Daniele Bongiovanni ci parla della sua pittura e dell'arte in genere, definendo il tutto come un mezzo espressivo che documenta la percezione degli uomini nei confronti delle cose.

  

By Redazione

La sua pittura è prettamente figurativa, ma affronta anche delle scomposizioni, molte sono le soluzioni informali, questo è visibile all'interno e all'estremità dello spazio pittorico da lei elaborato. Qual è la differenza secondo lei tra astrazione e figurazione?

Se parliamo di assoluta percezione, le differenze possono essere innumerevoli, se parliamo di approccio tecnico, inteso come difficoltà, secondo me la differenza non esiste, in quanto per fare l'astrazione c'è bisogno di una tecnica effettiva. Forse la pittura figurativa è più semplice da mostrare, fruire: il pubblico non esperto vede il volto simile alla realtà ed è fatta. Se parliamo di professionisti, chi ha una buona manualità riesce sempre a riprodurre qualcosa di realistico, ci vuole molta tecnica, ma ci riesce, infatti parlo di professionisti. Mentre ci sono artisti che per un motivo pratico ed emotivo, spesso non riescono ad astrarre la forma, è questo per chi vuole astrarre, anche parzialmente, è una lacuna. 

Dai suoi primi lavori fino agli ultimi con il ciclo ''Aesthetica'' si nota un'evoluzione nella sua arte, dove la sta portando la sua ricerca? 

Per quanto riguarda ''Aesthetica'', che è uno dei cicli più recenti, è un lavoro che si distacca completamente dal resto, ovviamente rimane il colore, la mia matrice, ma essendo un nuovo tema si deve distaccare per forza da quello che lo precede. Non è un'evoluzione, è altro; ho ragionato un pò come un regista, che fa un film, poi ne fa uno nuovo, non è che un film per forza deve manifestarsi come l'evoluzione di quello che lo precede, è una nuova storia. 

Ci spieghi come nasce una delle sue opere d'arte? 

Avendo fatto studi classici sin dall'inizio, fino a compiere gli studi all'Accademia di Belle Arti, ho una visione accademica delle cose. Creo secondo un rigore, spesso inizio da uno studio anatomico, lo elaboro con il disegno, con la matita, faccio il tracciato, i contorni, i volumi e poi dipingo con la pittura classica, cioè, dal nero si arriva al bianco o viceversa. Anche se spesso non utilizzo il nero, diciamo che dal pigmento scuro posso arrivare al pigmento più chiaro, vado o a dare volume o a togliere volume. La mia è una pittura classica, puoi vedere della materia contemporanea: paste, qualcosa di sperimentale, varie soluzioni e quant'altro, però la tecnica rimane quella a velatura. 

Qual è la sua visione della realtà? L'arte l'aiuta a fuggire da questo mondo, oppure l'aiuta a vederlo in un modo diverso rispetto agli altri? 

Storicamente l'arte è come una sorta di fotografia che documenta un qualcosa, non ha senso sviare necessariamente o completamente il fruitore dalla realtà. A volte succede che un artista racconti una realtà che non è facile da percepire al primo impatto, facciamo un esempio: Guttuso raccontava la quotidianità, avendo una visione più socialista della situazione, lui ne ritraeva i contenuti diretti, tuttavia uno può avere una visione legata alla realtà, ma guardare oltre, non per forza se io devo dipingere il reale devo raffigurare, illustrare un bar di notte o una piazza, io posso dipingere un pensiero, un'idea difficile da catturare, ma che esiste. Dipingo la realtà anche quando non è visibile al cento per cento. Dal mio punto di vista il contrario, a volte, è una scusa; quando qualcuno non è in grado di raccontare l'uomo, fugge con delle teorie assurde, quasi inesistenti. L'arte, secondo la mia idea, può essere surreale, irreale mai. 

 
 
 

 ''Natura continua'', 70x100 cm, tecniche miste su tela, 2016 

 

Ritornando ad ''Aesthetica'', la collezione nasce da alcuni suoi soggiorni nella città Svizzera di Lugano, come mai, che cosa l'ha ispirato? 

Io lavoro in Svizzera da qualche anno dove ho anche uno studio. Il primo esperimento su ''Aesthetica'' è nato a Palermo poi l'ho definito a Lugano, dove ho avuto una visione più sistematica, più ordinata. Questo ciclo non vuole indirizzare il fruitore a qualcosa, ne lo vuole allontanare, gli vuole dare un imput e basta, in questo contesto pittorico bisogna osservare un punto fermo per poi generarne altri. La Svizzera mi ha dato questa sensazione. Non è una sensazione diretta, come ad esempio io racconto Lugano, io racconto semplicemente un'impressione. 

Quali sono dopo questa collezione ''Aesthetica'' i suoi progetti futuri?

