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 Vogliamo tutto Una mostra sul lavoro, tra disillusione e riscatto alle OGR

Una collettiva per riflettere sulla trasformazione del lavoro nel contesto post-industriale e digitale, tra coscienza e disillusione, precarietà e riscatto.

Dal 25 settembre 2021 al 16 gennaio 2022 OGR Torino presenta Vogliamo tutto. Una mostra sul lavoro, tra disillusione e riscatto, a cura di Samuele Piazza con Nicola Ricciardi: una collettiva per riflettere sulla trasformazione del lavoro nel contesto post-industriale e digitale, tra coscienza e disillusione, precarietà e riscatto. In OGR Torino, luogo simbolo della transizione verso nuovi modelli di produttività, le installazioni, le sculture, i video e le performance di tredici artisti – Andrea Bowers, Pablo Bronstein, Claire Fontaine, Tyler Coburn, Jeremy Deller, Kevin Jerome Everson, LaToya Ruby Frazier, Elisa Giardina Papa, Liz Magic Laser, Adam Linder, Sidsel Meineche Hansen, Mike Nelson, Charlotte Posenenske – invitano a osservare i resti di un recente passato industrialee le ambivalenze di nuove condizioni lavorative. Vogliamo tutto prende il titolo da un romanzo dell'artista e scrittore Nanni Balestrini pubblicato nel 1971. Il libro racconta l’autunno caldo della Torino del 1969, in una lettura animata e partecipe dei cambiamenti della società italiana di quegli anni. La mostra indaga la condizione contemporanea, senza proporre soluzioni definitive ma invitando i visitatori a un ripensamento della propria posizione nello scenario lavorativo contemporaneo. Vogliamo tutto era una dichiarazione massimalista e concisa, che rifletteva le aspirazioni di una classe operaia in sciopero contro lo sfruttamento e implicava migliori condizioni di lavoro, salari commisurati allo sforzo, tempo libero e il diritto a un reddito estraneo al lavoro salariato.

A cinquant’anni dalla pubblicazione, si può dire che molte delle questioni sollevate nel libro siano cambiate senza una vera soluzione, rendendo solo più complesso identificare cause e modi di affrontare una nuova precarietà in un contesto globale. Nel mondo occidentale di oggi – che si sta allontanando dalla produzione industriale e dall’idea del posto di lavoro tradizionale – come sono state riformate le lotte e le richieste degli anni Settanta? In che modo il lavoro e la sua deregolamentazione all’interno delle dinamiche neoliberiste hanno influenzato la capacità di lottare per i diritti? In una società in cui il lavoro e il tempo libero spesso non hanno più distinzioni, e dove la pandemia di Covid-19 aggiunge ulteriori sfide ogni giorno, ha ancora senso volere tutto?

PROGRAMMA

OPENING | Sabato 25 settembre 2021 dalle 10 alle 20, un’inaugurazione lunga un giorno intero con attività per tutti

h 14 - 19 | performance di Adam Linder | Service No. 1

h 16 | OGR Kids Cosa voglio fare da grande | Laboratorio per bambini, a cura di Arteco

h 17 + 18 | visita guidata | Percorso adatto dai 5 ai 99 anni, a cura di Arteco

In occasione dell’opening del 25 settembre, OGR Torino inaugura la nuova stagione di attività creative, artistiche ed educative aperte a tutti. Calendario completo su www.ogrtorino.it

CALENDARIO PERFORMANCE

Le performance di Adam Linder sono in programma nel Duomo di OGR, dalle ore 14 alle 19, secondo il seguente calendario:

25-26 settembre 2021 | Service No. 1

2-3 ottobre 2021 | Service No. 1 + Service No. 5

30-31 ottobre 2021 | Service No. 1

5-7 novembre 2021 | Service No. 1 + Service No. 5

15-16 gennaio 2022 | Service No. 1

Le performance sono eseguite da Delphine Gaborit, Service No. 1

Leah Katz, Justin Francis Kennedy, Robert Fredrik Stanley Malmborg, Noha Ramadanm, Stephen Clifford Thompson, Anna Lea von Glasenapp, Service No. 5

