Rendere il Museo un posto vivo e da vivere
"Mi preme l’apertura del museo come luogo di inclusione e diversità". Intervista a Letizia Ragaglia, la nuova direttrice del Kunstmuseum del Liechtenstein.
By Camilla Delpero
Come nasce Letizia Ragaglia?
La mia passione per l’arte nasce grazie a uno zio collezionista, con mezzi modesti, ma appassionatissimo di arte e di musica che mi portava sempre al festival di Salisburgo. Comprava soprattutto opere su carta dal contenuto spesso ironico trasmettendomi l’amore per gli artisti e la loro visione del mondo. Da adolescente con la mia migliore amica non vedevamo l’ora di andare alla Biennale di Venezia da sole. Devo molto a mio padre, che non era affatto appassionato d’arte, ma ha sempre appoggiato la mia passione accompagnandomi a diverse mostre quando ero molto giovane: Paul Klee, Kandinskij, Mirò…; solo successivamente ho iniziato ad appassionarmi agli artisti viventi.
Ci può parlare della sua prima mostra inaugurata di recente al Kunstmuseum del Liechtenstein intitolata C alla quarta?
“C” sta per collezione, “alla quarta” si riferisce alla collezione del Kunstmuseum che può essere potenziata dagli artisti invitati. Credo molto nell’importanza delle collezioni, ma anche nel fatto che il museo sia un posto vivo e da vivere. Le opere che custodiamo hanno una storia e una vitalità da raccontare, nel momento in cui entrano in dialogo con opere di altri artisti accade un potenziamento. Ho invitato per questa mia prima mostra al Kunstmuseum quattro artisti (tre più una coppia di artisti). Nelle quattro sale del museo ci sono quattro solo show riuniti in un’unica mostra. Ho dato carta bianca ad ognuno di loro con un unico compito: integrare almeno un’opera della collezione nel loro progetto. “C” sta anche per comunità, perché gli artisti fanno squadra tra loro. Sono di una generazione relativamente giovane, inoltre c’è una buona presenza femminile, cosa a cui tenevo molto. Il museo nella sua dichiarazione di intenti afferma di mirare a un collezionismo europeo e americano, ma nel 2022 credo che si debba cercare anche un dialogo transculturale, per cui ho riunito artisti di diverse culture e origini. Ad esempio, Nazgol Ansarinia viene da Teheran, Mercedes Azpilicueta dall’Argentina, Diamond Stingily da Chicago, ma vive a New York e infine gli Invernomuto dall’Italia. Il fil rouge che lega questi quattro artisti è un forte senso narrativo risolto in modo peculiare: nel lavoro di Diamond e Nazgol la propria storia si intreccia con una più universale; gli Invernomuto si domandano chi racconta la storia e quale storia viene raccontata, lasciando volutamente un’ambiguità. Mercedes infine indaga figure femminili neglette dalla storia e le integra nella sua narrazione.
Gli artisti in mostra Nazgol Ansarinia, Mercedes Azpilicueta, Diamond Stingily e gli Invernomuto assieme alla direttrice del Kunstmuseum.
Cos'è l'arte contemporanea secondo lei?
Secondo me è un atteggiamento, un modo di approcciare il mondo e riuscire ad attraversare il quotidiano con altre visioni. L’arte porta alla tolleranza grazie all’apertura verso differenti linguaggi e punti di vista. Penso di aver incontrato centinaia artisti e ogni nuovo incontro era un grande arricchimento. Credo sia un vademecum per attraversare il nostro quotidiano con meno paraocchi e con più ricchezza.
Cos'è la bellezza per Letizia?
Non credo di avere una definizione di bellezza, rimango fedele alla definizione che ne davano gli antichi greci kalos kai agathos. Credo molto nella bontà d’animo, nei rapporti umani e che nel mondo dell’arte ci sia tanta energia positiva. Tutto ciò si traduce in una certa bellezza.
Parliamo del suo nuovo ruolo al Kunstmuseum Liechtenstein. Quali sono le nuove sfide che dovrà affrontare e cosa porterà di innovativo grazie al suo baglio personale?
