I DIVERSI PROFILI FISCALI NELLA CESSIONE DELLE OPERE D’ARTE di Angelo Basile

 

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Anche il mondo dell’arte è chiamato in causa in materia di imposizione fiscale e, di conseguenza, è fondamentale analizzare i vari profili che ne derivano e che sono utili per operare nel settore in maniera consapevole.

Prima di analizzare i profili fiscali nella cessione di opere, occorre premettere che la nostra Costituzione, all’art 53, recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacità contributiva…”

In questo contesto, dunque, anche le operazioni che coinvolgono le opere d’arte possono assumere rilevanza ai fini fiscali, poiché anche quest’ultime possono essere oggetto di prestiti e cessioni a titolo oneroso o gratuito.

In passato, ai sensi dell’art 76 del D.P.R. 597/1973, era espressamente previsto che: “Le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi e non rientranti fra i redditi d’impresa concorrono alla formazione del reddito complessivo per il periodo d'imposta in cui le operazioni si sono concluse. E si considerano ad ogni modo speculative: l'acquisto e la vendita di oggetti d'arte, di antiquariato e in genere da collezione, se il periodo di tempo intercorrente tra l'acquisto e la vendita non è superiore a due anni”.

Oggi, andando a valutare più nello specifico il caso della compravendita di opere d’arte, invece, è opportuno segnalare che nel Testo Unico sulle imposte dei redditi non è più prevista una specifica normativa per tali operazioni effettuate dai privati e, pertanto, sia l’amministrazione finanziaria sia i giudici di merito sono chiamati a valutare case by case le modalità più idonee di tassazione di tali operazioni.

Sicuramente quello che assume primaria importanza è la natura del soggetto privato che pone in essere tale operazione: ciò significa che in virtù della sua identificazione, il soggetto potrà essere sottoposto a differenti regimi fiscali.

La dottrina, sul punto, ha elaborato una tripartizione dei soggetti privati che possono essere coinvolti in operazioni di compravendita di opere d’arte e, nello specifico, il collezionista privato, lo speculatore e il mercante d’arte.

Parallelamente, la giurisprudenza, negli anni, ha elaborato e introdotto diverse interpretazioni in merito che, recentemente, mediante la Cassazione Civ. Sez. V. Ord. dell’08 marzo 2023, sono state oggetto di consolidamento.

In particolare, si è tornati sul tema della corretta identificazione di queste tre figure e dei criteri effettivi che è opportuno utilizzare al fine di effettuare una corretta individuazione di queste figure. Come noto, infatti, il collezionista d’arte privato non è mai stato oggetto di imposizione, cosa ben diversa invece per le altre due figure individuate.

Nel caso di specie, gli Ermellini si sono occupati di ripercorre le precedenti interpretazioni andando a individuare delle linee guida utili per effettuare una corretta individuazione e conseguente imposizione fiscale nei confronti degli operatori del mondo dell’arte.

A tal proposito, è utile ricordare che ai fini civilistici e ai fini fiscali il concetto di imprenditore non coincide perfettamente. Ai fini civilistici, l’art 2082 c.c. individua nella figura dell’imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale. Dall’altra parte, in ambito fiscale, l’art 55, comma 1, del TUIR considera redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio “per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività elencate nell’art. 2195 c.c. anche se non organizzate in forma d’impresa”. Dunque, ai fini fiscali non viene richiesto il requisito dell’organizzazione, ma il mero svolgimento della professione abituale delle attività di cui all’art 2195 del c.c., anche se non svolta in modo esclusivo.

Ciò premesso, gli Ermellini in questa recente ordinanza ribadiscono che va definito come:

  • mercante d’opere d’arte, colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente – col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere;
  • speculatore occasionale, chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile;
  • collezionista, chi acquista le opere per scopi culturali, con finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza. L’interesse del collezionista è, quindi, rivolto non tanto al valore economico della res quanto a quello estetico-culturale, ed è legato al piacere che il possedere le opere genera, all’interesse dell’arte, al conoscere gli artisti.

Conseguentemente, la stessa decisione riporta quelli che sono gli elementi ritenuti idonee dalla consolidata giurisprudenza al fine di riscontrare la professionalità di tali attività. Ovverosia: numero delle transazioni effettuate; gli importi oggetto della transazione; il numero di soggetti coinvolti nell’operazione; nonché la varietà della tipologia dei beni alienati.

Sulla scia di questo inquadramento, dunque, i giudici Ermellini ribadiscono che per il mercante d’arte conseguirà un reddito d’impresa ai sensi dell’art. 55 del TUIR e rilevante ai fini IVA come previsto e regolato ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. n. 633 del 1972; che lo speculatore occasionale potrà generare i redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. i) del TUIR non rilevando ai fini IVA in mancanza del requisito dell’abitualità; e infine, che il collezionista non sarà soggetto ad alcun tipo d’imposizione.

In conclusione, anche in quest’ultima decisione la Corte di Cassazione, conformandosi alle precedenti decisioni e alla giurisprudenza unionale, ha ribadito che, in mancanza di una espressa definizione normativa in materia fiscale, vi è la necessità di utilizzare dei criteri di natura circostanziale che però potrebbero risultare carenti di un approccio oggettivo e unitario.

Angelo Basile

Junior Associate presso Loconte&Partners.