Senza Judo e senza Zen non sarei mai diventato artista

      Autoritratto vasco

"Il bianco e il nero istintivamente li preferisco al colore...dal bianco puro al nero intensissimo, sono la mia “tavolozza”. Intervista al Maestro Vasco Ascolini in occasione della mostra “Autunno Blu” di Genova.

By Camilla Delpero   

 

Cos’è per lei l’arte contemporanea?

Per me l’Arte contemporanea è tutto ciò che viene creato dagli artisti nel momento del loro passaggio in questo territorio di creatività. Viene determinata dalla condivisione di gruppi di artisti geniali che hanno idee e ideali condivisibili tra di loro. Poi naturalmente esiste la grande massa di altri creativi minori che ne seguono le tracce. Faccio un esempio scrivendo del geniale artista Yves Klein, francese, nei primi anni del secolo scorso (aprile 1922 – giugno 1962). La sua comparsa indicò nuove strade da percorrere: fu il precursore della Body Art che ancora oggi è frequentata da personalità artistiche come la grande Gina Pane. In ogni suo periodo Klein fu dirompente. Nouveau Réalisme, Arte Concettuale, arrivando così ad una nuova Arte contemporanea. “Sposò” la Filosofia Zen, appresa negli anni 1954/55 nel Tempio dell’Arte marziale Kodokan a Tokio in Giappone. Seguiva i dettami Zen dello Shintoismo e del Buddismo. Lui scrive che a farlo artista fu questo periodo filosofico. La sua arte contemporanea, e quella dei suoi sodali come Arman, Spoerri etc., fece scuola. La Fotografia ne fa parte.

Cos’è la bellezza?

La bellezza è quella emozione che ognuno di noi prova davanti a qualcosa o qualcuno che lo illumina di una Luce unica, mai vista prima.

 

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Museo Rodin (Parigi), 1995

 

Come nasce il Maestro Vasco Ascolini?

Nasce male, dal momento che era in arrivo la Guerra mondiale. Era il 1937. Fin da piccolo ero preda a malattie poi moltiplicatesi nella carestia della guerra. Persi tre anni di scuola elementare, due dei quali sfollato in campagna dai cugini a Carpi, Modena. A pochi metri dalla casa c'era il campo di concentramento e smistamento di Fossoli per i campi di sterminio in Polonia per gli Ebrei. Ho visto quello che non avrei dovuto da una finestrella che guardava dentro a quel luogo di morte. Ricordo che mi segue sempre. Quindi feci le elementari e le medie con tre anni in più dei miei compagni. Alle scuole medie - giocando a calcio dove ero molto bravo – mi fermò una pleurite e se ne andò un anno e mezzo dopo; fui mandato dal Sanatorio di Reggio Emilia, a quello di Castelnovo Monti. Alle magistrali ero scoraggiato, ero più vecchio di tutti di tre anni...fui bocciato, non ho mai capito la matematica e la geometria... Poi c'è stato il servizio militare dove ho fatto il sottufficiale istruttore alle nuove reclute. Lì decisi che dovevo darmi un'istruzione e cominciai a leggere, sistematicamente, come se fossi ancora a scuola. Anzi di più.

 

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 Museo Rodin (Parigi) 1995

 

Secondo lei è andato perso qualcosa a causa della frenesia di oggi? Una volta gli artisti si incontravano, si confrontavano in luoghi di cultura, oggi grazie o a causa dei media può esserci maggior individualismo e minor confronto?

Assolutamente sì. Si è persa la capacità di fare gruppo, I Vociani a Firenze al Caffè delle Giubbe Rosse, al Caffè Rosati di Roma, al Caffè de la Rotonde e a le Dõme a Parigi, dove i surrealisti si misuravano tra loro, facevano risse, ma poi bevevano insieme e parlavano d’Arte. Oggi i gruppi che esistono sono solo di amatori in tutte le discipline. Chi emerge si tiene vicino qualche allievo, uno o due; io ora ne ho uno, una ragazza di 50 anni, Anna Maria Ferraboschi. Il primo, Cesare Di Liborio, è diventato più bravo di me.

 

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 Museo Rodin (Parigi), 1995

 

La fotografia di teatro ce ne può parlare brevemente?

Fu il mio passaggio al professionismo. Tornato al Comune, al teatro reggiano avevano bisogno di un fotografo che non solo fotografasse gli spettacoli, ma anche lo spirito stesso dei momenti di cultura, come ad esempio, l’arrivo delle scenografie alla porta carraia, il modo con il quale gli oggetti venivano lasciati in un disordine che Andrè Breton e i surrealisti avrebbero amato. Ho chiamato questo mio lavoro “La finzione iniziata”.

Come mai ha scelto come forma espressiva il medium fotografico? Come mai il bianco e il nero?

