LA RIFORMA DEI REATI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE di Giulia Maria Mentasti
All’esito di un lungo iter, che ha coinvolto più legislature, il Parlamento ha di recente approvato la legge n. 22 del 2022, che ha riformato le disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale, finora contenute prevalentemente nel codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42 del 2004), e le ha inserite nel codice penale. Il provvedimento ha perseguito l’obiettivo di operare una profonda riforma della materia, razionalizzando il quadro normativo e ridefinendo l’assetto della disciplina nell’ottica di un tendenziale inasprimento del trattamento sanzionatorio, nonché dell’offerta di strumenti più efficaci di contrasto nei confronti delle associazioni criminali. La legge ha collocato così nel codice penale gli illeciti penali attualmente ripartiti tra codice penale e codice dei beni culturali; ha introdotto nuove fattispecie di reato; ha innalzato le pene edittali vigenti, dando attuazione ai principi costituzionali in forza dei quali il patrimonio culturale e paesaggistico necessita di una tutela ulteriore rispetto a quella offerta alla proprietà privata; ha introdotto aggravanti quando oggetto di reati comuni siano beni culturali.
La legge in sintesi. In particolare, la legge ha aggiunto al codice penale un nuovo titolo, dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale, composto da 17 articoli, con i quali punisce, con pene più severe rispetto a quelle previste per i corrispondenti delitti semplici, il furto, l’appropriazione indebita, la ricettazione, il riciclaggio e l’autoriciclaggio e il danneggiamento che abbiano a oggetto beni culturali. Vengono altresì represse le condotte di illecito impiego, importazione ed esportazione di beni culturali e la contraffazione. Oltre alla previsione di specifiche fattispecie di reato, è stata inserita un’aggravante da applicare a qualsiasi reato che, avendo a oggetto beni culturali o paesaggistici, provochi un danno di rilevante gravità. Quando i reati contro i beni culturali siano commessi a vantaggio di un ente, è altresì prevista l’applicabilità all’ente stesso delle sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive previste dal d.lgs. n. 231 del 2001. Con finalità di coordinamento del nuovo quadro sanzionatorio con la normativa vigente, la legge ha infine abrogato alcune disposizioni del codice penale e del codice dei beni culturali.
Le ragioni della riforma. Come già esplicitato dalla relazione illustrativa del disegno di legge C. 4220, approvato dalla Camera dei Deputati 22 giugno 2017 nella passata legislatura, “l’esigenza di un intervento normativo organico e sistematico nella materia è resa indefettibile non solo dalle rilevanti criticità emerse nella prassi applicativa in riferimento alle disposizioni legislative vigenti, ma anche – e soprattutto – dalla circostanza che le previsioni normative in materia di repressione dei reati contro il patrimonio culturale […] risultano attualmente inadeguate rispetto al sistema di valori delineato dalla Carta fondamentale. La Costituzione, infatti, in base al chiaro disposto degli articoli 9 e 42, richiede che alla tutela penale del patrimonio culturale sia assegnato un rilievo preminente e differenziato nell’ambito dell’ordinamento giuridico e colloca con tutta evidenza la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione a un livello superiore rispetto alla mera difesa del diritto all’integrità del patrimonio individuale dei consociati”. Originariamente, il disegno di legge conteneva una delega al Governo per la riforma delle disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale e fissava alcuni principi e criteri direttivi per realizzarla. Nel corso dell’esame del provvedimento in Commissione Giustizia è emersa tuttavia l’esigenza di accelerare questa riforma, e ciò ha indotto la Commissione a modificare il disegno di legge trasformando la delega in puntuali modifiche al codice penale.
La Convenzione di Nicosia. Sugli stessi temi oggetto della legge, il Consiglio d’Europa ha promosso la stipula di una Convenzione internazionale, la c.d. Convenzione di Nicosia del 17 maggio 2017, volta a prevenire e combattere il traffico illecito e la distruzione di beni culturali. Tale Convenzione - recentemente ratificata con la legge n. 6 del 2022 – è entrata in vigore il 1° aprile 2022 e si propone di prevenire e combattere la distruzione intenzionale, il danno e la tratta dei beni culturali, rafforzando l’effettività e la capacità di risposta del sistema di giustizia penale rispetto ai reati riguardanti i beni culturali, facilitando la cooperazione internazionale sul tema, e prevedendo misure preventive, sia a livello nazionale che internazionale. In particolare, la Convenzione prevede che costituiscano reato diverse condotte in danno di beni culturali, tra cui il furto, gli scavi illegali, l’importazione e l’esportazione illegali, nonché l’acquisizione e la commercializzazione dei beni così ottenuti. Riconosce, inoltre, come reato la falsificazione di documenti e la distruzione o il danneggiamento intenzionale dei beni culturali.
