La trasformazione di un gesto quotidiano in cerca della sua meraviglia

      RITRATTO

 "Self portrait with the nose of my dreams", 2019, courtesy Alice Ronchi.

 

"Una parola può racchiudere la mia forma d'arte e questa parola è "Perdono". È ciò che ha dato inizio alla mia forma d’arte e che ne ha caratterizzato l’espressione". Intervista all'artista Alice Ronchi.

By Camilla Delpero   

 

Come nasce Alice?

Felice.

Sono nata con la grande fortuna di avere una famiglia amorevole alle spalle. In assoluto la mia fortuna più grande! Ho imparato da loro una forma di amore incondizionato che mi ha permesso di trasformare molte cose, persino le violenze. Quella fu per me una grande conquista, ed è lì che ho iniziato ad esprimermi nell’arte con un linguaggio specifico rivolto all’emozione e alla bellezza.

Vuoi parlarci di “The Greetings Project”?

Camminavo per strada, mi voltai e vidi un uomo all’interno di un ferramenta pulire con sinuosi gesti la vetrina. Rivolto verso di me e con il braccio proteso verso l’alto stringeva un panno colorato che sventolava dondolando il suo corpo da destra a sinistra e di nuovo verso destra, disegnava tante curve immaginarie, come se stesse pulendo un arcobaleno. Rimasi a guardalo e sorrisi, credevo mi stesse salutando. Sorrise anche lui.

 

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 “The Greetings Project” 2016, sign light bulbs / room with wooden sculptures / postcards / video color 16:9 hd 2 m. loop / wall painting / performance, photo credits Andrea Rossetti.

 

"The Greetings Project" è nato dall’emozione di questo incontro, l’ho sviluppato per la prima volta per il centro commerciale all’aperto Scalo Milano, Bruna Roccasalva invitò me e Santo Tolone a realizzare un intervento artistico affidando a ciascuno un edificio vetrato di circa 500 mq. Volevo emozionare i passanti, mostrare loro la potenzialità di quel gesto familiare ed evidenziarne la bellezza - un uomo che lava i vetri e che, se osservato da un punto di vista esterno, sembra salutare. Non sono certo la prima ad averlo notato, ma nel mio lavoro ho spesso lavorato sulla trasformazione di oggetti d’uso quotidiano relazionandomi ad essi con un approccio quasi infantile, con uno sguardo curioso alla ricerca delle possibilità, fu importante per me sviluppare questo progetto perché qui lo stesso approccio è applicato anche alle azioni umane e non solo alle cose. Costruire una poetica e rimettere in scena il mio fortuito incontro con l’uomo del ferramenta fu sorprendentemente complesso perché tutto il lavoro ruotava intorno a una percezione, a quella magica frazione di secondo in cui il gesto si trasformava in saluto, e nel mio forte desiderio di condividere quel gesto, capii presto che qualsiasi forma di riproduzione da parte di un performer sarebbe apparsa come una recitazione, cancellando ogni naturalezza; al tempo stesso, se non avessi suggerito una possibile interpretazione, il gesto sarebbe passato inosservato. Così decisi di chiamare un’impresa di pulizie per assumere una serie di professionisti che ogni giorno, per sei mesi, si sarebbero recati lì a pulire le grandi vetrate dell’edificio. Feci una sorta di casting tra i dipendenti, non cercavo né bellezza né bravura, solo un piccolo bagliore di cordialità. Erano pagati per fare il loro lavoro e – a parte indossare una tutina da me dipinta d’azzurro – in apparenza non gli chiedevo nulla di più di una normale pulizia dei vetri. Il lavoro su di loro, seppur invisibile, fu fondamentale.

 

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“The Greetings Project” 2016, details, courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery, photo credits Andrea Rossetti.

