Negli ultimi anni stiamo assistendo alla nascita di un gran numero di start-up che, utilizzando la Blockchain e l’avanzata tecnologia del distributed ledger (ossia un database che raccoglie dati digitali replicati, condivisi e sincronizzati geograficamente distribuiti su più siti, paesi o istituzioni), si impegnano a contrastare la falsificazione di opere d’arte certificandone l’autenticità, la proprietà e la provenienza congiuntamente alla conformità delle stesse agli standard di certificazione museali. Tra le molteplici tecnologie che negli ultimi tempi hanno attratto il mondo dell’arte, dunque, la Blockchain occupa un posto in primissimo piano nell’ampliamento dell’offerta di servizi in grado di soddisfare esigenze o sopperire a criticità connesse a singole opere o intere collezioni.
La Blockchain (letteralmente, “catena di blocchi”) può essere definita come un registro digitale, decentralizzato e distribuito in cui non vi è un amministratore centrale o storage centrale di dati, bensì una validazione condivisa che consente agli utenti di archiviare le informazioni in modo sicuro e stabile. I dati inseriti vengono memorizzati in blocchi crittografici che vanno a formare una catena incorruttibile programmata per registrare e tracciare qualunque transazione definibile “di valore”, come, ad esempio, transazioni finanziarie, registri medici, titoli di proprietà e molto altro.
La Blockchain stravolge un modello tradizionale e fortemente centralizzato del tipo “Hub and Spoke” tramite un sistema che consente a tutti gli stakeholders non solo di comunicare direttamente fra loro ma anche di detenere una copia del registro distribuito senza essere in alcun modo vincolati a un’autorità unica. La sicurezza è garantita dalla trasmissione di informazioni tramite la crittografia e da un meccanismo di consenso per la validazione che s’innesca con la risoluzione, da parte di un computer, di un puzzle crittografico, successivamente condiviso con tutti i computer del network (“proof-of-work”).
La condivisione da parte di tutti gli utenti della rete crea così un database aperto e trasparente per tutti i partecipanti, che può essere modificato solo con il consenso di tutti e in grado di garantire l’assoluta immutabilità delle informazioni raccolte.
Nel caso di opere d’arte, ad esempio, a questo sistema si aggiunge la possibilità di dotare un’opera o un bene di un frammento di codice in cui sono registrate le informazioni relative all’autore, alla data di creazione, alla descrizione dell’opera, nonché i dati relativi alle licenze di uso, impedendo in tal modo la contraffazione dell’opera e la conseguente perdita di valore economico della stessa.
Inoltre, ai sistemi che garantiscono l’autenticità di un’opera d’arte o che intervengono su opere create digitalmente, si affiancano le piattaforme che certificano l’autenticità delle opere d’arte realizzate con media tradizionali attribuendo un QR-Code sulle medesime e sul documento che ne certifica l’autenticità. In questo modo, tutti gli operatori del settore, se abilitati all’utilizzo della piattaforma, potranno richiedere l’attribuzione e l’apposizione sull’opera del suddetto codice che apparirà in tutti i successivi trasferimenti.
In una prospettiva squisitamente di business, la Blockchain può trovare tre principali utilizzi che sintetizzano l’intero ecosistema dell’arte. Il primo riguarda la tokenizzazione, ovvero la cartolarizzazione o suddivisione in più parti di un bene unico, consentendone la vendita in piccole quote di proprietà. In questo modo, tramite la conversione dei diritti di proprietà relativi a un asset specifico (l’opera d’arte) in “gettoni digitali” frazionati e iscritti in modo inalterabile in un registro, un investitore ha la possibilità di acquistare una porzione di proprietà dell’opera stessa. Scopo ultimo di questa operazione è quello di creare un mercato secondario dell’arte, pari a quello finanziario, nel quale sia possibile vendere il bene (nel caso specifico l’opera d’arte) ed effettuare passaggi di proprietà che ne incrementino il valore. Uno dei casi ad oggi più noti in questo ambito è quello di MAECENAS, piattaforma basata su tecnologia Blockchain, che è riuscita a “tokenizzare” il dipinto di due metri di altezza del 1980 di Andy Warhol intitolato “14 Small Electric Chairs”, raccogliendo circa 1,7 milioni di dollari nell'asta di criptovaluta, pari a una quota del 31,5% dell'opera d'arte la cui valutazione totale era stata fissata a 5,6 milioni di dollari.
