Maria Cristina Carlini ci parla della sua scultura e di come la materia possa diventare un fenomeno in movimento.

 

By Camilla Delpero

 

Lei ha girato e tuttora gira il mondo. Quanto questo l'ha formata, l'ha cambiata e le ha permesso di contaminarsi nel senso positivo del termine?

Ho cominciato in America, avrei comunque sviluppato la mia arte anche qui se fosse stato un mio bisogno. Trovarmi in California mi ha facilitato e vi sono rimasta per due anni. Ho iniziato come ceramista lavorando al tornio; in America c'è una cultura molto forte della ceramica sia di quella orientale sia di quella in generale; ci sono più possibilità di realizzare opere in ceramica, ci sono atelier dove si può iniziare a creare, cosa che qui non sarebbe stato possibile. Successivamente sono tornata in Italia, dal momento che non esisteva l'alta cottura, non avendo un laboratorio, e molte possibilità di produrre come facevo in America, sono andata a vivere in Belgio. La nostra tradizione è la maiolica, non è il grès o la porcellana; non potendo fare molto in quanto la ceramica richiede un laboratorio e dei macchinari ben specifici ho avuto maggiori occasioni al nord fino a che non ho comprato un forno tutto mio e ho iniziato la mia storia. In Italia, come dicevo, non esisteva il grès quindi ho potuto lavorare e conoscere le sue qualità all'estero, qualità che io amo molto.

Come le diversità del mondo e le diverse culture che ha incontrato hanno caratterizzato e influito sulle sue opere? 

Leggevo libri di opere di arte orientale, essa ha dato importanza più alla forma, allo smalto che enfatizzava la forma stessa rispetto al disegno, mentre la maiolica, che tuttora non mi piace, dà maggiore enfasi al disegno sull'opera. Io ricerco le forme ecco perché non è mai stato di mio interesse. L'influenza estera è stata basilare nella mia produzione. In America mi riconoscevano come italiana quando ammiravano le mie opere in quanto il mio approccio è italiano, tuttavia nella mia arte c'è un armonia di contaminazioni.

La poetica generale del suo lavoro?

Io vorrei esprimere l'essenza, le mie opere sono primitive. La difficoltà è togliere, quindi la parte più complicata è trovare l'essenza. Si ricerca sempre per arrivare ad un punto che non si raggiunge mai o non si raggiunge facilmente.

 

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Ha creato opere di diverse dimensioni: alcune di queste sono collocate nelle principali città del mondo. Quali si avvicinano maggiormente alla suo sentire, alla sua vera natura?

Ci sono opere che mi sembrano più riuscite, non dico che siano belle, io non parlo né di bello né di brutto ma parlo di opere che sento di più o di meno perché rispecchiano quello che volevo fare, che ci arrivi completamente è escluso.

Un'opera di grandi dimensioni, spesso per luoghi comuni, viene considerata maggiormente, ma c'è chi trova ''spazio'' nella piccola dimensione. Cosa ne pensa?

Io adoro le sculture grandi ecco perché sono passata al ferro perché la ceramica non mi permette di fare opere di grandi dimensioni. Questo è il mio sentire. Spesso uso l'acciaio corten, che ritengo un bellissimo materiale, in quanto arrugginendolo con degli acidi, creo sulla superficie un colore che assomiglia alla terra.

Le sue opere hanno un doppio valore di comunicazione, ci fanno pensare ai popoli, alle differenze, come ha espresso Daverio in un suo pensiero. Le sue opere hanno un linguaggio condivisibile?

Lo spero, non deve esserci spiegazione, un'opera è riuscita se dice qualcosa di diverso ad ognuno di noi. Spesso mi piace sentire i commenti, interpretazioni della gente a cui io non avrei mai pensato.

Cosa muove il processo creativo, chi è a motivare l'artista Maria Cristina Carlini?

Se lo sapessi la vita sarebbe più semplice, ma non voglio nemmeno saperlo. Se io sapessi cosa comunicare non produrrei più perché sarebbe già chiaro e definito nella mia testa. Comunicare per me è una necessità anche se a volte è faticoso. Talvolta si vorrebbe smettere, ma poi continuo ad essere richiamata dal mio laboratorio. Non potrei vivere senza, questo forse è il motivo.

 

 

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La rivista si chiama Quid Magazine. Dove lo intravede in un'opera o in un luogo il Quid?

La necessità che ho è quella di esprimermi attraverso la mia arte, non riuscirei a fare altro. Per me l'arte è ritmo, se non c'è non è arte. In tutte le arti vedo il ritmo, tutta l'arte deve averlo, per altri avrà un altro nome per me il Quid è questo. 

Perché ha scelto la scultura come forma artistica?

Mi è sempre piaciuta di più la scultura della pittura, la pittura è piatta, non tutta ovviamente, ma per me è importante il volume. Michelangelo è il miglior artista che possa esistere, Leonardo da Vinci meno, io devo vedere il volume. Forse è una mia difficoltà, ma l'arte di Mondrian è molto distante dal mio sentire. Non tutti i materiali che si posso scolpire mi attirano ad esempio il marmo non lo sento come materiale, è una materia che non posso toccare, la terra è morbida, ogni cosa lascia l'impronta su di essa, è molto faticosa da lavorare, ma si può toccare, sentire ed è per me la cosa più interessante.

Le sue opere sono spesso arrugginite. Ci può parlare di questa sua caratteristica?

Io arrugginisco con degli acidi perché voglio controllare la ruggine, c'è molto affidato al caso, credo al caso, se una cosa va in un modo deve essere studiata, ecco perché le mie sculture sono grezze non definite, devono essere aperte allo studio, all'interpretazione. Inoltre con la ruggine riesco a trovare quel movimento nella materia statica, qual è il ferro, non arrugginendola del tutto.

Cos'è il dettaglio in arte?

Non amo il dettaglio, come accennavo poco fa la rifinitura, la perfezione non sono nelle mie corde, anzi non mi piacciono. La mia arte non è concettuale. Quando mi si chiede il concetto, non c'è. Naturalmente c'è un pensiero che devo comunicare e ad ognuno l'opera può e deve dire quello che vuole. Raro che crei cose finite, chiuse, c'è sempre un'apertura. Deve esserci sempre un po' di mistero, il dettaglio, la rifinitura toglie questo. Le scale che ho fatto a Rho, sono affascinanti perché o sali o scendi e non si sa dove vanno a finire. L'arte è lasciare un mistero, ecco perché non sono una concettuale, il concetto definisce, obbliga. È una frenata.

Si può negare la bellezza ad un'opera oggettivamente riuscita, solo perchè non in linea con il giudizio della critica generale?

No, assurdo perché basta vedere la storia i gusti cambiano. 

Progetti futuri?

Inaugurerò una mostra dal titolo "Le ragioni del luogo" a cura di Flaminio Gualdoni presso MyOwnGallery - Superstudio Più (Via Tortona 27, Milano) dal 3 al 29 novembre 2016.  La mostra offre opere inedite affiancate da sculture storiche in grès, legno, ferro e opere su carta.