 

Cercare di trasmettergli la bellezza di quei gesti, del loro corpo e della possibile interazione con i passanti era determinante. La potenzialità di quel gesto dipendeva anche da loro, ed io volevo che si sentissero speciali. Disegnai una sorta di coreografia iniziale che oscillava tra movenze di reale pulizia e momenti di ripetizione di un gesto. Li imitavo mentre pulivano e gli dicevo che erano belli. Quella piccola coreografia serviva solo per introdurli, era un inizio, dissi poi loro che erano liberi di fare ciò che sentivano, e pulire come volevano, e così fu. Volevo che l’intervento fosse naturale, e potenzialmente emozionante per entrambe le parti. Per qualche fortunato motivo gli incontri con i passanti avvennero. Fu emozionante vederli uscire ogni giorno con un grande sorriso sul volto e impazienti di raccontarmi un aneddoto dopo l’altro: ‘’Una bambina continuava a fissarmi, dopodiché la mamma l’ha portata via, ma lei è corsa indietro e mi ha salutato con la mano’’, “Un uomo molto serio mi ha chiesto ma pulisci o saluti?’’; “Il cane inseguiva lo straccio con cui pulivo”; e così via, una serie di felici reazioni. 

 

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“The Greetings Project” 2016, details, courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery, photo credits Andrea Rossetti.

 

Così l’intero edificio si trasformò in un luogo adibito ai saluti, che aveva lo scopo di attivare una riflessione sulla possibilità di trasformazione di un gesto quotidiano in cerca della sua meraviglia. È proprio in questo modo di osservare le cose che il mio lavoro si colloca: nel punto di incontro tra la realtà e la fantasia – nel momento in cui nessuna prevale sull’altra – al solo scopo di sorprenderci. È la coesistenza tra realtà e fantasia che in quell’attimo mi ha emozionato: i significati di realtà non vengono né stravolti né annullati, noi continuiamo ad osservare un uomo che di professione pulisce i vetri, e lui continua ad essere quell’uomo; tuttavia, allo stesso tempo intravediamo un saluto, ampliando così il significato e la definizione dell’azione stessa di pulire. Una persona mi chiamò mesi dopo aver assistito al progetto: “Sono in centro davanti alla vetrina di Armani”, disse, “e c’è un uomo che dall’interno sta pulendo la vetrina, non ci crederai ma come una tonta mi sono fermata a guardarlo e gli ho sorriso”. Quella chiamata fu speciale per me, è fin lì che ho sempre sognato di fare arrivare il mio lavoro.

 

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“The Greetings Project” 2016, details, courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery, photo credits Andrea Rossetti.

  

Mi vuoi parlare della tua partecipazione al progetto ArtBite?

Nicoletta Rusconi (l’ideatrice) me ne parlò in fase di costruzione del progetto, ci siamo conosciute in occasione della mostra I.D.E.A. da lei curata a Cascina Maria nel 2018 - partecipai con una grande scultura in cemento composta da una serie di moduli ripetuti in progressione uno sopra l’altro: “Flora”. L’opera si ispirava al comportamento di crescita delle piante e dello sviluppo dei loro rami; ho sviluppato questa serie in due versioni, quella che si riferisce alle grandi piante in esterno (Flora) e quella ispirata alle piante da interno (Indoor Flora) che spesso presentano un aspetto più ‘patinato’ e artificiale. Per ArtBite volevo darle un’opera che appartenesse alla stessa serie ma in miniatura, decisi così di fare una versione ‘petit’ di Indoor Flora come proseguo del nostro dialogo.

 

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"Indoor flora", pvc hydraulic pipes / varnish ,16 x 65 x 10 cm, 2016 ongoing, courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery.

 

Può esistere l’improvvisazione nel mondo dell’arte?

Sì, anche se spesso si scopre che ciò che ha condotto ad essa è una scelta ponderata.

Parlaci della tua forma d’arte.

