Psicoanalisi in arte. Introduzione - Parte uno

 

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Che rapporto hanno arte e psicoanalisi?

Una domanda che può generare molte risposte, mai conclusive.

Adesso, mentre scrivo questa frase, constato dentro di me che il filone associativo che emerge nella mia mente a partire da essa accende la mia passione e mi coinvolge. Ecco, forse proprio questa che mi sta accadendo ora è una delle dinamiche che arte e psicoanalisi condividono: il loro potere generativo, che suscita un intreccio di emozioni e pensieri, attraverso una esperienza che è realizzazione, punto di arrivo ma, nello stesso tempo, apertura per nuove evoluzioni.

Due discipline che trovano la loro vitalità sul ciglio della nuova scoperta, nel terreno dello iato insopprimibile tra la finitezza dell’uomo e l’infinito dell’essere possibile. Vivono in un’area di transizione tra ciò che l’uomo e l’umanità ancora non conoscono di sé, l’inconscio che li vive dall’interno potremmo dire, e ciò che gradualmente prende forma, diviene percepito, acquista pensiero e infine trova un significato. Un significato che, nel momento stesso in cui diventa punto di arrivo, stimola una nuova potenzialità creativa e associativa, aprendo la via a esperienze che ancora potranno accadere.

Arte e psicoanalisi necessitano di un continuo intrecciarsi di due aspetti dell’umano: l’impegno consapevole, lo studio, l’esercizio, lo sforzo riflessivo e, al contempo, il lasciare andare una vitalità inconscia, immergendosi in un contatto spontaneo con una istanza istintiva, non formata né pensata, che erompe da dentro, sospinge, genera. Ispirazione e sospiro. Esse condividono l’esigenza di costante formazione ed addestramento teorico e tecnico ma entrambe necessitano di un quid ulteriore. L’applicazione di una impeccabile tecnica, infatti, può produrre del buon artigianato ma solo l’ispirazione renderà viva un’opera d’arte, tanto quanto in psicoanalisi una rigorosa applicazione del metodo senza che ogni singolo analista lo incarni nel proprio modo, ogni volta peculiare, entrando in risonanza con la dinamica di quel paziente in quel preciso momento, non darà alcuna garanzia di poter raggiungere quella sintonia intuitiva, da inconscio ad inconscio, che consente l’accesso e la trasformazione dei livelli profondi del sé.

A lungo e continuamente artista e psicoanalista studiano, si formano nella loro disciplina perché accada che, in un dato attimo del tempo e dello spazio, intercettino qualcosa di quell’inconscio che non è ancora stato esperito né pensato, è potenzialità senza forma, per aiutarla ad affiorare, rendendosi percepibile e pensabile. 

Questa dinamica porta con sé un intrinseco senso di piacere e soddisfazione: è un accrescimento evolutivo vitale. Ciò che spinge l’uomo a creare e a conoscere.

L’intento di questa rubrica “Psicoanalisi in arte” su “Quid Magazine” è provare ad essere un'esperienza in tal senso. 

Mio desiderio, infatti, sarà non tanto un tentativo di interpretare un’opera, proponendone un supposto significato inconscio o disvelandone possibili significati latenti, operazione che può essere divertente e interessante solo se non prende se stessa troppo sul serio, pretendendo di rivelare il presunto contenuto nascosto nell’opera, ma si limita a proporre una prospettiva di pensiero offrendola ad una catena associativa ben più estesa, che la precede e la seguirà.

Nè, tantomeno, credo ci si possa permettere di interpretare direttamente la creatività dell’artista come una manifestazione di sue dinamiche inconsce, operazione che non solo rischia di essere intrusiva e brutale ma, semplicemente, poco psicoanalitica. Uno psicoanalista, infatti, non può leggere nel pensiero: in effetti a fatica ogni tanto può gettare un po’ di luce sul proprio ma, senz’altro, non su quello dell’altro, a meno che questi non dia la sua collaborazione in una relazione analitica. Tutt’al più, attrezzato di alcune competenze peculiari, un analista può condividere con l’altro un viaggio verso un incremento di scoperta di sé. Qualunque operazione di interpretazione delle dinamiche inconsce di una persona “dal di fuori”, ossia non sulla base di una cooperazione psicoanalitica, ha, a mio avviso, scarsa utilità.

