Alla scoperta della genesi della mostra di Rita Ackermann
"Con Rita ho sempre potuto confrontarmi in modo molto naturale e sincero, imparando soprattutto come, di un’opera d’arte, non è sempre necessario conoscerne ogni aspetto". Intervista alla curatrice Chiara Ottavi.
By Camilla Delpero
Quanto lavoro c’è dietro la tua curatela?
Ho avuto modo di seguire il progetto espositivo dedicato all’opera di Rita Ackermann – il primo per me così importante e straordinario – dal suo inizio fino alla fine, dal momento in cui all’artista è stata proposta questa collaborazione fino ai giorni di allestimento e di apertura della mostra. Ho potuto felicemente constatare come il lavoro curatoriale non esista solo nel momento della scelta di allestimento delle opere, o nella stesura dei testi a supporto di esse, bensì si celi dietro ad aspetti completamente variegati che ti permettono di stare continuamente a contatto con il progetto per un lungo periodo di tempo.
Come avete scelto le opere? Come siete riusciti a condensare nell’esposizione la poetica di 30 anni di produzione di Rita?
La scelta delle opere è nata da una proposta che l’artista ci ha fatto su una possibile idea di rappresentazione dei suoi trent’anni di carriera. Chi meglio di lei conosce il suo lavoro e sa esattamente raccontarne il cammino?
Com’è stato lavorare con l’artista? Cosa ti ha “insegnato” questa nuova collaborazione?
Rita Ackermann, oltre che a essere un’eccezionale artista, è una persona di cuore, aperta ed estremamente gentile. Con lei ho sempre potuto confrontarmi in modo molto naturale e sincero, imparando soprattutto come, di un’opera d’arte, non è sempre necessario conoscerne ogni aspetto: spesso bisogna lasciarsi trasportare da quello che gli occhi, e soprattutto il cuore, percepiscono.
Ci sono molte opere di collezionisti privati; il collezionista è tendenzialmente orgoglioso di avere la sua esposta in un museo oppure dietro c’è molto lavoro diplomatico in quanto posso essere “gelosi” della propria opera?
I collezionisti e le collezioniste con cui abbiamo collaborato per la realizzazione del progetto si sono dimostrati sempre molto cordiali e disponibili e, dal momento che hanno acconsentito al prestito delle proprie opere, sono sicuramente felici di vederle esposte in una grande mostra in un’istituzione importante.
I colori in Rita veicolano maggiormente il messaggio che non la figura, oppure la sua evoluzione da figurativo ad astratto è spiegabile in altro modo?
È vitale notare come le sue opere più recenti non siano totalmente astratte, in quanto la figurazione dei primi lavori resta fortemente presente ma viene in parte celata sotto questi strati di colore intensi. Io trovo che, qualsiasi messaggio si voglia cogliere, esso emerga in modo più diretto dalle prime opere figurative e che, al contrario, nelle tele recenti, bisogna aguzzare la vista e l’intuito se si vuole scoprire di più.
Si percepisce in alcuni soggetti molto disagio, è un disagio autobiografico o vuole essere solo specchio di una realtà percepita da Rita?
Questi soggetti di cui si parla sono puro frutto dell’immaginazione dell’artista.
Cos’è per te la bellezza?
Qualsiasi cosa faccia muovere l’anima.
La rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare il quid, quella scintilla che rende unica una cosa, quando un tuo progetto curatoriale ha quella scintilla che ti stimola e ti soddisfa?
Credo di avere la grande fortuna, e forse la presunzione, di riuscire a trovare questa scintilla in qualsiasi progetto che seguo e che ho l’opportunità di curare.