È contemporaneo ciò che ha una bellezza ravvisabile in ogni epoca, il tempo può dilatarsi rendendo l'arte superiore al periodo che la caratterizza
© Emiliano Biondelli - nella foto "termitai" di Andi Kacziba
By Camilla Delpero
Chi è Sabino Frassà? Ci parli della sua carriera e delle sue attività.
Sono Direttore Sviluppo e Comunicazione della Fondazione CURE Onlus; Direttore del portale di informazione scientifico-culturale "ama nutri cresci" (partner scientifico di Padiglione Italia in EXPO 2015); Direttore Artistico di CRAMUM; Membro del Consiglio di Amministrazione di MuFoCo – Museo di Fotografia Contemporanea. Sono nato a Torino il 4 aprile 1985, mi sono laureato con 110 e lode all’Università Commerciale Luigi Bocconi nel 2008. Ho studiato in Svizzera, UK e Italia, maturando diversi anni di esperienza nella governance e nella corporate social responsability. Ho ricoperto ruoli gestionali di crescente responsabilità (nel settore profit e non-profit), tra cui quello di Segretario Generale della Fondazione Giorgio Pardi dal 2010 al 2016. Nel 2009 sono stato selezionato tra i 500 migliori laureati italiani 2008 per partecipare al “1° Global Village Campus”, progetto del Ministero della Gioventù e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel 2015 ho vinto il premio come miglior ricercatore under 36 al Congresso Nazionale SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana) con una ricerca sull’efficacia della comunicazione in Italia in ambito scientifico portata avanti all’interno della partnership con Padiglione Italia EXPO 2015. Nel 2016 sono il primo italiano a conseguire il master Executive Emmio (Management of International Organizations), frutto della sinergia tra Sda Bocconi e Onu (International Training Center of the International Labour Organisation – Itcilo; United Nations System Staff College – Unssc). In ambito artistico ho curato oltre 20 mostre d'arte contemporanea in Musei e spazi pubblici in Italia e all’estero. Per SKIRA ho curato tre pubblicazioni sui macro temi dell'arte contemporanea. Per Editrice Quinlan curo la collana OLTRE - quattro pubblicazioni tra il 2015 e il 2017. Ho diretto le prime 4 edizioni del Premio Cramum.
Sabino Maria Frassà con le opere di Cseke Szilárd Raffaele Penna ed Elisabeth Scherffig.
Cos'è che l'affascina maggiormente quando va a visitare un atelier di un artista?
Amo informarmi su come l'artista arrivi all'opera finita: l'atelier è senza dubbio il luogo migliore per comprendere la creazione rispetto all'osservazione di un manufatto o di una mostra. Raramente mi è quindi capitato di andare a visitare atelier di artisti che non conoscevo del tutto e quindi di andare impreparato: non mi piace che il mio giudizio su un'opera d'arte venga troppo interpretato e mediato dalla simpatia che una persona può suscitare. Mi piace molto vedere e capire come nasce un lavoro, ad esempio mi è successo con Laura de Santillana, Alberto Di Fabio, Daniele Salvalai e HH Lim. Il luogo in cui un artista vive ti aiutano a comprendere il lavoro stesso dell’artista. Ad esempio nello studio-casa di Laura de Santillana sono tanti i richiami al misticismo e all'india che aiutano a comprendere meglio la forte componente trascendente delle sue opere.
"820°" di Laura de Santillana per la Mostra I FEDELI al Museo Francesco Messina di Milano.
La rivista si chiama Quid Magazine in quanto vuole indagare sul quid di ogni processo: artistico, mentale, ecc. Quando un'opera d'arte, secondo lei, contiene il quid?
Un'opera d'arte contiene il quid quando può essere contemporanea in ogni epoca. Sono molto affascinato da Maestri come Caravaggio, Goya o Klimt. Le loro opere sono contemporanee ai nostri occhi oggi, dopo secoli. Nella contemporaneità la sfida è proprio questa: comprendere se un’opera o un artista possiedono quel quid che le renderà universali e contemporanee anche tra secoli. Senz’altro il punto di partenza è l’emozione che un’opera riesce a trasmetterti, ma comprendere se tale valutazione possa essere universalizzata non è facile. Per quanto io mi ritenga una persona molto pragmatica e non ami gli allestimenti troppo protagonisti e scenografici, in cui si disperde l'opera, tuttavia credo che un'opera abbia il quid se ti riesce a dare quel pugno nello stomaco (non per forza negativo) che ti impone a prima vista di concentrarti su essa. Siamo onesti in un mondo che va di fretta dove sempre di più vanno di moda le collettive con tanti, troppi artisti, ovvio che l’allestimento (e quindi il sempre-complesso dialogo artista-curatore) gioca un ruolo importante. Il quid è quando io riesco ad accompagnare questo impatto estetico che c'è in ognuno di noi, in cui comanda l'occhio, con quello emotivo.
Qual é la sua definizione di arte contemporanea.
Contemporaneo è quell'arte che lo sarà per sempre.
Il museo e i luoghi espositivi possono essere sostituiti dal mondo virtuale?
