Mostre

helmut newton mostra torino 2020 633x400 

Rushmore, Italian Vogue - 1982 - © Helmut Newton Foundation, Berlin 

 

Una grande retrospettiva "Helmut Newton. Works" alla GAM di Torino

Il progetto espositivo ha selezionato 68 fotografie con lo scopo di presentare una panoramica della lunga carriera del grande fotografo che non ha mai smesso di stupire per i suoi concetti visivi veramente unici. 

La GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino apre la stagione espositiva del 2020 inaugurando la grande retrospettiva Helmut Newton. Works, promossa da Fondazione Torino Musei e prodotta da Civita Mostre e Musei con la collaborazione della Helmut Newton Foundation di Berlino. La mostra sarà visibile fino al 3 Maggio 2020.

Il progetto espositivo è a cura di Matthias Harder, direttore della fondazione tedesca, che ha selezionato 68 fotografie con lo scopo di presentare una panoramica, la più ampia possibile, della lunga carriera del grande fotografo che sin dagli inizi non ha mai smesso di stupire e far scalpore per i suoi concetti visivi veramente unici. Il risultato è un insieme di opere non solo particolarmente personali e di successo, ma che hanno raggiunto un pubblico di milioni di persone anche grazie alle riviste e ai libri in cui sono apparse, e alle mostre delle sue foto.

“La fotografia di Helmut Newton, che abbraccia più di cinque decenni, sfugge a qualsiasi classificazione e trascende i generi, apportando eleganza, stile e voyeurismo nella fotografia di moda, esprimendo bellezza e glamour e realizzando un corpus fotografico che continua a essere inimitabile e ineguagliabile”, afferma Matthias Harder.

Nel percorso di mostra si spazia dagli anni Settanta con le numerose copertine per Vogue, sino all’opera più tarda con il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl del 2000, offrendo la possibilità ai visitatori di comprendere fino in fondo il suo lavoro come mai prima d’ora.

Quattro sezioni che rendono visibile come in questo lungo arco di tempo, Newton abbia realizzato alcuni degli scatti più potenti e innovativi del suo tempo. Numerosi ritratti a personaggi famosi del Novecento, tra i quali Andy Warhol (1974), Gianni Agnelli (1997), Paloma Picasso (1983), Catherine Deneuve (1976), Anita Ekberg (1988), Claudia Schiffer (1992) e Gianfranco Ferré (1996). Delle importanti campagne fotografiche di moda, invece, sono esposti alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998, oltre a una serie di importanti fotografie, ormai iconiche, per le più importanti riviste di moda internazionali.

L’obiettivo di Newton aveva la capacità di scandagliare la realtà che, dietro il gesto elegante delle immagini, permetteva di intravedere l’esistenza di una realtà ulteriore, che sta allo spettatore interpretare.

“Helmut è un gran manipolatore. Sa esattamente quello che vuole ed è implacabile nel cercare di ottenerlo sulla pellicola. Gli piace la teatralità della fotografia. Le modelle diventano le sue creature, i suoi personaggi" (June Newton)

La fotografia di moda, ad esempio, non solo descrive ma ridefinisce lo spirito dei tempi, mira a raccontare con le immagini storie emozionanti e sorprendenti, compito per il quale Newton si è sempre mostrato all’altezza spingendosi sempre oltre la normale prassi, intrecciando una narrazione parallela, talvolta tinta di surrealismo o di suspense, travalicando i tradizionali approcci narrativi, è intrisa non solo di lussuosa eleganza e sottile seduzione, ma anche di riferimenti culturali e di un sorprendente senso dell'umorismo.

Il chiaro senso estetico di Newton pervade tutti gli ambiti della sua opera, oltre alla moda, anche nella ritrattistica e nella fotografia di nudi. Al centro di tutto le donne. Ma l’interazione tra uomini e donne è un altro motivo frequente della sua opera.

"La moda è stato il mio primo desiderio, sin da ragazzo. E, ovviamente, volevo diventare un fotografo di Vogue" (Helmut Newton).

