
I beni culturali godono, dunque, di una particolare attenzione, finalizzata a esaltarne e a conservarne le caratteristiche. Se per le “cose” di appartenenza pubblica che presentano un interesse storico o artistico vi è un automatico assoggettamento al regime previsto per i beni culturali, per le “cose” di appartenenza privata non opera la medesima procedura.
È, infatti, necessario verificare accuratamente che i beni appartenenti ai soggetti privati (siano essi persone fisiche o giuridiche) possiedano effettivamente pregi e caratteristiche di particolare rilievo per la collettività tali da decretare la sussistenza dell’interesse culturale, la quale necessita di una specifica e formale dichiarazione di cui all’articolo 13, Codice dei Beni Culturali.
La procedura che investe i beni dei privati, che risultano così assoggettati alla disciplina prevista per i beni di interesse culturale, determina non poche problematiche in quanto l’interesse pubblico, alla conservazione del bene, si contrappone all’interesse del privato proprietario, il quale una volta ricevuta la dichiarazione di interesse culturale relativa ad un bene di sua proprietà, diventa destinatario dell’obbligo di garantirne la conservazione (articolo 1, comma 5, Codice dei Beni Culturali) e di una serie di ulteriori limitazioni alla possibilità di godere e disporre del bene.
La persona chiave nella prima fase di questo processo è il funzionario pubblico del Ministero dei Beni Culturali: il Soprintendente. Egli avvia, infatti, l’attività di indagine sul bene, dandone comunicazione tempestiva al suo proprietario, possessore o detentore indicando, ai sensi dell’art. 14, Codice dei beni culturali, gli “elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini, l’indicazione degli effetti previsti dalla legge, nonché l’indicazione del termine, comunque non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni”.
Una volta inviata la comunicazione, la dichiarazione di interesse culturale dovrà essere valutata e rilasciata dal Ministero dei Beni Culturali entro novanta giorni (salva l’ipotesi in cui si tratti di raccolte bibliografiche di eccezionale interesse per le quali invece il termine è esteso a duecentoquaranta giorni).
La dichiarazione di interesse culturale viene dunque notificata al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo del bene. Ove si tratti di beni soggetti a pubblicità immobiliare, il provvedimento di dichiarazione è, inoltre, trascritto, su richiesta del Soprintendente, nei relativi registri ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo.
Avverso tali atti, ai sensi dell’articolo 16, D.Lgs. n. 42/2004, è ammesso ricorso per motivi di legittimità e di merito, entro trenta giorni dalla notifica della dichiarazione.
Infatti, non si può decretare aprioristicamente che l’apposizione del vincolo culturale sia una circostanza del tutto positiva, dal momento che ne discendono, come anticipato, una serie di obblighi di non poco conto in capo al proprietario, possessore o detentore quali l’obbligo di protezione, sicurezza e conservazione del bene (artt. 30 ss., Codice dei beni culturali), oltre che di restauro e di manutenzione nel caso in cui il bene abbia subito un danno. Il principio generale è che i beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione.
È da sottolineare, inoltre, che, ai sensi dell’art. 34, Codice dei Beni Culturali, è lo stesso Ministero dei Beni Culturali ad intervenire a supporto dei privati nei casi di esecuzione di interventi conservativi di particolare rilevanza, attraverso un contributo economico alle spese, totale o parziale, proprio a doveroso bilanciamento degli oneri che il privato proprietario, detentore o possessore del bene vincolato deve sopportare.
Particolarmente problematici, inoltre, sono i profili legati alla circolazione dei beni (art. 53 e ss., Codice dei Beni Culturali), in quanto per alcuni di essi può essere prevista la totale inalienabilità, mentre per altri beni il trasferimento è subordinato alla autorizzazione del Ministero, cui va denunciata l’intenzione dell’alienante di cedere il bene, affinché il Ministero, la Regione o l’ente pubblico competente possa, entro sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia, esercitare il diritto, previsto ex lege, di precedenza sull’acquisto (prelazione) dei “beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento” (art. 60, Codice dei Beni Culturali).
Con riferimento alla circolazione dei beni di interesse culturale al di fuori del territorio nazionale, va segnalato che viene apposto sul bene culturale un generale divieto di espatrio, in modo definitivo e permanente, sebbene sia possibile procedere con il suo espatrio in via temporanea (per un massimo di quattro anni e previa autorizzazione) nel caso vi sia particolare necessità in occasione di “manifestazioni, mostre ed esposizioni d’arte di alto interesse culturale”.
Invece, lo spostamento del bene, per mostre o per altri motivi, all’interno del territorio italiano è sempre ammesso, purché ne sia data preventiva comunicazione alla Soprintendenza territorialmente competente e si ottenga la relativa sua autorizzazione.
Se è pur vero che la dichiarazione di interesse culturale rappresenti l’esito di un complesso procedimento amministrativo, è altrettanto vero che tale dichiarazione rappresenta il certificato di garanzia assoluta sulla qualità ed eccellenza artistica di un’opera. Appare evidente, quindi, come tutti i vincoli imposti dall’ordinamento tendano ad assicurare la conservazione e la fruibilità pubblica dei beni culturali, esigenze che richiedono anche un sacrificio dei diritti dei privati cittadini, chiamati a concorrere alla valorizzazione e protezione del patrimonio culturale nazionale. In tal senso è sempre stata chiara la volontà del Legislatore che, fin dal lontano 1939 con l’emanazione della Legge Bottai, legge fondamentale in materia di “Tutela delle cose d'interesse artistico e storico”, ha tentato di arginare la “fuga” e la dispersione dei beni di interesse culturale all’estero, allo stesso tempo cercando di provvedere alla loro tutela e alla loro, spesso precaria, conservazione e valorizzazione.
Beatrice Molteni
Trainee Lawyer di Loconte&Partners