Quello che invece desidero che accada principalmente in questa rubrica è precisamente una esperienza analitica e artistica, intesa nella sua valenza creativa. Vale a dire la possibilità di incontrarsi e sentire che proprio attraverso questa relazione succede qualcosa: i pensieri dell’uno si attivano e si intrecciano a quelli dell’altro, in un modo peculiare a quell’incontro e diversamente che se fossimo da soli, mettendo in luce aspetti di noi stessi e dei nostri pensieri che altrimenti non avrebbero campo per divenire. Proprio l’incontro con l’altro, fuori e dentro di sé, infatti, è il nutrimento per l’evoluzione.  

Quindi incontreremo degli artisti, giocando con loro attraverso un dialogo di libere associazioni, prendendo spunto da una loro opera o da produzioni artistiche che in quel momento ci avranno attivato, procedendo, ognuno con i propri strumenti, in un dialogo che non abbia la pretesa di giungere ad un contenuto esaustivo, ma che ci faccia vivere e condividere una funzione creatrice di idee e di significati, auspicabilmente spunto di partenza per nuove ispirazioni.

Per concludere questa breve introduzione alla rubrica, non posso non riflettere sul contesto di pandemia che stiamo attraversando e sulla importante valenza che arte e psicoanalisi possono assumere in questo frangente. Questa esperienza che tutti noi nel mondo stiamo vivendo è enorme, ha e avrà molte implicazioni e meriterà riflessioni da ogni punto di vista.

Una situazione completamente nuova a memoria di molti di noi, di quanti non abbiano mai prima attraversato pervasive angosce di morte, pesanti restrizioni di libertà personale, generalizzata incertezza del futuro. Queste esperienze sono calate su di noi in modo repentino, soverchiando la nostra possibilità di elaborarle non solo per l’intensità che hanno ma forse, ancora oltre, perché si impongono come un vissuto per cui non c’è ancora pensiero né rappresentazione.

La mente, di fronte a esperienze così angoscianti, cerca rifugio negandole o rimuovendole, coprendole con significati già noti, che possono essere momentaneamente rassicuranti ma non adeguati a cogliere l’enormità del nuovo che si è presentificato. Questo può portare il rischio di non consentire all’esperienza angosciante di essere metabolizzata, sostando nel difficile e doloroso processo del lutto di quanto successo, di quanto perduto. Può rimanere, così, un vuoto che diviene traumatico, dando il vissuto di un buco nel proprio sé, la cui valenza diviene più difficile da rintracciare proprio perché prematuramente coperta da significati distonici. Rimane un’ombra senza nome che genera tanta più angoscia quanto meno può essere simbolizzata.

In questo, credo che entrambe, arte e psicoanalisi, possano offrire un prezioso contributo attraverso la loro peculiare capacità di sostare proprio in questo spazio insaturo, sostenendo il perturbamento, tollerando il vuoto di pensiero senza riempirlo prematuramente di significati posticci già dati ma consentendo al lavoro dell’inconscio di metabolizzare l’esperienza, facendo decantare le sensazioni, lasciando gradualmente emergere nuove simbolizzazioni, nelle fantasie e nei sogni così come nelle ispirazioni artistiche.

Solo su questa base, lentamente, questo vissuto potrà acquistare espressione e rappresentazione simbolica, magari proprio incarnandosi in opere d’arte o in parole, consentendo infine una riflessione che solo su questa base produrrà significati nuovi.

Ecco, sul ciglio del pensiero nascente, al confine tra il familiare e il non familiare, tra il non rappresentabile e il non ancora rappresentato, lì arte e psicoanalisi trovano campo dove intrecciare la loro potenzialità espressiva e trasformativa.

 

Thomas Marcacci

Docente Centro Studi Martha Harris, Bologna

IPSO Editor Elect