Newton era in grado di trasformare luoghi banali in palcoscenici teatrali dai forti contrasti o particolarmente minimalisti per i suoi scenari assolutamente non convenzionali: "Non m’interessa il buon gusto. (...) Mi piace essere l'enfant terrible" (Helmut Newton).

Uno dei set fotografici preferiti era il garage del suo condominio a Monaco, con modelle e auto parcheggiate disposte a formare un dialogo visivo.

Helmut Newton morì improvvisamente il 23 gennaio 2004 a Los Angeles, prima di poter assistere alla completa realizzazione della Fondazione a lui dedicata. Helmut Newton Works è il titolo del grande volume edito da Taschen che comprende anche le foto esposte in mostra e ne rappresenta idealmente il catalogo.

 

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Direzione Generale di Banca di Bologna apre il proprio spazio a Margherita Moscardini con"In the light of"

Un saggio visuale, un libro di immagini che esamina il ruolo della stampa alternativa. 

In occasione di Arte Fiera 2020, in parallelo con la programmazione di Palazzo De’ Toschi, prosegue la proposta espositiva della Direzione Generale di Banca di Bologna, che apre nuovamente il proprio spazio al lavoro di un artista italiano.

Per questa edizione è stata invitata a esporre Margherita Moscardini (1981), che inaugurerà la mostra In the light of martedì 21 gennaio alle ore 18.00 (ingresso libero) nell'ambito di ART CITY Segnala 2020 in occasione di Arte Fiera. La mostra sarà visibile fino al 21 febbraio 2020.

L’artista interpreta la sede di piazza Galvani con una singola opera dalla vocazione pubblica: The Decline of the Nation State and the End of the Rights of Man è un’installazione al neon che riporta il titolo del nono capitolo de “Le Origini del Totalitarismo” – testo che Hannah Arendt pubblica nel 1951.

La filosofa tedesca descrive qui l’istituzione degli stati nazione d’Europa attraverso trattati che anziché proteggere giuridicamente le minoranze le condannarono all’apolidia, generando milioni di rifugiati che lo stato nazione, non avendo messo in questione i propri principi fondativi, continua oggi a trattare come eccezioni anziché come fondamento.

Rendere pubbliche queste riflessioni di Arendt significa introdurre il fruitore dentro un’epoca che ha finalmente compreso la necessità di un cambio di paradigma, permettendo alla filosofa  –  a settant’anni di distanza  –  di risponderci su questioni di stringente attualità.

Abbiamo riconosciuto le democrazie guadagnate nel secolo scorso come un bene da difendere, ma non siamo stati capaci di rinnovarle. Qualsiasi sia l’entità politica capace di servire, come strumento, le esigenze del nostro tempo, assumerà l’apolide come suo stesso fondamento? La condizione dell’esilio, da eccezione, diventerà il fondamento attorno al quale costruire un altro modo di intendere la cittadinanza che, svincolato dall’appartenenza territoriale, superi finalmente la distinzione tra diritti del cittadino e i diritti inalienabili?

Se un cambio di paradigma ci fosse offerto dalla città, se la città fosse un riferimento pertinente capace di essere portatore di un’altra idea di cittadinanza, sarebbe una città dove non avrebbe più senso disturbare istituti come l’asilo o parole insidiose come accoglienza e ospitalità, perché saremmo tutti quanti protetti giuridicamente come stranieri.

Margherita Moscardini, che considera la citazione del titolo lo statement ‘alla cui luce’ leggere la sua produzione recente, crede sia questa la sfida da cogliere oggi.

L’installazione, collocata in uno spazio significativamente visibile dalla strada, è un’edizione di un lavoro presentato per la prima volta nella città di Plovdiv in Bulgaria nel 2018: sarebbe bello immaginare che altri esemplari di questo statement fossero disseminati in altre città, almeno in Europa.

