L’arte è una palestra percettiva attraverso cui si fa l’esercizio di capire ciò che non capiamo, è lo spazio con cui impariamo a convivere con l’ignoto

 

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Incontro con Massimiliano Gioni, curatore della Fondazione Trussardi in occasione dell'installazione "A Friend" di Ibrahim Mahama.

By Camilla Delpero

 

Cos’è l’arte contemporanea?

Rubo una frase da Umberto Eco, che forse a sua volta l’aveva presa in prestito, i grandi pensatori hanno pensieri comuni in quanto lo dice anche Gombrich. "L’arte è una palestra percettiva attraverso cui si fa l’esercizio di capire ciò che non capiamo". L’arte è lo spazio con cui impariamo a convivere con l’ignoto. Questo è l’aspetto importante, in occasione di una mostra che parla del sé e dell’altro, dell'amico e del nemico, tra ciò che è dentro e ciò che è fuori. L’arte è la disciplina attraverso cui comprendiamo ciò che non conosciamo ed è un esercizio salutare che dovremmo fare sempre spesso.

Riassumere in una parola o frase l'installazione "A Friend" di Ibrahim Mahama ai Caselli Daziari di Porta Venezia?

Riprenderei la parola di Ibrahim, "amico", “Friend” parola che in un certo senso gioca e sovverte il ruolo di confine da cui ci si separa dal nemico. Il confine, il limite, la porta, le mura sono luoghi dove si definisce il sé in contrapposizione all’altro, il nemico dall'amico. Chiamando questi luoghi “amico” ci suggerisce una nuova lettura, un’idea più porosa dei confini, segnalandoci che l’amico può essere anche fuori dai confini e non solo al suo interno.

 

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Dettaglio dell'Installazione di Ibrahim Mahama, A Friend, Caselli Daziari Porta Venezia, Milano.

 

Qual è la vostra strategia al fine di ottenere sempre progetti di alto livello culturale?

Da una parte è l’importanza di un team. I risultati, oltre al progetto in sé, si ottengono grazie ai collaboratori preparati che lavorano con te. Dall’altro la competenza, un aspetto che si è consolidato. Sappiamo a chi affidarci per realizzare progetti “assurdi” come questo ai Caselli senza scalfire la scultura sottostante, lasciando che la storia della città e i suoi monumenti ci suggeriscano la prossima mossa. I monumenti e i luoghi simbolici arrivano con una loro ricchezza intrinseca che viene utilizzata per arricchire le installazioni dall’impatto sempre differente. Una cosa che molti artisti apprezzano è il fatto che la Fondazione Trussardi, pur non avendo una sede espositiva fissa, permetta di vedere l’intervento artistico sempre nuovo e diverso in quanto è la città che diventa contenitore. Questo aspetto è ineguagliabile. Peter Fisher diceva ironicamente “sai che nessun artista potrà esporre nel medesimo luogo, è una bella sensazione”.

A proposito delle Fondazioni, Alessia Zorloni nel suo libro Musei privati parla del vantaggio di questi ultimi rispetto ai musei pubblici, per budget, regolamenti ecc. Tu cosa ne pensi?

Non c’è risposta definitiva. Credo che a Milano sia stato un bene fondamentale che ha supplito una mancanza esistente per molti anni ed è stato virtuoso. Oramai non se ne parla più ma da ragazzino si parlava di un Museo di arte contemporanea a Milano, ma oggi si è perso il bisogno di discuterne in quanto sono nate molte Fondazioni. Queste ultime hanno possibilità e libertà diverse. Tuttavia, a me non piace quando il privato si finge pubblico. È importante che non si mescolino i ruoli. Noi svolgiamo un ruolo pubblico in uno spazio pubblico senza fingere ciò che non siamo. Se ognuno mantiene la specificità dei propri ruoli è un modello virtuoso. Le cose diventano complicate quando il privato prevarica il pubblico. Non riesce a fare nulla in quanto immobilizzato da strategie politiche e così via.

 

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Il tuo rapporto con gli artisti che proponete. Un rapporto di promozione e supporto a 360 gradi oppure c’è una collaborazione one-off?

Dipende. Ci sono artisti con cui ho lavorato in varie città e occasioni, altri che hanno lavorato solo qui. Quello che rende speciale il ruolo della Fondazione è che ci sono questi luoghi che in un certo senso "suggeriscono" gli artisti, se l’opera funziona il legame tra artista e luogo è così stretto che sembra quasi necessario. L’installazione ai Caselli ne è l’esempio lampante. Ciò significa che in altri luoghi o occasioni lo stesso lavoro dell'artista non funzionerebbe così bene, quindi credo sia importante scegliere artisti importanti che meritano le risorse e la possibilità di questa presentazione e dall’altra il fattore determinante è la combinazione tra luogo e artista.

 

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Massimiliano Gioni, courtesy of the New Museum, photograph by Scott Rudd.

 

Cos’è la bellezza?

Non mi riguarda. La bellezza nell’arte, come il gusto, li trovo concetti più restrittivi che altro. Credo siano spesso più trappole e ostacoli che risorse.

La rivista si chiama Quid magazine. Dove la intravede Massimiliano Gioni la scintilla che rende unica un’opera d’arte?

Il quid lo intravedo nella capacità di offrire prospettive che non conosci.