New Post Photography Award. Un premio che sa affrontare le problematiche della contemporaneità a MIA Fair

 
      
 danna pelli
Fotografia di Cosmo Laera.
 

Gigliola Foschi, la curatrice del New Post Photography Award, racconta la genesi della terza edizione del premio e le novità del 2022. 

By Camilla Delpero   

 

Come nasce Gigliola Foschi?

Mi sono laureata in filosofia estetica con una tesi sulla Teoria estetica di Theodor W. Adorno. Ho avuto una formazione interdisciplinare, in quanto il testo di Adorno affrontava problematiche legate all’estetica e quindi a tutte le arti.  La mia specializzazione nella fotografia è nata un po’ casualmente, quando già avevo scritto articoli e saggi che spaziavano dall’arte plumaria del Brasile a quella contemporanea, dal film Tokyo Ga di Win Wenders al libro L’impero dei segni di Roland Barthes. Oreste Pivetta, caporedattore della pagine culturali del quotidiano L’Unità, nei primi anni Novanta aveva infatti avuto l’incarico di ampliare le pagine culturali e cercava qualcuno interessato a scrivere di fotografia. Così, dato che mi conosceva, mi chiese di collaborare con L’Unità, cosa che ho fatto per svariati anni.  La prima importante intervista la feci a Gabriele Basilico. Intervista che ci tengo a segnalare per fare un piccolo omaggio non solo a un grande autore e a un amico, ma anche perché fu lui, con la sua generosità, ad aiutarmi a introdurmi nel mondo della fotografia contemporanea. Quindi, proprio per continuare a promuovere i linguaggi più innovativi della fotografia, mi è parso importante promuovere e curare per MIA fair il premio-mostra New Post Photography. Un premio nato con l’obbiettivo di valorizzare una fotografia che s’interroga su come sta cambiando il mondo contemporaneo, ma che sia anche capace di rinnovare il proprio linguaggio uscendo, magari, da logiche chiuse all’interno del “fotografico”.  

Qual è stata nell’edizione passata la soddisfazione maggiore?

Mi ha fatto molto piacere che si siano iscritti tanti autori che stimo. Il quadro che ne è venuto fuori è quello che da sempre sostengo: non abbiamo una sola tipologia di fotografia, ma esistono “le” fotografie. La fotografia non deve essere intesa come qualcosa da analizzare solo in un modo ontologico stabilendone il suo statuto, ma può diventare un elemento che si intreccia con altri linguaggi e può riflettere sul passato, sui sogni, sul presente. Può aprirsi a molteplici problematiche, con molteplici espressioni e possibilità nell’ affrontare temi diversi. Il New Post Photography Award intende far capire che esiste una fotografia che sa affrontare le problematiche della contemporaneità e che sappia rinnovarsi in modi molteplici e a volte inaspettati.

 

20200319 MIA Installation 38. Photo by Alexa Hoyer

MIA Installation 38. Photo by Alexa Hoyer.

 

Come nasce il premio? Qual è stata la sua genesi?

Per anni abbiamo organizzato le “Proposte MIA”. Questo format nasceva da un’idea di Fabio Castelli sostenuta da noi tutti, ossia quella di far sì che autori talentuosi, ma non ancora rappresentati da gallerie ufficiali, potessero mostrare i loro lavori in modo da farsi conoscere e apprezzare. Questo tipo di format ha avuto un grande successo perché alcuni autori, proprio grazie alle “Proposte MIA” hanno avuto un lancio di carriera. Tra gli obiettivi che manteniamo sempre, ma che al momento non siamo ancora riusciti ad attuare, c’è anche quello di pubblicare un libro che racconti, attraverso interviste, come vari autori, grazie a tale esperienza, abbiano visto la loro vita cambiare e abbiano avuto la possibilità di trovare galleristi o editori che li sostenessero. Con il tempo abbiamo però sentito l’esigenza di cambiarne l’impostazione per ravvivare il progetto, per renderlo più aperto, moderno e inclusivo. L’idea di base è simile: un premio aperto a giovani e non, che si pongono delle domande legate alla contemporaneità con un linguaggio innovativo. Una vetrina per offrire degli spunti di riflessione su come sta cambiando la fotografia.

