La luce rende dinamiche le sculture, proiettandone la forma all’infinito

 

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Foto di  Giacomo Braglia e Giorgia Panzera 

"Le mie sculture non sono mai statiche ma richiedono una continua interazione con l'ambiente ed il fruitore". Intervista all'artista Helidon Xhixha in occasione dell'esposizione "Lugano: riflessi di luce".

 By Camilla Delpero

 

Lugano ti ha già ospitato, quest’anno nuovamente grazie alla Fondazione Braglia. Come trovi Lugano e il suo contesto? Come dialoga con le tue opere?

Lugano è una città che mi ha sempre affascinato, è dinamica e culturalmente molto vivace. In questi anni l'ho frequentata molto, seguendo con attenzione la proposta culturale della città, divenuta un punto di riferimento per l'arte internazionale grazie alle istituzioni come Fondazione Braglia, che negli anni hanno arricchito le loro collezioni di opere di grandi artisti. Ho accolto il loro invito con grande entusiasmo: potermi confrontare con la cultura e la storia di questa città è per me un onore ma anche una grande sfida. 

Parlaci dell’esposizione a cielo aperto a Lugano.

La mostra "Lugano: riflessi di luce", visibile fino al 22 settembre, si presenta come un percorso di sculture a cielo aperto, dove venti opere monumentali dialogano con lo spazio urbano e il paesaggio circostante. Lugano è permeata da un’atmosfera unica che si avvicina molto alla mia ricerca scultorea: la città che si specchia nel lago, protetto dalle sue montagne scultoree, genera continui riflessi di luce che danzano sull’acqua senza sosta come musica per gli occhi, un’immagine dinamica, molto vicina al risultato estetico delle mie sculture.

Hai creato opere apposta per dialogare con Lugano?

La maggior parte delle opere presenti in mostra sono site-specific, progettate e realizzate appositamente per dialogare con la città ed i luoghi che le ospitano. Tuttavia, il progetto complessivo nasce dall’idea di riunire in una sola mostra opere e temi che ho già presentato ed affrontato in altre occasioni come il progetto Iceberg -presentato nel 2015 alla 56ma Biennale di Venezia, a cui si ispira la nuova installazione galleggiante Drifting Icebergs pensata per il lago - o il tema del binomio Ordine e Caos, affrontato nel 2017 all’interno della mia mostra personale ai Giardini di Boboli di Firenze.

 

 

Drifting Icebergs3

Drifting Icebergs

 

Qual è stata la sfida più difficile che hai incontrato nella progettazione della mostra?

La progettazione di questa mostra è stata una sfida unica, soprattutto da un punto di vista ingegneristico. La sfida più difficile è stata la realizzazione dell’opera Torre di Luce, una scultura alta dodici metri, realizzata tramite una struttura interna calcolata e progettata per sostenere un effetto estetico esterno di impatto monumentale. Una delle opere più grandi che io abbia mai realizzato.

Ci puoi parlare delle tue opere? E del perché della superficie riflettente che le rende riconoscibili?

Fin dalle mie prime ricerche, sono sempre stato affascinato dai materiali capaci di reagire alla luce, a cominciare dal vetro. Sperimentando l’utilizzo di nuovi materiali appartenenti all’universo industriale, ho scoperto l’acciaio inossidabile, un materiale straordinario e molto resistente che mi permetteva di tradurre le mie ricerche sulla luce nella sua interazione con la materia. Ho scelto l’acciaio perché, oltre ad essere il materiale che rappresenta al meglio l'epoca in cui viviamo, è un materiale che rifiuta la staticità. La sua capacità di assorbire e riverberare la luce rende dinamiche le sculture, proiettandone la forma all’infinito. Un risultato difficile da raggiungere con i materiali tradizionali. 

 

 

Torre di Luce3

 Torre di Luce

 

Vedi già il risultato dell’opera finale prima di iniziarla oppure è nella produzione che si crea l’opera d’arte finale?

Quando creo parto da un'idea progettuale iniziale ma poi mi faccio guidare dal processo, dalle suggestioni della materia e dall'energia che sprigiona. Per dare forma alla mia visione mi ispiro sempre alla musica, al ritmo, alle sue vibrazioni e a quel senso di eleganza assoluta che generano alcune composizioni musicali. Amo la musica perché è la più immediata delle arti, il suo linguaggio raggiunge il nostro corpo e la nostra anima senza chiedere il permesso, senza mediazioni. È quello che aspiro anche nella mia arte: realizzare opere non solo da guardare ma anche da ascoltare, riuscire a creare sinfonie visive. In questa mostra ho voluto rendere omaggio alla musica con l’opera Beethoven, una scultura che, reinterpretando in chiave astratta la quinta sinfonia del maestro, mi riporta all’atmosfera maestosa della città di Lugano e al suo importante ruolo nella storia della musica classica.

Cos’è per te l’arte? Che senso ha fare arte monumentale?

L'arte è la totale libertà d'espressione, che per me coincide con la mia ricerca: cercare di modellare la luce attraverso la materia scultorea. In questo modo posso dare forma ai miei sogni e condividere con gli altri la mia visione artistica come punto di vista sul mondo. L’arte è sempre stata lo specchio della realtà e delle tensioni sociali di un determinato periodo storico. Amo la scultura monumentale perché nasce per celebrare un fatto o un evento storico legato ad un luogo preciso, una città, una famiglia, riportandoci a quel preciso momento nella storia. Oggi viviamo in un tempo di veloci cambiamenti sociali, spesso così rapidi da non dare all’artista neanche il tempo di metabolizzarli e tradurli in un’espressione creativa. Fare arte monumentale per me significa riportare l’arte fuori dai musei e dai luoghi preposti alla sua fruizione, per renderla pubblica, fruibile a tutti.

 

 

Infinito

Infinito

 

La rivista si chiama quid, tu dove intravedi il quid nella tua arte?

Penso che il quid nella mia arte sia la capacità di essere universale. Un'arte universale è un'arte capace di dare emozioni e comunicare con tutti, dagli adulti ai bambini, con diversi livelli di lettura. È quello che vedo attraverso gli altri. Grazie alle proprietà riflettenti dell'acciaio e all'evolversi della mia ricerca sulla luce, le mie sculture non sono mai statiche ma richiedono una continua interazione con l'ambiente ed il fruitore. È un'arte che racconta sempre, non esaurisce mai il suo potenziale espressivo.

Prossimi progetti?

Tra i prossimi eventi, è in preparazione per il mese di giugno una mostra di sculture monumentali a Forte dei Marmi. La mostra, che si snoderà tra il lungomare e le vie del centro dal 1 giugno al 15 settembre 2019, presenterà la mia ricerca di interazione tra l'acciaio ed il marmo, dialogando con la storia del territorio versiliese. Sentirete parlare anche di un'altro progetto, un'installazione monumentale che realizzerò ancora in Albania, nella città di Tirana, in una delle piazze più importanti...non vi posso dire altro!

Come nasce Helidon Xhixha?

Sono nato a Durazzo (Albania) nel 1970, in una famiglia di artisti. Dopo aver ereditato la passione per l'arte da mio padre Sal, ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Tirana per poi trasferirmi in Italia e continuare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano), laureandomi nel 1999. L’anno precedente, grazie ad una borsa di studio, ho frequentato la Kingston University di Londra, dove ho potuto affinare le mie tecniche di incisione, scultura e fotografia e sperimentare l’utilizzo di nuovi materiali tra cui l’acciaio inossidabile, che è divenuto il mio materiale d'elezione intorno al quale ruota tuttora la mia ricerca.