"LO SPECCHIO E ATTRAVERSO LO SPECCHIO" Gian Maria Tosatti al Padiglione Italia della 59° Biennale di Venezia

 
      
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Gian Maria Tosatti, artista Padiglione Italia alla Biennale Arte 2022. Foto di Elena Andreato.

 

L’esperienza nel mio lavoro non si ferma ad una percezione intellettuale, diventa fisica. Da una parte il mio lavoro è lo specchio, e dall’altra è lo sforzo che ho fatto in questi anni per provare anche ad attraversarlo fisicamente."

By Camilla Delpero   

 

Come nasce Gian Maria Tosatti?

Come nasca non so, fa parte di una trasformazione che non ho ancora messo in conto. È una domanda complessa, prima di arrivare alle arti visive ho avuto un percorso molto tortuoso e ricco di altre cose. Mi sono laureato in Lettere, mi sono diplomato in Regia di teatro, ho fatto il critico teatrale e di danza per dieci anni. Nel mondo delle arti visive ci sono arrivato per caso in un momento molto critico della mia vita. Stavo lavorando su alcune meccaniche profonde relative al performativo e sono entrato in una crisi talmente profonda da decidere di chiudere quella pagina della mia vita. Non feci una performance come avrei dovuto, provai a realizzare un progetto con cui non mi sentivo così in conflitto; feci la mia prima installazione ambientale. Sarebbe dovuta rimanere visibile due giorni e invece rimase aperta per un anno e mezzo grazie all’affluenza del pubblico molto eterogeneo, non solo appartenente alle arti visive e neanche del tutto romano. Questo momento è avvenuto agli albori della mia carriera, quindi qualcuno ricorda questa esposizione altri no. Quella è stata la leva che mi ha permesso di non lasciare il mondo dell’arte, ma semplicemente il settore che proveniva dal teatro, anche se ne abitavo una parte particolare, trovai la mia casa nel mondo delle arti visive.

Secondo te ti ha dato una marcia in più e maggior espressività avere questa ricchezza oppure no?

Ognuno è figlio della propria storia, ognuno ha dei debiti con le esperienze che ha vissuto, con i maestri che avuto e gli incontri che ha fatto. Detesto e ritengo di una volgarità e stupidità incomparabile chi si crede autore della propria fortuna. Ci sono persone che hanno avuto un ruolo importante, che ti hanno semplicemente aiutato a mantenere la concentrazione in un dato periodo. Sto parlando anche dell’aiuto di un assistente, di un collaboratore non primario. Tutte queste persone danno dei contributi determinanti, chi in maniera più leggera e chi in modo più preponderante, ma sono tutti autori della tua fortuna. Il mio percorso mi ha fortemente favorito, ti rispondo con una metafora: è come dire che quando suono io, suona un’orchestra. Possiamo amare i concerti per un solo strumento, ma certamente la complessità della mia formazione è una ricchezza. Oggi il mio lavoro suona come un’orchestra. Le esperienze tratte dal mondo della performance e del teatro non sono legate al passato, ma hanno anche componenti attive nel mio lavoro presente, non solo nella direzione pratica, ma anche nella direzione teorica. Il rapporto che ha il visitatore con i miei lavori è fortemente debitore della ricerca del più grande teorico del teatro del secolo scorso Jerzy Grotowski (un personaggio equiparabile a Picasso del mondo dell’arte). Nella seconda parte della ricerca di Grotowski la presenza del partecipante si sovrappone con quella dell’attore e del performer propriamente detto. Nel mio lavoro il performer è il visitatore. Questo percorso che ho compiuto ha costruito una forte dimensione teorica che emerge anche nel mio recente libro: “Esperienza e realtà”. Un saggio che fa il punto su una serie di questioni legate a una teoria dell’estetica generale e al tema dell’arte ambientale. Anche se nel libro non ne parlo, questa dimensione teorica è il fondamento che regge il mio lavoro rendendolo robusto e non di tendenza. Nella mia formazione questa ampiezza mi ha permesso di incontrare esperienze e nutrirmene in modo da portarle nella declinazione visiva e nella sua portata teorica.

