L'importanza del materiale, delle tecniche e della provenienza di un'opera d'arte per una corretta due diligence
Sharon Hecker, copyright Jan Birch.
Intervista a Sharon Hecker, una delle massime esperte di Medardo Rosso, specializzata in storia dell'arte italiana moderna e contemporanea, nonché fondatrice del metodo "The Hecker Standard®".
By Camilla Delpero
Cos’è per te l’arte?
È una domanda molto vasta. Molto probabilmente ho una sensibilità differente nei confronti degli artisti rispetto a quelli che lavorano nel mondo dell’arte perché l’arte è sempre stata in famiglia. Mia nonna faceva la sarta ad alto livello; l’altra mia nonna, mio zio, e mia sorella si sono tutti laureati in facoltà di Belle Arti, quindi in casa l’argomento “arte” era ed è materia di tutti i giorni. Dopo aver studiato a Yale e all’Università di Firenze, ho iniziato a lavorare alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e mi hanno chiesto di coordinare il Padiglione americano alla Biennale nel 1990 per un’artista americana di nome Jenny Holzer. Lei è stata la prima donna a rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale. All’epoca avendo avuto da poco una bambina, Holzer non è potuta venire a Venezia per tutto l’anno, quindi io ero i suoi occhi e il suo tramite per la creazione delle sue opere in situ, aiutandola a scegliere i materiali e a trovare le persone qualificate per istallare le opere. In quell’esperienza mi sono resa conto di quanto sia importante il materiale fisico nell’arte, è la tua risorsa ma anche il tuo limite. Successivamente ho lavorato alla Galleria Christian Stein a Milano, dove ho lavorato con artisti di Arte povera. Quel lavoro è stato un regalo di Jenny Holzer, quando ha vinto il Leone d’oro a Venezia mi ha spostato alla galleria di Milano. Lavorare a stretto contatto con gli artisti è stato importantissimo. Lì ho conosciuto Luciano Fabro e la sua famiglia. Lui stava preparando una grande retrospettiva al MOMA di San Francisco e abbiamo tradotto i suoi scritti teorici in inglese per far conoscere i suoi pensieri al mondo anglofono. In queste occasioni ti rendi conto di quanto sia importante la scelta delle parole per descrivere un artista o il suo lavoro. Per ritornare alla domanda su cosa sia l’arte: per me è dialogare; un dialogo con gli artisti e con altre persone del settore quali scienziati, legali, con chi si occupa di conservazione, altri storici dell’arte esperti, studenti, e anche con persone che non sanno niente di arte ... La mia prossima mostra si terrà alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, sulle ceramiche di Lucio Fontana nel 2022. Tutta la mia esperienza lavorativa precedente è stata funzionale alla creazione del "The Hecker Standard®", un approcio di buone prassi per condurre la due diligence sulle opere d’arte.
Raccontaci il tuo metodo!
Dal momento che ho visto una certa superficialità nel capire lo stato di autenticità e di attribuzione di un’opera d’arte, ho deciso di creare uno standard appunto "The Hecker Standard®", in modo da poter lavorare metodicamente sulla due diligence da vari punti di vista: analisi visiva, provenienza e studi scientifici. Oltre al lavoro di guardare con attenzione l’opera, bisogna cercare di tracciare la provenienza completa di un’opera, o di fare il possibile per capire la validità delle provenienze fornite sulla carta. È molto semplice falsificare le provenienze e la loro documentazione, per esempio inserendo con photoshop delle opere in vecchi cataloghi. Solo una persona competente può sapere se le informazioni sono corrette. Dal punto di vista della scienza, oggigiorno abbiamo molti nuovi strumenti per studiare le opere d’arte, e questo è un aiuto enorme per la due diligence. Purtroppo stanno anche nascendo aziende commerciali che offrono servizi quali raggi x, infrarossi, analisi di pigmenti, senza avere l’esperienza storico-artistica per comprendere i risultati e quali tecniche utilizzare per affrontare un problema specifico. Per realizzare questi studi ci vuole esperienza non solo della scienza, ma anche della storia dell’arte; bisogna fare un lavoro collaborativo con uno storico dell’arte specializzato e internazionalmente riconosciuto in quella materia specifica. La due diligence non è una cosa che si può improvvisare. Come ogni buona due diligence, bisogna stare attenti a lavorare con autonomia per evitare di andare incontro a conflitti di interesse. Infine, c’è bisogno di umiltà, dobbiamo poter ammettere quando non possiamo arrivare a una conclusione definitiva sull’autenticità e l’attribuzione di un’opera. La fretta è nemica di tutto questo; spesso il mercato marcia sulla fretta, costringendo spesso ad acquisti e vendite affrettate senza aver controllato la dovuta documentazione. Anche i musei e le mostre montate in fretta non fanno un buon servizio al pubblico se non si prendono il tempo necessario per la due diligence (la recente mostra di Modigliani a Genova, con molte opere false esposte, è un esempio).
