Musica prima parte 

 

bellezza

Pablo Picasso: Musicien, Danseur, Chevre et Oiseau, 1959 Lithograph 25 5/8 × 19 5/8 in 65.1 × 49.8 cm

 

Per una rivista sull‘Arte contemporanea è sempre interessante ampliare lo sguardo su altri campi di espressione artistica. Le percezioni sensoriali stimolano il pensiero e questo vale sia per l’arte visiva, sia per quella uditiva. L’elaborazione visuale cerebrale è già stata trattata precedentemente qui.

Vorrei prima discutere gli effetti delle impressioni acustiche percepite passivamente (musica di fondo), poi, nel prossimo numero l’effetto neuropsicologico della musica quando viene ascoltata intenzionalmente o eseguita anche se non professionalmente.

“L’effetto Mozart” è un’espressione creata negli anni 90 in America (Rauscher, Shaw, Ky 1993 pubblicata in “Nature”) in relazione al seguente esperimento: un gruppo di 36 studenti, prima di esser sottoposti ad un esame cognitivo, aveva dovuto ascoltare una sonata di Mozart. Il risultato si rivelò lievemente e solo transitoriamente migliore rispetto a quello degli allievi non sottoposti all’ascolto della musica. Don Campbell aveva poi pubblicato il suo libro “l’effetto Mozart” (e ne ha persino brevettato il termine) consigliando pure di sottomettere bambini piccolissimi all’ascolto di musica classica, nell’intento di un migliore sviluppo mentale; ma lo sperato effetto non è mai stato confermato. Malgrado ciò, molte persone credono in questo effetto, mai scientificamente confermato.

La musica di fondo può tuttavia influenzare lo stato d’animo. I grossi centri commerciali lo sanno e sottomettono i clienti ad una esposizione sonora costante. Anche nei centri fitness ritmo e musica servono a stimolare la motricità e a meglio sincronizzare i movimenti. L’impatto sull’umore è ulteriormente atteso. La durata dell’effetto benefico sulla psiche è però in relazione proporzionale all’intensità dello sforzo fisico (adrenalina) non in relazione univoca con la musica stessa.

Come già detto, ascoltare passivamente non ha nessun impatto positivo sulle prestazioni cognitive, tutt’al più può essere risentito piacevole, ma in altre occasioni, durante impegni intellettuali è disturbante e può causare  distrazioni ed errori nei compiti impegnativi in esecuzione.

Nella vita sociale, l’attivazione delle emozioni con la musica è sempre stata culturalmente importante, perché come i miti, la religione, la storia, ha indotto sentimenti di identità e di comunità. Tutte le occasioni storiche e culturali di rilievo si accompagnano a musica, nell’intento di mettere le anime in sintonia (“sincronizzazione emotiva”). Oggigiorno, l’inno nazionale gioca ancora un ruolo non trascurabile nelle commemorazioni di vittorie e nelle gare.

L’effetto comunicativo e intimo appare evidente: pensiamo alla marcia nuziale alla quale nessuna sposa vorrebbe rinunciare. In queste situazioni, la musica ci prepara ad avvenimenti, esprimendo qualcosa di comprensibile nel contesto affettivo e culturale. Anche il film la utilizza in questo senso, quasi come un coro della tragedia greca, anticipando gli eventi successivi.

Nel festival a Woodstock, Jimy Hendrix ha interpretato l’inno nazionale americano in modo Rock, con un sottofondo carico di significati ambivalenti, con rumori di aerei da combattimento e persino con una marcia funebre: un esempio classico di musica come messaggio. Hendrix produce così un’ambiguità che fa partecipare intensamente ogni ascoltatore e ciascuno decodifica a modo proprio: l’obiettore di coscienza si sente capito, mentre il patriota si emoziona quando sente l’inno nazionale che, finalmente, è arrivato anche a Woodstock. Ciascuno trae dalla musica quello che vorrebbe e non ci sarà mai concordanza sulle preferenze. Senza dubbio, Jimy Hendrix, come veterano della guerra del Vietnam, lanciava un messaggio politico bruciante.

Nella percezione della musica il sentire è passivo, mentre “ascoltare” è attivo e richiede avvicinamento e concentrazione. Con ciò, l’ascolto diventa un’esperienza intellettuale. Nella sua forma più evoluta si trova il professionista, o il direttore d’orchestra, che riesce a localizzare i singoli elementi isolandoli e quasi filtrandoli. Questa estrema capacità di localizzazione dei suoni si può trovare anche nei ciechi di nascita che, pur non avendo mai visto lo spazio in realtà, lo percepiscono tramite l’eco e per di più tramite l’area cerebrale preposta alla vista.

Un altro aspetto: chiudiamo gli occhi quando la luce del sole ci abbaglia, mentre non possiamo sottrarci ai rumori, anche violenti. Il nostro sistema acustico non ha integrato nessuna barriera protettiva, perché è d’importanza vitale e ci lega al mondo che ci circonda: suoni o rumori inusuali possono strapparci dal sonno più profondo, mentre il rombo improvviso di una motocicletta non ci rompe il sonno.

Il nostro subconscio filtra i suoni e ne sceglie l’importanza nella funzione di “allarme”.

Non di rado l’ascoltatore accomuna musica e immagini con ricordi: un modo di vivere la musica felicemente, molto differente dall’analisi del professionista. Già il titolo del brano musicale può indirizzare verso determinati pensieri e immagini.

Due esempi:

Nell’opus “Quadri di un’esposizione”, Musorgskij ha voluto tradurre in musica alcuni quadri del suo amico (Viktor Aleksandrovic Hartmann, 1834-1873), stimolando l’immaginazione visiva verso un determinato tipo di ascolto.

 

Brano Redjan Teqja, pianista

 

Anche Camille Saint-Saëns, nella sua composizione “Carnevale degli animali”, evoca il verso di galline, polli, leoni e altri elementi che possono suscitare l’umorismo divertono l’ascoltatore.

 

Brano Redjan Teqja, pianista

 

Associando il pezzo musicale a immagini, si ottiene una reiterazione a mo' di eco, che produce una sensazione più intensa e si fissa meglio nella psiche. I compositori ne sono consapevoli nella formulazione dei titoli dei brani.

Dott.ssa Heidi Wolf Pagani

Neurologia FMH