Mostre

 



art week

Carol Rama, Bricolage, 1964, Artigli di animale guazzo e inchiostro di china su carta 455x355 cm collezione privata Torino.

 

“SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” a Casa Testori

Il percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e aggiunge un tassello alla storia scritta da molteartiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità. 

Dopo l’esperienza della mostra “Libere Tutte” del 2019, Casa Testori continua il percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e aggiunge un tassello alla storia scritta da molteartiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità.

“SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” dal 3 aprile al 25 giungo presenta sei giovani personalità artistiche nate tra il 1985 e il1995, chiamate a relazionarsi con una grande figura del recente passato, Carol Rama. Al centro dei lorolavori c’è la relazione con il corpo che diventa terreno proprio dell’espressione artistica. Nelle stanze di CasaTestori entrano opere potenti e talvolta provocatorie che insistono su esperienze soggettive, criticando ladolorosa eredità del sessismo, della violenza e di altre strutture di potere della cultura contemporanea.

Sono lavori che forniscono nuove e preziose intuizioni sia sull’arte storica che su quella contemporanea. Lamostra è concepita come fosse una pièce teatrale, grazie all’aiuto di una vasta gamma di mezzi tra cuidipinti, sculture, performance, disegni e fotografie. Un ottavo protagonista entra poi in scena, il padrone dicasa Giovanni Testori, con una serie di grandi disegni della metà degli anni ‘70 che hanno per soggetto ilcorpo femminile.

A cura di Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi, la mostra porta nelle stanze della dimora di Novate Milanese oltre a Carol Rama e Giovanni Testori, le opere di Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, Giorgia Ohanesian Nardin, Iman Salem.

Intrecciando l’erotismo della pittura di Iva Lulashi, la sensualità delle fotografie di Binta Diaw, le deformatefigure di Zehra Doğan, le sculture o sfingi di Margaux Bricler, figure animalesche, femminili e demoniache, lalunga performance dal vivo di Giorgi Ohanesian Nardin a e le fotografie di Iman Salem, con le opere storiche di Carol Rama e di Giovanni Testori, la mostra mette in scena racconti in cui si mescolano carnalità e passione. Il corpo nell’essere rappresentato si oggettualizza: in tale meccanismo è insita la critica diretta nonsolo ai cliché visivi a cui siamo abituati, ma anche alle modalità di fruizione da essa generate.

Le giovani personalità artistiche invitate, evidenziando l’impegno in chiave di rivendicazione del corpo e andando oltre l’eredità storica del femminismo, hanno sviluppato opere di grande intensità, generando un incontro-scontro che trova ulteriore riflessione laddove ogni elemento presente è frammento di corpo su un palcoscenico vuoto. Questi frammenti di opere-corpo permettono di ottenere equilibri di notevole intensità formale ed estetica molto coinvolgenti per i visitatori. La mostra è nata dalla suggestione delle parole impresse sull’invito che, nel 1995, l’artista afro-americana Kara Walker realizzò per la sua prima personale a New York alla galleria Wooster Gardens/Brent Sikkema,“The High and Soft Laughter of the “Negress” Wenches at Night”, che recitavano così: «Non perdetevil’incredibile “storia di carta” di una negra in schiavitù che narra la sua straordinaria fuga verso la libertà». Parole, queste, messe in relazione a quelle di un articolo che Giovanni Testori scrisse nel 1979 per la primapagina del Corriere della Sera, “La vergogna dello stupro”: «Non vorremmo che, come va succedendo peraltre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse, insomma, per abituare l’uomo a ciò che non è umano. L’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo; ad esso sta inducendolo la spinta negativa chevuol ridurlo a “cosa”. Ora il punto d’arrivo di questo rischio non potrà essere una nuova coscienza, ma il buio e la notte che s’aprono sulla coscienza eliminata o distrutta».

