La musica è uno strumento della vita per dare gioia, emozioni, adrenalina, speranza

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Intervista al maestro Redjan Teqja, pianista e professore al Conservatorio della Svizzera italiana.

By Camilla Delpero   

 

Cos’è la musica?

Questa domanda è così semplice, ma anche tanto impegnativa. È molto difficile rispondere in poche parole a una domanda così. La musica secondo me è uno strumento della vita per dare gioia, emozioni, adrenalina, speranza. Penso che ognuno di noi ascolti musica in qualsiasi momento della giornata anche da una semplice pubblicità. I suoni risvegliano i nostri sensi e catturano la nostra attenzione, è incredibile quanto sia presente la musica nella nostra giornata, anche nella giornata di coloro che dicono di non amara la musica. Da un punto di vista personale la musica per me è la vita. È la mia famiglia, i miei figli. Tutta l’emozione e l’espressività che ho costruito fino ad ora nella musica fa parte di Redjan uomo e Redjan padre. Ci sono momenti emozionanti con la mia famiglia, che mi fanno venire in mente dei brani di grandi compositori a seconda dell’esperienza che stiamo vivendo in quel momento. Questo è la musica per me.

Parlando con te è sorto un interessante argomento, la concentrazione durante la performance. Il pubblico è oscurato a differenza di altre performance di generi musicali, dove il pubblico è illuminato o visibile (ci raccontavi es. con il jazz). Ci puoi raccontare la tua sensazione mentre suoni?

Quando ci si prepara per un recital di musica classica la concentrazione è fondamentale. Una parte del virtuosismo è saper a memoria ogni nota scritta. Facendo un calcolo relativo in media di 4-5 note al secondo per 60-90 minuti vuol dire grande impegno. Hai una sola occasione per suonare (non puoi ripetere, bisogna andare avanti). E poi entra in gioco la parte più importante: la chiarezza e la bellezza tecnico-musicale che dovrebbe emozionare e intrattenere il pubblico. Prima di entrare in scena l’emozione è grandissima, le mani sono fredde anche se le metti sopra un calorifero, è difficile stare fermi, ma bisognerebbe, e io cerco di muovermi il meno possibile. Se qualcuno mi fa una domanda, mi disturba e non mi ricordo neanche cosa ho risposto. La sala deve essere buia, così evito distrazioni se qualcuno si muove. L’interpretazione che diamo ai brani è impressa nella mente, perciò il buio aiuta a focalizzare un punto morto per esprimere tutta la ricchezza che si trova nella testa in quel momento.

Come nasce Redjan? Figlio d’arte e non solo. Raccontaci brevemente la tua storia.

Sono nato a Tirana, Albania, mio padre Rifat Teqja era il Direttore d’Orchestra del Teatro dell’Opera e del Balletto nazionale, mia madre Kimete Teqja era una cantante lirica sempre nella medesima istituzione. Penso di essere nato nell’ambiente musicale, non mi ricordo la prima volta che ho visto un'opera, se non che stavo sempre in prima fila e ricordo che prendevano in giro mio padre perché ad un certo punto dell’opera mi addormentavo; è vero però che alcune duravano parecchio. A casa si sentiva sempre il violino di mia sorella, Elda Teqja che ha 9 anni più di me e studiava sempre. Già prima che io nascessi c’era un pianoforte a casa perché mio padre ne era un grande estimatore, perciò quando sono nato si è completato puzzle in famiglia. Non ricordo di aver scelto cosa fare, è stato naturale fare quello che ho fatto e sono veramente felice perché oggi ho 38 anni e amo la mia professione.

Qual è il brano o l’autore che più preferisci suonare e perché? Ci sono dei brani che non sono in sintonia con te, la cui riproduzione si modifica rispetto a quelli più empatici?