OGR Torino dedica all’approfondimento dei temi in mostra due speciali OGR Public Program:

28 settembre 2021 h 18.30 | Come tutto finì (e anche un poco perché)

con Franco “Bifo” Berardi

2 ottobre 2021 h 18.30 | The Last Cruze, a Torino Una conversazione tra LaToya Ruby Frazier e Samuele Piazza

ORARI DI APERTURA E INFO

giovedì e venerdì dalle 12 alle 20

sabato e domenica dalle 10 alle 20

Ingresso gratuito Prenotazione necessaria per laboratorio e visite guidate su sito www.ogrtorino.it

In ottemperanza al D.L. del 23 luglio 2021, n. 105, per accedere in mostra è necessario presentare il Green Pass

 

 



04. 2021Khanh Bui Phu UP21 Magic net 06.2021Mouneb Taim UP21 War Notes

©2021Khanh Bui Phu, UP21-Magic net 

©2021Mouneb Taim, UP21-War Notes 

 

Apre al pubblico l’esposizione temporanea Unpublished Photo 2021 al MUSEC di Lugano

L’intento del MUSEC è anche quello di costituire a Lugano un vero e proprio archivio della fotografia contemporanea, che troverà spazio accanto alla collezione ottocentesca e alla collezione di fotografia dell’Esotismo del museo. 

Unpublished Photo è un evento promosso dal MUSEC e dalla Fondazione culture e musei di Lugano, in collaborazione con 29 ARTS IN PROGRESS gallery di Milano. Dal 2018 il progetto richiama giovani fotografi under 36 da tutto il mondo. Nel 2020 il MUSEC ha voluto consolidare l’iniziativa dandole una cornice istituzionale e una prospettiva di sviluppo a medio-lungo termine, con l’obiettivo di segnalare le principali tendenze internazionali della giovane fotografia d’arte.

L’intento del MUSEC è anche quello di costituire a Lugano un vero e proprio archivio della fotografia contemporanea, che troverà spazio accanto alla collezione ottocentesca e alla collezione di fotografia dell’Esotismo che il museo già possiede.

La mostra visibile dal 23 settembre al 27 febbraio 2022 allestita nel rinomato Spazio Maraini di Villa Malpensata a Lugano, presenta 24 stampe fotografiche di grande formato. I protagonisti dell’esposizione temporanea sono quattro giovani talenti selezionati nel mese di luglio dalla giuria internazionale del premio UP21, presieduta dal fotografo tedesco Han Georg Berger. Gli artisti trattano temi di attualità come la biodiversità e l’erosione degli ecosistemi naturali, i conflitti bellici, il recupero della tradizione e l’importanza del legame tra passato e presente. Al termine dell’esposizione, le opere esposte entreranno a far parte delle collezioni del MUSEC, arricchendo così le collezioni fotografiche che contano oggi oltre 40.000 opere dalla metà dell’Ottocento ai giorni nostri.

I vincitori ex aequo del 1° premio, consistente in una borsa di chf 5.000, sono il fotografo vietnamita Khanh Bui Phu e il giovanissimo fotografo siriano Mouneb Taim. La giuria ha inoltre voluto includere nella mostra le opere del fotografo indiano Avinash Mishra e di Li Zhang (Cina). Il premio speciale assegnato dalla Artphilein Editions di Lugano, consistente nella pubblicazione di un prestigioso volume monografico, è andato al fotografo vietnamita Khanh Bui Phu. La mostra è accompagnata da un piccolo catalogo bilingue (in italiano e inglese) pubblicato dalle edizioni Fondazione culture e musei.

