Storia e successi di un'azienda che guarda oltre la visione comune
Intervista a Federico Ceretto.
By Camilla Delpero
Come nasce Ceretto? Cosa vi ha spinti a produrre vino?
Se parliamo di cantine Ceretto, io sono la terza generazione. La storia di mio nonno è una storia fatta di agricoltori, vignaioli che avevano una cascina nella zona del moscato. Tuttavia mio nonno, che aveva capito che fare il vignaiolo era molto massacrante, negli anni ‘30 e ’40 e aveva realizzato che Alba era una città di grandi mercanti, come lo è ancora. Decise dunque di diventare commerciante di uve e di vino imparando in un anno. Facendo il cantiniere per una piccola realtà perfezionò la sua capacità di vignaiolo e la sua esperienza derivante da molti anni nelle vigne con la sua famiglia, unendo la sua capacità di conoscere le uve, vinificare e vendere il vino sfuso. La Ceretto di oggi nasce con mio padre e mio zio. Mio padre è ed è stato un visionario, un uomo dalla grande personalità che ama le sfide: la sua era la qualità. Mio zio invece è stato uno dei primi grandi enologi usciti dalla neo scuola enologica di Alba. La città si è trovata con un grande territorio, teste importanti, il miracolo economico italiano e la scuola enologica. Oltre alla volontà, alla scuola e con alle spalle 25 generazioni di vignaioli il periodo favorevole è stato negli anni '60, quando non si facevano ancora vini di qualità, ma tutti conoscevano bene il lavoro. L’accelerata della Ceretto è anche dettata dal fatto che la Ferrero tratteneva molte persone a rimanere in zona senza causare una fuga verso Torino. In questo modo queste famiglie hanno mantenuto le loro cascine e i terreni su cui piantavano i noccioleti da vendere alla Ferrero stessa. Questi ultimi vendevano le vigne a chi invece era interessato a produrre vino. Noi abbiamo potuto comprare il patrimonio di vigne che deteniamo, tra gli anni ‘70 e ‘80 diventando ciò che siamo oggi: un'azienda a conduzione famigliare, una cantina di alta qualità dal patrimonio viticolo impressionante con 160 ettari di vigna nelle Langhe.
Famiglia Ceretto.
Quali sono le caratteristiche del vostro vino e del vostro successo anche all’estero e in merito a questo: Cosa pensi e come affronti la competitività internazionale?
Il successo deriva dal fatto che per primi siamo andati in giro per il mondo. Mio padre ha compiuto il primo viaggio in America a proporre il vino italiano nel 1968. Siamo stati sempre degli anticipatori. Ci vuole molta più fatica, ma si possono scegliere le posizioni migliori. Siamo andati in giro per il mondo con il Barolo e il Barbaresco. Il vitigno Nebbiolo che trova la sua massima espansione nelle Langhe ti permette di essere alla pari con le altre eccellenze mondiali. In Italia siamo esplosi perché ha avuto un grande successo il vino bianco Arneis che noi abbiamo visto prima di altri. Siamo andati in una zona a nord delle Langhe, siamo andati nel Roero e, anziché ostinarci a piantare il Nebbiolo, abbiamo piantato l’Arneis sviluppando il vino come richiede il terreno. Questa è stata un’intuizione di mio zio Marcello, enologo e agronomo. Questo vino fruttato, fresco, piacevole è stato il primo vino bianco moderno italiano. Il blangè è piaciuto da matti, infatti oggi si identifica come il vero gusto del bianco, diventando anche un marchio. In Italia siamo un marchio, all’estero siamo dei grandi vignaioli di Barolo e Barbaresco.
Vigneto blangé.
Quindi quali strategie di marketing adottate?
