MEET opening

 

MEET è partner ufficiale di New European Bauhaus

Il centro di cultura digitale di Milano è stato selezionato dalla Commissione Europea ed entra nella rosa delle 21 organizzazioni internazionali scelte per l'ambizioso progetto.

MEET è da oggi partner ufficiale del New European Bauhaus. Il centro di cultura digitale di Milano è stato selezionato dalla Commissione Europea ed entra nella rosa delle 21 organizzazioni internazionali scelte per l'ambizioso progetto.

Il Nuovo Bauhaus europeo (NEB) vuol essere un movimento creativo e una piattaforma interdisciplinare per ricostruire un’Europa più sostenibile e inclusiva. Fortemente voluto dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, si ispira alla Scuola Tedesca d’inizio Novecento, da cui prende il nome. Proprio come accadeva un secolo fa, architetti, designer, scienziati, artisti, tecnologi sono chiamati a progettare insieme nuovi servizi, prodotti, materiali, confrontandosi con le istituzioni e i cittadini.

Il riconoscimento per il MEET arriva in considerazione del lavoro portato avanti in questi anni, dalla valorizzazione del digitale quale strumento di inclusione sociale e culturale, alla promozione di cross-fertilization fra industria, imprese e società, senza dimenticare l’esplorazione di linguaggi artistici emergenti ed innovativi. 

NEB, che è partito nell’autunno del 2020, si estenderà per tutti gli anni Venti con l'obiettivo di dare vita al Green Deal europeo.

Oltre a MEET, i partner di New European Bauhaus sono: Aalto University (Finlandia); ACE: Architects’ Council of Europe (Belgio); Active House Alliance (Belgio); Ars Electronica (Austria); BEDA: The Bureau of European Design Associations (Belgio); conexiones improbables (Spagna); ELIA (Paesi Bassi); Elisava (Spagna); Europa Nostra (Belgio); European Youth Form (Belgio); Fundació Mies van der Rohe (Spagna); German Design Council (Germania); Metropoli (Spagna); New European Bauhaus Collective (Belgio); ONCE Social Group (Spagna); PPNT Gdynia | Design Centre (Polonia); Rio Neiva (Portogallo); Silicon Vilstal (Germania); The Mayor.EU (Bulgaria); TREBE (Spagna); Triennale Milano (Italia).

MEET (www.meetcenter.it) è il centro internazionale per la cultura digitale di Milano. Nato con il supporto di Fondazione Cariplo, vuole contribuire a colmare il divario digitale italiano nella convinzione che l’innovazione sia un fatto culturale, prima ancora che tecnologico. Oltre al ciclo di incontri Meet the Media Guru con i protagonisti dell’innovazione mondiale, MEET promuove programmi di cross-fertilizzazione fra creativi digitali ed imprese, azioni e percorsi dedicati all’innovazione per la cultura, progetti espositivi ed allestimenti site-specific per istituzioni italiane ed internazionali. Uno spazio di 1500mq che Carlo Ratti Associati ha reinterpretato a partire dal concept del centro di cultura digitale lavorando sull'idea di fluidità, interconnessione e partecipazione. Lo spazio accoglie al suo interno anche la Cineteca di Milano, che firma un palinsesto autonomo di rassegne e proiezioni dedicate al cinema contemporaneo internazionale. Main partner di MEET è Intesa Sanpaolo. Sono partner del centro di cultura digitale Artemide, Mediatrade e George Brown College di Toronto. 

 

FDN FondazioneLive03 02 Banner

 

FRAME TO FRAME  UNA SETTIMANA (DIGITALE) DEDICATA AL CINEMA SPERIMENTALE

Ogni giorno la Fondazione condividerà con il suo pubblico una newsletter i cui contenuti sono messi insieme grazie al coinvolgimento di vari film festival ed istituzioni nazionali e internazionali.


2 / 2
 
 
 
 

19.03.2021 – 26.03.2021

Rassegna digitale che presenta tramite newsletter dedicata i linguaggi contemporanei del cinema sperimentale.

In collaborazione con Trento Film Festival, Vienna Independent Shorts, In Between Art Film, IFFI, Lago Film Fest, Diametrale, Schermo dell’Arte, Sixpackfilm.