Un secondo utilizzo è rappresentato dall’Arte Digitale che, nata esclusivamente per i supporti digitali, viene realizzata al computer grazie a un sistema Blockchain in grado di certificare, crittografare e controllare l’utilizzo delle opere d’arte, da un lato tutelando gli artisti e dall’altro cercando di fornire una risposta concreta alle sempre più impellenti richieste di trasparenza da parte di quei collezionisti che si affacciano a un mercato non ancora consolidato che pone svariati quesiti in merito alla riproducibilità delle opere d’arte e, conseguentemente, alla sicurezza e alla stabilità del mercato stesso.
L’ultima linea di utilizzo riguarda invece l’Art Business Solutions, ossia tutte quelle procedure e strumenti a supporto del mondo dell’arte da un punto di vista strettamente operativo, riguardanti la provenienza, la gestione delle opere d’arte, la verifica dell’autenticità o ancora il tracciamento dei vari passaggi di proprietà. Artory, Codex, Tagsmart, Dust Identity, Chronicled, Everledger, Kooness sono soltanto alcune delle piattaforme nate negli ultimi anni e che offrono i menzionati servizi.
La tematica è affascinante poiché potrebbe trovare applicazioni utili anche, e soprattutto, all’interno di musei e gallerie d’arte per correggere e risolvere aspetti problematici che caratterizzano il sistema tradizionale di gestione di opere d’arte. Sebbene la digitalizzazione comporti sia benefici che svantaggi in termini di amministrazione di opere d’arte, la Blockchain potrebbe essere impiegata con successo per automatizzare la gestione delle royalties tramite smart contract, proteggere la circolazione di cataloghi, pubblicazioni d’arte, riproduzioni digitali e i diritti di proprietà intellettuali ad esse connessi nonché per facilitare e velocizzare scambi e sinergie tra collezionisti, musei, gallerie ed altri players del mondo dell’arte. Da ultimo, non è da escludersi la possibilità che in futuro, a seguito della crisi pandemica, si concepiscano nuove modalità di fruizione dell’arte, ricorrendo alla Blockchain unitamente a sofisticate tecnologie di riproduzione degli ambienti e delle opere d’arte ivi esposte, come ad esempio VR (Virtual Reality), AR (Augmented Reality) e MR (Mixed Reality), che permetterebbero a sempre più persone di accedere non fisicamente agli spazi museali.
Se da una parte lo strumento della Blockchain garantisce trasparenza, sicurezza, tracciabilità, efficienza, velocità operativa e una notevole riduzione dei costi (conseguente alla soppressione di terze parti e “middlemen”), dall’altra pone ancora una serie di sfide legate alla mancanza di interoperabilità e standard condivisi fra le varie piattaforme Blockchain, ai costi di consumo energetico derivanti dall’intensa attività computazionale, alla complessità di funzionamento, alla privacy, alla mancanza di pubblico riconoscimento e di vere e proprie strategie di marketing.
In sostanza, la Blockchain potrebbe essere una buona soluzione ad alcune delle criticità più delicate del mercato dell’arte. Sicuramente non una panacea a tutti mali, bensì uno strumento utile per trovare una risposta a quelle problematiche che ancora scoraggiano chiunque desideri navigare, in maniera seria e professionale, un settore notoriamente caratterizzato da opacità sistemiche e notevoli conflitti di interesse.
Si auspica, dunque, che in futuro l’Italia riesca a mostrare un’apertura sempre maggiore, monitorando e abbracciando queste nuove tecnologie e questi nuovi modelli di business che stanno dando nuova linfa vitale alle diverse aree che caratterizzano il settore dell’arte.
Angelica Moschin
Art Advisor presso Loconte&Partners