GLI ARTISTI ESPOSTI

Khanh Bui Phu (1987) Nato a Da Lat, Vietnam, Khanh Bui Phu è un fotografo freelance appassionato dalle tradizioni e dagli ambienti naturali del suo Paese. Il portfolio Vivere da nomadi in un ecosistema acquatico è il risultato di quattro anni di attività trascorsi a documentare la vita di pescatori nomadi sul lago Tuyen Lam, nella regione degli Altopiani occidentali. Tuyen Lam, che può apparire un archetipo di lago incontaminato, è in verità un grande bacino artificiale creato nel 1987 con la costruzione di una diga sul fiume Tia. Dietro a immagini di suggestiva e poetica intensità, si cela la precarietà della vita quotidiana dei pescatori, che vivono isolati su zattere, senza proprietà o terreni da coltivare e privi d’istruzione. L’intento di Khanh Bui Phu è di sensibilizzare sul grave pericolo generato dalle disuguaglianze economiche e sociali, e dallo sfruttamento ambientale, vera e propria minaccia per la sopravvivenza delle comunità.

Mouneb Taim (2001) Nato a Douma, in Siria, Mouneb Taim ha iniziato a filmare e fotografare da giovanissimo, cimentandosi nella documentazione drammatica della guerra civile nella sua città natale. Dal 2014, da autodidatta, ha consolidato ed esteso la sua esperienza fotografica realizzando reportage di guerra in diverse aree della Siria. Il portfolio Appunti di guerra è una testimonianza del suo lavoro: un documento impressionante sulla vita quotidiana della Siria segnata dalla guerra, incentrato sulle vicende dell’area di Goutha e della città di Idlib, da cui provengono le immagini in esposizione. Oltre alla drammaticità della situazione siriana, il giovane fotografo intende mostrare la resistenza dei civili alla durezza della guerra. Le rappresentazioni di sofferenza e di distruzione si intrecciano così con altre immagini, che testimoniano la speranza, la determinazione e la voglia di vivere della gente siriana.

Avinash Mishra (1999) Avinash Mishra è nato nella città indiana di Maharajganj, sul confine con il Nepal. Grafico di professione, si definisce innanzitutto un fotografo viaggiatore. La sua passione per la fotografia incontra il desiderio di celebrare e condividere il fascino delle cerimonie religiose più caratteristiche dell’induismo. Il portfolio L’impero dei colori coglie con straordinaria forza espressiva il coinvolgimento collettivo e la frenesia dei giorni del festival di Holi, conosciuto come «la festa dei colori», in cui i partecipanti celebrano l’amore e l’arrivo della primavera gettandosi addosso polveri dalle tinte sgargianti. In un denso bianco e nero, rinunciando così al facile richiamo del colore, l’autore magnifica l’antica cerimonia cercando di catturarne l’essenza. Le immagini costituiscono un inno alla gioia e rendono omaggio alle migliaia di fedeli che si abbandonano alla solennità del trionfo del bene sul male.

Li Zhang (1991) Nato a Tongling, Cina, Li Zhang ha iniziato dapprima a studiare biotecnologia. Dopo essersi trasferito in Germania, dove tutt’ora vive, ha deciso di abbracciare la fotografia, frequentando la Hochschule der bildenden Künste di Essen. Con il progetto Quand’ero bambino, l’artista propone un’indagine introspettiva della sua famiglia, rielaborando vecchi scatti realizzati dal nonno, anch’egli fotografo. Attraverso scansioni multiple e sovrapposizioni, le immagini originarie sono gradualmente sfocate, creando nuovi e sorprendenti effetti visivi. Le persone, gli oggetti e gli edifici risultano allungati, accorciati, piegati e ruotati. Il gioco dei colori delle immagini realizzate da Li Zhang porta l’osservatore a guardare le fotografie come se fossero in un caleidoscopio. Ne risulta una sorta di invito a compiere un viaggio nella memoria, indietro nel tempo, fino all’infanzia.