Il mondo virtuale può creare nuove opere d'arte, possono piacere o non piacere, ma il mondo virtuale per me può essere un ottimo canale di comunicazione, ma non credo molto nella mostra on-line, a mio avviso diventa una performance. L'opera d'arte ha una sua parte tangibile, ammesso che non sia un'opera digitale, a me interessa il dialogo con lo spazio in cui sono coinvolti la luce, la vista ecc. Secondo me la parte digitale può avere solo un'importante leva comunicativa.
Cos'è per te un artista storicizzato?
Secondo me gli artisti storicizzati o sono persone già defunte oppure persone che hanno fatto grandi operazioni culturali in vita per cui quel momento è storicizzato. Franco Mazzucchelli con i suoi abbandoni ha cambiato l'arte contemporanea italiana, bisogna dire che Mazzucchelli ha fatto uno sviluppo lineare e coerente durante la sua carriera, ma secondo me la grande svolta l'ha avuta in un anno nel '66. Si è storicizzati quando gli altri ti attribuiscono il merito di aver cambiato qualcosa.
Francesca Piovesan VOLTO.
Qual è l'artista contemporaneo o storico a cui si sente più vicino? Ci parli di questo.
Mi piace un certo Burri degli inizi. L'idea dell'artista donna mi affascina come figura, non molto digerita nel sistema, tuttavia una persona con cui mi sarebbe piaciuto lavorare è Agnes Martin la quale ha dato un importante contributo al mondo dell’arte contemporanea e all’emancipazione delle donne artiste.
Ci parli del Premio Cranum
Quando ho scelto il Premio Cranum, ho scelto di andare per cicli e ho scelto il numero cinque. Mi piaceva avere un progetto culturale indipendente di lungo periodo – una rarità e un lusso rischioso oggi. Trovo questa ossessione del breve termine molto sbagliata. Volevo sviscerare alcune tematiche per me molto significative, impossibile da fare in pochi mesi. Ovviamente ho le mie risposte e convinzioni, ma l’obiettivo non era lo spargere il Sabino-Pensiero, ma far riflettere: il mondo di oggi ha bisogno di tempo per ripensarsi. I 110 artisti coinvolti con le loro 150 opere in mostra in questi 5 anni, le riflessioni di filosofi, intellettuali, psicologi che abbiamo raccolto spero possano essere un piccolo mattone del grande processo di crescita di cui il nostro Mondo ha bisogno: ognuno deve fare la sua parte e sono grato ai tanti che con passione hanno aderito a questo progetto.
Come sceglie un progetto curatoriale rispetto ad un altro?
Diciamo che i progetti curatoriali li ho sempre combattuti. Mi è capitato di dire dei no a dei progetti di cui non ero convinto, ma perché non vivo del lavoro di curatore: non aspetto un cliente, non lo vado a cercare. Mi son concesso e imposto il grande lusso dell’indipendenza: ho sempre fatto mostre che ho voluto. È importante per me, che non sono in nessun modo una galleria commerciale, lavorare con artisti e lavori troppo ammiccanti al mercato. È giusto che l'artista pensi a vendere, ma non penso che lo spazio museale e pubblico, in cui ho deciso di muovermi, sia il posto idoneo a questo scopo, anche per un giovane artista. In un momento del genere in cui c'è la questione delle riproducibilità dell'arte, lo spazio museale o istituzionale dovrebbe essere uno spazio di crescita per la società: sia per celebrare grandi maestri sia per sperimentare e portare l'asticella oltre: penso a mostre come Carne da Macello di Daniele Salvalai o Non Abbandonarmi di Franco Mazzucchelli, entrambe mostre-manifesto per invitare noi tutti a riflettere sulla nostra finitezza (Daniele) o superficialità (Franco).
Squarto - Carne da macello di Daniele Salvalai.
Il suo "processo creativo" rivolto a creare e divulgare cultura di cosa ha bisogno e qual è il suo scopo ultimo?
Credo che ognuno di noi sia responsabile del futuro di chi verrà dopo di noi e per questo l’arte dovrebbe muoversi nella direzione di far evolvere la società. Ciò non vuol dire che l’arte, un curatore o un artista siano i vati-guru di oggi, anzi sono il seme del dubbio: autocelebrazione di tanta contemporaneità è passato e non è seme di futuro. Il tema con ciò che è stato prima di noi è un'altra fonte del processo creativo. Spesso però si vedono tante cose viste e riviste, non è un limite il trarre ispirazione da..., il problema è quando c'è un aspetto mimetico, di coincidenza oppure quando si intravede l'imitazione in modo truffaldino, consapevole, il che è ancora peggio. L'arte contemporanea deve rielaborare il passato e farlo crescere se no è davvero un'arte fine a se stessa. L’ultima mia mostra (ndr OLTRE ROMA a Palazzo Falconieri) era concentrata proprio sul mostrare come l’arte contemporanea possa includere il nostro passato socio-culturale e rielaborarlo in modo del tutto originale per andare “oltre” se stesso.