Nella vita, come nel lavoro esiste il Caso oppure no? La componente fortuna è determinante?
Assolutamente esiste. Io sono in Italia per puro caso (non ho antenati italiani). Non è solo fortuna, però, è saper cogliere l’occasione. Quando ho incontrato Jenny Holzer avevo già il biglietto per tornare in America per studiare, ma il mio capo alla Peggy Guggenheim mi ha consigliato di rimanere a Venezia e lavorare per Holzer. Quel momento è stato determinante per la mia carriera e se non avessi scelto di restare, chi lo sa cosa sarebbe accaduto. Devi intravedere quando ti viene offerto qualcosa di grande e capirne il suo potenziale. Nella mia vita sono sempre stata aperta ai lavori che mi venivano offerti: nelle gallerie, al Guggenheim, per Fabro, e così via, perché si impara sempre qualcosa. I giovani mi sembrano meno aperti a provare ciò che non conoscono o che non sembra perfetto in partenza, e a volte sono pronti a buttar via tutto invece di insistere, facendo piccoli aggiustamenti.
Ti manca l’America?
Mi mancano tante cose. Nonostante abiti in Italia da 34 anni, per un americano è duro vivere qui perché in Italia le donne hanno ancora molta strada da fare per possedere veramente la fiducia in sè stesse, soprattutto nel lavoro intelletuale e creativo (ad esempio per questo motivo ci sono poche donne artiste italiane). Devono anche trovare il modo di cambiare quando sentono che un lavoro diventa stretto oppure quando vogliono provare qualcosa di nuovo e di diverso. Ti dicono subito “sei troppo vecchia per iniziare da capo!” Questa è una delle cose più scoraggianti per le donne. Quando mi sento scoraggiata, mi devo ricordare che sono anche americana e che quindi ce la faccio.
La tua “passione” per l’arte come nasce? Come nasce Sharon e la tua specializzazione su Medardo Rosso?
La parola “passione” è fuorviante, mi piace quello che faccio, ma non bisogna mai farsi travolgere dalla passione. Mi piace lavorare con persone fuori dal mio campo: artisti, avvocati, ricercatori, persone del mercato, scienziati, restauratori, altri storici dell’arte, ecc. perché da ognuno imparo qualcosa e cerco di creare dei ponti di dialogo tra di noi. Non mi piace lavorare da sola, anche i libri che scrivo sono spesso a più mani; co-curo le conferenze, le mostre; perché il problema del mondo dell’arte è proprio la mancanza di un certo tipo di dialogo vero e significativo. Per renderlo possibile devi avere bene in mente dove inizi tu e dove finisce l’altro, dove sono i limiti della tua competenza professionale e chi è l’esperto giusto per il lavoro richiesto. Per esempio, una stima economica di un’opera d’arte non dovrebbe essere confusa con la due diligence storico-artistica, ma spesso la stessa persona si dichiara “esperto” di ambedue le cose. Capire queste differenze importanti potrebbero essere d’aiuto a molte persone. Non tutti gli storici dell’arte sono esperti di tutto, come non si va dal medico di base per un consulto su un’intervento al cuore. È un campo molto specializzato. Per tornare alla tua domanda su Medardo Rosso, dopo aver lavorato per Luciano Fabro volevo tornare in America e fare un dottorato su di lui, ma Fabro mi ha sconsigliato di farlo dicendo che avrei dovuto prima scrivere su chi lo aveva preceduto, su chi ha aperto la porta a tutti, Medardo Rosso. È stata una cosa molto bella, perché ovviamente volevo fare un onore a Fabro e lui invece mi ha donato questa opportunità di pensare a Rosso. Mi ha caricato in macchina e siamo andati a vedere le opere di Medardo. Per 30 anni ho continuato a studiare a fondo la sua storia e le sue opere; è un artista molto complicato, più di quanto si immaginasse. Per esempio, si pensava che Rosso modellasse in cera, ma invece non è così. Questa scoperta ci ha aiutato a capire perché sia andato a Parigi come fonditore e non come modellatore di cera. Ci ha fatto capire come le sue fusioni siano particolari, di come giocasse con la tecnica della cera persa per le fusioni in bronzo, conservando la cera rendendole opere d’arte, e così via. Si aprono sempre nuove porte e nuovi ambiti di indagine; abbiamo creato dei gruppi di studio interessanti per lavorare insieme sulla questione della sua tecnica. Studiare un artista così fuori dal comune, così sperimentale è sempre una buona base.