MEMBRI DELLA GIURIA

Hans Georg Berger – Fotografo Eugenio Calini – Co-fondatore di 29 ARTS IN PROGRESS gallery Francesco Paolo Campione – Direttore del Museo delle Culture di Lugano - MUSEC Lorenza Castelli – Direttrice di MIA Photo Fair Caterina De Pietri – Direttrice di De Pietri Artphilein Foundation Paolo Gerini – Presidente della Fondazione Ada Ceschin e Rosanna Pilone Giovanna Palandri – Cancelliere dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti Giovanni Pelloso – Giornalista e curatore d’arte

PARTNERS

La De Pietri Artphilein Foundation di Lugano, organizzazione non-profit che sostiene la cultura e l’arte contemporanea con molteplici attività e iniziative valorizzando, in particolare, anche opere di giovani artisti.

La Fondazione Ceschin Pilone di Zurigo ha lo scopo di diffondere la conoscenza delle culture dell’Estremo Oriente, sostenendo attività capaci di costruire solidi legami di collaborazione internazionale.

 

 




djurberg 

Nathalie Djurberg e Hans Berg, The Soft Spot (2021), still da video

 

 

GióMARCONI presenta "THE SOFT SPOT" Nathalie Djurberg e Hans Berg

Attraverso video in stop-motion, suoni, sculture e installazioni su larga scala, Djurberg & Berg creano storie che indagano temi quali sessualità, lussuria, sottomissione, paura, perdita, gelosia, sfruttamento e avidità. 

Gió Marconi è lieto di presentare The Soft Spot, la quarta personale di Nathalie Djurberg e Hans Berg in galleria dal 16 settembre al 18 dicembre 2021

Attraverso video in stop-motion, suoni, sculture e installazioni su larga scala, Djurberg & Berg creano storie che indagano temi quali sessualità, lussuria, sottomissione, paura, perdita, gelosia, sfruttamento e avidità.

Gli artisti sviluppano una narrazione che è allo stesso tempo comica e seducente, erotica e violenta e che spesso allude all'assurdo. Le loro opere surreali e cariche psicologicamente hanno sempre a che fare con desideri umani e animaleschi.

Gli artisti, che collaborano da più di dieci anni, lavorano in modo completamente intuitivo, ciascuno con il proprio mezzo, senza una sceneggiatura scritta, uno storyboard o una trama predeterminata. Djurberg ha sviluppato uno stile distintivo di cinema in cui produce ambienti elaborati e pupazzi di argilla, plastilina, filo di ferro e foam. Il musicista e compositore Berg si occupa della musica, produce il suono atmosferico e aggiunge musica ipnotica alle animazioni di Djurberg.

La combinazione di mondi pittorici suggestivi, scultura e suono è il marchio di fabbrica del duo svedese.

 

 




consagra 

 Pietro Consagra, New York City, 1962, Bronzo e acciaio, Lastre tagliate, fuse e saldate, 171 x 105 x 29 cm. Foto: Paolo Vandrasch

 

 

PIETRO CONSAGRA "La materia poteva non esserci" alla Collezione Olgiati

La mostra nasce come naturale continuità della lunga conoscenza, forte amicizia, condivisione di intenti e amore per l’arte dei due collezionisti con l’artista siciliano e dalla volontà di celebrarne il centenario dalla nascita, che cadeva nel 2020.

Dal 12 settembre 2021 al 9 gennaio 2022 a Lugano, la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, proseguendo il lavoro di ricerca e presentazione della loro raccolta, dedica a Pietro Consagra una retrospettiva a cura di Alberto Salvadori in collaborazione con l’Archivio Consagra. La mostra nasce come naturale continuità della lunga conoscenza, forte amicizia, condivisione di intenti e amore per l’arte dei due collezionisti con l’artista siciliano e dalla volontà di celebrarne il centenario dalla nascita, che cadeva nel 2020.

