Le accelerazioni e le cadute libere come materia fondante dell'essere curatore

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 Milovan Farronato, photo Daniele De Carolis.

"Credo che nell’arte, nella danza, nella scrittura ci sia l’idea di avere una mente o un corpo eccitati che possano produrre anche sull’orlo del precipizio". Intervista a Milovan Farronato direttore e curatore del Fiorucci Art Trust.

By Camilla Delpero   

 

Cos’è per te l’arte contemporanea?

Inizierei a rispondere citando il filosofo Giorgio Agamben: “Contemporaneo é colui che riceve in pieno viso il fascino di tenebra che proviene dal suo tempo”. Mi sento di allinearmi a questa definizione. Mi sembra calzante, l’essere allineati, ma non troppo; esserne partecipi, ma vedere le cose anche da una certa distanza. Non essere alla moda, ma conoscere la moda.

Come nasce Milovan? 

Non ho memoria di quali siano state le precise passioni e le visioni che mi abbiano portato al mio attuale percorso. Tuttavia mi sono appassionato all’arte attraverso la letteratura, vivevo in un piccolo ridente e amabile paese dove purtroppo l’arte contemporanea non era presente neppure nella sua provincia piacentina. Non avevo un museo o un centro vicino, non mi sono avvicinato e appassionato solo attraverso le immagini, ma più grazie alle persone che la raccontavano. Mi è nata la passione per la scrittura; scrivere mi costa fatica quindi talvolta ho preferito dedicarmi maggiormente alla curatela che permette voli pindarici a me più congeniali dove posso far dialogare oggetti o opere e metterli in relazione o in giustapposizione. Nella scrittura deve esserci un filo logico, ma può esserci anche una narrativa spineless, senza spina dorsale; mi intriga anche quest’ultima possibilità che utilizzo spesso. Quando studiavo, scrivere era più una questione accademica e quindi mi sembrava che dovessi avere le nozioni chiare in testa. Talvolta, tornando alla citazione di Agamben, preferisco che le tenebre o il tenebrore, il momento in cui la luce svanisce e le tenebre insorgono, rimanga come caratteristica qualificante del mio processo mentale; questo è più legittimo nella curatela che non nella critica. Quindi preferisco definirmi un curatore che ama molto scrivere.

 

Lezioni ditaliano 7 Taman Shud di Alex Cecchetti Fiorucci Art Trust 2015 photo John Lowe

Lezioni d'Italiano #7, Taman Shud di Alex Cecchetti, curato da Stella Bottai, Fiorucci Art Trust, 2015, photo John Lowe.

 

Nella vita ci sono episodi fortuiti, fortunati oppure il caso non esiste?

Per rispondere a questa domanda prenderei una citazione del poeta Mallarmé il quale diceva che le circostanze vanno guidate. Non credo esista un caso. Una persona può guidare le circostanze, cercare di manipolare il proprio destino, avere delle rivelazioni che la guidino nel procedere in modo accentuato e poi in modo rallentato, magari a singulti, in modo frugale e dispersivo. I procedimenti sono vari e credo che le coincidenze vadano guidate, non è solo un discorso di destino. Il percorso che ho fatto, l’ho fatto perché volevo e ho unito la dedizione a una vocazione. Bisogna saper leggere i segni che arrivano, sia che tu sia in una condizione favorevole o sfavorevole, imparando dai propri errori.

La rivista si chiama Quid perché vuole indagare la scintilla che rende unica la vita o un evento, un’opera. Tu dove lo intravedi il Quid?

Il mio Quid sono gli alti e i bassi, sono le accelerazioni e le depressioni. Recentemente sono stato a San Paolo: dopo essere sfuggito da una serata terribile, camminando verso il litorale, ho incontrato un profugo siriano che mi ha letto i fondi del caffè. È stata un’esperienza cromaticamente interessante, compreso il suo rituale. Mi ha rivelato di stare attento, perché questi alti e bassi sono molto forti, ma risposi che non ne saprei fare a meno. Come il lampione capovolto di Liliana Moro, presente nel Padiglione Italia che ho curato, ti permette di vedere le cose al contrario, in modo alterato, ho bisogno nella mia vita di queste fasi accelerate e le successive cadute libere. Ho bisogno di vedere le cose da fronti, litorali, prospettive diverse. Il mio Quid è l’incapacità di essere bilanciato ed essere esposto a ogni mio precipitato.

 

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Né altra Né questa: La sfida al LabirintoPadiglione Italia alla Biennale Arte 2019, photo Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti, courtesy DGAAP-MiBAC.