Perché non riuscivo a dipingere e nemmeno a disegnare o scolpire e quindi pensai alla Fotografia creativa a tempo pieno. Accettai e fu per me il periodo più bello e importante della mia vita. Entrai, nei 20 anni di lavoro (1971/1991), in simbiosi con quell’Arte che stava nascendo vicino alle altre ormai conclamate. La Fotografia era già frequentata da mio fratello maggiore da lui mi feci prestare il suo apparecchio fotografico. Partii per il Po, sulla riva sinistra reggiana guardando alla fonte, applicai al mio fotografare una figura retorica “ pars pro toto”, che mi ha poi seguito per tutta la vita. Una parte per il tutto. Selezionai, fotograficamente, il letto del fiume in secca e ne ricavai delle astrazioni materiche. Vinsi subito un concorso. Il bianco e nero è perché, istintivamente, lo preferisco al colore...dal bianco puro al nero intensissimo, è la mia “tavolozza”.

 

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Museo Civico di Reggio Emilia, 1996

 

Quale incontro con personaggi di rilievo l’ha maggiormente toccata e quale incontro si porta maggiormente con sé?

L’incontro con Ernst H. Gombrich et Jascques Le Goff. Li ho visti andarsene nel mio intimo, prima Gombrich poi Le Goff. Prego ancora per loro, anche se so che non erano credenti di nessuna religione. Porto maggiormente con me l’incontro con Gombrich, perché l’ho frequentato maggiormente. Venne in Italia 4 volte e non mancava mai di telefonarmi affinchè ci incontrassimo. Ho ascoltato anche la sua ultima conferenza, su Pico della Mirandola, una lectio magistralis davanti ai massimi specialisti di quel personaggio. Tutti in piedi ad applaudirlo, una vera standing ovation.... Gombrich scrisse solo due testi fotografici, uno per Cartier Brésson e uno per Vasco Ascolini.

È affascinante il suo rapporto con il Giappone e con le arti marziali di cui è cintura nera, ha voglia di raccontarci qualcosa?

A Reggio Emilia, da un gruppetto di Judo amatori fai da te, prese vita una palestra vera e propria fondata da un tedesco che era di passaggio nella nostra città e che in Giappone aveva appreso questo tipo di Arte. Gli occidentali lo hanno fatto diventare uno sport, ma il Judo filosofico come quello di Yves Klein è Danza, è Teatro. Il Judo si regge sui i Kata dove si apprende il senso della levitazione, della capacità di vincere la forza di gravità, di farsi vuoto davanti a un attacco e creare il vuoto dietro al tuo nemico, il salto nel vuoto… da molto in alto, verso il terreno... malleabilità e cedevolezza. Io sono cintura nera II° dan, istruttore della Federazione Nazionale Italiana.

 

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Berlino (Germania), 1997

 

La rivista si chiama Quid Mgazine perché vuole indagare quella scintilla che rende unica una cosa, lei dove lo intravede il quid in un suo lavoro o nella vita?

Il “Quid” nella mia vita è stato tutto quanto mi ha contrastato, poca salute e poca possibilità di studiare. Questa situazione ha reso il mio Quid fonte di energia e di intolleranza verso chi voleva mettere tra me e il successo un “muro”. Pur in un altro campo della cultura mi sono comportato come la poetessa Emily Dickinson. Clausura sì, ma non sconfitta.

La luce, quindi il visibile, l’apparire e l’apparenza. Che connotazione hanno nella sua vita. L’apparire e l’apparenza sono elementi positivi o negativi. Oggi viviamo in un mondo sempre più rivolto all’apparenza, alla ricerca della luce come luce della ribalta lei cosa ne pensa al riguardo?

Per me l’Apparire è positivo, a differenza dell’apparenza che è negativa e oggi, in effetti, tutti cercano l’Apparenza e l’Effimero. Io no certamente. 

 

Pina Bausch

Pina Bausch

 

Attualmente sta esponendo nella mostra "Autunno Blu" a Villa Croce a Genova. C’è un accostamento tra lei e i blu di Klein. Come nasce questo progetto espositivo?

Il progetto “Autunno Blu” di Genova relativo a tutto quanto ho scritto nella mia prima risposta a proposito di Klein, era di là da venire. Nel 2015, ad Arles ai RIP estivi della Fotografia presentai la serie completa di 7 gigantografie che sono per me (e per Klein) l’essenza dello Zen e del Judo. Fu un grande successo e furono comprate dal Musée Reattu, dove esiste la più grande fototeca di un Museo d’arte antica e contemporanea, circa seimila fotografie, tra le quali le mie, circa un centinaio. Questa sequenza fu vista dalla grande gallerista e amica, Caterina Gualco, membro della Commissione Museo Villa Croce che segnalò il mio lavoro. La Direzione del Museo mi domandò il prestito e io acconsentii. Ciò che amo di più in Arte, è il binomio Judo/Zen più Klein. Nei miei venti anni al Teatro Romolo Valli passò tutto il meglio di quello che appartiene al Teatro. Ora sapevo ogni cosa della Fotografia e mi decisi ad espatriare in Francia. Ho donato per l’Archivio del Teatro Valli circa 5000 negativi, io ne ho ancora circa 20.000 nel mio. Nel volume, in francese del Filoso Klaus Ottmann “YVES KLEIN le philosophe” si può leggere quanto disse lui stesso… senza Judo e senza Zen non sarei mai diventato artista. Fellini direbbe la “realizzazione di un Sogno”.

 

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Pina Bausch