La mostra Pietro Consagra. La materia poteva non esserci è la prima dedicata all’artista in un’istituzione pubblica svizzera. Il rapporto dialettico con l’altro, al centro della ricerca – fin dalla serie dei Colloqui (dal 1952) – la frontalità della visione e le sue mutevoli interpretazioni e il tema della città come luogo di pensiero e relazione con il vissuto, costituiscono il fulcro del progetto espositivo e del lavoro di Consagra presentato presso la Collezione Olgiati.

La mostra, attraversando l’opera dell’artista dagli anni ‘50 fino ai primi ’70, pone in evidenza come il suo contributo non sia stato di fatto formale ma direzionato verso una partecipazione, anche critica, alla società nella quale ha vissuto e lavorato. Le sessantaquattro opere in mostra testimoniano come, in maniera germinale prima e consolidata poi, Consagra ha tenuto sempre al centro della sua ricerca una forte attenzione per il valore dell’uomo e dell’arte al fine di costruire una società migliore. Consagra è uno dei rari artisti del ‘900 ad avere toccato tutti gli aspetti della creazione artistica: ha dipinto, scolpito, disegnato, creato gioielli, arredi e architetture urbane; ha sperimentato tecniche differenti su numerosi materiali, ha scritto molto, con raffinata vis polemica. La sintesi concettuale di tale percorso si può ravvisare nel titolo di una sua opera, in cemento armato, realizzata in Sicilia alla foce di una secca fiumara La materia poteva non esserci, come a ribadire quanto importante fosse il percorso che dall’idea passa per il concetto e finisce nel rapporto dialogico con la comunità. Tutte le materie sono state buone per lui; non ha distinto nel suo essere artista e fare arte per una di esse, non ha prediletto il rapporto con la materia per fini legati alla ricerca della forma.

 
 
Pietro Consagra, Omaggio a Paisiello, 1955, bronzo, fusione a terra delle singole parti e saldatura, 69 x 72 x 6 cm. Collezione privata, Lugano. Foto: Maniscalco 
 

Il tema della frontalità, persistente nella sua opera, ha escluso dalla scultura problemi e tematiche tradizionali della scultura come il volume e la massa, precipui dell’oggetto. In mostra sono presenti alcuni dei più importanti Colloqui e una selezione delle opere fondamentali degli anni ’50 in ferro, bronzo, acciaio e legno bruciato e numerosi ferri trasparenti. I Colloqui aprono la stagione mai chiusa del grande tema concettuale nel quale la forma libera e fantastica creava la presenza, parola chiave per entrare nel mondo di Consagra. Nessun processo di mimesis, nessuna persistenza del reale, ma una eco che va creando le forme nelle sue sculture dirigendoci verso quell’umanità presentata nel più semplice e complesso dei suoi rapporti: un dialogo, un colloquio… il parlare insieme… il tutto abbandonando per sempre qualsiasi intento narrativo o descrittivo.  I Colloqui abitano lo spazio, loro condizione esistenziale e non la cornice. Sono una forma ecologica, una presenza in un ambiente.

La ricerca interiore compiuta sui legni bruciati, ferro e bronzo, è sempre stata accompagnata da una tecnica superba, mai una défaillance negli accostamenti, negli assemblaggi, nelle fusioni, nelle variazioni della materia. Si tratta di una tecnica, unita da un sapiente uso, di un mezzo potenzialmente aggressivo e invece, se utilizzato come ha fatto Consagra, fortemente espressivo e poetico come la fiamma ossidrica.

I ferri trasparenti, poi, si presentano come un’immagine a due facce, non rispettano più l’impianto quadrangolare e sono dominati da una linea curva che spezzandosi continuamente si ricongiunge. I ferri sono mossi da un incalzante, a tratti frenetico, ritmo interiore e da movimenti leggeri resi leggiadri dal colore, dai toni immaginifici e non naturalistici. Si mantiene forte il rapporto tra segno e disegno, testimoniato in mostra dalla presenza di alcuni esempi, compresi preziosi spolveri provenienti dall’archivio dell’artista. I ferri trasparenti costituiscono uno spazio originario, di germinazione, dove alle forme della natura e alla loro contemplazione l’arte reagisce con la propria artificialità.

