Psicoanalisi in arte. Introduzione - Parte due
L’intento di questa rubrica è raccontare quello che può venire a crearsi attraverso l’incontro tra analista ed artista, quando sensibilità, competenze e ispirazioni di entrambi si intrecciano, in un gioco di reciproca fertilizzazione. Una prospettiva di osservazione dell’incontro tra psicoanalisi ed arte che, quindi, ne mette in risalto la reciproca potenzialità generativa piuttosto che la valenza interpretativa della prima verso l’altra.
In questo articolo, che forma un tutt’uno con il precedente approfondendolo, vorrei rendere conto di quali siano le radici che hanno ispirato il mio proposito di prediligere questa peculiare prospettiva, tra le diverse possibili, di rapporto tra arte e psicoanalisi.
Partendo col proporre una descrizione insatura di psicoanalisi, possiamo dire che essa è una disciplina scientifica di ricerca e cura dell’umano.
Nonostante il pensiero riflessivo e pratico rispetto alla psiche si perda nell’alba dei tempi, in quanto connaturato all’uomo, è ormai patrimonio della cultura collettiva che la psicoanalisi nasca dal lavoro di Freud, nella Vienna sul ciglio dell’inizio del ventesimo secolo. Un contesto culturale e sociale vitale, dove alla solidità di tradizioni radicate nei secoli si intrecciano spinte di avanguardia, incarnate da artisti che, come ad esempio Klimt, Schiele, Kokoschka, esplorano le dinamiche umane più profonde e primitive, che sfuggono alla completa coscienza e al controllo del soggetto stesso: la passionalità erotica, la carica aggressiva, gli interni tormenti inquieti e l’ambivalenza conflittuale, dando ad esse una nuova forma artistica di espressione.
Alle medesime dinamiche inconsce, Freud si rivolge con strumenti e con finalità differenti: non rappresentazione artistica, ma comprensione scientifica e cura.
Queste due dimensioni, ricerca e cura, nascono come un tutt’uno nella pratica analitica: lo stesso processo di comprensione delle proprie dinamiche psichiche concorre ad una possibilità di più libera e serena espressione dei propri istinti profondi, in sintonia con il contesto di realtà. Questo aiuta da una parte a non reprimere completamente le proprie pulsioni, con una frustrazione ad oltranza che porta sofferenza; dall’altra a non dare loro sfogo in modo inappropriato o dannoso, per sé o per l’ambiente.
Da allora, da oltre un secolo, la psicoanalisi ha continuato un fertile progresso, come ogni disciplina di ricerca, esplorando nuovi campi della sua indagine ed estendendo le proprie possibilità tecniche di applicazione, nell’ambito sia del disagio psichico sia, più in generale, di ogni esperienza umana.
Non ci interessa, in questa sede, descrivere l’evoluzione che questa disciplina ha avuto, sin dal lavoro monumentale e sempre fertile del suo fondatore. Può essere interessante però, proprio rispetto al rapporto che possono avere tra loro arte e psicoanalisi, soffermarci su due aspetti di quest’ultima, compresenti e complementari, rispetto alle sue modalità di azione e ai suoi obiettivi. Uno degli autori che più hanno inciso nel pensiero psicoanalitico contemporaneo, Thomas Ogden (2019), distingue queste due prospettive come epistemologica e ontologica. Pur essendo esse parti di un tutto e perlopiù intrecciate nella pratica clinica, cionondiméno possiamo considerarle come differenti versanti da cui approcciare l’incontro analitico.
La prospettiva epistemologica pone più l’attenzione sulla comprensione progressiva di quanto è inconscio, perché rimosso e profondamente sedimentato nelle dinamiche interne del paziente. In tal senso, si considera vi siano significati e desideri già presenti inconsciamente ma che non possono rientrare nell’orizzonte della coscienza, per l’angoscia che il contatto con essi provoca nel soggetto. Obiettivo dell’analisi, su questo versante, è arrivare ai contenuti inconsci intercettandone le manifestazioni camuffate, frutto di un compromesso tra istanze psichiche in conflitto.
In tal senso, in particolare le libere associazioni di pensiero, i sogni e le produzioni della fantasia del paziente sono la via regia per arrivare a questa comprensione. Questa non è semplicemente un esercizio di pensiero ma una esperienza resa viva e presente, fondata sul rivivere nella relazione analitica, in modo traslato, le dinamiche inconsce sedimentate nel proprio vissuto: il “qui e ora” assume la valenza di molti “là e allora”.