I delitti contro il patrimonio culturale. Come anticipato, la riforma di cui alla legge 22/2022 modifica il codice penale, inserendo tra i delitti il Titolo VIII-bis, rubricato “Dei delitti contro il patrimonio culturale” e composto da 19 nuovi articoli (da 518-bis a 518-vicies): in primis, nuove disposizioni incriminatrici puniscono condotte già sanzionate dalle comuni fattispecie di reati contro il patrimonio, ma che ora divengono destinatarie di un trattamento differenziato quando oggetto è un bene culturale; in secondo luogo, migrano nel codice penale alcuni reati già previsti dal codice dei beni culturali, avendo lo spostamento comportato anche un inasprimento della cornice edittale. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 42/2004, il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’art. 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge.
I reati modellati sulle fattispecie comuni. Ciò premesso, e soffermandosi in primo luogo sui reati modellati sulle rispettive fattispecie comuni, l’art. 518-bis c.p. punisce il furto di beni culturali con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da 927 a 1.500 euro. La condotta consiste nell’impossessamento di un bene culturale altrui, sottraendolo a chi lo detiene, con la finalità di trarne un profitto per sé o per altri. In presenza di circostanze aggravanti, quali quelle già individuate dal codice penale per il reato di furto o dal codice dei beni culturali (quando i beni rubati appartengono allo Stato o il fatto è commesso da chi abbia ottenuto una concessione di ricerca, ex art. 176), la pena della reclusione va da 4 a 10 anni e la multa da 927 a 2.000 euro. A seguire, l’art. 518-ter c.p. dispone per l’appropriazione indebita di beni culturali la reclusione da 1 a 4 anni e la multa da 516 a 1.500 euro. La disposizione riproduce, aumentando la pena, la fattispecie di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p., punendo chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di un bene culturale altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, e contemplando un aggravante se il possesso dei beni è a titolo di deposito necessario. Altresì, l’art. 518-quater c.p. sanziona la ricettazione di beni culturali con la reclusione da 4 a 10 anni e con la multa da 1.032 a 15.000 euro, prevedendo un aumento di pena quando il fatto riguarda beni culturali provenienti da delitti di rapina aggravata e di estorsione. Ancora, all’art. 518-quinquies c.p. è demandata la repressione – con una cornice edittale che spazia tra i 5 e i 13 anni di reclusione e tra i 6.000 e i 30.000 euro di multa – dell’impiego di beni culturali provenienti da delitto. La fattispecie riguarda chiunque, salvi i casi di concorso di reato, di ricettazione e di riciclaggio, impiega illecitamente in attività economiche e finanziarie beni culturali provenienti da delitto.
L’art. 518-sexies c.p. punisce poi con la reclusione da 5 a 14 anni e con la multa da 6.000 a 30.000 euro il riciclaggio di beni culturali: la condotta è mutuata dal delitto di riciclaggio di cui all’art. 648-bis c.p., ma la pena è inasprita. La pena è invece diminuita se i beni culturali provengono da delitto per il quale è stabilita la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Inoltre, la fattispecie trova applicazione anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità, precisazione inserita anche in riferimento ai suesposti reati di ricettazione e di reimpiego. La norma successiva, l’art. 518-septies c.p., incrimina, mediante l’irrogazione di una pena detentiva da 3 a 10 anni e di una pecuniaria da 6.000 a 30.000 euro, l’autoriciclaggio di beni culturali, ovvero la condotta di chi, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, beni culturali provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Analogamente alla fattispecie generale di cui all’art. 648-ter.1 c.p., la pena è più lieve (reclusione da 2 a 5 anni e multa da 3.000 a 15.000 euro) se i beni culturali provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a 5 anni. L’art. 518-octies c.p. punisce invece con la reclusione da 1 a 4 anni la falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali. Si tratta di una norma innovativa nel nostro ordinamento, mutuata da una disposizione della Convenzione di Nicosia (art. 9), che reprime la condotta di colui che forma una scrittura privata falsa o altera sopprime o occulta una scrittura vera in relazione a beni culturali mobili, al fine di farne apparire lecita la provenienza.