Non c’è una risposta definitiva a questa domanda, dipende sempre dal periodo della vita. Da adolescente adoravo i concerti di Rachmaninov e li ascoltavo tutti i giorni; mentre ascoltavo, la mia fantasia mi portava in altri posti, grandi sale da concerto, io come protagonista, mi piaceva talmente tanto quel momento della giornata che l’ho ripetuto per un anno ogni giorno. A 17 anni ho suonato per la prima volta con l’orchestra sotto la direzione di mio padre, è stato un momento indimenticabile, di fortissima intensità e carico di emozioni. Ho suonato il concerto nr. 2 di F. Liszt e in quel momento lui è diventato il mio compositore preferito. Poi ho avuto il periodo Schumann, il periodo russo che adoro tuttora, l’impressionismo francese ecc. In questo momento adoro suonare Beethoven e Mozart. Mi è successo tante volte di suonare musiche che non sono di mio gradimento, ma da professionista ho imparato a dare sempre il massimo, perciò l’impegno resta assolutamente lo stesso.

 

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Quanto è importante la famiglia nel tuo mestiere? Incide nelle scelte?

Mia moglie, Sai Teqja, è una pianista perciò direi importantissima. Non farei nessuna scelta senza discuterne con lei, è la mia parte saggia.

Il mondo della musica classica è più difficile di altri ambiti? È più maschilista? La donna riesce a dedicarsi a famiglia e lavoro?

Questo non posso dirlo, perché non ho termini di paragone. Maschilista non direi anche perché Martha Argerich, Maria Joao Pires, Klara Haskil e tante altre pianiste che sono rimaste nella storia non sarebbero d’accordo. Oggi ci sono molte possibilità e soluzioni per riuscire a mantenere le proprie passioni ed essere una madre eccezionale.

Il musicista riesce a provare una certa felicità mentre suona? Molti artisti come molti attori drammatici, non sono mai felici, rincorrono la felicità senza raggiungerla. Per il musicista è lo stesso, esiste questa malinconia esistenziale?

Non sempre, dipende anche dall’ispirazione del momento. Ci sono giorni dove tutto funziona alla grande, altri giorni dove non abbiamo molta voglia di suonare allora non sempre si trova la felicità. Si chiama lo spirito dannato dell’artista, esiste! Il perfezionista è sempre alla ricerca della perfezione, ma non penso che non ci sia felicità, è della felicità che abbiamo vissuto e vogliamo impegnarci per ritrovarla o aumentarla. Il musicista è sollecitato giornalmente con emozioni forti, è dotato di grande sensibilità e perciò agli occhi di chi vive meno intensamente queste emozioni, possiamo sembrare un po’ eccessivi.

Come si diventa musicisti professionisti, quali sono le tappe, e quali i sacrifici?

Prima bisogna vedere la predisposizione fisica (mani, dita, articolazioni) poi il talento è importante. Professionista si diventa quando c’è costanza giornaliera nello studio, nella preparazione di quello che piace, ma anche di quello che non piace. Il sacrificio è che per studiare pianoforte devi stare solo con il pianoforte per tante ore ogni giorno.

Le emozioni che si provano nella vita condizionano la tua performance? Qual é il tuo metodo per studiare brani musicali es. Beethoven?

Penso di sì, perché sento che quando sto suonando in modo diverso, non riesco ad analizzare il perché, ma di sicuro la mia famiglia ha una grande influenza.

La rivista si chiama Quid perché vuole indagare la scintilla che rende uniche le cose. Dove lo intravedi il quid nella vita, nella musica, in un bravo, quando un brano ha qualcosa in più rispetto ad un altro?

Il quid nella mia vita in questo momento sono i miei figli. È qualcosa di straordinario che non avrei mai immaginato. Nel passato sicuramente il momento artistico con mio padre è stato un quid. Il quid lo trovo anche nel mio lavoro come insegnante, nel momento in cui scatta la passione tra lo studente e il pianoforte, è incredibile il cambiamento che comporta.