26.03.2021 ore 18.00

Lezione online con Christoph Huber (curatore Filmmuseum, Vienna) e Mark Toscano (Film preservationist, Los Angeles)

Il link per la lezione online verrà condiviso sul sito della Fondazione nella pagina dedicata all'appuntamento.

Fondazione Antonio Dalle Nogare propone FRAME TO FRAME, kermesse digitale dedicata al cinema sperimentale e ispirata alla mostra TIME OUT del pioniere dell’animazione Robert Breer, attualmente in corso presso la Fondazione.

La kermesse durerà un’intera settimana, dal 19 al 26 marzo 2021. Ogni giorno la Fondazione condividerà con il suo pubblico una newsletter i cui contenuti sono messi insieme grazie al coinvolgimento di vari film festival ed istituzioni nazionali e internazionali quali Trento Film Festival, Vienna Independent Shorts, In Between Art Film, IFFI, Lago Film Fest, Diametrale, Schermo dell’Arte, Sixpackfilm.

Ogni newsletter vede il coinvolgimento di un singolo festival che sarà invitato, sotto forma di intervista, a presentare la propria realtà ed offrire un piccolo approfondimento sui i linguaggi sperimentali contemporanei.

FRAME TO FRAME si concluderà dopo l’intera settimana di presentazioni e di approfondimenti, con una lezione online nella giornata del 26 marzo 2021. Al contrario dei contenuti offerti dai vari Festival coinvolti, più focalizzati su aspetti del contemporaneo, la lezione sarà invece un’approfondimento sulla storia del cinema sperimentale: Christoph Huber, curatore presso il Filmmuseum Vienna e Mark Toscano, restauratore di film di Los Angeles, porteranno gli ospiti virtuali alla scoperta delle origini del cinema sperimentale, dal dopoguerra in Europa agli anni 70 negli Stati Uniti, mostrando moltissimi esempi dell’avanguardia di un tempo.

 

 

VERITà

 

RITORNO AL MONTE VERITÀ

La Fondazione Monte Verità presenta una serie di appuntamenti strettamente connessi alla storia e alla natura del luogo, con uno sguardo al futuro e alla ricerca degli artisti contemporanei.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
2 / 2
 
 
 
 

Con un programma tutto dedicato all’Arte, il Monte Verità di Ascona – nato nel luogo del Canton Ticino in cui tra Otto e Novecento si stabilì una comunità alternativa frequentata da teosofi, riformatori, anarchici, comunisti, socialdemocratici, psicoanalisti, scrittori e artisti, tra le menti più brillanti di tutta Europa – giovedì 1 aprile riapre al pubblico. Anche se l’anno in corso presenta ancora molte incognite, la Fondazione Monte Verità presenta una serie di appuntamenti strettamente connessi alla storia e alla natura del luogo, con uno sguardo al futuro e alla ricerca degli artisti contemporanei.

Giovedì 1 aprile il Monte Verità aprirà le sue porte con un appuntamento speciale, atteso dallo scorso anno: tornerà alla luce il Chiaro mondo dei beati, il grande polittico di Elisàr von Kupffer (1872-1942) esposto nel Padiglione Elisarion, che suggella il completamento del Complesso museale dopo un importante restauro ritardato dalla pandemia. Circa 9 metri di tela circolare per un dipinto panoramico che immerge il visitatore nella poetica di un artista unico nel suo genere, inserito nel contesto della collina asconese grazie alla lungimiranza e alla visione del celebre curatore Harald Szeemann.

A seguire, nel mese di maggio, tornerà il momento dedicato a Giardini in Arte, rassegna simbolo della stretta unione tra arte e natura, che caratterizza l’attività di Monte Verità sin dalla sua nascita. Protagonisti di questa edizione quattro artisti italiani e svizzeri – Francesca Gagliardi, Marco Cordero, Johanna Gschwend e Moritz Hossli – che dopo una residenza nell’estate 2020 presenteranno una serie di lavori ispirati agli umori e l'identità del luogo.

