L’età dell’innocenza. Il Rinascimento a Bergamo e Brescia intorno al 1900
Una conversazione con Margherita Palli, scenografa della mostra curata dallo storico dell’arte Giovanni Agosti con le luci del light designer Pasquale Mari.
By Angelica Moschin
Un viaggio nel tempo è ciò che attende chi visiterà nelle prossime settimane “L’età dell’innocenza. Il Rinascimento a Bergamo e Brescia intorno al 1900”, la mostra aperta dal 14 luglio all’8 ottobre 2023 a Palazzo Moroni, Bene della Fondazione a Città Alta, Bergamo. L’iniziativa è stata ideata e realizzata dal FAI con il prezioso contributo di Fondazione Cariplo e il supporto di Regione Lombardia, per partecipare al programma di attività di Bergamo e Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 e per valorizzare il periodo di chiusura per restauri di gran parte del palazzo, in vista della riapertura completa e definitiva, con inaugurazione prevista nell’ambito delle suddette celebrazioni a metà novembre 2023.
Mostra 'L'Età dell'innocenza' a Palazzo Moroni, Foto © Giovanni Battista Righetti.
Nell’anno in cui si celebra Bergamo e Brescia Capitale Italiana della Cultura, l’iniziativa rende onore al ruolo di queste due città quali fulcri del Rinascimento italiano, ma più che il Cinquecento, attraverso un originale allestimento, di cui lei è l’artefice, questa mostra racconta i primi del Novecento, ovvero un altro “Rinascimento”, quando le ricche e nobili famiglie locali, come i Moroni, accumulate nel tempo preziose raccolte nei loro palazzi, aprivano le porte a visitatori e conoscitori d’arte provenienti da tutto il mondo. Mi interessa molto, dal punta di vista teorico, questa sovrapposizione temporale che sembra essere in accordo con l’idea che la storia dell’arte proceda più per anacronismi che secondo un’evoluzione lineare. Può raccontarmi come si è arrivati a questa idea?
Sì, certamente. Tutto è iniziato con la richiesta al Professor Giovanni Agosti, il curatore, di realizzare una mostra a partire da un nucleo di opere di Lorenzo Lotto, Andrea Previtali, Giovanni Gerolamo Savoldo, Alessandro Bonvicino detto Moretto e Giovanni Battista Moroni. Il palazzo doveva essere aperto ma non era stato ancora completamente restaurato e una delle sale principali, quella della Gerusalemme Liberata, aveva già un suo allestimento specifico. Agosti, però, per questa mostra non voleva limitarsi ad appendere i quadri a dei semplici cavalletti come solitamente si usa fare, ma voleva raccontare una storia più vivace e reale, la storia del Rinascimento tra Bergamo e Brescia. A quel punto ci siamo interrogati sul da farsi e una delle prime cose che ci è venuta in mente è che nel film “L’età dell’innocenza” (The Age of Innocence) di Martin Scorsese ambientato a New York intorno al 1870, compare ripetutamente questo affascinante salotto ottocentesco difficile da dimenticare. Agosti ci ha fatto notare come la New York dell’epoca era forse più simile alla Brescia di oggi come qualità culturale e raffinatezza borghese, benché oggi siano così distanti. A quel punto, quindi, abbiamo deciso di partire da quel film e da quel fotogramma anche perché, a ben vedere, la stessa Edith Wharton, autrice dell’omonimo libro “L’età dell’Innocenza” (da cui è poi stato tratto il film) e donna estremamente emancipata, aveva realizzato una serie di viaggi proprio tra Bergamo e Brescia. Dato che così tanti spunti sembravano combaciare perfettamente, abbiamo iniziato a ricreare un ambiente simile a quel salotto. C’è una data precisa nella storia italiana, ovvero il 1909, in cui lo Stato proibisce con la legge (364) Rosadi Rava di esportare all’estero importanti opere d’arte nostrana senza il consenso di una commissione creata ad hoc. Ecco, prima era possibile farlo molto tranquillamente e le persone degli strati più alti della società erano solite organizzare serate durante le quali chiunque poteva ammirare i quadri ed eventualmente acquistarli. Il nostro grande vantaggio è stato avere a disposizione tutte le proprietà del FAI cui attingere; un archivio immenso di oggetti d’arte di ogni tipo. Poi, grazie all’intervento di Pasquale Mari, uno dei più importanti light designer del momento con cui ho collaborato in passato alla mostra “Il Meraviglioso Mondo della Natura” a Palazzo Reale, siamo riusciti a ricreare l’illuminazione in voga al tempo, molto più tenue e smorzata rispetto a quella di oggi. Insomma, io e la mia assistente Eleonora Peronetti ci siamo divertite tantissimo!