Dopo le mostre di Elia Cantori (2018), e di Matteo Fato (2019) – la prima con una vocazione scultorea e fotografica, la seconda incentrata sulla pittura  –  si passa quindi a un progetto di natura pubblica e filosofica: una diversificazione dei contenuti che arricchisce ulteriormente la proposta espositiva di Banca di Bologna.

Margherita Moscardini (1981) indaga le relazioni tra processi di trasformazione di ordine naturale, urbano e sociale appartenenti a specifiche geografie. La sua pratica privilegia il processo e progetti a lungo termine che generano interventi in larga scala, disegni, scritti, modelli in scala e video-documenti. Tra i suoi progetti: Istanbul City Hills_On the Natural History of Dispersion and States of Aggregation (2013), a proposito della trasformazione urbana recente di Istanbul, le demolizioni di interi quartieri e il ricollocamento di comunità locali. Tra il 2012 e il 2018, ha sviluppato 1XUnknown (1942-2018, to Fortress Europe with Love), una serie di 21 video che documentano la linea difensiva Atlantic Wall (1942-1944): 15.000 bunker costruiti dal Terzo Reich lungo la costa atlantica europea con lo scopo di difendere la Fortezza Europa. Dal 2016 lavora al progetto The Fountains of Za’atari, studiando i campi per rifugiati come città a partire dal campo per rifugiati di Za’atari, nato nel 2012 in Giordania in un’area desertica sul confine siriano. 

Margherita Moscardini si è laureata alla Accademia di Belle Arti di Bologna, e ha frequentato il CSAV della Fondazione Antonio Ratti di Como con Yona Friedman. È stata research fellow 2015 della Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University, New York, USA.Recentemente, ha tenuto lectures e conversazioni al MAXXI, Roma; Columbia University, New York; SVA e ISCP, New York; Triennale di Milano; NABA, Milano. Negli ultimi anni il suo lavoro è stato mostrato al MAXXI, Roma; MMCA Changdong e SongEun ArtSpace, Seoul, Corea; Collezione Maramotti, Reggio Emilia; Fondazione Pastificio Cerere, Roma; IIC di Istanbul e di Bruxelles; MACRO, Roma; CCA, Plovdiv, Bulgaria; MAMbo, Bologna; Quadriennale e Palazzo delle Esposizioni, Roma; Palazzo Reale, Milano.

 

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ARRIVA ALLE OGR “NEW URBAN BODY”: UN “VIAGGIO” TRA I CORPI URBANI CHE HANNO CAMBIATO LE CITTÀ

Il progetto propone una selezione d’interventi realizzati in tutto il mondo che raccontano l’attuale evoluzione e impatto dei modi di abitare, lavorare, incontrarsi e fruire dei servizi.

Prende il via il 10 gennaio, alle OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino, grazie al contributo di Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e Fondazione Sviluppo e Crescita CRT, la mostra NUB: New Urban Body - Esperienze di generazione urbana, un progetto curato dalla Fondazione Housing Sociale.


Fino al 9 febbraio, il progetto propone una selezione d’interventi realizzati in tutto il mondo che raccontano l’attuale evoluzione e impatto dei modi di abitare, lavorare, incontrarsi e fruire dei servizi: un “viaggio” tra i New Urban Bodies, organismi urbani multifunzionali in grado di rispondere in modo flessibile e adattivo all’esigenze di ognuno. Il progetto di allestimento e lo sviluppo degli apparati multimediali e degli applicativi digitali sono stati realizzati da ETT S.p.A.


I new urban bodies che hanno trasformato Torino, e che sono stati selezionati per la mostra, sono le OGR, Cascina Fossata, Sharing Torino, Open Incet, Luoghi Comuni San Salvario, Luoghi Comuni Porta Palazzo, Nuvola Lavazza, Beeozanam, Vivo al Venti, Distretto Sociale Barolo. Storie di cambiamento del nostro territorio che in mostra trovano spazio accanto a numerosi altri progetti nazionali e internazionali raccolti in quattro sezioni tematiche.