Partendo da trine e ricami, Francesca Gagliardi realizzerà scudi in bronzo e alluminio, allegoria di una femminilità forte e volitiva, e una scultura monumentale a forma di rossetto, feticcio totemico che allude alla fragilità della bellezza e alla caparbia fermezza femminile. Marco Cordero ha realizzato un calco della celebre roccia affacciata sul Lago Maggiore, uno dei punti magnetici del Monte Verità, e quello di una parete di pietra, prelievo semantico di una porzione di natura. Inoltre, nella biblioteca del barone von der Heydt, l’artista modificherà lo spazio con volte di libri cuciti, scavati, scolpiti, mattoni di un’architettura di carta.

Johanna Gschwend e Moritz Hossli presenteranno un video del dialogo aperto tra il lavoro di Gagliardi e Cordero e l’ambiente circostante, documentando il loro avvicinamento allo spirito originale del Monte Verità. Infine con l’installazione Monte, Johanna Gschwend inviterà il visitatore a deporre piccoli pezzi di corteccia su un nastro mobile, partecipando alla costruzione di un piccolo cumulo, allegoria del monte e della sua genesi.

Sempre a maggio Monte Verità ospiterà – nell’ambito di un progetto espositivo curato dal Museo Comunale di Ascona – una nuova versione del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, realizzata con le pietre della collina, che l’artista donerà poi al Monte. Tra le opere ambientali più conosciute del grande artista, il Terzo Paradiso troverà in questo luogo la perfetta espressione del concetto di infinito e di incontro tra natura e artificio.

I primi di luglio Fabrizio Dusi – autore che spazia dal linguaggio della scultura a quello del neon – porterà sul Monte Verità un nucleo importante di opere site-specific ispirate ai temi iconici dell'ideale monteveritano del paradiso anarchico. Neon, ceramiche e forme in alluminio punteggeranno alcuni spazi interni ed esterni con parole-simbolo: LIBERI, ANARCHY, UTOPIA, oltre a immagini evocative di un ritorno allo stato di natura.

Nel cuore del parco la coppia Eva e Adamo si ricollegherà al ciclo pittorico Giardino dell’Eden nella sala congressi: una narrazione di circa 7 metri con scene tipiche della vita della colonia, fra girotondi, danze, bagni di sole, con un evidente rimando visivo al Il Chiaro Mondo Dei Beati del Padiglione Elisarion. Alcune di queste opere resteranno patrimonio della Fondazione Monte Verità.

Ad agosto, inoltre, il Cabaret Voltaire si trasferirà al Monte Verità per un fine settimana di performance e letture sceniche con artisti internazionali, tornando alle origini del filo ideale che univa Zurigo e Ascona alla nascita del movimento Dada.

Nonostante le incertezze e le necessarie limitazioni, il programma 2021 comprenderà anche appuntamenti di riflessione e di approfondimento, in presenza e online: dall’omaggio a Joseph Beuys nel centenario dalla sua nascita agli incontri dedicati a figure femminili di Casa Anatta, come la Baronessa Saint Léger, Olga Fröbe Kapteyn e Charlotte Bara, protagonista in primavera anche di un’esposizione al Castello San Materno.

Tornerà al Monte Verità anche Stefania Mariani, con una passeggiata teatrale nella natura, in cui lo spettatore sarà protagonista di un’esperienza immersiva.

“Gli ultimi dodici mesi sono stati complessi anche per la programmazione delle proposte per il pubblico – sottolinea Nicoletta Mongini, Responsabile Culturale della Fondazione Monte Verità – La nostra bussola è sempre rimasta puntata sul dialogo, sull’incontro e sullo scambio con le persone che, prima possibile, potranno tornare a frequentare il Monte Verità. Le riflessioni e gli stimoli che in questo ultimo anno hanno coinvolto tutti hanno consolidato la nostra consapevolezza di essere in un luogo dove natura, interiorità, spiritualità, arte e bellezza sono stati principi fondativi e mai abbandonati. Speriamo di accogliere nuovi sguardi e di continuare a coltivare lo spirito del Monte”.

 

MONDRIAN composizione 1938 39

 Al via il progetto di studio e conservazione sull’opera di Piet Mondrian

La Collezione Peggy Guggenheim annuncia l’inizio del progetto di studio e conservazione sull’opera di Piet Mondrian Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
2 / 2
 
 
 
 

Nell’attesa che le sale di Palazzo Venier dei Leoni possano tornare ad accogliere i visitatori, la Collezione Peggy Guggenheim annuncia l’inizio del progetto di studio e conservazione sull’opera di Piet Mondrian Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939 (1938 – 1939), che verrà avviato nel corso del mese di marzo dal dipartimento di conservazione del museo. Tra le opere più amate dal pubblico, Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939 ha la capacità di catturare lo sguardo dell’osservatore grazie all’equilibrio armonico dato dal ritmo e dalla purezza delle forme e dall’intersezione tra linee orizzontali e verticali.