Ho risposto a questa domanda sette volte con una quantità di parole, aneddoti e descrizioni che raccontavano in maniera quasi analitica il mio percorso e il mio modo di esprimermi. Mi affascinano moltissime cose e sto sviluppando più ricerche e progetti di quelli che riesco a mostrare. Ad ogni risposta cercavo di accorciare le frasi, usare meno parole e selezionare alcuni aspetti ma era ancora troppo lunga, persino più lunga della mia risposta alla tua domanda: “Parlaci di The Greetings Project”, così più scrivevo e più cercavo una sintesi. Alla fine ho capito che per me solo una parola può racchiudere tutto, può fare da scrigno a tutti i sinceri tentativi di risposta e allo stesso tempo divenire chiave di lettura del mio lavoro, questa parola è perdono. Perdono è ciò che ha dato inizio alla mia forma d’arte e che ne ha caratterizzato l’espressione.

 

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“Majestic solitude” exhibition installation view at Francesca Minini Gallery, 2018, photo credit Agostino Osio.

 

 Un artista quando si può sentire affermato? Quali sono le tappe fondamentali che secondo te sono necessarie?

Secondo me la tappa più bella è condividere il proprio lavoro con le persone. È una tappa fondamentale e imprescindibile e non importa dove e come ha luogo, non importa se è in un bar, in una galleria, in un garage o altrove, l’importante secondo me è costruirsi l’opportunità di mostrare il proprio lavoro, permettere alle persone di camminarci intorno, di relazionarsi ad esso e di osservarlo anche se solo per un istante. La loro risposta, anche se silenziosa è vitale. Penso inoltre che un grandissimo traguardo sia riuscire a lavorare con musei e grandi istituzioni dove si raggiunge un ancor più ampio pubblico e ci si confronta con grandi spazi pubblici, mi immagino sia una grande emozione, onore e personalmente è ciò che sogno.

Mi incuriosisce sapere la tua esperienza nel Vermont. Qual era il background che ti ha ispirato. Perché è stato determinante nel tuo processo creativo?

È stato per me un lavoro molto bello e introspettivo, quasi di pulizia. Ho scelto di proposito quel luogo in quelle condizioni climatiche (Gennaio -18 gradi), la residenza a cui ho applicato, Vermont Studio Center forniva vari studi, io ne scelsi uno che era letteralmente circondato da metri di neve e dal quale si vedeva solo un fiume, era bellissimo. Ascoltavo musica classica tutti i giorni e quasi come un rituale mi ero prefissata di dipingere ogni giorno una forma, una sagoma che continuavo a ridisegnare ancora e ancora finché non avevo raggiunto delle proporzioni che in qualche modo risuonavo in maniera armonica. Erano leggerissime, delicate e realizzate con inchiostri diluiti al tal punto da renderne alcune quasi invisibili. Ho intitolato quella serie Pensieri, ogni giorno ne appendevo uno nello spazio, sul soffitto sui muri e sulla porta; mi ritrovai letteralmente circondata e avvolta da dipinti raffiguranti forme tondeggianti, erano moltissimi. Il mio intento nasceva dal desiderio di realizzare un ambiente che per me fosse puro, non solo una serie di dipinti ma un luogo, un luogo capace di trasmettere alle persone una specifica energia, una sensazione manifestata con un’atmosfera rarefatta e leggera, molto luminosa sia atmosfericamente che nei suoi intenti e significati. Le persone quando entravano spesso non dicevano nulla, ma sorridevano i loro occhi. Lo studio era circondato da grandi vetrate dal quale si poteva percepire solo il bianco della neve e una luce limpidissima che illuminava i dipinti. Fu un’esperienza bellissima che onestamente non sono ancora riuscita a documentare in un modo che possa sinceramente restituire anche solo un terzo di quella sensazione. Per questo motivo non ho condiviso molto questo lavoro, non ancora (nonostante l’abbia esposto nella seconda stanza della galleria Francesca Minini nella mostra Majestic Solitude; nel documentare la stanza tutto si appiattisce, la luce cambia, il movimento, la sensazione si annulla, così ogni tanto condivido immagini di dipinti singoli, ma il lavoro è la stanza e ci sto ancora lavorando).

 

DOPPIA FOTO

 Left: “Iris (kilimanjaro)”, 2014 stone, stainless steel 60 x 7 x 12 cm unique, courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery, photo credits Andrea Rossetti.

