Collezionismo: bulimia, ossessione o semplicemente passione?
Ritratto Museo Ferrante Imperato 1599, Napoli
Raccogliere e cacciare sono le più vecchie forme indispensabili alla sopravvivenza dell’uomo. Questo “primitivo” bisogno che risale a migliaia di anni fa, ha tuttora un influsso sul comportamento dell’uomo. L’evoluzione e la rivoluzione culturale sviluppatesi nel frattempo non sono riuscite a cancellare la tendenza arcaica di agire e la troviamo tuttora per esempio nel collezionismo. Così diventa legge di natura che l’uomo si consideri contemporaneamente in modo atavico sia collezionista sia cacciatore. Di fatto, l’evoluzione culturale e la maturazione individuale non sono cambiate molto, ma hanno differenziato la scelta degli oggetti: i bambini piccoli raccolgono sassolini, più tardi forse, durante la scolarità, francobolli o fotografie dei propri idoli e, da adulti, secondo il livello sociale e i propri interessi, collezioneranno monete, quadri, libri e altri oggetti.
Scena del film "Lamigliore Offerta"
Il comportamento arcaico del collezionista sottostà dunque a due influssi concorrenti: il bisogno imperioso, “naturale”, invariato da sempre, di raccogliere e, contemporaneamente, il desiderio di una selezione degli oggetti basata sul sapere, sugli interessi culturali, economici, il tutto legato anche al suo livello economico (“zwei Seelen wohnen –ach- in meiner Brust”: Goethe).
Storicamente, già nell’antichità c’erano collezionisti di rilievo attirati dalla numismatica oppure dalle gemme, dalle statue ecc, ma solo nel sedicesimo e diciassettesimo secolo vediamo svilupparsi un collezionismo aristocratico più esteso, in stati, ducati e regni. Si trattava di esposizioni non differenziate e senza pianificazione o struttura predeterminata, in realtà veri e propri “gabinetti di rarità” o “camere delle curiosità” (“Wunderkammer”) dei quali il potente di turno si serviva per dimostrare al mondo l’importanza delle proprie conoscenze, dandosi anche l’aria di scienziato umanistico, evoluzione che portò più tardi alla “portrait gallery”. Era nell’epoca delle scoperte di nuovi territori lontani e ogni oggetto da lì portato era carico di informazioni, ma suscitava anche fantasie.
Le "Wunderkammern" diventavano luoghi di incontri di persone colte e centri di riflessione sulle curiosità dal mondo. Il nome attribuito a ciascuno di questi studioli ne indicava la funzione: “theatrum sapientiae” e rappresentava una visione enciclopedica di un microcosmo senza differenziazione tra naturalie, artificialia, mirabilia o exotica e accennava sia all’ammirare che al meravigliarsi.
In uno spazio opportunamente scelto, erano esposti denti di pesce cane, il corno dell'unicorno vicino a manufatti in argento e oro, armi, testi scritti, dipinti, statue e così via, dunque senza una separazione tra temi diversi.
Nel corso del tempo, da questi precursori si svilupparono gradualmente musei con determinati temi, sistematicamente ordinati e destinati a un publico più vasto e spesso costituiti da collezioni private. Ma chi sono questi collezionisti privati, in cosa si distinguono dai “non-collezionisti”, quali sono le loro motivazioni? L’arcaico impulso di predare non può essere all’origine della scelta dell’oggetto da collezionare, in quanto questo non è commestibile né immediatamente utile. Pertanto, si tratta di uno stato quasi passionale, compulsivo, che deve essere modulato, controllato e inibito affinché la ricerca e la scelta possano svilupparsi in modo sistematico per poter completare ulteriormente la desiderata collezione. Perché solo una richerca selettiva promette un risultato positivo. La collezione è sempre desiderata in modo lineare e cronologico anche se rimane incompleta e imperfetta, e ogni nuova acquisizione sarà solo un piccolo passo nel cammino verso l’agognata perfezione.
La richerca dell'anello mancante annello finale della catena sulla strada verso l'irraggiungibile perfezione (irraggiungibile) rimane sempre incompiuta, come la serie infinita dei numeri primi. Lungo questo percorso il collezionista incontra amici, colleghi, ma anche concorrenti e diventa alleato di complici: una situazione simile a quella dell’alchimia, quando si cercava in segreto la lega dell’oro nascondendo tutto in una scrittura segreta.