“L’arte è l’alternativa non il rifugio della natura. L’arte non è più un servizio di Potere, è un modo di vivere, un obiettivo un esempio, un aiuto. La natura può solo assorbirci, isolarci, toglierci dal giro, mantenerci nel fallimento, nella frustrazione dei rapporti umani. Più la natura può apparire un probabile asilo, più la città corre verso la rovina dell’uomo. Se noi ci rifugiamo nella natura portiamo con noi le armi distruttive della città attuale e disseminiamo la corruzione del nostro senso del bene. Non dobbiamo andare verso la natura mentre dobbiamo andare verso la città”. Era presente fin dagli anni ’60 in Consagra la consapevolezza di come la natura non potesse essere un alibi, un ideale rifugio, un luogo da mitizzare o definire come desiderabile, seguendo l'odierna narrativa sul valore dei piccoli borghi e del cosiddetto countryside nella sua accezione di luogo di rifugio o di mitica innocenza.

 
 

Pietro Consagra, Ferro trasparente turchese II, 1966, ferro dipinto, lastre tagliate, curvate, saldate e dipinte, 60.7 x 44.7 x 9 cm. Collezione privata, Lugano. Foto: Claudio Abate.

 

Fondamentale ripartire dalla città come luogo dell’uomo maggiormente vissuto ed esteso, allora come oggi sempre di più. Ecco che arriva La città frontale, siamo nel 1969. In occasione della mostra a Lugano verrà presentata nella sua totalità, con la fondamentale linea dell’orizzonte, posta dall’artista nella mostra alla Galleria dell’Ariete nel 1969, a determinare la collocazione dell’uomo rispetto al paesaggio creato dall’artista\architetto\urbanista. Un segno, un gesto dai tratti umanistici, per una definizione urbana del contesto. Una concretizzazione di emozioni e idee che trovano nella forma città il riferimento più significativo alla complessità degli intrecci che sommano i modi di vivere individuali e collettivi, alla proiezione fisica dei poteri politici ed economici. Dopo l’esperienza americana e l’incontro con le grandi architetture di Sullivan, Wright e altri campioni del modernismo, Consagra con questo tema non dichiara una eccentrica e autoritaria proposta d’artista, bensì affronta un problema reale cresciuto nel tempo fino a divenire permanente: i molti, perlopiù frustranti e conflittuali, rapporti dell’uomo con lo spazio urbano, oltre a quelli dibattuti da sempre, relativi alla necessaria e immediata incidenza sociale. Consagra immette in questo ambito anche un tema fondamentale relativo alla modalità di esistere nella città: il progressivo distacco della nostra identità dalle nuove costruzioni che trasformano e dettano lo spazio del vissuto cittadino portando le persone ad uno stato di generale rassegnazione. La città frontale è il segno della considerazione intellettuale ma anche del legame affettivo nei confronti dello spazio urbano. Nel suo libro La città frontale del 1969 scriveva “Le città sono diventate rancore, ma non per l’inquinamento che è un male rimediabile ma per l’invasione di un’architettura che resterà impiantata, indistruttibile…”

Per la prima volta verranno esposti anche tre lenzuoli dipinti, parte di un nucleo più numeroso prodotto dall’artista tra la fine degli anni ’60 e i ’70. Esempio di lavoro intimo, personale, su materiale povero e quotidiano, trasmettono una eco di ciò che giovani artisti stavano facendo all’epoca. Gesto di politica domestica dove non manca mai la rappresentazione della sua idea di scultura.