Nella seconda prospettiva, quella che qui chiamiamo ontologica, in linea con la proposta dell’autore citato, si pone, invece, più l’accento sul processo che si crea nell’interazione, nel “qui ed ora” della reazione analitica. Quindi, ponendosi in questo versante differente, si pone meno interesse, ad esempio, alla comprensione dei contenuti di un sogno rispetto al consentire una fioritura della possibilità stessa di sognare, si è meno tesi verso la scoperta di significati già inconsciamente presenti rispetto al consentire lo sviluppo di una funzione significante, in grado di estendere la possibilità di contatto non solo con esperienze pregresse e rimosse ma ampliando di per sé la potenzialità di esperire e di pensare.
Questi diversi approcci della psicoanalisi riguardano non soltanto la pratica clinica ma intercettano ed interagiscono in modo differente, e a mio avviso utilmente complementare, con ogni manifestazione dell’umano.
Poggiando sulla considerazione di questi differenti versanti della psicoanalisi, possiamo riflettere sulle varie modalità con cui essa possa accostarsi all’arte, identificandone in particolare tre: analisi dell’opera d’arte, analisi dell’attività creativa dell’artista, intreccio di analisi e arte come nutrimento reciproco di potenzialità creativa.
Nel primo di questi approcci, l’analisi dell’opera d’arte, si osservano le opere come una manifestazione simbolica di un contenuto latente, a cui arrivare interpretandone i significati inconsci. In un certo senso, l’opera dell’artista viene considerata come i sogni dei pazienti adulti o i disegni nell’analisi dei bambini: una finestra d’accesso per l’inconscio sottostante. Questo può essere spunto per cercare di rintracciare, a partire da ciò che è manifesto nella singola opera, l’espressione di dinamiche umane più generali, magari ricercando simbolizzazioni archetipiche di situazioni psicologiche universali. O, addirittura, vi può essere la pretesa di penetrare le fantasie inconsce dell’artista, trattando l’opera come prodotto delle sue dinamiche psichiche profonde.
Questo modo di avvicinarsi all’arte è stato presente soprattutto agli inizi della psicoanalisi, mentre nel contesto contemporaneo di questa disciplina è prevalentemente evitato, rispetto alle sue pretese quasi oggettivanti di lettura dell’inconscio.
L’analisi della attività creativa, invece, si innesta nel filone di riflessione sulla nascita del pensiero, rintracciandone l’origine nello spazio che si crea tra bisogno o desiderio e soddisfazione. È il “principio di realtà” che impone all’uomo, nel suo contesto di convivenza civile, una necessaria dilazione rispetto al “principio di piacere”, ossia alla possibilità di una scarica pulsionale immediata. La creatività artistica può essere intesa, da questa prospettiva, come uno dei prodotti più alti della evoluzione del pensiero, così come la speculazione scientifica. È una sublimazione che trasforma sensazioni grezze e primarie necessità di appagamento immediato in contenuti interni pensabili. Il pensiero prende vita nel tentativo di sostenere l’assenza di situazioni o sensazioni desiderate reali, consolandosi attraverso una loro rappresentabilità.
Una prospettiva ancora ulteriore, invece, vede arte e psicoanalisi intrecciarsi con potenzialità creativa. La fruizione dell’arte agita l’inconscio, accendendo le emozioni e sollecitando l’emersione dei pensieri. L’intuizione dell’inconscio nutre l’ispirazione, trascinando l’artista nel desiderio di darle rappresentazione.
Arte e psicoanalisi non tendono soltanto a conseguire un’opera o un significato ma sospingono un processo creativo e significante, con un valore che prescinde dalla singola realizzazione e volge, piuttosto, alla fioritura di una continua potenzialità evolutiva.
Su questo versante, diviene importante non l’immagine prodotta ma il poter estendere l’immaginazione facendola emergere dal non ancora immaginabile, non trovare il significato inconscio nei pensieri o nei sogni ma poter nutrire l’inconscio, entrando in contatto con esperienze che amplino il campo della possibilità di sognare e pensare.
Ecco, su questa base poggia l’intento di questa rubrica, ossia che artista ed analista, incontrandosi, sentano un nutrimento reciproco che vitalizzi le loro possibilità.
A questo punto non ci resta che incontrare il primo artista e raccontare cosa succede…
Thomas Marcacci
Docente Centro Studi Martha Harris, Bologna
IPSO Editor Elect