Libro OLTRE a cura di Sabino Maria Frassà, Quinlan 2015, particolare opere di H.H Lim e Alberto Di Fabio.
Quando ha capito che l'arte potesse essere la sua forma d'espressione e forma di lavoro?
Ho fatto il liceo classico, ho amato da sempre la storia dell'arte, ma non prendo la matita in mano dalla terza media, ho capito che non sarei stato all'altezza di raggiungere importanti traguardi. Ho capito molto tardi però che l'arte contemporanea mi interessava assieme all'impressionismo e all'espressionismo. Quando ho iniziato a fare un lavoro, con cui avevo molto a che fare con la parte di diritto e di finanza, ho sentito la mancanza del mio passato. Sono andato a rileggere la tragedia greca, la mia amata Antigone e non avrei mai pensato che mi sarebbe così interessata nuovamente la parte umana. Ho quindi accettato una sfida con me stesso. Non riuscivo a provare empatia con l'arte contemporanea, forse perché dopo studi classici ero appunto impostato su altri generi. Ho incominciato a studiare ex novo a 23 anni. Il problema erano i preconcetti, i pregiudizi. La mia grande fortuna è stata proprio la formazione classica: tanta arte del secolo scorso è a mio avviso strettamente collegata ad un fermento culturale e ideologico importante.
Gli artisti contemporanei di oggi invece?
L’ignoranza ha una nuova chiave populistica che si espande sempre più anche nella cultura. Di recente con la filosofa Nicla Vassallo ho lanciato un appello contro l’orgoglio dell’ignoranza (vedi appello). Quello che mi spaventa è vedere tante candidature inconsapevoli di ciò che è stato. Come dicevo la sfida dei nuovi artisti è vivere con un passato ormai solido di arte contemporanea: anche per negarlo e distruggerlo devo conoscerlo.
Sei molto critico con i “giovani” artisti?
Assolutamente no, ho 32 anni anche io. Ero e sono molto contrario all'arte marchettara, che vive in funzione del mercato e delle sue dinamiche: ho scelto l’arte proprio perché la vorrei lontana dalla finanza e dalla sua deriva, che rischia oggi più che mai di minare il nostro modello socio-culturale. Se da un lato è più che legittima la volontà di un artista di vivere del proprio lavoro e il giusto riconoscimento del suo valore, meno comprensibile è la distorsione in quanto questo riconoscimento degli altri è l'unica base della motivazione del mondo stesso. Il fatto di avere un lavoro che mi rende indipendente dal giudizio altrui fa sì che faccio quello che ritengo importante fare. Questo mi porta al fatto che chi fa arte deve cercare di avere un paracadute, una valvola di sfogo, di avere le spalle coperte per essere libero di poter fare cosa meglio lo ispira e gli interessa e non solo quello che gli conviene fare. Ci sono artisti che hanno ottime intuizioni, il problema non è avere 15 minuti di gloria come diceva Warhol ma resistere. Molti artisti quali Lim, Mazzucchelli, hanno avuto alti e bassi, ma la cosa importante è che sono rimasti in gioco. Se il rapporto con una galleria finisce o quest'ultima ti spinge sempre su uno stesso filone perché si vende la tua carriera è finita.
"Salvami" di Franco Mazzucchelli per la mostra OLTRE - nella foto tappa a Ivrea Museo Garda di Ivrea.
Cosa pensa ci sia bisogno nel mondo dell'arte, nei progetti espositivi che tutt'ora manca o che oggi è andato perduto?
Senz'altro la necessità di muoversi, anche se è difficile andare all'estero. Il mercato italiano o meglio di lingua italiana è un mercato rischioso. Forse è il nostro problema storico, andare all'estero pochissimi lo hanno fatto, qualcuno negli anni '60. Senz'altro come pubblico siamo anche un po' esterofili ad esempio vedo certe code davanti alle biglietterie per alcuni artisti stranieri, per quanto il loro sia un lavoro egregio, non succede lo stesso per artisti coevi italiani per cui c'è meno interesse o forse c’è meno moda – pensiamo a Sironi 20 anni fa, pochi in Italia lo conoscevano e consideravano realmente. L’affascinazione per gli stranieri, il fattore “esotico” rimane nel nostro dna quello di amare di più chi è lontano da noi. Forse perché guardiamo talmente male la nostra situazione sociopolitica che ci porta a pensare male di tutti, siamo una società del “no a prescinedere”, è un momento talmente stanco che siamo pronti a condannare chiunque, quindi l'eventuale successo di alcuni che ce l'hanno fatta con le proprie forze viene additato in un modo sospettoso, preferendo così gli artisti che vengono dall'estero, il cui cursus honorum riteniamo –semplicisticamente- più trasparente. Semplicisticamente perché non consideriamo ad esempio che, a differenza dell’Italia, in Francia e Finlandia lo stato investe e difende molto i giovani artisti, anche grazie a nuove acquisizioni. In Italia la paura di avere persone che rimangano nella nicchia di potere porta a dei nipotismi sbagliati, porta a non avere il coraggio di scommettere su un artista e metterci la faccia.