Una strategia è sicuramente ospitare la cultura nelle Langhe. Portare l’arte contemporanea, scrittori, artisti dalla grande personalità e sensibilità ci permette di creare un forte legame tra loro e il nostro territorio. È un importante mezzo di divulgazione. Ultimamente il veicolo di traino più grande è il ristorante tristellato in “Piazza Duomo” ad Alba che ci porta tutto il mondo in casa. Prima le grandi personalità venivano portate in cantina con eventi, presentazioni di libri, premi letterari come ad esempio il premio Ceretto; ora troviamo i grandi appassionati, collezionisti seduti a “Piazza Duomo”. Siamo l’unica cantina proprietaria di un ristorante 3 stelle Michelin. Un grande chef arriva ad un risultato che è il piatto, ma il suo percorso creativo è uno studio di precisione, esecuzione, fatica e concentrazione, proprio come per il vignaiolo. Le Langhe sono diventate patrimonio dell’Unesco proprio perché la cultura del lavoro del vignaiolo, il paesaggio, l’orgoglio, la fatica e il pathos di un vignaiolo è preziosa, tanto da creare un paesaggio che è un’opera d’arte. Dobbiamo ricordare i nove mesi che il vignaiolo passa in vigna a differenza dei venti giorni dell’enologo in cantina, la fatica è differente.
Se doveste spiegare a qualcuno che non conosce la vostra produzione il vostro stile, come definiresti i vostri vini?
Abbiamo un’espressione molto profonda del terroir del singolo vigneto di Barolo e Barbaresco. Sono vini gestiti in viticoltura biodinamica e si avvicinano all’espressione più pura del terreno come clima e annata. Sono vini che si contraddistinguono per la purezza del vitigno e del terroir. I vini classici tradizionali come il Dolcetto, Nebbiolo ecc. sono slegati da esercizi di vinificazione molto puri. Con il blangé abbiamo creato un vino in purezza perché prima nessuno vinificava l’Arneis in questo modo, inventando così una linea di vinificazione nuova. Abbiamo dato origine al gusto e quindi allo stile blangé. Il blangé è un prodotto del tutto nostro. Il Barolo e il Barbaresco sono un’eredità.
Interno cantina Monsordo Bernardina.
Come vedi Alba come città?
Fra un mese, dopo 40 anni in cui vivo in centro ad Alba, trasloco e, nonostante vada in uno splendido posto in mezzo ad una vigna immersa nel Barolo, mi sento male all’idea di lasciarla. Alba è una città a misura di persona. Ha 30.000 abitanti, è una grande comunità di persone molto colte che girano per il mondo grazie alla Ferrero e al vino. Alba vive di turismo e di Ferrero che porta la città a contatto con differenti realtà internazionali. È una bellissima città che ha un’altissima stagione con il tartufo e una bassa stagione di inverno quando siamo in cantina a fare il vino. Per un gastronomo o appassionato di vino Alba dovrebbe essere la tua prima destinazione.
Bricco Rocche.
Nel mondo dell’arte si parla di critici, curatori e gallerie che hanno il ruolo di fare crescere l’artista, nel ambito vinicolo i critici, le guide indicano e favoriscono i vini o i produttori di alta qualità? Sono utili nell'aumentare il prestigio di una casa vinicola? Oppure no.
Il mondo del vino digerisce male gli influencer. Noi non vogliamo che il vino venga apprezzato perché una persona sola dice che è buono. Sicuramente grandissimi appassionati si sono evoluti in esperti perché hanno gestito molto bene il loro rapporto tra il vino e i produttori. In seguito hanno creato piccole guide per intenditori, appassionati, poi per motivi di qualunque realtà crescendo sia come visibilità sia come numero di copie si sono dovuti strutturare come vere e proprie aziende. Nella fase di degustazione e divulgazione i critici sono fantastici. Ci fa piacere che ci sia qualcuno che “promuova” il vino. Una persona ottiene dei risultati quando lavora bene. Il mondo del vino italiano ha la ristorazione italiana e la sommellerie che crea la reputazione e il rispetto del vino come bottiglia aperta e stappata. Quando i grandi ristoratori e i grandi sommelier hanno piacere di proporre il tuo vino perché lo considerano la massima espressione allora quello è un grande successo. Chi somministra è più importante dell’influencer. C’è un sottile equilibrio tra la presenza sulle guide professionali, senza la quale non esisti, e la scelta del sommelier che ti sceglie, senza il quale non vendi. Bisogna coltivare tutti i tipi di rapporti. I traguardi odierni sono i risultati tra le basi di mio nonno, le idee e le capacità di mio padre e mio zio, gli investimenti e le risorse di noi ultima generazione. Sei membri della famiglia sono dedicati a questo. Io mi occupo del marketing in giro per il mondo, mia sorella si occupa delle pubbliche relazioni, dell’arte e della cultura. Mia cugina si occupa della gestione operativa di tutta l’azienda e mio cugino è l’enologo. Tutto questo impegno si traduce nel raggiungimento di numerosi traguardi.