Dopo il restauro di Alchimia (1947) di Jackson Pollock, de Lo studio (1928) di Pablo Picasso e della Scatola in una valigia (1941) di Marcel Duchamp, sarà quindi un’altra icona dell’arte del XX secolo appartenente alla collezione di Peggy Guggenheim a essere presa in esame. Lo studio dell’opera è fondamentale per una piena comprensione dei materiali e delle tecniche adottate da Mondrian, e ripercorrere le tappe storiche della sua conservazione è un ulteriore elemento-guida in vista di un possibile intervento di restauro.

Il doppio titolo rimanda a una rielaborazione dell’opera da parte dell’artista. L'indagine scientifica determinerà la posizione del colore grigio nella prima versione del quadro, Composizione n.1 con Grigio e Rosso del 1938, poi rimosso dall’artista stesso, con il conseguente cambiamento del titolo in Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939. Nel 1943 Max Bill, architetto, designer amico di Mondrian, a cui l’artista mandava spesso immagini dei progressi delle sue opere, fra cui una di Composizione con Rosso, scrive che la prima versione dell’opera includeva un piccolo riquadro grigio in alto a sinistra. Durante una conversazione con Angelica Rudenstine, autrice del catalogo ragionato della Collezione Peggy Guggenheim, è la stessa mecenate americana, che acquisì l’opera nel novembre del 1939, a suggerire che Mondrian avrebbe modificato il dipinto a New York, prima dell’apertura della galleria-museo Art of This Century, nel 1942, e che quindi questo cambiamento si sarebbe potuto verificare fra il 1941 e appunto il 1942. Tuttavia in un riproduzione dell’opera sul London Bulletin del 1939 il quadro sembra già essere stato rielaborato data l’assenza del riquadro grigio. Rimane dunque possibile che Mondrian sia nuovamente intervenuto sull’opera prima dell’inaugurazione di Art of This Century, senza però alterarne drasticamente la composizione come nell’intervento del ‘39. L’artista era solito tornare sui suoi dipinti perfezionando il nero delle linee e le tonalità sottili del bianco.

Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939 è uno dei pochi dipinti su cui l’artista olandese lavorò durante il suo soggiorno di due anni a Londra, tra il 1938 e il 1940, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Sono anni in cui Mondrian cerca di abbandonare il più possibile la sua soggettività. Questa necessità può portare a interpretare la semplicità delle opere di questo periodo come una risposta alle ulteriori complicazioni di quell’epoca. In questa luce, il dipinto assume una grande importanza storica, quale manifesto dell’estetica semplificata del Neo-plasticismo. Si tratta di fatto di una delle composizioni più riduttive dal punto di vista cromatico, severa e austera e, allo stesso tempo, opera intuitiva e schema astratto di incertezza e ricerca dell’ordine in uno dei periodi più difficili della nostra storia.

È proprio a Londra, nel 1938, che Peggy Guggenheim rimane affascinata dal lavoro di Mondrian, tanto che l’artista diviene uno dei principali punti di riferimento della cerchia degli avanguardisti che costellano la vita della collezionista. Numerosi sono gli aneddoti che caratterizzano il loro singolare rapporto di amicizia, come la passione di Mondrian per il ballo, sebbene l’artista avesse all’epoca già settant’anni, ascoltare il jazz e partecipare a eventi mondani e feste, come racconta la mecenate stessa nella sua autobiografia Una vita per l’arte (Rizzoli Editori, Milano, 1998).