Cosa ne pensa della facilità con cui oggi tutti si considerano fotografi? Dov’è il confine tra arte e artisti della domenica?

La storia della fotografia dei primi del Novecento nasce proprio a partire da questo problema. Lo stesso pittorialismo nasce in risposta ai fotografi della domenica; alla Kodak viene attribuita la creazione della fotografia amatoriale di massa, ricordiamo un famoso slogan “You press the button we do the rest” (Tu premi il bottone, noi facciamo il resto). Secondo me il problema è cosa si vuol raccontare e cosa si fotografa. Un tempo era facile scattare, ma era difficile, senza una grande tecnica, ottenere delle immagini di qualità. Oggi grazie alla postproduzione è facile correggerle. Il problema non è creare una fotografia bella, quanto crearne una che sappia raccontare qualcosa di innovativo e che sappia catturare l’attenzione dello spettatore. Le opere devono avere la capacità intrinseca di catturare l’attenzione e non perché siano necessariamente belle, ma enigmatiche. Prendo ad esempio un lavoro di Carolina Sandretto che ha sovrapposto immagini di iceberg con immagini di deserti. Il risultato è enigmatico, misterioso, affascinante, ma al contempo capace di “mettere il dito nella piaga”, ovvero di affrontare il problema attualissimo del cambiamento climatico, dell’aumento della desertificazione e dello scioglimento dei ghiacciai, il tutto senza usare la modalità “classica” delle denuncia.

 

Carolina Sandretto

Carolina Sandretto, Dalla serie Desert4Desert, 2015, C-print su Dibond e plexiglass, 40 x 80 cm, Edizione: 1/5 + 2 P.d.A., Courtesy: dell’artista.

 

L’uso del bianco e nero o del colore cambia l’intensità di una fotografia?

Dipende molto dai progetti. Posso fare due esempi: in Triennale attualmente c’è la mostra di Raymond Depardon il quale usava il bianco e nero, ma ha voluto utilizzare il colore quando gli hanno commissionato un reportage sulla città industriale di Glasgow. Proprio in virtù del suo aspetto cupo, nonostante l’uso dei colori, il risultato è stato comunque quello di foto monotonali. A causa dei numerosi complessi industriali tutti della stessa tonalità, quella del mattone e del grigio, lavorare con il colore diventava interessante. Un altro esempio che porto è il progetto di uno dei vincitori del New Photography Award dello scorso anno, Leonardo Magrelli, vincitore anche del premio Fabbri. Il suo lavoro parte dalle immagini a colori fatte con i cellulari, le ha riprese e trasposte in bianco e nero. Con un lavoro di postproduzione queste foto, nate per uso personale, risultano simili a immagini di documentazione sospese nel tempo. Tale ambiguità di un’immagine nata in un contesto contemporaneo, che si trasforma visivamente in qualcosa che rimanda alla fotografia documentale alla Walker Evans, diventa straordinariamente interessante. Un altro esempio è quello di Nicola Bertasi, il quale ha lavorato sul tema del ricordo della guerra del Vietnam. Ha prelevato immagini di archivio sovrapponendole ad altre immagini del luogo scattate da lui stesso; ha creato una sorta di duplicità temporale basata sul gioco tra il bianco e nero e il colore, tra il passato e il presente.

Cosa ci può anticipare del premio di quest’anno?

 Avremo meno vincitori per il semplice fatto che nella scorsa edizione abbiamo dovuto unire due edizioni del premio, a causa dell’annullamento dell’edizione del 2020, dovuta al Covid. Quest’anno ci saranno necessariamente meno premiati, il che credo possa ulteriormente avvantaggiare i vincitori perché saranno maggiormente notati. Ogni anno cambiamo la giuria; è importante che i lavori vengano visionati da figure importanti del mondo della fotografia e non solo: persone competenti, ma anche curatori che a loro volta possano aprire nuove possibilità espositive a questi “giovani” autori. Abbiamo fissato degli accordi con il Ragusa Foto Festival che sceglierà un autore da far esporre per l’edizione successiva in relazione al tema da loro proposto. Un’ulteriore collaborazione è stata instaurata con BACO (Base Arte Contemporanea Odierna), uno spazio no-profit di Bergamo gestito da Sara Benaglia e Mauro Zanchi, due persone che hanno un forte interesse e un’attenzione particolare per la fotografia contemporanea. Anche grazie a loro un altro autore verrà esposto nella loro sede nel centro di Bergamo. Mi sembra interessante per gli autori non solo vincere, ma soprattutto far visionare i propri lavori a persone di alto livello che hanno la possibilità di sostenerli nelle loro ricerche.