La tua poetica? E se c’è una costante nel tuo lavoro.

È difficile dare una definizione di poetica. Ci sono due elementi, il primo è comporre l’arte come se fosse uno specchio. Bisogna avere la consapevolezza di costruire le opere con lo stesso criterio che permette al costruttore di specchi di ottenere il medesimo risultato. La funzione dello specchio è quella di sapersi riconoscere con maggior fedeltà possibile. Bisogna pensare all’arte in questo modo ed elaborarla con precisione e non con un’indulgenza verso le proprie pulsioni poetiche. Detesto quegli artisti o registi che inseriscono nelle loro opere il loro marchio o il loro segno. Quando nello “specchio”, metafora dell’opera, uno tenta di inserire un elemento estraneo, appartenente alla propria identità, ritengo che diventi inquietante, una grande perdita di tempo e di concentrazione. Il secondo elemento è la possibilità di farti entrare nello specchio. In realtà è questa la dimensione che fa la differenza rispetto alle altre esperienze artistiche. L’esperienza nel mio lavoro non si ferma ad una percezione intellettuale, diventa fisica. Quindi, da una parte il mio lavoro è lo specchio, e dall’altra è lo sforzo che ho fatto in questi anni per provare anche ad attraversarlo fisicamente. Mi sono concentrato sempre su dei nodi centrali della nostra cultura che non volevo solo “conoscere”, volevo esperirli sulla mia pelle come uno schiaffo o come un bacio. Tutto ciò mi ha portato a costruire le mie installazioni ambientali. Ciò che ti rende un artista è la disponibilità e la capacità di condividerlo con gli altri.

 

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Gian Maria Tosatti. Foto MaddalenaTartaro.

 

Cosa ci puoi dire della tua presenza alla 59esima Biennale di Venezia come unico artista a rappresentare l’Italia?

Ti posso dire che è un gran piacere e un grande onore rappresentare l’Italia da solo per la prima volta nella storia. Un po’ mi spaventa. Ma poi penso che, in fondo è il mio lavoro. Infatti, mentre sono all’Arsenale a montare non sento pressione. Ma comprendo che attorno alla Biennale c’è anche una “competizione” tra paesi ed artisti. Alcuni di loro, tra l’altro sono grandi maestri. C’è una parte di timore nell’avvicinarsi, ma anche molta soddisfazione.

 

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"Storia della Notte e Destino delle Comete" 2022 dettaglio. Foto di Gian Maria Tosatti.

 

Parteciperai con un lavoro che ti racconterà in toto oppure no?

No, assolutamente Gian Maria non deve mai essere presente in nessuna opera. Sto lavorando ad un’antologica che mi è stata chiesta all’Hangar Bicocca. Ci sarà una storia, ma per una precisa richiesta che non è necessariamente interessante per l’artista stesso, forse per il pubblico, ma è comunque giusto che sia ospitata in una sede museale. In Biennale invece ci sarà un lavoro che riflette su questo tempo storico.

Cosa ci puoi dire del tuo ruolo alla Quadriennale, è interessante un artista con la tua ricchezza alle spalle? Cosa mi puoi dire?

È facilissimo, sono un artista e se dirigo un’istituzione culturale sono nel posto in cui devo essere. Il sistema dell’arte è stato creato dagli artisti per molti secoli, quindi penso sia corretto. Questo è uno di quei momenti in cui si pensa che un artista sia una figura che usi il pennello per creare graziose decorazioni. No, un artista è esattamente come Leonardo Da Vinci, come il Bernini, come Pasolini: uomini di vasta cultura con conoscenze trasversali; persone che per poter fare una cosa ne devono saper fare dieci. Ripeto, tutto è connesso e l’artista deve dominare le connessioni, ecco perché un artista è credibile in questo ruolo. Se invece l’idea dell’artista è quella romantica di un personaggio, simile alla visione di Sorrentino, quella di un cretino che lancia i colori nell’aria, il problema è nell’ignoranza di cosa sia un artista o di chi legittima la presenza di sedicenti tali a cui non mi sento di appartenere.