“La trasformazione degli stili di vita corrisponde a un diverso modo di utilizzare gli spazi: sono cambiati i posti dove le persone lavorano e i modi in cui le famiglie si organizzano all’interno di un’articolata trama che coinvolge reti di quartiere e parentali, luoghi pubblici e privati. Gli organismi urbani multifunzionali che rispondono a queste nuove esigenze e che si stanno naturalmente diffondendo nelle nostre città rappresentano una grande occasione per lo sviluppo urbano: sono abitati da persone molto diverse tra loro, utilizzati quasi in tutte le ore e animati da un’ampia gamma di attività che vanno dal lavorare all’abitare, all’incontrarsi e al divertirsi.- sottolinea Alberto Anfossi, Segretario Generale della Compagnia di San Paolo - La mostra NUB, nelle sue tappe precedenti e in quest’ultima torinese vuole proprio “raccontare” le nuove opportunità per lo sviluppo e la riqualificazione  urbana, su cui la Compagnia di San Paolo investe da diversi anni”.


“Le OGR costituiscono un luogo molto adatto ad ospitare la tappa finale di una mostra che racconta il percorso di trasformazione dei nuovi corpi urbani: sono infatti per loro natura l’emblema della contaminazione tra architettura, innovazione dei contenuti e dei nuovi modi di vivere e interpretare lo spazio urbano – afferma Massimo Lapucci, Segretario Generale di Fondazione CRT e Presidente European Foundation Centre –. Si tratta peraltro di temi che vedono molto attivamente impegnati sia sul territorio Fondazione Sviluppo e Crescita CRT sia, a livello europeo, lo European Foundation Centre, a sostegno del coinvolgimento della filantropia nazionale ed europea sul tema della sostenibilità del pianeta e della connessa innovazione tecnologica applicata”. 


“Il percorso della mostra ha attraversato l’Italia, portando a Torino un bagaglio che si è arricchito ad ogni tappa e di cui intendiamo fare tesoro – dichiara Cristina Giovando, Presidente della Fondazione Sviluppo e Crescita CRT – La Fondazione Sviluppo e Crescita CRT è dalla sua nascita impegnata costantemente sul tema della rigenerazione urbana, sia per il considerevole investimento nel social real estate, che per l’importanza dell’impatto che i luoghi hanno sulla qualità della vita delle persone, sull’inclusione e lo sviluppo economico e culturale, oltre che per incrementare le capacità di resilienza, soprattutto fra le fasce fragili della popolazione”.


“Questa esperienza si è aperta a Milano e si chiude a Torino: sono l’inizio e la fine di un percorso espositivo che ribadisce la stretta collaborazione tra le Fondazioni di origine bancaria di queste due città nell’ambito della rigenerazione urbana – ribadisce Sergio Urbani, Segretario Generale di Fondazione Cariplo - Il programma LaCittàIntorno di Fondazione Cariplo, diretto da Cristina Chiavarino, ha infatti promosso la mostra all’interno di un più vasto intervento di valorizzazione, che mette al centro i quartieri periferici di Milano,  stimolando le risorse locali e rafforzando la loro identità. La mostra itinerante è uno strumento importante per creare cultura attorno a questi temi”.


Come si sono trasformati i modi di vivere le città e come li racconta la mostra?


Se pensiamo ai diversi luoghi nei quali ci capita di lavorare e di produrre – in ufficio, a casa, in un caffè; ospiti nell’ufficio di altri tra una riunione e l’altra – o se osserviamo come si organizzano i tempi della famiglia all’interno di un’articolata trama che coinvolge network di quartiere, network parentali, luoghi pubblici e privati (socialstreet, case di quartiere, scuole, community hub) ci rendiamo conto che a questi stili di vita corrisponde un modo diverso di fruire gli spazi e di organizzare il tempo.