Progetto

Le stanze al piano terra di Casa Testori sono dedicate a opere site-specific di Margaux Bricler, Binta Diaw,Zehra Doğan e Iva Lulashi. Per l’inaugurazione Giorgia Ohanesian Nardin con Iman Salem daranno vita a unaperformance che sarà documentata in mostra dagli scatti fotografici live realizzati da Iman Salem. Alle paretidel grande salone, un omaggio all’artista Carol Rama il cui lavoro si è dimostrato prezioso riferimento permolte artiste contemporanee, in particolare per la sua visione moderna della femminilità e per il suo mododi rappresentare, fin dagli anni Trenta, il proprio corpo, insofferente rispetto alle costrizioni e alle ipocrisie borghesi. Lavori intensi degli anni Sessanta che celebrano un’identità raffinata e animalesca insieme, e che hanno anticipato un nuovo sentire: materiali come gomme, occhi di vetro, pelli, peli e unghie sono elementi che ricorrono in queste sue opere, vere messe in scena della propria identità.

I miei lavori – disse l’artista nel 1997 rispondendo a una domanda di Corrado Levi - piaceranno moltissimo a quelli che hanno sofferto, e che dalla sofferenza non hanno saputo cavarsela… perché avendo avuto unamadre in clinica psichiatrica ed essendomi anch’io sentita bene in quell’ambiente lì… perché ho iniziato inquel modo lì ad esser con dei gesti e dei modi senza preparazione né culturale, né di etichetta… credo che tutti quanti ameranno di più quei gesti, perché sono gesti che, per delle ragioni che non oso dire, appartengono a tutti… perché la follia è vicina a tutti… e c’è assolutamente chi la nega… e chi la nega è soltanto un folle, malinconico, triste, inavvicinabile… perché è come la cultura; la cultura è un privilegio, che avrei potuto farlo anch’io… però mi sono sentita sempre più duttile al disegno, a un quadro, una storia, a una composizione.

Un ambiente al piano terra permetterà di guardare le opere solo dall'esterno, attraverso un foro. All’interno vengono presentati alcuni lavori che Giovanni Testori realizzò nel 1975 e che espose alla Galleria del Naviglio di Milano: grandi carte a grafite, con close up su soggetti anatomici femminili. La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione della Galleria del Ponte, Torino e Prometeogallery,Milano.

Info

Casa Testori, Largo Angelo Testori, 13, 20026 Novate Milanese MI

3 aprile - 25 giugno 2022

INAUGURAZIONE: 2 aprile 2022 dalle 16.00 alle 19.00ORARI DI APERTURA: martedì – venerdì: 10.00-13.00; 14:30-18.00 | sabato: 14:30-19:30 | domenica e lunedì: chiuso

www.casatestori.it | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | tel. +39.02.36586877

INGRESSO: GRATUITO (Obbligo di green pass rafforzato e mascherina)

 



paolini

Giulio Paolini, Studio per "Interno metafisico", 2021 © Giulio Paolini. Foto Luca Vianello. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

 

Museo Novecento presenta Filippo de Pisis. L’illusione della superficialità Giulio Paolini. Quando è il presente? Luca Vitone. D’après (De Pisis – Paolini)

Tre mostre, tre artisti, tre generazioni a confronto in un gioco di incastri e rimandi fatto di coincidenze iconografiche, strategie concettuali e passioni artistiche e letterarie.

Tre mostre, tre artisti, tre generazioni a confronto in un gioco di incastri e rimandi fatto di coincidenze iconografiche, strategie concettuali e passioni artistiche e letterarie: Filippo de Pisis, Giulio Paolini e Luca Vitone si incontrano al Museo Novecento in un dialogo a tre voci, all’interno di un progetto espositivo a partire dal 18 marzo e fino al 7 settembre 2022.

La nuova stagione di mostre propone un progetto espositivo sorprendente e del tutto originale, che consente di approfondire la conoscenza di tre artisti apparentemente molto diversi tra loro, rileggendone la produzione a partire da una prospettiva inedita. Tre mostre personali, separate ma interconnesse, che danno vita a un gioco di specchi e di confronti tematici.