Una soddisfazione e una grande sfida che dovrai affrontare alla Quadriennale.

Per me è molto importante restituire allo Stato un’istituzione al massimo delle sue possibilità. La Quadriennale in questi 90 anni ha realizzato molti eventi storici, la mostra è l’elemento centrale della sua attività. Credo che ci sia la possibilità di ampliare al massimo gli strumenti per renderla performante all’interno di un sistema molto bisognoso di istituzioni che funzionino. La grande sfida è contribuire affinché un’istituzione diventi capace di dare riposte alle necessità del nostro tempo. La Quadriennale è stata centrale nei momenti in cui si è svolta la mostra e alle volte collaterale nei periodi di mezzo. Il mondo dell’arte ha bisogno di istituzioni con programmi a cadenza regolare, sto cercando di lavorare affinché il mio programma riesca ad esprimere la stessa centralità tutti i giorni.

Cos’è la bellezza per te?

Ho visto una mostra dove non c’era un grammo di bellezza, molto pretenziosa, di quelle che ti dicono cos’è giusto e cosa non lo è, ricca di urgenza politica, ma con nessun grammo di bellezza. Per queste cose non sviluppo nessuna empatia. In queste mostre non c’è arte, ma solo informazione. La bellezza è l’enzima che porta il contenuto ad entrare in soluzione con il sangue, a far sì che un problema non sia più astratto. Quando un problema diventa nostro la soluzione è uno stato di necessità e la bellezza fa sì che agire verso una soluzione sia necessario.

Che cos’hai imparato in questo periodo di Covid? Ti sei portato dietro qualcosa di utile produttivo e così via.

In realtà la questione Covid ha avuto la conseguenza soltanto di consolidare un po’ di sfiducia nella nostra società. Questa esperienza avrebbe dovuto minare le fondamenta di un equilibrio già instabile su cui si regge la nostra società, ma mi pare che la nostra volontà di inconsapevolezza, la nostra ignoranza siano così forti che l’unica cosa che realmente desideriamo sia tornare alla traccia precedente che inevitabilmente, poi, ci porta quella successiva: stiamo tentando di ritornare a ciò che eravamo prima del Covid per tornare al Covid. Questo comporta un incanto da cui non riusciamo ad uscire. Questo periodo mi ha insegnato che l’uomo moderno in realtà agisce al di sotto delle sue possibilità e ha bisogno di traumi per cambiare. È stata la guerra che ha portato all’Italia un minimo senso di responsabilità, la voglia di darsi un ordine ed è durato il tempo di un’assemblea costituente.

 

Storia della Notte e Destino delle Comete 2022 dettaglio ph Gian Maria Tosatti 2

"Storia della Notte e Destino delle Comete" 2022 dettaglio. Foto di Gian Maria Tosatti.

 

La rivista si chiama Quid Magazine per ricercare il quid quella scintilla che rende unica una cosa, un’opera, un testo, un’opera teatrale. Dove intravedi il quid nella tua vita o nel tuo lavoro?

Il quid sta nell’obbedienza, a ognuno di noi vengono chieste delle cose dalla vita, dagli altri, dal destino. Il destino sta nella capacità di obbedire a ciò che ci viene chiesto. Dobbiamo mettere in secondo piano noi stessi e cercare di obbedire al disegno più grande. Per me questo è un insegnamento molto importante da recepire e rappresenta il passaggio di maturità che ognuno deve fare. La nostra società è infantile perché non conosce il dovere dell’obbedienza. Pensiamo che il desiderio sia un diritto, quando invece è l’obbedienza a dover essere un dovere. Obbedienza a un’armonia qualunque essa sia.