 

Novella Oliana

Novella Oliana. Cartografia performativa del Mediterraneo #1, 2020, Tecnica: fotografia digitale, stampa Giclée su carta Hahnemühle,
fissata su alluminio, incorniciata in legno di tiglio e vetro museale, 100x70x3cm, 1/5, misure variabili, Courtesy: dell’artista. 

 

Cosa le ha portato o le ha insegnato questo periodo di lockdown?

Abbiamo avuto tutti dei limiti nel frequentare le mostre e incontrare gli autori; tuttavia, abbiamo scoperto altre modalità di incontro attraverso zoom e altri media online. Per me è stato interessante venire a contatto con situazioni nuove. Grazie al lockdown ho potuto seguire, ad esempio, una serie di incontri online di grande interesse organizzati dall’associazione Spazi fotografici. È grazie a loro che ho conosciuto, ad esempio, Sara Benaglia e Mauro Zanchi, due studiosi e curatori con cui mi sono sentita subito in sintonia. Grazie al periodo di chiusura, invece di organizzare eventi nella loro sede, per me irraggiungibile, hanno dato l’opportunità a tutti di partecipare ad incontri online con ospiti difficili da incontrare in un evento fisico. È stato interessante e spero che questo tipo di possibilità, di relazione, venga integrata alle normali modalità di incontro. Ho avuto anche la fortuna di collaborare con un’autrice italiana - Daria Cipriani - che vive in Canada e che stava progettando un libro fotografico sulle donne etiopi, poi pubblicato con il titolo She- Ethiopia, edito da Massimo Fiameni. L’idea di scrivere e di occuparmi di un progetto appartenente al mondo etiope con un autrice residente in Canada mi è sembrato fantastico. Potevo viaggiare con la mente in più luoghi, pur rimanendo a casa.

 

Giancarlo Maiocchi Occhiomagico

Giancarlo Maiocchi (Occhiomagico), Persistenza della memoria, 2015, fotografia digitale, stampa su carta fotografica, montaggio tra plexiglass, 40 x 80 cm, Edizione: 1/3, dell’artista.

 

Che cos’è per lei l’arte contemporanea?

È qualsiasi cosa purché comunichi un senso, un significato importante. Oramai tutto è diventato molto complesso e complicato, aperto e molteplice, in continuo divenire. Basti pensare al successo della crypto-arte e del fenomeno della NFT art. Non abbiamo più generi artistici, ma ci confrontiamo magari con progetti impalpabili. Ogni opera può essere fatta con qualsiasi tecnica, vivere nel mondo reale o in quello virtuale. A mio avviso la cosa importante è che sappia veicolare messaggi significativi, che sappia toccare, coinvolgere gli spettatori. Mi ricollego a un libro appena uscito di Vincenzo Trione, Artivismo. Arte, politica,impegno, (ed. Einaudi): anche lui sottolinea come gli scenari artistici siano oggi molteplici e disomogenei, ma, nei migliori dei casi, capaci di evidenziare un forte impegno civile per immaginare un altro presente, di interrogarsi sulle emergenze del nostro tempo. 

La nostra rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare il quid, quella scintilla che rende unica una cosa: lei dove lo intravede il quid?

Il quid alla base della mia vita è la curiosità. Questo premio New Post Photography Award nasce, in fondo, anche dal mio desiderio di scoprire e vedere cose nuove, di confrontarmi con i linguaggi contemporanei. Vorrei creare un premio dove ogni lavoro riesca a interrogare la realtà e noi stessi da più punti di vista. Mi piace parlare con persone che mi pongono interrogativi, che mi mettono a volte in crisi e che mi permettano di crescere.

 

SONO APERTE LE ISCRIZIONI PER LA TERZA EDIZIONE DEL PREMIO

Deadline Application: 15 Febbraio 2022

Scarica il Bando per partecipare a New Post Photography_2022