Divisa in quattro sezioni - abitare, lavorare, fare e partecipare e appartenere – la mostra è concepita come un’esperienza ludica che prevede un percorso interattivo guidato, che consente al visitatore, da un lato, di comprendere in modo diretto e divertente i temi affrontati e, dall’altro, di confrontarsi con l’ideazione di un proprio personale New Urban Body. I “giocatori” si potranno confrontare con le diverse tipologie di corpi urbani, dovranno immaginare i partner da coinvolgere, cimentarsi con la definizione del rendimento socio-economico dell’iniziativa, affrontare imprevisti e limiti, con l’obiettivo di garantire l’equilibrio sociale ed economico del proprio progetto.
 
NUB è una mostra itinerante: è partita dalla Triennale di Milano nel 2017, è passata da Roma, da Genova, da Manifesta a Palermo ed approderà a Torino come tappa conclusiva. Ad ogni tappa la mostra si è arricchita di nuovi contributi strettamente legati al contesto nel quale si trova. La tappa torinese ha una particolare importanza perché corona, nei prestigiosi spazi delle OGR, un percorso che non è mai stato di mero trasferimento della mostra da una città all’altra.
 
La mostra si è infatti rivelata un efficace strumento per innescare una discussione con le Amministrazioni pubbliche e con i principali player territoriali sulle attuali ed effettive modalità di costruzione della città. È possibile “fare città” attraverso un progetto che sia ibrido, plurale, fluido e adattivo? Chi sono i nuovi attivatori dei processi urbani? Come si innesca la filiera del progetto urbano? Come progettare questi spazi?
Di questo si discuterà durante gli eventi collaterali della mostra torinese.
 
Questa esperienza si è dunque aperta a Milano e si chiude a Torino: sono l’inizio e la fine di un percorso che vede la stretta collaborazione tra le Fondazioni di origine bancaria di queste due città le quali hanno promosso e sostenuto la mostra - Compagnia San Paolo, Fondazione CRT, Fondazione Sviluppo e Crescita CRT e Fondazione Cariplo con il programma Lacittàintorno - al fianco di numerosi altri partner, primo tra tutti CDP Investimenti SGR (Gruppo Cassa depositi e prestiti).

 

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I sei anni di Marcello Rumma, 1965-1970 al Madre di Napoli

Il Madre celebra Marcello Rumma, intellettuale e pionieristico imprenditore culturale, punto di riferimento per la nascita di un sistema culturale in Campania. 

Il Madre celebra Marcello Rumma, intellettuale e pionieristico imprenditore culturale, punto di riferimento per la nascita di un sistema culturale in Campania.  

Più di 80 opere d’arte contemporanea italiana e internazionale e 150 tra fotografie, lettere e documenti raccontano la storia, i progetti e la ricerca di una figura centrale nel dibattito culturale tra gli anni Sessanta e Settanta. La mostra è a cura di Gabriele Guercio con Andrea Viliani.
 
Promotore di progetti culturali, imprenditore, collezionista, editore: Marcello Rumma (Salerno 1942 – 1970) è stato una figura centrale nel dibattito culturale italiano e internazionale tra gli anni Sessanta e Settanta; la sua fu un’esperienza capace, attraverso inediti incroci tra discipline, di mettere in atto una vera e propria “imprenditoria culturale” nel Mezzogiorno. 

A lui e alla sua poliedrica e rigorosa attività, dal 15 dicembre 2019 al 13 aprile 2020, il Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina dedica la mostra I sei anni di Marcello Rumma, 1965-1970, organizzata in stretta collaborazione con l’Archivio Lia Incutti Rumma e curata da Gabriele Guercio con Andrea Viliani.
 