Per me è sempre stato importante raggiungere non solo un pubblico di specialisti, ma far varcare la soglia del museo a persone che credono di non essere così affini all’arte contemporanea e far vedere loro che ognuno può trovare qualcosa in un’opera d’arte. Mi preme l’apertura del museo come luogo di inclusione e diversità, so che sono tematiche che al momento sembrano di moda, ma ci tengo molto. Parallelamente all’organizzazione delle mostre desidero portare avanti dei progetti pensati e sviluppati insieme al team del museo. Tra le novità abbiamo introdotto il mercoledì gratuito e abbiamo organizzato una serie di attività di cooperazione sul territorio. Sono progetti a lungo termine per il consolidamento di un museo non ancora molto permeabile con ciò che gli sta attorno. Vedo il mio compito nel favorire una maggior apertura pur mantenendo la qualità delle mostre: rendere i contenuti accessibili per pubblici diversificati.
Un artista con cui ha lavorato che le è rimasto nel cuore?
Ce ne sono molti, ho lavorato con molte figure femminili straordinarie. La filosofia di quando ero al Museion di Bolzano era “non siamo facilmente raggiungibili”, per cui quando qualche artista arrivava nel museo mi ci dedicavo totalmente. Posso dire che prevalentemente ho avuto un forte legame con molte figure femminili.
La bellezza di una mostra dal vivo porta con sé delle senzazioni che si uniscono alla bellezza del luogo fisico (profumi, suoni, rumori ecc.). La realtà aumentata secondo lei dona o donerà la stessa percezione di bellezza e di appagamento?
Credo che con la realtà aumentata si possano raggiungere persone che normalmente erano lontane. Ho imparato che se non riesco a vedere un evento posso cercarlo in streaming, questo è fantastico, detto ciò, sostengo sempre che non è importante capire l’arte, ma soprattutto avere un’esperienza fisica dell’arte. Questo è un credo che nessuno mi cambierà mai. Varcare la soglia di un museo, entrare e fare un’esperienza, anche se negativa, spaesante o straniante, ma uscirne cambiati è impagabile. Cito volentieri questo concetto: “cambia la percezione di un’opera d’arte se la guardo da seduto o se ho appena mangiato”, ovviamente la frase enfatizza il concetto che il mio stato fisico influisce sul mio rapporto con l’opera, ne abbiamo un esempio in post pandemia in cui c’è molta voglia di ritornare nei luoghi fisici.
La rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare il quid, quella scintilla che rende unica una cosa: un'opera d'arte, un ruolo, un'esposizione ecc. Letizia dove lo intravede il quid nel suo lavoro o in un opera d'arte?
Il quid lo percepisco negli incontri, quando si creano dei cortocircuiti tra artista e curatore, tra artista e opera o tra opere. Quando non so qualcosa ho internet che con la sua velocità mi sa dare tutte le risposte, ma non si crea nessuna scintilla; invece, negli incontri in un museo c’è sempre un di più, un’ambiguità, che non si risolve subito: questo è il quid.
Cosa é andato perduto nel mondo dell'arte?
La burocratizzazione ha tolto molta spontaneità. Ci vogliono moduli, richieste ecc. Le mostre si sono professionalizzate, perdendo forse una certa genuinità.
Rispetto al suo precedente ruolo al Museion cosa prevede sarà diverso e cosa invece consolidato?
Ho la fortuna di avere una chief curator mentre al Museion ricoprivo entrambi i ruoli che paradossalmente sono concorrenti. Il direttore ha certe visioni e il curatore ne ha altre; è chiaro che è il contesto a dettare la linea operativa. Al Kunstmuseum c’è però una similitudine con Museion: la collezione non era esposta in modo permanente e la si allestiva con mostre tematiche. Con questa strategia mi identifico molto, il Kunstmuseum è l’ambasciatore del Liechtenstein all’estero, c’è una forte visione dell’arte come ambasciatrice nel mondo. È un principato e, per quanto piccolo, ha visite diplomatiche che vengono portate al museo. C’è un forte senso di appartenenza, lo trovo molto bello. Inoltre, c’è la Hilti Art Foundation costruita vicino al museo nel 2015, una realtà privata in perfetta sinergia con noi. Avere una realtà privata incentrata sul modernismo rende facile la diversificazione. È un progetto che mi sta a cuore in quanto prima non c’era alcun dialogo tra queste due realtà. In autunno grazie a Candida Höfer metteremo in dialogo le due collezioni.. Ho conosciuto l’artista di persona e mi ha colpito molto. Ha realizzato appositamente per la nostra mostra una serie fotografica avente per protagonisti i luoghi al servizio dell’arte (tipica della sua poetica) come per esempio depositi, archivi, montacarichi, etc. Sono i “luoghi della cultura” meno visibili al pubblico, ma necessari all’arte.