Aetas Aurea (The Golden Age), Medardo Rosso, tardo 1885-1886, cera su gesso, California Palace of the Legion of Honor.Questo file è reso disponibile nei termini della licenza Creative Commons CC0 1.0 Universal.
Questa specializzazione è sempre vantaggiosa oppure ha anche degli svantaggi? Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere la tua carriera?
Un vantaggio è quello di imparare a ricercare una cosa in modo approfondito. Per parlare dello svantaggio prendo come esempio l’attore di “Happy Days”, che non è riuscito a ricoprire altri ruoli all’infuori di Fonzie. Sono sempre associata a Medardo Rosso. Tuttavia tutto il lavoro che una persona svolge durante la sua carriera, anche se in ruoli diversi, è utile: in verità ho lavorato in molti settori del mondo dell’arte, e questo aiuta a connettermi a persone che lavorano in campi diversi: la legge, il mercato, il museo, gli artisti, gli storici dell’arte e così via. Ovviamente non posso rimanere solo legata a Medardo Rosso anche se è una base importante del mio metodo di lavoro su cui ho construito altro: ho già curato un’importante retrospettiva su Rosso in America. È giusto lasciarlo respirare, permettere che altri benificiano delle mie idee. I giovani devono sfruttare ciò che trovano di utile nel mio lavoro e creare qualcosa di nuovo. Andare oltre Rosso mi ha permesso di vedere alcune problematiche più grandi nel mondo dell’arte. In Italia per una donna, diversamente rispetto all’America, è più difficile dire: “adesso cerco di cambiare direzione rispetto a quello che ho fatto fin d’ora”. Vedevo e vedo ancora molti che parlano di fare due diligence prima di comprare, vendere o esporre un’opera d’arte che potrebbe avere un problema di attribuzione o di autenticità, ma chi ne parla in modo veramente competente e corretto? Nel mio lavoro con "The Hecker Standard®", mi arrivano molte opere con tanti documenti annessi, ma i proprietari non hanno chiamato gli specialisti giusti e non hanno fatto gli esami scientifici corretti e necessari. Vedo che gli avvocati e i giudici spesso credono di essere competenti nel giudicare la qualità di questi documenti. Non sanno come procedere in questo mondo molto specializzato, quindi anche gli strumenti che offrono come guida di due diligence “fai da te” alla fine non sono molto utili. Per esempio, ci sono delle opere problematiche perché sono state razziate dai nazisti. Se non ti affidi allo specialista che ha studiato per anni quell’artista o la storia delle opere razziate da quel particolare proprietario, non avrai mai un database di riferimento per rispondere al problema. Il mio metodo è basato sulle prove e si appoggia a diversi specialisti del campo, non sempre nomi conosciuti dal mercato. Molti mi dicevano che il mio standard per la due diligence non sarebbe stato utile, mi hanno scoraggiato dicendomi che non sarei riuscita a depositare il marchio. Fortunatamente ho parlato con il mio avvocato in America e lui mi ha detto “è così ovvio che è geniale!”. Ora il marchio è stato registrato in America, U.K., E.U., Svizzera, e Russia.
Cos’è andato perduto oggi nel mondo dell’arte o nella società che senti abbia perduto e cosa invece non morirà mai?