I reati in precedenza collocati nel codice dei beni culturali. Ciò detto, il Titolo VIII-bis prosegue con le fattispecie che, già previste dal suddetto codice dei beni culturali, trovano ora nuova collocazione nel codice penale, oltre ad aver subito un inasprimento del trattamento sanzionatorio. Tra queste, si segnala l’art. 518-novies c.p., che punisce le violazioni in materia di alienazione di beni culturali con la reclusione da sei mesi a 2 anni e la multa da 2.000 a 80.000 euro e l’art. 518-decies c.p., che sanziona con la reclusione da 2 a 6 anni o con la multa da 258 a 5.165 euro l’importazione illecita di beni culturali. Ancora, l’art. 518-undecies punisce con la pena della reclusione da 1 a 4 anni o con la multa da euro 258 a 5.165 chiunque trasferisca all’estero beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali, senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione. La medesima pena si applica anche nei confronti di chiunque non fa rientrare nel territorio nazionale i suddetti beni usciti o esportati legalmente in via temporanea, e sono previste pene accessorie nel caso in cui il fatto sia commesso da chi esercita attività di vendita al pubblico o di esportazione al fine di commercio. La contraffazione di opere d’arte è invece ora punita dall’art. 518-quaterdecies c.p. con la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 3.000 a 10.000 euro. Analogamente a quanto previsto dal previgente art. 179 del codice dei beni culturali, il nuovo art. 518-quinquiesdecies esclude la punibilità a titolo di contraffazione di colui che riproduce, detiene, vende o diffonde opere, copie o imitazioni dichiarando espressamente la loro non autenticità.
La nuova circostanza aggravante. Il nuovo Titolo VIII-bis del codice penale prevede inoltre un’aggravante da applicare a qualsiasi reato che, avendo a oggetto beni culturali o paesaggistici (art. 518-septiesdecies): cagioni un danno di rilevante gravità; sia commesso nell’esercizio di un’attività professionale o commerciale; sia commesso da un pubblico ufficiale impiegato nella conservazione o protezione di beni culturali che si sia volontariamente astenuto dallo svolgimento delle proprie funzioni al fine di conseguire un indebito vantaggio; sia commesso nell’ambito di un’associazione per delinquere. La pena dovrà essere aumentata da un terzo alla metà e, in caso di esercizio di un’attività professionale, dovrà essere applicata anche la pena accessoria della interdizione da una professione o da un’arte (art. 30 c.p.), oltre alla pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36 c.p.). Da ultimo, con una norma ad hoc, è espressamente disposta l’applicabilità delle disposizioni penali a tutela dei beni culturali anche ai fatti commessi all’estero in danno del patrimonio culturale nazionale (art. 518-vicies c.p.).
Le molteplici ipotesi di confisca. La riforma si è espressa altresì in punto di confisca, stabilendo, all’art. 518-duodevicies c.p., l’ablazione obbligatoria delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico e delle altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturale, che hanno costituito l’oggetto del reato, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato. In caso di condanna o patteggiamento per uno dei delitti previsti dal nuovo titolo, è, altresì, prevista la confisca obbligatoria, anche per equivalente, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto, il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Ciò illustrato, la nuova legge è intervenuta anche sull’art. 240-bis c.p., ampliando – attraverso l’inserimento dei reati di ricettazione di beni culturali, di impiego di beni culturali provenienti da delitto, di riciclaggio di beni culturali, di autoriciclaggio di beni culturali e di attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali – il catalogo dei delitti in relazione ai quali è consentita la c.d. confisca allargata, ovvero la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
La responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001. Infine, l’intervento normativo non si è dimenticato di apportare le opportune integrazioni al d.lgs. n. 231 del 2001, prevedendo la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche quando i delitti contro il patrimonio culturale siano commessi nel loro interesse o a loro vantaggio. La riforma ha infatti esteso il catalogo dei reati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti, con l’inserimento di due nuovi articoli. Precisamente, l’art. 25-septiesdecies, rubricato “Delitti contro il patrimonio culturale”, prevede in relazione all’art. 518-sexies c.p. (riciclaggio di beni culturali) l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.000 quote; all’art. 518-ter (appropriazione indebita di beni culturali) e all’art. 518-undecies (uscita o esportazione illecite di beni culturali) di quella da 200 a 500 quote; all’art. 518-duodecies (distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali e paesaggistici) e all’art. 518-quaterdecies c.p. (contraffazione di opere d’arte) l’irrogazione della sanzione da 300 a 700 quote; infine all’art. 518-bis (furto di beni culturali) e all’art. 518-quater (ricettazione di beni culturali) l’applicazione della sanzione da 400 a 900 quote. Dunque, considerato che l’importo di una quota varia da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.549 euro, ne deriva che la sanzione pecuniaria potrà arrivare fino a un milione e mezzo di euro per le ipotesi più gravi. Nel caso di condanna per i delitti su elencati la nuova disposizione prevede inoltre l’applicazione all’ente delle sanzioni interdittive per una durata non superiore a due anni. L’art. 25-duodevicies, rubricato “Riciclaggio, devastazione e saccheggio di beni culturali e attività organizzata per il traffico illecito di beni culturali”, prevede invece in relazione ai delitti di riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies), di devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 518-terdecies) e di attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali (art. 518-sexiesdecies) l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria da 500 a 1.000 quote. Nel caso in cui l’ente, o una sua unità organizzativa, venga stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di tali delitti, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.
Giulia Maria Mentasti
Avvocato, Partner di Loconte&Partners