La mostra, realizzata con Fondi POC (PROGRAMMA OPERATIVO COMPLEMENTARE) Regione Campania 2014-2020, è anche il risultato di un programma culturale nato da un anno di ricerca e studio sugli archivi e la digitalizzazione svolto dalla Regione Campania in collaborazione con la Fondazione Donnaregina – Contesto 1_MADREscenza2020, progetto ARCCA-ARchitettura della Conoscenza CAmpana – e che comprende anche un convegno in partnership con l’Università degli Studi di Salerno e un secondo progetto espositivo che inaugurerà a marzo negli Arsenali di Amalfi.
La Presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee Laura Valente dichiara: “dal primo giorno della mia presidenza al Madre ho voluto fortemente cominciare a lavorare perché la Fondazione avesse finalmente un archivio. A distanza di poco più di un anno possiamo dire che è stata conclusa la prima fase di raccolta documentale e catalogazione propedeutica alla costituzione di un Archivio Digitale del Madre anche grazie al più ampio respiro del Progetto ARCCA, in cui rientra il nostro ‘MADREscenza2020 – Fondazione Donnaregina per gli Archivi del Contemporaneo in Regione Campania’. Una piattaforma -  che comprende gli archivi Incutti Rumma, Amelio-Santamaria, Vergiani, Menna, Morra, Morra Greco, Museo del ‘900 di Castel Sant’Elmo oltre naturalmente a quello del Madre - finalizzata alla documentazione delle attività svolte dal museo in un’ottica di valorizzazione del sistema culturale dell’arte in Campania ed al contempo di divulgazione delle stesse attraverso un ambiente digitale che permetterà nuove forme di fruizione online del patrimonio storico e artistico del museo”.
 
Da Mario Schifano a Andy Warhol, da Roy Lichtenstein a Piero Dorazio e Enrico Castellani, e ancora Richard Long, Michelangelo Pistoletto, Alighiero Boetti, Aldo Mondino, Giulio Paolini, Pino Pascali, ma anche critici, poeti, filosofi: in soli sei anni di attività (1965 – 1970) Marcello Rumma sviluppò relazioni con le più importanti figure del panorama internazionale dell’arte, che contribuirono a dare corpo alla sua ricerca pionieristica, che in così poco tempo fu capace di ridisegnare la fisionomia di un intero territorio, riconfigurandolo come laboratorio intellettuale.
 
I sei anni di Marcello Rumma, 1965-1970, la prima retrospettiva dedicata a questa figura di straordinario intellettuale, non vuole essere una rievocazione o una celebrazione, ma si propone di ripensare criticamente gli effetti della sua storia per aprire nuovi scenari di ricerca e possibili esperienze.
L’esposizione comprende opere provenienti dalla sua collezione privata, ma anche una selezione di quelli che furono pilastri centrali delle mostre da lui organizzate e sostenute: un panorama ricchissimo con più di 80 lavori di autori come Pino Pascali, Piero Gilardi, Alighiero Boetti, Andy Warhol, Luciano Fabro, Mario e Marisa Merz, Frank Stella, Richard Long, Jan Albers, Jannis Kounellis e molti altri. Le opere degli artisti si alternano a una selezione di più di 150 documenti, molti dei quali inediti: corrispondenze originali con artisti e curatori, schizzi di progetti, cartoline di invito, brochure, manifesti, comunicati, cataloghi, libri d’artista evocativi del metodo di lavoro di questo poliedrico e rigoroso intellettuale prematuramente scomparso. 
 
I sei anni di Marcello Rumma, 1965-1970 ci offre, sullo sfondo di un clima culturale esteso e connesso, un ritratto indiretto dell’intellettuale a partire dall’unico dato incontrovertibile: i pochi anni della sua attività.
In questo modo, come in un teatro della memoria che richiama la struttura di un archivio espanso, undici sezioni rievocano i sei anni dell'attività pubblica di Rumma, delineando gli stimoli che hanno fornito alla ricerca artistica e alla riflessione intellettuale a venire. 
 