Qualcosa accomuna il percorso artistico di Filippo Tibertelli de Pisis (Ferrara, 1896 – Milano 1956), eclettico pittore e letterato ferrarese, e quello di Giulio Paolini (Genova, 1940), uno dei grandi protagonisti dell’arte italiana e internazionale dagli anni Sessanta ad oggi. Le loro opere funzionano come rebus e allegorie, gli oggetti e gli elementi che compongono il loro repertorio visivo vanno decifrati per entrare nel gioco misterioso e spiazzante dell’arte, il cui significato ultimo rimane comunque inafferrabile. Molti dei lavori sia di De Pisis sia di Paolini sono un continuo andare e venire nella storia dell’arte. Ecco allora invocate opere di autori appartenenti ad epoche passate o contemporanee: quadri all’interno di quadri, catene di riferimenti iconografici e di amori figurativi, che vanno da Poussin a Chardin, da El Greco a Goya, da De Chirico all’arte classica. Se in un dipinto di De Pisis scopriamo evocate le fattezze di Antinoo, in Paolini il canone di bellezza classica ritorna attraverso un calco in gesso di una scultura di Policleto. Pur appartenendo a due stagioni dell’arte distanti, nei due artisti si riscontrano molteplici assonanze. Come in De Pisis, anche in Paolini presentare lo studio dell’artista o gli strumenti del pittore, è un modo per parlare del gioco dell’arte e del mondo delle immagini. Nelle loro opere De Pisis e Paolini combinano ricordo e memoria, leggerezza e malinconia, eludendo costantemente la cronaca e l’appiattimento sulla realtà fenomenica. Non ultimo, è importante notare come entrambi abbiano affidato il proprio immaginario e i propri sentimenti e pensieri alla scrittura, in particolare alla poesia.

La mostra Filippo De Pisis. L’illusione della superficialità, nata da un’idea di Sergio Risaliti, co-curata con Lucia Mannini e organizzata in collaborazione con l’Associazione per Filippo De Pisis, ospiterà oltre quaranta opere del pittore e letterato ferrarese al primo piano del Museo Novecento. Accusato spesso di perseguire una pittura dalla “superficialità decorativa” di matrice neo-impressionista – per via della pennellata rapida e leggera e dei piacevoli accostamenti cromatici – De Pisis ha invece costruito molti dei suoi maggiori dipinti tramite un gioco di rimandi e riferimenti, autobiografici e culturali. L’esposizione, nata da un’attenta rilettura della critica, a partire da Francesco Arcangeli fino a Paolo Fossati, intende sottolineare questa complessità attraverso un’attenta e studiata selezione di opere nelle quali l'artista ha adottato espedienti che anticipano, in fondo, quelli dell’arte concettuale degli anni Sessanta. La magica e misteriosa sospensione tra realtà e irrealtà è protagonista delle nature morte di De Pisis anche quando è una tela vuota a sollecitare nell’osservatore una riflessione, invitandolo a indagare più in profondità il senso delle cose esibite in un dipinto e andando oltre la piacevolezza visiva della sua pittura.

Tra i grandi maestri dell’arte italiana del Novecento, Giulio Paolini è il protagonista di un progetto espositivo inedito, che riunisce opere della sua produzione più recente in dialogo con l’architettura rinascimentale delle sale al piano terra del Museo Novecento. Il titolo della mostra, Quando è il presente?, a cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti, è ripreso da una lettera scritta nel 1922 da Rainer Maria Rilke a Lou Andreas Salomè, da cui Giulio Paolini trae spunto per condurre una propria meditazione sul tempo e sulla nostra impossibilità di afferrarlo, combinando gli interrogativi sul ruolo dell’arte e la figura dell’artista con quelli sull’esistenza e il suo fluire. Come sempre nella sua produzione, Giulio Paolini ricorre a un vasto repertorio di riferimenti letterari, mitologici e filosofici, richiamati attraverso la riproduzione fotografica, il collage e il calco in gesso, cui fanno da pendant allestimenti articolati e compositi, imperniati su citazioni, duplicazioni e frammentazioni, per dar vita a un teatro dell’evocazione. I lavori di Paolini chiamano in causa gli strumenti del fare artistico, la figura dell’autore e il suo rapporto con l’opera e con l’osservatore, in una ricerca che trae nutrimento dalla storia stessa dell’arte: dalla nascita della prospettiva rinascimentale alla sopravvivenza del mito nell’iconografia, fino al perpetuarsi dei modelli classici e al ritorno della sospensione temporale tipica della metafisica di de Chirico. Lo stesso Paolini ha più volte dichiarato il suo amore incondizionato per il Beato Angelico, eleggendo il Museo di San Marco di Firenze a suo museo ideale. In occasione di questa mostra, l’artista torinese ha realizzato un collage incorniciato allestito su un cavalletto, ispirato al celebre affresco del Noli me tangere conservato all’interno del convento di San Marco. L’opera sarà esposta proprio all’interno della cella omonima di fronte al dipinto del frate domenicano.