Right: “True care”, varnish on acrylic foil,plexyglass 150 x 129,5 x 8 cm, 2020, courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery, photo credits Andrea Rossetti.

 

Un tuo maestro?

Francys Alys. Una poetica maestosa.

Esiste ancora nel mondo dell’arte un rapporto umano che permetta la crescita, che ispiri, che sia di sprone, oppure il mercato e la frenesia dei giorni nostri ha rovinato qualcosa?

Penso esista ancora ma sia meno semplice incontrarlo, (non impossibile). Affidandomi ai vivaci aneddoti e racconti di storie bellissime di artisti del passato, anche del più recente, se paragonate ad oggi sembrerebbe che si sia affievolito notevolmente quel rapporto umano a cui ti riferisci. Sembra essere cambiato il modo di relazionarsi, tuttavia penso sia molto personale. Non avendolo vissuto altrimenti non è semplice per me rispondere. Riconosco un’importante velocità e distanza materiale che ci caratterizza, allo stesso tempo però c’è una forte vicinanza mediatica che permettere di condividere il lavoro di mostrarlo velocemente anche in luoghi molto lontani da noi, quasi istantaneamente. Penso che questa sia una bellissima risorsa, specialmente se concepita come uno strumento intermezzo e non come unica modalità di fruizione e incontro. Comunque l’artista è prima di tutto una persona e penso sia sempre affascinante viverla e ricercarla.

L’apparenza la vedi come una cosa positiva o negativa?

Penso possa essere entrambe le cose in base a come la si utilizzi. Capita spesso di associarla a qualcosa di negativo ma in realtà credo possa avere molte sfaccettature, forse quello che è più interessante sono le intenzioni che stanno alla base di questa scelta. Penso che se il lavoro di un’artista è dichiarato essere rivolto alla costruzione di essa, o tramite essa crea nuove e inaspettate narrazioni allora è certamente qualcosa di bello, se pensiamo al lavoro di Jeff Wall per esempio, ogni foto è incredibile, all’apparenza sembrano essere foto instantanee poi si scopre che è tutto fermo e stabile, scelto, costruito e coreografato, ogni scatto è frutto di una precisa costruzione di un’immagine dedita a narrare una possibile storia. Questa scelta secondo me crea una strana temporalità, quasi surreale e onirica per certi versi, un’atmosfera che trattiene lo sguardo dello spettatore e penso che sia molto bello. Se invece l’apparenza la si intende come costruzione di un’immagine di sé che non esiste allora la trovo meno interessante, anche se umanamente comprensibile, la percepisco come negativa.

 

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Photos series of pictures extracted from video/c print 40x53, 5x3 cm, 2012, courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery, photo credits Andrea Rossetti.

 

Come nasce un progetto.
Spesso da un incontro per me emozionante con un particolare soggetto, persona, materiale o azione; faccio moltissima ricerca in vari ambiti quando costruisco un lavoro, che però a volte nasce semplicemente d’istinto, a volte invece con una precisa intenzione narrativa - in ogni caso lo sviluppo avviene sempre dopo quando l’intenzione è già individuata. Ogni progetto nasce in risposta a qualcosa che mi si muove dentro in relazione a ciò che sta fuori e a ciò che incontro, suona banale e comune, lo sò, ma è sincero; tuttavia a prescindere dagli eventi esterni e dalle mie risposte, coltivo un sincero interesse per l’animo umano e un grande desiderio di intrattenerlo e di emozionarlo.
 

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 “Collage foam / sponge / birch wood frame”, 35 x 7 x 25 x 4 cm, 2015 ongoing,  courtesy of the artist and Francesca Minini Gallery.

 

La rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare il Quid che rende unica una cosa, una forma d’arte, un progetto, un incontro. Cos’è per te il quid? Dove lo intravedi?

Nello sguardo delle persone, un bagliore negli occhi. (Si riconosce subito uno sguardo che brilla quando brilla).

Progetti futuri?

Mi hanno affidato la riqualificazione di una grande parete che affaccia su un centro per bambini autistici. Sono molto emozionata.