LA MOSTRA
Il percorso espositivo si apre con la sezione PUNTI DI ORIGINE che cerca di tracciare una identità in nuce di Marcello Rumma e di evidenziare anche come i molti punti oscuri possano costituire uno stimolo a nuovi approfondimenti; in questo senso anche UNA DIDATTICA APERTA, area dedicata all’esperienza educativa nel Collegio Arturo Colautti di Salerno, evidenzia come Rumma fosse interessato a una “didattica di dialogo”, a progetti culturali coinvolgenti a tutti i livelli.
La sezione PARCO PERSICHETTI racconta invece la genesi della collezione di Marcello e Lia Rumma e la sua evoluzione parallela agli interessi rivelati nelle scelte espositive dell’intellettuale: da opere di Sironi e Guttuso, si passa presto all’acquisto di opere di Twombly, Fontana, Manzoni, Merz, Boetti e molti altri, nella direzione della avanguardia più sperimentale.

REINVENZIONE DEI LUOGHI (AMALFI, 1966) è la parte dedicata alla prima edizione delle Rassegne Internazionali di Arti Figurative di Amalfi, espressione diretta di come – in assenza di una promozione del contemporaneo da parte delle istituzioni – artisti, curatori e imprenditori culturali abbiano messo a punto un nuovo modus operandi. Queste esperienze, in luoghi reinventati, con artisti di assoluta avanguardia, sono parte di una stagione straordinaria che vede progetti simili, da Amore Mio a Montepulciano (1970) a Contemporanea a Roma (1973), svilupparsi in tutta Italia.

La sezione INCONTRI, SCOPERTE, PRESE DI COSCIENZA descrive una nuova generazione di galleristi, curatori, collezionisti con cui Marcello Rumma entra in contatto. Da Lucio Amelio a Napoli a Fabio Sargentini a Roma, dalle prime mostre dell’Arte Povera alla Galleria De Foscherari di Bologna a Gian Enzo Sperone a Torino, passando anche per la fondamentale esperienza di promozione dell’arte americana svolta da Ileana Sonnabend a Parigi, tutto questo fa da preparazione alle Rassegne di Amalfi. E infatti nel capitolo INTERROGATIVI SULL'OPERA (AMALFI, 1967), dedicato alla loro seconda edizione, viene messa in luce la grande vivacità culturale, e le esperienze di critica militante, come nel 1967 con il convegno curato dai giovani critici Renato Barilli e Maurizio Calvesi, che affiancavano le mostre.

In ARTE E CRITICA (RICOGNIZIONE CINQUE) si racconta l’esperienza di Rumma come Direttore Artistico dello spazio Einaudi 691 a Salerno, in cui vengono realizzate 5 mostre in 5 mesi curate rispettivamente da Maurizio Fagiolo, Renato Barilli, Germano Celant, Achille Bonito Oliva e Alberto Boatto. Ancora una volta è evidente la stretta relazione e il dialogo fortemente voluto tra arte e critica.
ALLA FRONTIERA (AMALFI, 1968) dedicata alla terza edizione della rassegna, descrive l’esperienza con Germano Celant, che Rumma invita a curare una mostra sull’Arte Povera: Arte Povera più Azioni Povere coinvolgerà non solo gli spazi degli Arsenali ma l’intera città, costituendo un prototipo di mostra - laboratorio e l’avvio di un percorso di internazionalizzazione del progetto.
L’arte diventa esperienza e azione politica, aspetto approfondito nella sezione ASSEMBLEA CONTINUA, che racconta nel dettaglio un’esperienza, quella dell’Arte Povera ad Amalfi, che all’epoca si pose come risposta costruttiva alla controversa Biennale del 1968; tre giorni di “Libera Repubblica dell’Arte” in cui si codificarono il rifiuto agli spazi espositivi classici, il rifiuto ai tempi tradizionali delle mostre (sostituiti da quelli effimeri delle azioni), e una tendenza all’autogestione.
Questo bisogno di novità viene evidenziato anche in INCLINAZIONI AL NUOVO, sezione della mostra che raccoglie l’esperienza editoriale di Rumma inaugurata nel 1968.