De Pisis e Paolini costituiscono due importanti riferimenti per Luca Vitone, che entra nella costruzione del progetto espositivo continuando questa mise en abyme con una serie di opere site-specific all’interno della mostra D’après (De Pisis – Paolini). Mentre un dipinto di De Pisis dà modo a Vitone di elaborare una scultura olfattiva il cui profumo pervade una stanza del museo, opera realizzata in collaborazione con Maria Candida Gentile e ispirata alla tela Il gladiolo fulminato, conservato a Ferrara e volutamente non presente in mostra, nell’altro caso Vitone ha recuperato dallo studio di Giulio Paolini della polvere, diventata materiale pittorico per realizzare un acquarello che attraverso questo espediente vuole mettere in scena l’atelier dell’artista. L’operazione di Vitone si completa con una doppia installazione all’interno dello spazio espositivo che ospita la mostra dedicata a De Pisis. In una delle prime sale il visitatore scoprirà un erbario che allude agli interessi botanici del ferrarese, che amava anche definirsi naturalista, entomologo e miniaturista. Nello stesso spazio vi si potrà imbattere in un pupazzo, le cui fattezze ritraggono Vitone. Il medesimo meccanismo di traslazione o transfert è testimoniato da un fantoccio di pezza che appare in una foto di De Pisis nel suo studio, documento d’archivio utilizzato da Vitone per realizzare una carta da parati che fascerà nella sua totalità le sale espositive al primo piano del museo. Su questa carta da parati saranno esposte le opere di De Pisis presenti in mostra, in un allestimento straniante che alimenta il gioco evocativo e concettuale dell’intero progetto espositivo.

Tre mostre che creano un dedalo di riferimenti e di connessioni tra un universo artistico e l’altro, e che trasportano lo spettatore in “teatro dell’evocazione”.

 



art week

 

LA COLLEZIONE IMPERMANENTE #3.0

Presentano al pubblico una ricca selezione di opere del patrimonio del museo realizzate da autori di generazioni diverse, dagli anni Novanta a oggi.  

LA COLLEZIONE IMPERMANENTE #3.0

a cura di Sara Fumagalli,Valentina Gervasoni e A. Fabrizia Previtali

11 marzo 2022 – 8 gennaio 2023

Terzo capitolo del ciclo La Collezione Impermanente, la mostra inaugura le celebrazioni dedicate ai trent'anni della GAMeC presentando al pubblico una ricca selezione di opere del patrimonio del museo realizzate da autori di generazioni diverse, dagli anni Novanta a oggi. 

L'esposizione è un display fluido che da un lato si prefigge di approfondire temi che hanno attraversato la storia dell’arte degli ultimi trent’anni, partendo dalle opere della Collezione organizzate in una serie di allestimenti tematici, con l’intento di creare collegamenti inediti e rivelare contrasti e risonanze inaspettate; dall’altro intende porre l’accento sull’impermanenza, intesa come apertura a nuove possibilità e prospettive future.

La mostra lavora anche sulla temporaneità, sottolineando il carattere non definitivo delle sue narrazioni grazie a riallestimenti ciclici nel corso dell’esposizione, accanto a nuove presentazioni e interventi di giovani artisti chiamati a dialogare con le opere del museo.

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ARTISTI IN MOSTRA

Giorgio Andreotta Calò, Cory Arcangel, Carlo Benvenuto, Ruth Beraha, Filippo Berta, Mariella Bettineschi, Stefano Boccalini, Pol Bury, Maurizio Cattelan, Bruno Ceccobelli, Isabelle Cornaro, Mario Cresci, Berlinde De Bruyckere, Latifa Echakhch, Ettore Favini, Gianfranco Ferroni, Roland Fischer, Anna Franceschini, Giuseppe Gabellone, Gelitin, Rochelle Goldberg, Renaud Jerez, Roberto Kusterle, Sol LeWitt, Lorenza Longhi, Iva Lulashi, Kris Martin, Nicola Martini, Eva e Franco Mattes, Ryan McGinley, Nunzio, Ken Okiishi, Ornaghi&Prestinari, Aitor Ortiz, Yan Pei-Ming, Cesare Pietroiusti, Pablo Reinoso, Antonio Rovaldi, Namsal Siedlecki, Ettore Spalletti, Priscilla Tea, Jol Thoms, Josh Tonsfeldt, Remco Torenbosch, Federico Tosi, Sislej Xhafa, Chen Zhen.