''Aesthetica'' come dicevo prima è un progetto solitario, la cosa interessante è che dopo questo ciclo sono arrivato a realizzare delle collezioni collaterali sempre incentrate su questo tema. Lei rimane ferma, ma mi porta a creare altre cose che si legano ad essa, che non si distaccano mai e non sono simili, semplicemente si legano. 

 

 ''Morphology'', 57x50 cm, tecniche miste su tela, 2015

 

Ci può parlare del suo modo di dipingere, con questa presenza molto fitta del bianco?

Il tutto arriva da una teoria consolidata, complessa, però ricordo che una volta ho fatto dei dipinti per una mia personale, dei dipinti che ho odiato, volendo sfruttare nuovamente le tele, le ho trattate, le ho pulite e poi ho passato nuovamente il bianco, solo per annullare la pittura precedente. Da lì ho trovato una soluzione nuova per rendere qualcosa estremamente visibile e allo stesso tempo invisibile, perché nascosta, velata. Da quel momento il quadro è diventato un solido, è diventato materia pura, pulita, perché c'era il bianco sopra. Così mi sono detto: devo sfruttare questa mia scoperta personale e metterla nei quadri che faccio solitamente. Da lì ho concretizzato i miei studi sulla pura forma. 

 

Particolare dell'opera "Astell (promise)", 126x91, olio e tecniche miste su tavola, 2016

 

Sono molti i progetti internazionali che negli anni l'hanno coinvolta, è molto l'interesse da parte delle istituzioni internazionali nei confronti dell'arte italiana?

Ovviamente l'attenzione da parte delle istituzioni internazionali nei confronti dell'arte italiana c'è, è normale. Quando qualcosa comunica e diventa di valore, fortunatamente lo diventa per tutti. Poi c'è un sistema che va riconosciuto e gestito bene. Questo tipo di riconoscimento arriva dopo molto lavoro, quando si è in grado di generare un linguaggio artistico che ha il fattore giusto per andare oltre. Anche ultimamente ho lavorato molto fuori dall'Italia, pur rimanendo solido e attento a molti progetti che mi hanno impegnato tra Milano, Torino, Venezia, Roma, ecc. 

La rivista si chiama Quid Magazine in quanto vuole indagare sul quid del processo artistico. In questo contesto, per Daniele Bongiovanni che cos'è il Quid? 

Io credo che il quid sia la forza condivisibile che caratterizza la verità dell'opera d'arte. Mi spiego meglio, ci sono opere che una volta osservate, iniziano bene il loro percorso per poi finirlo male, rimanendo anonime; hanno un perchè prettamente superficiale, non hanno un perchè psicologico, profondo. Se parliamo di pittura, ci sono lavori che pur mostrando perfezione formale peccano di identità, di aura, sono morti, figure e niente più, tele che rilasciano immagini sterili e non visioni, visioni che si prolungano, che si dilatano nel tempo, estremità, estroflessioni che toccano punti inarrivabili, apice che una semplice figurazione senza forza non può toccare minimamente. Spesso dico che per me il quadro deve fare un qualcosa di più per chi lo osserva, una sorta di sbilanciamento immaginato verso il fruitore, questo per me è il quid, l'unione tra lo sguardo di chi osserva e la realtà statica di quel qualcosa che esiste sulle texture del supporto. Qualsiasi corpo dipinto, che sia un volto, un oggetto, ecc. come un paesaggio, una situazione metropolitana, deve avere un luogo dove l'io concreto deve avere la possibilità di addentrarsi lentamente. 

Palermo, Torino, Lugano. Tre studi all'attivo, forse tre cieli diversi, quale di queste città ha influenzato la sua recente produzione? Può una città influenzare l'operato pittorico?

Non riesco sempre ad affiancare il mio lavoro al luogo dove viene progettato, ideato, ecc., in quanto il mio lavoro nasce da esperienze più profonde. Avere a disposizione più spazi mi aiuta a gestire meglio i miei progetti in giro per l'Italia e oltre, sicuramente ogni città ha una sua narrativa, un suo specchio, dove mi catturo e dove leggo lo stato del quotidiano, quelle cose che una volta lette, m'ispirano in modo anche indiretto, ma come ho già detto prima, la resa di un progetto è dovuta a troppi fattori, a volte difficili da comunicare nell'immediato. Alcuni miei lavori hanno molteplici strati d'identità: la percezione, la didattica, il presente e il passato delle cose che viviamo. Sul fattore dei cieli diversi, è tutto relativo, alcuni miei cicli, penso anche a ''Nimble'', sono stati aperti in una città e definiti in un'altra, i dipinti nonostante tutto hanno ugualmente mantenuto una poetica omogenea, in quanto dettata da una sorta di indagine sulle cose molto più alta.