Il catalogo

Il volume, prodotto in occasione della mostra, contiene saggi inediti di studiosi e grandi archetti come Mario Botta che hanno analizzato differenti tematiche relative alla produzione dell’artista. Lara Conte affronta nel suo testo elementi fondamentali dell’opera di Consagra come il colore e la frontalità in rapporto dialogico e storico con altri artisti della sua generazione e successiva; Andrea Cortellessa focalizza Consagra scrittore, autore di numerosi saggi, libri e una autobiografia di grande successo Vita mia; Paola Nicolin rende pubblico uno studio sui lenzuoli dipinti e l’importanza di queste opere nella produzione dell’artista anche rispetto al contesto storico nel quale sono stati realizzati. Mario Botta regala la sua presenza al libro con un ricordo della sua frequentazione e intesa di lunga data con l’artista, infine Alberto Salvadori ha lavorato sul tema della Città frontale e la sua attualità. Il libro è pubblicato da Mousse Publishing, a cura di Alberto Salvadori.

 
 

Pietro Consagra, Giardino viola, 1966, ferro verniciato, 130.5 x 143.5 x 0.5 cm. Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano. Deposito dell'Associazione ProMuseo. Foto: Alexandre Zveiger.

Collezione Giancarlo e Danna Olgiati

La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, aperta al pubblico nello spazio espositivo adiacente al centro culturale LAC, espone oltre duecento opere di grande rilievo artistico selezionate con modalità differenti a seconda degli allestimenti. La Collezione, tra le più significative per quanto riguarda l’arte italiana dal primo Novecento ad oggi, i Nouveaux Réalistes e l'arte contemporanea internazionale, viene riproposta due volte l’anno con allestimenti sempre diversi alternati a mostre temporanee dedicate ad approfondimenti dell’opera di artisti già inclusi in Collezione. Giancarlo e Danna Olgiati ritengono che la città di Lugano, con il MASI, possa diventare naturale erede della Collezione; perciò dal 2012 la Collezione viene concessa in usufrutto alla città di Lugano e, nel 2018, i due Collezionisti donano 76 opere al MASI, consolidando il rapporto con il Museo della città ed in linea con la tradizione museale elvetica che lega da sempre istituzione pubblica a collezionismo privato.

Info

Collezione Giancarlo e Danna Olgiati

Lungolago Riva Caccia 1, 6900 Lugano

+41 (0)91 815 79 73

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo." style="color:rgb(0, 0, 0)" rel="noopener" moz-do-not-send="true">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

www.collezioneolgiati.ch | www.masilugano.ch

 




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Tiziano Guardini e Luigi Ciuffreda, How did we lose ourselves in the forest?

 

"HOPERAPERTA" in occasione della Milano Design Week presenta: “L’OGGETTO CELIBE. Per un’arte da camera a réaction poétique”

Il tema è stato lanciato come provocazione da HoperAperta a un gruppo di artisti e architetti, chiedendo loro un’opera che fosse unica nella sua precipua poetica artistica, ma anche plurale nell’interpretazione di un tema dall’impossibile soluzione.

In occasione della Milano Design Week 2021, HoperAperta, giunta alla sua terza edizione, propone un tema di duchampiana memoria con la mostra “L’OGGETTO CELIBE. Per un’arte da camera a réaction poétique”.

Il tema dell’Oggetto Celibe - ovvero di un oggetto non riproducibile perché non in grado di generare nulla al di là di sé stesso - è stato lanciato come provocazione da HoperAperta a un gruppo di artisti e architetti, chiedendo loro un’opera che fosse unica nella sua precipua poetica artistica - tanto da farne un pezzo autoriale limited edition - ma anche plurale nell’interpretazione di un tema dall’impossibile soluzione.

In mostra le opere di Maurizio Barberis, Alfonso Femia, Dario Ghibaudo, Tiziano Guardini e Luigi Ciuffreda, Duccio Grassi, Mariano Martín, Roberta Orio, Steve Piccolo, Rudy Ricciotti, Davide Valloppi, e due special projects di Gaetano Pesce e Riccardo Dalisi in collaborazione con la Galleria Luisa Delle Piane.