C’è differenza nel mercato estero? Quale nazione predilige un vino piuttosto che un altro? Secondo te verso quale mercato dobbiamo concentrarci?
Quarant’anni fa era tutto orientato tra la Germania e la Svizzera. 25 anni fa era tutto orientato in America, ora, per chi ha le risorse e del vino da produrre in più, perché il mondo si è allargato, ma le vigne sono sempre quelle, è l’Asia. Dobbiamo gestire dove andare, tolgo ad un mercato per dare ad un altro. Il Giappone ha avuto un boom qualche anno fa, oggi c’è Singapore, Taiwan ecc. Tutti vogliono il Barolo ma non tutti lo sanno bere e apprezzare. Il Moscato d’Asti è sempre un’ottima arma in quanto è un vino molto conviviale. Bere un bicchiere è differente che bere un cocktail o una birra perché il vino ha un fascino; è cultura, è storia quindi finalmente si è capito che il vino è qualcosa di superiore. L’Italia va sempre di più verso consumo di vini regionali, i turisti vogliono bere ad Alba vini della zona. A New York vogliono solo bere il Barolo. È una questione di quantità, qui da noi trovano 10 vini regionali a New York ne trovano 10.000. Non potendo scegliere scelgono quello più famoso. La Cina potrebbe stupirci in quanto potrebbe incontrare la diversità del vino italiano con la cultura gastronomica. Essa potrebbe unirsi al vino italiano. Non esiste al mondo un paese in grado di soddisfare l’esigenza organolettica della variegatissima cultura culinaria cinese. Se riusciamo a creare questo connubio siamo a posto per i prossimi 200 anni. Bisogna però insegnare ai cinesi cos’è il vino in quanto non ce l’hanno. Quando il ristoratore riuscirà a proporre ed educare il cliente cinese in Cina sarà un successo.
Tenuta Monsordo Bernardina.
Le sinergie e partnership sono più facili quando si è una grande azienda oppure no? Se sono utili e perché?
Creiamo delle collaborazioni come ad esempio con Relanghe in quanto vogliamo unirci ad aziende con il nostro stesso obiettivo, con gli stessi standard di qualità nella produzione, al fine di ottenere lo stesso riconoscimento. Bisogna andare in cerca dei partner giusti, purtroppo dobbiamo spesso rifiutare partnership con aziende ancora troppo giovani o distanti dalla nostra strategia o storia. Da un altro lato altre realtà ci vogliono come partner finanziari, ma noi reinvestiamo quasi tutto nei progetti di cultura, di arte e nella ristorazione come per “Piazza Duomo”. Noi facciamo solo investimenti sul territorio. La cantina Ceretto è tra i più titolati a usare la parola “territorio”. Quello che è stato fatto da noi sul territorio a livello di turismo, gastronomico e culturale non ha eguali. È la caratteristica della famiglia.
La rivista si chiama Quid, vuole indagare dove la ritrova questa scintilla che rende una cosa differente e migliore rispetto alle altre nella vita, nel lavoro ecc.
Il Quid di questa azienda è quello di avere una doppia anima. Siamo visione e concretezza nello stesso tempo. Noi uniamo il sogno, l’anticipazione dei tempi con la realizzazione di essi. Siamo visionari, prendiamo delle sfide prima degli altri buttandoci a capofitto, ma dall’altro lato abbiamo anche una concretezza di investimenti che ci permette di tramutare le visioni in realtà concrete. Ad esempio se vogliamo fare l’Arneis, compriamo venti ettari di vigna. Se vogliamo elevare la cucina e soprattutto i prodotti delle langhe, creiamo “Piazza Duomo” e così via. Siamo pensiero e azione, non siamo solo visionari.