 

DANCING PLAGUE

PREMIO LORENZO BONALDI PER L’ARTE - ENTERPRIZE

XI EDIZIONE

a cura di Panos Giannikopoulos

11 marzo - 29 maggio 2022

Il curatore greco porta al museo il progetto vincitore della XI edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte - EnterPrize che mette in dialogo storia europea, colonialismo e pandemia attraverso le opere di Benni Bosetto, Ufuoma Essi, Klaus Jürgen Schmidt, Lito Kattou, Petros Moris, Eva Papamargariti, Konstantinos Papanikolaou, Mathilde Rosier, Michael Scerbo ed Elisa Zuppini.

Partendo dall'episodio della Piaga del ballo - fenomeno sociale verificatosi in Europa tra il XIV e il XVII secolo, quando, in una sorta di isteria collettiva, gruppi di persone ballarono ininterrottamente in uno stato di trance per intere settimane - la mostra rivisita questo episodio di contagio e viralità culturali, esaminandone il contesto sociale e di genere, la ricomparsa nei secoli e la somiglianza con avvenimenti accaduti in altri luoghi.

La mostra affronta temi come la teoria queer e la pulsione di morte, la danza come mezzo per creare identità e resistenza culturale per i corpi meno privilegiati, il movimento degli organi essenziali e degli arti trasformato in linguaggio, il ballo come esplorazione e invenzione delle possibilità dei nostri corpi, come mezzo per entrare in relazione con altri corpi e trasformare noi stessi e le persone intorno a noi, come prassi interlinguistica che abbatte i confini sociali e rivela una sorta di consapevolezza che è stata oppressa dall’ordine simbolico.

 



art week

Drawing of a seven years old childKanjipungaman. Paua New Guinea 1953. FCM MUSEC

 

L’INFANZIA DEL SEGNO Disegni di bambini della Nuova Guinea della Collezione Wirz

La mostra è il decimo episodio del fortunato ciclo Dèibambini del Museo delle Culture.  

L’esposizione temporanea «L’infanzia del segno. Disegni di bambini della Nuova Guinea della Collezione Wirz» è il decimo episodio del fortunato ciclo Dèibambini del Museo delle Culture, realizzato all’Heleneum (precedente sede del MUSEC) tra il 2006 e il 2014.

Il trasferimento del MUSEC a Villa Malpensata ha segnato un’interruzione del progetto originario, ma al contempo ha stimolato un ripensamento critico delle sue modalità. Senza rinunciare all’idea di concepire il museo come luogo privilegiato per la generazione di «universi virtuali» a misura di bambino, è stato creato un nuovo punto di partenza: le opere d’arte infantile del passato, da prendere a spunto e a modello per l’elaborazione tematica delle grammatiche espressive.

L’idea è quella di costruire un ponte fra ieri e oggi, attraverso l’esplorazione profonda dei contenuti espressivi di specifiche e puntuali esperienze di creatività infantile. Contenuti che non soltanto interconnettono le culture con una formidabile e sostanziale unitarietà, ma che sono serviti come inesauribile fonte per il rinnovamento dei linguaggi artistici del Novecento.

Sono parole cariche di speranza quelle di Francesco Paolo Campione, Direttore del MUSEC e ideatore del ciclo dedicato alla creatività infantile:

«Il mio più intimo auspicio, nel momento in cui il progetto «Dèibambini» riprende vita, è che il nostro ponte possa essere solido e pieno di poesia, per collegare le generazioni di piccoli artisti attraverso l’uso del disegno, della pittura e della scultura, strumenti alla portata di tutti che permettono un’appropriazione libera e autonoma degli spazi di una fantasia oggi forse fin troppo assediata da una incontenibile invasione della tecnologia».

Come nasce il progetto:

L’infanzia del segno

Nel 1952 l’artista svizzero Dadi Wirz (n. 1931) intraprende un viaggio in Nuova Guinea con il padre Paul, etnologo e collezionista tra i più celebri del Novecento.