Quello che è andato perduto è una maggior attenzione all’opera d’arte. Sento dire solo la parola “bellissimo” per descrivere un’opera o una mostra. Anni fa insegnavo all’Università Cattolica un corso su Leonardo da Vinci. All’inizio del corso, vedevo che per gli studenti il tempo massimo di attenzione possibile davanti ad un’opera era 30 secondi, leggere l’etichetta e andare avanti. Con questo corso ho portato l’attenzione degli studenti gradualmente a focalizzarsi sulla stessa opera d’arte da 30 secondi a 2 ore. Manca entrare in sintonia con l’opera, il non avere paura di sederti davanti e ascoltare che cosa ha da dirti. Alla fine del corso gli studenti si sono meravigliati che si potesse parlare per due ore della Mona Lisa, ma erano proprio loro che alla fine del corso hanno parlato due ore. È importante riflettere sull’arte, io lo faccio scrivendo; passo molto tempo su una sola opera, un solo artista ed è sempre più difficile costruire questo rapporto profondo con essa, soprattutto per le mille distrazioni del mondo esterno. Secondo me c’è bisogno di ritornare alla riflessione. Quando eseguo la due diligence i proprietari delle opere rimangono meravigliati delle cose che imparano dalla loro opera. Lavoro con la scultura perché è dura, difficile, devi stare lì seduta in silenzio per molto tempo prima di capire cosa ti vuole dire. Non è facile non andare subito a cercare una risposta scritta sull’etichetta e passare alla prossima. Ai tempi di COVID19, dove siamo tutti costretti a stare fermi a casa, forse potremmo imparare qualcosa su questo tipo di rallentamento quando guardiamo le opere d’arte.
Cos’è per te la bellezza?
La bellezza è la scoperta di un nuovo punto di vista su un’opera d’arte. Ad esempio ho condotto una lunga ricerca su una scultura di Lucio Fontana appesa al soffitto del Cinema Arlecchino di Milano. Era un enorme mosaico multicolor, bellissimo, ignorato da molti per cinquant’anni perché era all’interno di un cinema milanese. Quando hanno tirato giù l’opera per restaurarla, la restauratrice Barbara Ferriani, capovolgendola, ha scoperto che non era di ceramica, ma di papier-maché fatto con fili di metallo e garza. Per rendere l’opera leggera sul soffitto Fontana non aveva scelto la ceramica, come si pensava fino a quel momento, ma aveva utilizzato il papier-maché, una scelta geniale! Un’altra sorpresa: sul retro dell’opera la restauratrice ha trovato tantissime lampadine elettriche: Fontana voleva sparare la luce da dietro l’arlecchino per illuminare la stanza. Questo è un esempio di come un artista deve risolvere dei problemi pragmatici legati al contesto in cui lavora e di come la risoluzione diventi un’opera d’arte. Questa per me è la bellezza, quando un artista trova una soluzione che ti stupisce.
Ecce puer , Medardo Rosso, 1906, gesso patinato. Milano, Galleria d’Arte Moderna © Comune di Milano.
La rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare quella scintilla che rende unica una cosa. Dove la intravedi questa particolarità che rende unica una cosa, o che qualifica i tuoi progetti?
Possiamo riprendere il discorso della domanda precedente: per me il Quid è quando scopro che una cosa non è come la immaginavo o come la storia la immaginava. Quando ho scoperto che Medardo Rosso non modellava la cera mi si è aperto un mondo; quello delle fonderie, dei fonditori, della sua manipolazione creativa, della tecnica antica della cera persa, e del fatto che nessuno in Francia sapeva più fare le fusioni in cera persa in quel momento, quindi l’arrivo di Rosso a Parigi non era stato casuale. Lo stesso quid mi è capitato recentemente nella stesura di un libro che abbiamo scritto sul piombo nell’arte contemporanea; abbiamo imparato moltissimo sugli artisti e il piombo: chi lo piega, chi lo scioglie, chi lo lucida, per chi è un materiale tossico, un materiale deprimente e saturnino, un materiale prottettivo, un materiale pericoloso, alchemico, spirituale e così via. Non ho mai visto un utilizzo così flessibile da parte degli artisti di un materiale tutto sommato elementare. Il tutto è nato da una banale discussione fatta un giorno con una mia collega italiana, si è aperto un mondo che ha fatto emergere un libro. Per me il quid è questo. Adoro quando qualcosa mi sorprende. Posso farti anche un altro esempio: recentemente ho tenuto una conferenza sulle immagini delle donne reclinate nella storia dell’arte. Ho sempre creduto che le opere come la Paola Borghese come Venere vincitrice di Canova fossero create da uomini per rendere le donne degli oggetti del loro desiderio. Tuttavia mentre facevo le ricerche per la conferenza, ho scoperto un fatto incredibile: molte di queste opere sono state commissionate da donne e non da uomini come molti pensano. Spesso c’era il desiderio delle donne di esprimere il loro potere e decidere da sole come volevano essere rappresentate. Ho trovato il Quid!