Il concetto di célibataire è ‘assolutamente contemporaneo’, ma poco indagato perché complesso da definire in maniera univoca. L’essere ‘celibi’ può al contrario avere molte valenze positive: significa avere una chiara idea della propria identità, chi sono, dove sono e, soprattutto, in che direzione mi sto orientando. Vuol dire cercare, attraverso la propria unicità, un dialogo con gli altri, non in virtù della similitudine ma attraverso una dinamica integrazione tra le differenze, che significa non cadere in un manierismo fine a se stesso – perché di moda – ma la ricerca di una propria cifra interpretativa da condividere con gli altri. Questo può generare, come nella mostra milanese, un racconto plurimo e diversificato, fatto di molteplici narrazioni, tante quanti sono gli autori in mostra.

Le opere sono state realizzate con la partecipazione di Cromonichel, De Castelli, Disegno Mobile, Fornace Brioni, Julia Marmi, Marmi Faedo, Metalltech, Oemmebi, Zeus, aziende italiane che rappresentano l’eccellenza nella lavorazione di materiali naturali, legno, metallo, pietra, marmo e terracotta, con un approccio ecosostenibile e di valorizzazione dell’ambiente in cui operano.

A corollario della mostra L’oggetto celibe, alcuni progetti delle edizioni passate di HoperAperta sono esposti al Radisson Collection Hotel Palazzo Touring Club Milano, una nuovissima apertura in Corso Italia 10 a pochi passi dalla Casa d’Aste Wannenes, dove le opere di art-design di Angela Ardisson, Alfonso Femia, Maurizio Barberis, Dario Ghibaudo, Duccio Grassi, Steve Piccolo, Davide Valoppi dialogano con l’interior design di un edificio storico, quale quello del Touring Club italiano che, con un intervento conservativo e contemporaneo al tempo stesso, lo ha trasformato in un hotel 5 stelle. In questo contesto, si esprime al meglio lo spirito di HoperAperta che, dalla sua fondazione, mette in relazione attori e competenze diverse tra arte, progetto e alto artigianato.

Le opere e gli autori

Slow Blur, lentamente fuori-fuoco (in futuro ogni cosa apparirà sfuocata) un filmato del sound artist Steve Piccolo Video con audio, 6'21", b+n

Una video installazione che raccoglie le immagini di una sound performance fatta con strumenti realizzati e suonati da Luca Formentini e Stefano Castagna e la voce di Steve Piccolo.

Quella che potrebbe sembrare – in mani normali e in circostanze normali – una macchina infernale o desiderante, diventa celibe proprio in virtù del modo in cui viene suonata – con straordinaria sensibilità – dai due musicisti-inventori, in reazione a una precisa richiesta di Steve Piccolo. Parte di un progetto a lungo termine che si propone di trovare qualcosa di più profondo nel karaoke, epitome dell'ovvietà musicale.

Produzione: Steve Piccolo con Fabio Selvafiorita per il progetto SOLOS di ERRATUM

Del mobile d’Invenzione di Maurizio Barberis.

Cinque grandi artworks a parete raccontano i mobili immaginari dell’artista, architetto e fotografo che, rappresentati in forma bidimensionale, precipitano e si concretizzano in una serie di sculture-oggetti domestici di terracotta. Del Mobile d’Invenzione utilizza supporti per le sculture in legno di rovere, provenienti da aree di riforestazione controllata; le sculture sono in argilla pura non dipinta.

Realizzazione: Disegno Mobile

La trama infinita di Alfonso Femia

Prende ispirazione dalla colonna infinita di Constantin Brâncuși e al suo concetto di modularità organica. La colonna, elemento strutturale primario per l’architettura diventa un Totem, fatto di metallo riciclato, un gioco composito per definire le modularità aggregative degli oggetti, delle architetture, della società. Di natura, a detta di Femia, randomica.

Realizzazione: De Castelli - Con il contributo di: Metalltech