Seguendo un progetto che si rifà ad alcune teorie educative del primo dopoguerra, Dadi consegna matite e colori ai bambini che incontra nei villaggi, raccogliendo nel corso di un anno centinaia di disegni. Annota sul retro dei fogli il nome dell’autore e, in diversi casi, anche l’età presunta e il villaggio di provenienza. Nasce così una raccolta unica al mondo, 229 disegni infantili che costituiscono un documento straordinario per interrogare il nostro modo di vedere l’infanzia e interpretare le ragioni profonde della creatività.

I disegni sono stati preziosamente custoditi dall’artista fino al 2020, quando li ha donati al MUSEC, che ne ha assicurato il restauro e la conservazione, secondo moderni principi museologici.

Le opere mostrano forme di base ricorrenti in tutta la produzione grafica infantile, quali: il cerchio, il quadrato, il triangolo e la spirale. Segni che sembrano però acquisire significati originali in relazione allo specifico contesto visivo e culturale di provenienza.

Con l’obiettivo di restituire il valore più profondo del sistema grafico dei «bambini di Wirz», il progetto curatoriale di Anna Castelli e Isabella Lenzo Massei propone un confronto, non soltanto visivo ed emozionale, con due diversi generi artistici. Da una parte le sculture tradizionali dell’area del fiume Sepik (dove vivevano molti dei piccoli artisti), che riallacciano il discorso alle sue fonti storiche. Dall’altra opere di artisti della Nuova Guinea, attraverso i quali poter valutare il significato dei disegni infantili rispetto all’arte contemporanea dell’Isola, che rielabora forme della tradizione iconografica e racconta la complessa interazione culturale tra i nativi della Nuova Guinea e l’Occidente.

La mostra e il catalogo

Sono 79 i disegni di bambini della Nuova Guinea in mostra nello Spazio Maraini di Villa Malpensata, tutti realizzati tra il 1952 e il 1953. Ad accompagnare i disegni di bambini troviamo 7 serigrafie su carta dal Weltkulturen Museum di Francoforte sul Meno realizzate da Timothy Akis (c. 1944–1984) e Mathias Kauage (c. 1944–2003), due artisti della Papua Nuova Guinea che appartengono alla generazione dei piccoli artisti protagonisti della mostra, e 11 opere di arte etnica del Sepik della Collezione Brignoni del MUSEC. Le opere di arte etnica sono esposte sia nello Spazio Maraini, a corredo dei disegni di bambini, sia nello Spazio Tesoro, insieme a una videointervista a Dadi Wirz condotta a fine 2021 da Moira Luraschi e Paolo Maiullari, ricercatori del MUSEC.

Frutto di una lunga ricerca interdisciplinare, il catalogo che accompagna l’esposizione fornisce una preziosa occasione di indagare il nostro modo di vedere l’infanzia e interpretare le ragioni profonde della creatività. La veste grafica di Valeria Zevi è un restyling integrale del progetto grafico originario della collana di Maurice Hoderas.

Il collezionista

Dadi Wirz nasce a Basilea nel 1931; trascorre la sua infanzia e la sua giovinezza in un continuo peregrinare, accanto al padre Paul, etnologo, viaggiatore e collezionista tra i più celebri del Novecento. Negli anni ‘40, anche per sfuggire al clima di guerra, vive a lungo in Sud America, in Sri Lanka e nella Repubblica Dominicana.

Dopo aver conseguito la licenza federale svizzera come fotografo, all’inizio degli anni ‘50 Wirz frequenta l’Académie André Lhote di Parigi, dove ha modo di conoscere, tra gli altri, Calder, Ernst, Giacometti e Arp. Alla fine del 1952, appena ventenne, accompagna il padre in un lungo viaggio attraverso la Nuova Guinea. Da qui, nel 1954, si trasferisce in Brasile, alla ricerca di nuovi linguaggi in grado di stimolare la sua esperienza creativa. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1955, Wirz decide di compiere un secondo e ancora più impegnativo viaggio di ricerca in Nuova Guinea, sentendo urgente la necessità di conoscere e ritrarre un mondo di cui aveva la percezione dell’imminente crepuscolo.

 



art week

 

 

SASHA VINCI "IL GIOCO DELLA DERIVA"

Una performance e un’installazione site specific che l’artista crea appositamente per il chiostro catalano.