 

Quando un artista ha un Quid?

Ci sono molti artisti intelligenti che sanno offrire riflessioni profonde e interessanti. Quelli che hanno talento e che riescono ad anticipare le cose. Poi ci sono quelli geniali. Il quid è diversificato rispetto a tanti e sicuramente chi ha il quid non ha solo talento, o solo intelligenza, ma anche qualcosa d’altro.

Cos’è la bellezza?

Citerò Alessandro Michele che dice che ci deve essere sempre qualcosa di imperfetto.

Come mai nell’arte c’è molta improvvisazione, è un unicum rispetto agli altri campi?

Non credo che nell’arte ci sia l’improvvisazione. Io credo che nell’arte, nella danza, nella scrittura e in tutte le discipline creative ci sia l’idea di avere una mente o un corpo eccitati che possano produrre anche sull’orlo del precipizio. Elementi che possano stimolarsi grazie a una sorta di autosabotaggio creativo. Facciamo un esempio: se io devo pensare a un testo che devo scrivere, faccio delle letture, prendo delle note, ricerco delle informazioni, ma mi cimento a comporlo solo pochi giorni prima della scadenza. Non è per irresponsabilità, ma perché voglio che quegli ultimi giorni siano speciali. Voglio dedicarmici totalmente e sentire l’eccitazione, la pressione del tempo, percepire il desiderio di rappresentarmi nel modo migliore senza diluirlo. Non credo sia improvvisazione, credo si tratti della possibilità di porsi su un precipizio quasi per poter scivolare, ma trattenere il tutto e scriverlo nel modo migliore. Tuttavia c’è anche chi rispetta il proprio rendez-vous quotidiano con esercizi producendo in modo ossessivo. Ci sono varie tipologie di approcci. L’improvvisazione di cui ho parlato è una qualità di alcune persone, un modus operandi di alcuni piuttosto che di altri. È comunque un modo qualificante.

Nel mondo dell’arte ci tacciano di essere esibizionisti, come mai una persona che apre la propria mente, che fa un salto mentale “di qualità”, adora rasentare e forse oltrepassare limiti sociali? Perché ci affascina il limite?

Il limite ha molto a che fare con il sublime, che significa stare sopra la porta, o al limite stesso. La frase sublimis oculis significava guardare di sbieco, è quindi una tensione verso l’alto pur mantenendo il punto di partenza sempre visibile. È come se andassi verso l’alto ma guardassi ancora verso il basso; è una tensione tra la relatività e l’elatività. Se non c’è una volontà di superare il limite che sia la porta, il porto con tutta la simbologia che accompagna queste parole, credo che ci sia una sorta di stasi o quiescenza. La tensione è verso l’alto oppure l’opposto, come sosteneva Harold Bloom.

Come scegli gli artisti per i tuoi progetti?

Di solito faccio delle sedute spiritiche! (scherza ndr). Le modalità nell’organizzare una mostra sono variegate e forse dovrebbero rimanere segrete come le ricette. Ognuno ha il suo quid. Ad esempio l’idea del progetto espositivo di Adam Szymczyk a Documenta nacque anche dalla riflessione su un’opera specifica di Andreas Angelidakis che gli consentì di riflettere su Atene e sulla Grecia come luogo e contesto dove si stava compiedo un altro tipo di battaglia. Fondamentali sono le opere che ci ispirano in principio, a cui non si puo fare a meno, ma altrettano fondamentali sono i camei. Nel corso della gestazione mentale e allestitiva tutto si equilibra in modo diverso, in modo inaspettato. Ognuno di noi ha una memoria inconscia che sa di ritrovarsi nelle stesse situazioni ed è cosciente della soluzione più appropriata. Quindi preferisco non rivelare le mie ricette e mantenere la riservatezza sui miei ingredienti personali.

L’arte italiana è ancora competitiva sullo scacchiere internazionale?