Per il collezionista colto questo percorso è stimolante: gli permette di addentrarsi in modo approfondito nella materia, nella storia e nell’estetica. Ogni momento che può dedicare alla sua collezione lo rende felice e si sente nel proprio elemento.
Ben diversa è la situazione nei casi di raccoglitori patologici descritti in medicina, i così detti “messie” (Sandra Felton, 1985), che si circondano di qualsiasi cosa indiscriminatamente, accumulata in modo compulsivo. Lo fanno senza cognizione e senza scopo o necessità e non sono in grado di fare autocritica, né di correggere il proprio comportamento, il che li distingue completamente dai collezionisti seri.
Certi modi morbosi di accumulo possono essere un segnale di un danno cerebrale. In particolare un paziente affetto da una lesione nel lobo frontale può anche manifestare un'incapacità di dominare i propri impulsi, di frenare le proprie azioni.
Un altro esempio che esiste da decenniè quello di un eccellente medicamento contro i sintomi del Morbo di Parkinson che in rari casi può produrre un fenomeno simile, detto “craving” (in italiano: brama): un bisogno imperioso per esempio nel gioco, nell’accumulo sfrenato di oggetti, oppure nel senso di una bulimia. In tal caso, determinati neurotrasmettitori (dopaminergici) provocano un'eccessiva attività nei circuiti in certe zone cerebrali (lo striatum), responsabili per il “craving” con la quale il paziente perde il controllo dell’impulso.
Anche in una fase maniacale nel corso di certe malattie psichiche il paziente può sviluppare un bisogno irreprimibile di comprare, simile al summenzionato “craving”. Queste forme patologiche non hanno niente a che fare con il collezionismo elitario perché sono conseguenti a un fatto patologico organico cerebrale, mentre il collezionismo è direttamente legato allo sviluppo degli interessi stessi della personalità che non è alterata.
Farmacia Basilius Beserl 1622, Norimberga 1622
Le passioni, non di rado, creano dipendenza, ma nel collezionista si tratta di una relativa dipendenza esclusivamente psichica, che tuttavia non va in direzione di una più grave dipendenza fisica come nel caso di sostanze stupefacenti. Non ha niente a che fare con l’assenza di inibizione o la presenza di impulsi incontrollabili. Ciò malgrado, molti collezionisti hanno parlato di “dipendenza”. Federico Zeri, in un’intervista, ha apostrofato il collezionista come “disturbato” perché, per esempio, nasconde un quadro dietro un armadio piuttosto di lasciarlo in bella vista e non riesce a sentirsi appagato nel ammirarlo; ha solo bisogno di possederlo. Ci sono collezionisti che hanno rubato libri o quadri, hanno fatto ricorso a vie traverse per ottenere determinati volumi o quadri (Bougoslavski: “le bibliophile”).
Dalla storia tardo medioevale risulta che il bibliofilo Hartmann Schedel (1440 – 1514) possedeva un’importante biblioteca privata, acquistata dopo la sua morte per 500 Fiorini da Johann Jakob Fugger; oggi giorno conservata nella biblioteca della corte di Monaco: 370 manoscritti, 460 stampe e 5 edizioni della cronaca mondiale del XV secolo.
Ritratto Hartmann Schedel, Monaco: Bayerische Staatsbibliothek (Quelle: München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 30, f. 2v, Lizenz: CC BY-NC-SA 4.0, bearbeitet)
Quest’ultimo esempio ci mostra come la ricerca sapiente, il conservare e il curare tali raccolte, costituisca una ricchezza per i nostri giorni perché gli oggetti ci parlano direttamente di un tempo passato in una scala 1:1 e ci permettono di ricostruire il pensiero e il sapere dell'epoca. La ricerca storica indaga causa ed effetti dell’evoluzione delle culture, mentre le collezioni mediante quadri, libri o monete ci offrono immagini immediate che commentano e documentano momenti passati, esattamente come relitti viventi testimoniano e ci toccano raggiungendoci.
Dott.ssa Heidi Wolf Pagani
Neurologia FMH