Martedì 8 marzo 2022, alle ore 18:30, nel Centro Culturale La Mercé di Girona, in Spagna, si inaugura Il gioco della deriva di Sasha Vinci, a cura di Lara Gaeta, una performance e un’installazione site specific che l’artista crea appositamente per il chiostro catalano.

Il progetto gode del patrocinio del Comune di Girona, promosso dal Centro Culturale La Mercé e realizzato in collaborazione con aA29 Project Room, galleria d’arte contemporanea che rappresenta l’artista in Italia.

Il gioco della deriva rappresenta una nuova declinazione, sia formale che concettuale, della ricerca dell’artista sul Multinaturalismo: un’utopia possibile che fonde, trasforma e mescola insieme degli elementi e delle fisicità naturali, umane e artificiali, per dare origine a delle configurazioni nuove, che trovano una loro logica e coerenza nella contemporaneità. Come è accaduto in altre performance, anche in questo caso Sasha Vinci intende coinvolgere nel progetto gli studenti del Centro Culturale La Mercé di Girona, per riflettere e dare forma insieme all’opera. Per l’artista, infatti, il vero cambiamento sociale ha sempre una matrice collettiva, e le giovani generazioni devonodebitamente essere incluse. Bisogna rivolgersi soprattutto a loro per fare presa non solo sul presente, ma anche sul futuro più immediato.

La performance di Sasha Vinci si presenta come un allegorico ed enigmatico tableau vivant, in cui le diversepersone coinvolte, in relazione con lo spazio del chiostro catalano, creano una composizione plurale persuperare il “corpo individuale” e generare il “corpo universale e politico”. Sculture di foglie bianche, duttili e delicate, si adagiano al corpo umano degli studenti-performer, alterandonele sembianze fisiche e generando una trasfigurazione che pone l’accento sul concetto di multinaturalismo. Una composizione musicale inedita, creata dall’artista insieme al musicista Vincent Migliorisi, scandirà invecei ritmi della performance, creando una dimensione sonora che trae ispirazione dall’antica simbologia musicalenarrata da Marius Schneider nelle Pietre che cantano.

Al termine della performance, i vari elementi scultorei “indossati” dagli studenti rimarranno dei testimonisilenziosi all’interno del chiostro, assemblati in un’unica installazione site specific. Attraverso quest’opera Sasha Vinci fa riferimento alla molteplicità, che altro non è che la caratteristica essenziale della vita e della realtà. Il gioco della deriva ci suggerisce che non esiste un solo mondo, ma molteplici e con pari dignità, perché la nostra collettività è una rete complessa dove gli umani oltre a generare relazioni fra loro, creano rapporti sociali anche con i non-umani e con la tecnologia.

Il tema del Multinaturalismo è dunque un cambio di prospettiva per l’artista e uno slittamento dell’asse delle priorità: non è più necessario fare delle distinzioni relative solo agli esseri umani e parlare di differenti cultureche interagiscono tra di loro, portando con sé un bagaglio di usi, costumi, religioni e linguaggi e che convivono le une con le altre in maniera più o meno tollerante e pacifica. È invece molto più interessante e indispensabile ampliare la prospettiva e fare riferimento a “differenti nature”: quella umana, animale, vegetale, minerale (e altre nuove che ancora non si conoscono, ma che solo si immaginano) che si moltiplicano e si combinano insieme, per imparare a vedere non solo dalla prospettiva antropocentrica, ma anche da tutte le altre complementari. Dunque Multinaturalismo sta per Sasha Vinci al posto di Multiculturalismo, per annullare le contraddizioni originate dall’uomo, per tornare ad avere un contatto diretto e autentico con la natura in tutte le sue forme, e per imparare a rispettare in primo luogo noi stessi.

(Lara Gaeta, “Multinaturalismo. Da ciò che si conosce a ciò che si immagina”)

Con Il gioco della deriva l’artista conferma così, la sua indole visionaria e multiforme a sondare quei territori di confine in cui il concetto di “deriva” è uno spingersi oltre, estremo, incondizionato e attrattivo, per generare nuovi punti di contatto con la Natura, meravigliosa, universale e violenta.

INFO

Centre Cultural La Mercè

Pujada de la Mercè, 12 / 17004 / GIRONA

www.girona.ct/ccmT. +34 972 223 305

aA29 Project Roomwww.aa29.itT. +39 339 1796205