Il progetto di studio interdisciplinare sarà coordinato da Luciano Pensabene Buemi, conservatore della Collezione, che eseguirà il restauro dell’opera e supervisionerà la collaborazione con l’ISPC, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, e SCITEC, Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche del CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, che saranno coinvolti con le tecnologie più avanzate messe a punto per lo studio non invasivo della tela in situ. Le analisi scientifiche consentiranno l'identificazione dei materiali e delle tecniche impiegate da Mondrian e consentiranno un costante monitoraggio del dipinto durante il restauro. Lo studio coinvolgerà i dipartimenti di conservazione e curatoriale della Collezione Peggy Guggenheim e del Museo Solomon R. Guggenheim di New York. A sovrintendere il progetto saranno Lena Stringari, Deputy Director e Andrew W. Mellon, Conservatore capo della Fondazione Solomon R. Guggenheim, insieme a Gillian McMillan, Capo Conservatore Associato del Museo Solomon R. Guggenheim, apportando al progetto la loro precedente esperienza sulle opere di Mondrian. Lo studio comparativo con dipinti dell’artista non sottoposti a restauro e il dialogo con esperti del settore, inclusi curatori, storici dell'arte, conservatori e scienziati, saranno cruciali per questo progetto. Tale ricerca, insieme al dialogo interdisciplinare, garantiranno il restauro, ben meditato e consapevole delle problematiche connesse, di un capolavoro dell’arte del Novecento come appunto Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939.

 

pistoia

 

Pistoia Musei, progetto della Fondazione Caript, entra nel Sistema Museale Nazionale

Qualificati per la prima volta come musei di rilevanza regionale Palazzo de’ Rossi, Palazzo Buontalenti e l’Antico Palazzo dei Vescovi.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
2 / 2
 
 
 
 

Con decreto regionale n. 3670 del 10 marzo 2021 tre sedi del sistema museale della Fondazione Caript – denominato Pistoia Musei e attualmente composto da Palazzo de’ Rossi, Palazzo Buontalenti e dall’Antico Palazzo dei Vescovi – hanno ottenuto la qualifica di musei di rilevanza regionale per l’annualità 2020 e, di conseguenza, l'accreditamento al Sistema Museale Nazionale, la rete tra i luoghi di cultura più importanti d'Italia.

Un riconoscimento ambito e importantissimo, un’opportunità di crescita e di miglioramento che certifica la qualità e l’organicità del progetto museale della Fondazione Caript inaugurato nel 2019, premiando l’intenso lavoro svolto in così breve tempo, e nel contesto del Piano Strategico della Cultura di Pistoia.

La procedura ha richiesto la compilazione del questionario online (sullo spazio della Regione Toscana all’interno della Piattaforma del Ministero Beni Attività Culturali e Turismo MiBACT, oggi MiC) relativo alla disponibilità dei requisiti tecnici necessari per il riconoscimento della qualifica di museo di rilevanza regionale, nonché per l’ingresso nel Sistema Nazionale Regionale.

Dei 37 musei toscani che hanno fatto istanza, 30 hanno completato la domanda e, di questi, solo 6 hanno ottenuto un punteggio pari a 80/100 – tra cui appunto l’Antico Palazzo dei Vescovi, Palazzo de’ Rossi e Palazzo Buontalenti – condizione necessaria e indispensabile per l’accreditamento.

L’accreditamento, infatti, avviene solo se i musei dimostrano di rispondere a precisi standard (Livelli uniformi di qualità) e di perseguire obiettivi di miglioramento, articolati in tre ambiti: organizzazione, collezioni, comunicazione e rapporti con il territorio.

Tra i tanti requisiti che un museo deve possedere per poter aderire al Sistema Museale Nazionale vi sono la capacità di garantire un orario minimo di apertura, la programmazione di attività espositive e di ricerca, la cura e la catalogazione delle collezioni, la promozione di progetti educativi e didattici, la realizzazione di pubblicazioni e di eventi culturali, oltre alla presenza di figure professionali specializzate e a un’adeguata comunicazione delle proprie attività.

Aderendo al Sistema Museale Nazionale, Pistoia Musei entra a far parte di una rete composta da quasi 5.000 musei e luoghi della cultura italiani, un sistema che fa capo alla Direzione generale Musei del Ministero della Cultura e che ha l’obiettivo di creare una governance del patrimonio improntata alla sostenibilità, all’innovazione e alla partecipazione, coinvolgendo non solo i musei dello Stato, ma anche le strutture di proprietà regionale, comunale, e privata.