Credo di sì. Nella lettera con cui sono stato invitato a presentare la proposta per curare il Padiglione Italia della passata Biennale di Venezia c’era scritto che dovevamo rappresentare l’arte italiana, creare un collegamento tra passato e presente, ma non vi era indicato che gli artisti dovessero avere il passaporto italiano o dovessero essere nati in Italia. Credo che oggi ci sia un tentativo di superare i nazionalismi. Avrei potuto scegliere James Coleman, un artista irlandese che negli anni ‘70 è stato un esule per motivi politici ed è andato a vivere in Italia. In questo periodo qualificante per la sua produzione è stato protagonista di molte mostre e documentari, ha sviluppato la sua arte ricca di tutte le connessioni politiche che lo riguardavano più da vicino, un’arte impregnata dalla cultura dei fotoromanzi di quel periodo storico, di quella Milano. Se avessi voluto scegliere lui per rappresentare un mio progetto l’avrei potuto fare. Poi onestamente Milano e gli anni ’70 non mi interessavano quindi la mia proposta è stata quella di scegliere artisti nati in Italia; Enrico David è bilingue, residente a Londra, formatosi a Londra, ma mantiene in Italia le sue radici. Eluderei la tua domanda dicendo che in Italia ci sono molti artisti interessanti, ma io credo di vivere in Europa e credo che i nazionalismi non debbano scemare, ma lentamente sfumare. A Londra per il Fiorucci Art Trust ho seguito un progetto che si chiama Lezioni d'Italiano che ho interrotto per qualche anno, ma che in primavera avrà una nuova iniziazione con SAGG Napoli a cui chiederò di offrirsi in una lecture performance che, dati i tempi, avverrà attraverso mezzi digitali. Fin dall’inizio il concetto di Lezioni d'Italiano é stato lavorare su un aspetto, un sapore, uno stereotipo - come ha fatto Anna Franceschini - della cultura Italiana, un quadro - come ha fatto Ian Kiaer - su Il Baciamano di Pietro Longhi. Affronto l’italianità che mi è cara attraverso vari spunti e da varie prospettive.

 

SAGG NAPOLI ONLY MONUMENT I WANNA FEEL 2019 courtesy of the artist

SAGG NAPOLI, Only monument I wanna feel2019, courtesy of the artist.

 

C’è un artista che ti è rimasto nel cuore?

Ti posso dire il nome dell’artista che avrei voluto essere: Katharina Fritsch. Non potrei far a meno del confronto continuativo con Nick Mauss, Paulina Olowska, Liliana Moro, Camille Henrot, Goshka Macuga, Prem Sahib… E molti altri. Mi manca Chiara Fumai. L’opera e la memoria di Pino Pascali mi hanno sempre ispirato.

Il tuo rapporto con la società. In mezzo a tutta questa apparenza e politeness. Come reagisci?

Farei una distinzione tra le due cose: non ho nulla contro l’apparenza, contro la superficie. Mi piacciono i lavori dove la superficie è preponderante, ma non per questo superficiale. Ho trovato grande ispirazione per il mio labirinto dai pattern delle moschee egiziane dove venivano geometrizzate le parole del nome del profeta attraverso dei giochi labirintici. Se parliamo dell’apparire, io in questo modo mi sono emancipato. Ho anche raccontato me stesso, motivo per cui vedo il ruolo della moda come emancipazione. L’apparenza ha tutta la dignità di essere oggetto di investigazione. Invece la politeness di cui accennavi è abbastanza preponderante in Inghilterra, dove vivo, ma credo che anche questo atteggiamento abbia ragione di esistere. Bisogna avere coscienza delle proprie citazioni, sapere che la naïvité può diventare una colpa. Prendere posizioni in maniera cosciente è legittimo, ma la coscienza in questione non deve essere semi-addormentata o semi-sveglia.

 

Lezioni dItaliano 4 Parallel Anatomy di Sissi Fiorucci Art Trust 2014 photo John Lowe

Lezioni d'italiano #4, Parallel Anatomy di Sissi, Fiorucci Art Trust, 2014, photo John Lowe.

Progetti?

Ci sono vari progetti, la prima retrospettiva di Chiara Fumai che inaugurerà al Centre d’Art Contemporain di Ginevra diretto da Andrea Bellini, poi andrà al Centro per l’Arte Contenporanea Luigi Pecci di Prato diretto da Cristiana Perrella, a La Casa Encendida a Madrid. Sto lavorando a questo progetto con Francesco Urbano Ragazzi, sarà una curatela a più mani. Con Fiorucci Art Trust ci siamo appena trasferiti in un nuovo spazio a Londra che potrà accogliere degli interventi nuovi tra cui quello delle Lezioni d'Italiano. Lavoro alla decima edizione di Volcano Extragavanza, che si terrà nell’estate del 2021. Il progetto si strutturerà come una metaforica caccia al tesoro che avrà luogo sull'isola nativa di Stromboli per poi terminare a Roma. Sempre per il Fiorucci Art Trust stiamo pianificanto una lettura trasfersale che permetterà una lettura trasversale degli ultimi dieci anni di sperimentazioni.