Nella parte finale del percorso espositivo, nella sezione UN'EDITORIA INTEGRALE, si approfondisce inoltre il carattere innovativo, grafico e curatoriale, della Rumma Editore e la sua volontà di proporre una “editoria minore dedicata alla ricerca”.
Chiude la mostra la sezione LA COMUNITÀ AVVENIRE, dedicata al progetto non realizzato per una nuova abitazione a Pontecagnano: poco prima della sua scomparsa Rumma individuò un’area dove costruire la sua nuova casa, che doveva diventare un luogo di pensiero e produzione culturale – con camere per ospiti, artisti e studiosi, sale di riunione e stanze per la collezione d’arte – uno spazio capace di integrare architettura e arte, di materializzare un’idea di comunità.
 
I sei anni di Marcello Rumma, 1965-1970 grazie al racconto dell’esperienza di un intellettuale straordinario, ci rivela infine come la “marginalità” geo-culturale campana abbia costituito più che un problema, un assoluto stimolo a sfuggire alla ricerca di facili consensi.
L’esempio di Marcello Rumma rivela ancora oggi come sia fondamentale armonizzare cultura e comunità, passato e presente non solo nel campo dell’arte, ma nella scuola e nella società tutta.

 

 Danièle Lorenzi Scotto Rosy olio su tela 116X89

 

IL COLORE DEI MIEI GIORNI - I dipinti di Danièle Lorenzi Scotto

Gli oltre 70 dipinti esposti ripercorreranno l’intera avventura umana e creativa di quest’artista che prende avvio alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso proprio a Firenze. 

Fino al 26 gennaio 2020 Palazzo Medici Riccardi ospita nelle Sale Fabiani Il colore dei miei giorni, la personale dedicata all’opera di Danièle Lorenzi Scotto, organizzata grazie al supporto del Swiss Lab for Culture Projects, a cura di Claudio Strinati e con il contributo di Cristina Acidini.

Gli oltre 70 dipinti esposti ripercorreranno, soprattutto attraverso ritratti, l’intera avventura umana e creativa di quest’artista di origini italiane, che si lega alle vicende culturali e artistiche del secondo Novecento, prendendo avvio alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso proprio a Firenze. Qui “la sua sensibilità e il suo amore per le arti della grande tradizione italiana”, ha evidenziato Cristina Acidini, presidente dell’Accademia delle arti del disegno di Firenze, “l’hanno portata a studiare negli anni Cinquanta”, sotto la guida di Primo Conti. Ed è a questa città, a cui Danièle deve molto, che la mostra intende tributare un debito di riconoscenza.

L’intima connessione, sentimentale e artistica, del sodalizio che l’ha legata a Jean, il compagno di una vita, è essenziale per cogliere la cifra stilistica di quest’artista che, a torto, non ha avuto finora il privilegio di un’esposizione che offrisse l’opportunità di conoscere e apprezzare a pieno il suo lavoro. Alla declinazione armonica del fauvismo Danièle ha affiancato una ricca serie di altre suggestioni, provenienti da reminiscenze dell’arte italiana e da continui incontri ravvicinati con la grande pittura francese. La schiettezza cromatica violenta di Derin, le geometrie spigolose di Friesz sono all’origine del suo post-fauvismo. L’umanità caricata e quasi grottesca di Vlaminick affiora da certi suoi ritratti. Ma è al meraviglioso mondo di Matisse, con la sua carica solare, che va riconosciuto il contributo più significativo nel plasmare la sua vasta cultura artistica. I suoi quadri sembrano quasi prendere vita: i volti squadrano lo spettatore anche quando l’artista si sottrae al figurativo abbracciando il rigore della geometria.

Correda l’esposizione un docu-film con la regia di Federico Strinati che ripercorre tappe della carriera dell’artista, delineando una parabola introspettiva e silenziosa: il lavoro di Danièle si dipana nel corso di una lunga e operosa esistenza, rivendicando uno spazio, non clamoroso e prepotente, ma animato da intensa passione, cospicua creatività ed eletta competenza tecnica, da cui scaturisce l’immagine di un’artista di grande dignità espressiva.