Lorenzo Zogheri, presidente della Fondazione Caript, commenta così: “L’accreditamento ottenuto, oltre a costituire un importante riconoscimento dell’impegnativo lavoro fin qui svolto, determinerà un’importante valorizzazione del nostro patrimonio artistico e una conseguente maggiore attrattività del nostro territorio, grazie alla possibilità, garantita dall’accreditamento della Regione Toscana e dalla partecipazione al Sistema Museale Nazionale, di formulare un’offerta culturale più qualificata per il suo collegamento con importanti realtà di rilevanza regionale, nazionale e internazionale”.

 

 

CASCINA I.D.E.A

 

CASCINA I.D.E.A. programma 2021

Primo appuntamento a maggio 2021 con Dolls and Goddesses, mostra personale di Vanessa Safavi.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
2 / 2
 
 
 
 

Il nuovo progetto di Nicoletta Rusconi Art Projects, ispirato a un rinnovato rapporto con la Natura, alla sperimentazione e alla contaminazione tra discipline, presenta nuove mostre, installazioni site specific e collaborazioni. Primo appuntamento a maggio 2021 con Dolls and Goddesses, mostra personale di Vanessa Safavi.

Aperta nell’estate 2020 come evoluzione di Cascina Maria – primo esperimento di residenza d’artista ideato nel 2017 da Nicoletta RusconiArt Projects – CASCINA I.D.E.A. annuncia la programmazione 2021 per gli spazi di questo complesso rurale immerso nella campagna piemontese e trasformato in luogo dedicato all’arte e agli artisti, sempre all’insegna della sperimentazione e del dialogo tra discipline diverse.

Con Dolls and Goddesses, mostra personale di Vannessa Safavi (Losanna, 1980) che prenderà forma dalla residenza dell’artista all’interno della cascina tra aprile e maggio 2021, dal 16 maggio 2021 inaugurano le nuove attività espositive, che proseguono a settembre 2021 con la mostra di Thomas De Falco (1982), artista in residenza da giugno 2021.

Dolls and Goddesses esplora, con umorismo e senso di provocazione, l'addomesticamento degli stereotipi di genere, analizzando le possibilità scultoree della rappresentazione del corpo e mettendo in discussione la relazione con la malattia, la sessualità e l'identità.

In mostra una serie di ceramiche smaltate che rappresentano seni di donne: opere ispirate agli ex voto, offerte votive che, in diverse culture e religioni, rappresentano frammenti di corpo di cui si chiede la guarigione. Accanto a queste, una serie di nuovi lavori realizzati combinando dettagli di mani – unghie, dita – in ceramica smaltata e grandi dipinti in silicone.

Nel corso del 2021 alcune collaborazioni con artisti e gallerie porteranno negli spazi della cascina nuove opere e installazioni, come i lavori di Paul Gees e Marco Andrea Magni con Loom Gallery, e le opere di Paolo Parisi con BUILDING Gallery.

Gli spazi esterni di Cascina I.D.E.A., caratterizzati dagli interventi permanenti site specific di Letizia Cariello e Giulia Dall'Olio, insieme a Country Unlimited – il grande spazio esterno in cui gli artisti presentano sculture e installazioni pensate per l’ambiente – restituiscono ulteriormente non solo la volontà di allontanarsi da modalità tradizionali delle istituzioni per le arti visive e quella di essere un luogo di reale sperimentazione e libertà, ma anche il senso di “fucina” di questo spazio, capace di creare una relazione osmotica tra contenitore e contenuto.

Espressione dell’anima della sua ideatrice Nicoletta Rusconi, collezionista e mecenate il cui percorso nel sistema dell’arte è in continua evoluzione, Cascina I.D.E.A. è sostenuta da un’associazione composta da critici, collezionisti, studiosi, che la affiancano nella gestione di nuovi progetti come l’edizione pugliese di Cascina I.D.E.A. che vedrà la luce a giugno del 2021 con la residenza del duo artistico Genuardi/Ruta..

“Cascina I.D.E.A. con i suoi progetti sottolinea continuamente la sua evoluzione, la volontà di sostenere la pura sperimentazione, sciogliendo i confini tra le discipline, ospitando esperimenti artistici – sottolinea Nicoletta Rusconi. Questi spazi rurali riportano gli artisti en plein airo ffrendo un'alternativa valida ai white cube, perché oggi più che mai un ritrovato rapporto con la Natura può fornire nuovi stimoli e dar vita a forme dai nuovi significati.”