Per l’occasione, grazie al suo allestimento e alle luci di Pasquale Mari, Palazzo Moroni ha trasformato quella che era la Sala da ballo in un salotto dei primi del Novecento. Quali sono state le sfide e le gioie più grandi nel ricreare quell’atmosfera?
La cosa più difficile è stata cercare di capire come collocare gli oggetti in modo filologicamente corretto all’interno dello spazio espositivo. All’inizio non avevamo né foto né misure esatte, facevamo dei giri cercando di immaginarci la resa finale. Non di rado ci è capitato di inserire oggetti che sono stati poi sostituiti o spostati all’ultimo momento. La luce e le temperature relativamente alte all’interno della stanza (non c’era un impianto di aria condizionata) hanno rappresentato senz’altro la sfida più significativa. Palazzo Moroni è una location bellissima ma attualmente ancora in restauro, pertanto un’altra sfida consisteva nel capire cosa si poteva fare e cosa non, insomma, quale fosse il nostro margine di intervento. Queste sono state le cose più complesse ma anche le più entusiasmanti; non capita sovente a tutti professionisti del settore di lavorare in una cornice contestuale del genere e con questa varietà di oggetti d’arte provenienti dai luoghi più disparati, dalla comune casa piccolo-borghese in Brianza a Villa Panza.
Mostra "L'ètà dellinnocenza" a Palazzo Moroni. Foto Giovanni Battista Righetti.
Quanto è importante concepire allestimenti alternativi diversi da quelli tradizionali cui siamo abituati per aprire nuovi spiragli critici e suscitare l'interesse di un pubblico variegato?
Partiamo dal presupposto che a me piace sempre partecipare a questo genere di esperienze/esperimenti al confine tra la curatela e la scenografia come la già citata mostra sulla natura a Palazzo Reale. Penso anche a quando ho avuto il piacere di aiutare Gian Maria Tosatti nella realizzazione del Padiglione Italia alla Biennale Arte 2022 o ancora alla mostra con Francesco Stocchi alla Fondation Carmignac sull’isola di Porquerolles che era stata pensata e strutturata come un vero e proprio labirinto in cui entrare per ammirare i quadri ma anche e soprattutto per perdersi e vivere un’esperienza sui generis. Mi diverte concepire scenografie per mostre non tradizionali. Ora sto preparando, sempre con Stocchi, una mostra su Maria Callas che inaugurerà questo novembre al Museo della Scala di Milano. Il pubblico non lo scegli: lo fai partecipare. Io spero sempre che qualcuno vedendo queste mostre e vivendo i miei allestimenti si interessi sempre di più alle opere, alle storie e in ultimo alle vite che ci sono dietro.
“L'occhio d'epoca” è un concetto ideato da Michael Baxandall e descritto nel suo innovativo “Painting and Experience in Fifteenth Century Italy: A Primer in the Social History of Pictorial Style”, utilizzato per descrivere tutte quelle condizioni culturali in base alle quali l’arte, durante il Rinascimento italiano, veniva creata, fruita e compresa. Si è sottolineato svariate volte nel corso dei secoli come l’uomo odierno abbia ormai perso questo cosiddetto period’s eye e come sia per noi difficile attingervi in un’epoca in cui regnano sovrani l’online e la smaterializzazione virtuale dell’esperienza estetico-artistica. Si può dire che questa mostra sia dunque un tentativo di restituire l’occhio di allora così diverso da quello d’ora?
Assolutamente sì! Io adoro il virtuale e mi considero pure un po' nerd ma ogni tanto bisogna tornare a guardare gli oggetti e le opere d’arte con la patina del tempo che è necessaria alla comprensione, all’apprezzamento e all’amore. Bisogna sforzarsi di capire che i quadri esposti in mostra un tempo non venivano affatto mostrati come li mostreremmo noi oggi. Spesso e volentieri non venivano appesi su una semplice parete bianca ma su cavalletti sparsi liberamente (e anche un po’ caoticamente) in una stanza, talvolta fagocitati dall’arredamento circostante e immersi in una luce fioca ma densa di fascino. Oggi questo ci sembra strano? Può darsi, ma vale la pena sfidare lo status quo e proporre nuove e affascinanti esperienze estetiche alle persone.
Moroni, Isotta Brembati.