Mostre

 Pablo Picasso Vase femme C3A0 lamphore 1947 48

Pablo Picasso, Vase: Femme à l’amphore; octobre 1947 – 1948, Vallauris Terre blanche: éléments tournés, modelés et assemblés. Décor aux engobes et émail blanc, incisions, patine après cuisson 44,5 x 32,5 x 15,5 cm Dation en 1979 n° inv. : MP3679 Picasso Administration 8 rue Volney 75002 Paris tel. 01 47 03 69 65 © Succession Picasso, by SIAE 2019

 

Picasso, la sfida della ceramica al MIC di Faenza

50 pezzi unici provenienti dalle collezioni del Musée National Picasso-Paris in mostra al MIC di Faenza dal 1 novembre 2019 al 12 aprile 2020 in dialogo con le fonti che lo hanno ispirato.

 50 pezzi unici provenienti dalle collezioni del Musée National Picasso-Paris saranno in mostra al MIC di Faenza, dal 1 novembre 2019 al 12 aprile 2020, in una grande mostra dal titolo “Picasso, La sfida della ceramica” a cura di Harald Theil e Salvador Haro con la collaborazione di Claudia Casali. Un nucleo di inestimabile valore e un prestito eccezionale che affronta tutto il percorso e il pensiero creativo dell’artista spagnolo nei confronti dell’argilla.
Nella mostra faentina verranno analizzate le fonti di ispirazione di Picasso, proprio a partire dai manufatti presenti nelle collezioni del MIC. La ceramica classica (con le figure nere e rosse), i buccheri etruschi, la ceramica popolare spagnola e italiana, il graffito italiano quattrocentesco, l’iconografia dell’area mediterranea (pesci, animali fantastici, gufi e uccelli) e le terrecotte delle culture preispaniche che saranno esposte in un fertile e inedito dialogo con le ceramiche di Picasso.
E una se sezione speciale verrà dedicata al rapporto tra Picasso e Faenza.

Diversi sono i pezzi di Picasso che il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza possiede grazie al tramite di Tullio Mazzotti di Albisola, di Gio Ponti e dei coniugi Ramié i quali furono sollecitati a richiedere alcuni manufatti al Maestro per un’esposizione a Faenza e, soprattutto, per la ricostruzione delle Collezioni d’arte ceramica moderna andate distrutte nell’ingente bombardamento alleato del maggio 1944. Merito dell’allora direttore Gaetano Ballardini, nonché fondatore del Museo faentino, che contattò Picasso a Madoura con una lettera commovente e davvero toccante. Fu così che arrivò nel 1950 il primo piatto ovale raffigurante la Colomba della Pace, memento contro ogni guerra, espressamente dedicata al Museo di Faenza e al tragico destino della sua Collezione e della sua struttura. Seguirono altri piatti nel 1951 con teste di fauno e vasi dal sapore arcaico e archeologico e il grande vaso “Le quattro stagioni” (1951), graffito e dipinto, con la raffigurazione pittorica e morfologica di quattro figure femminili, le cui forme sinuose vengono sostanziate dalla curvatura accesa del vaso.
La mostra sarà integrata con l’esposizione di documenti e fotografie, mai esposti, ed appartenenti all’archivio storico del MIC. Completerà il ricco apparato didattico e fotografico un video storico di Luciano Emmer del 1954 (Picasso a Vallauris).

La mostra fa parte di Picasso – Méditerranée: un’iniziativa del Musée national Picasso-Paris.
“Picasso-Mediterraneo" è un evento internazionale che si svolge dalla primavera del 2017 alla fine del 2019. Più di sessanta istituzioni hanno immaginato una serie di mostre sull'opera "ostinatamente mediterranea"* di Pablo Picasso. Su iniziativa del Musèe National Picasso-Paris, questo percorso nel lavoro dell'artista e nei luoghi che l'hanno ispirato presenta una nuova esperienza culturale dedicata a rinsaldare i legami da entrambi le parti del Mediterraneo.
*Jean Leymarie

Con il supporto eccezionale di Musée Picasso Paris

Sponsors
Regione Emilia-Romagna, Comune di Faenza, Unione della Romagna Faentina, Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, La BCC – Credito Cooperativo ravennate, forlivese e imolese, SACMI, CAVIRO Confindustria Ceramica, Banca Generali, HERA, APT Servizi Emilia-Romagna, Romagna Acque – Società delle Fonti SpA

Scheda tecnica
Titolo: Picasso, la sfida della ceramica
Dove: MIC - Museo Internazionale delle ceramiche in Faenza
Indirizzo: viale Baccarini 19
Apertura: mar-ven ore 10-16, sab e dom 10-17.30
Ingresso: 14 euro intero, 10 euro ridotto
Info: 0546 697311, www.micfaenza.org

 Uncini

Giuseppe Uncini Lavora a una grande scultura nella corniceria dello Studio Marconi Mostra 76. Photo Mario Carrieri

 

GIUSEPPE UNCINI - La conquista dell’ombra alla Fondazione Marconi

La conquista dell’ombra dedicata al lavoro dell’artista marchigiano tra il 1968 e il 1977.

Fondazione Marconi ha il piacere di presentare la mostra Giuseppe Uncini. La conquista dell’ombra dedicata al lavoro dell’artista marchigiano tra il 1968 e il 1977. 

Questo progetto espositivo in collaborazione con l’Archivio Uncini, a distanza di quattro anni dalla mostra del 2015 incentrata sul disegno, mira oggi a documentare l’evoluzione della lunga e approfondita indagine dell’artista sul tema delle ombre.

Punto di partenza è la mostra, intitolata appunto “Ombre”, che ha luogo nel 1976 allo Studio Marconi e per la quale l’artista realizza Grande parete Studio Marconi MT 6, espressamente progettata per la galleria milanese.
Quest’opera rientra nel periodo in cui Uncini decide di spostare la sua attenzione dalla “costruzione di oggetti” alla “costruzione dell’ombra”, dalla forma reale dell’oggetto costruito, alla sua forma virtuale.
In questa nuova ottica egli trasforma ciò che è da sempre percepito come ambiguo e labile in un elemento sostanziale dell’opera, qualcosa di stabile, visibilmente e tattilmente concreto.
Luce e ombra vengono così poste allo stesso livello di valore e considerate “materie” alla stessa stregua, permettendo una nuova e inedita lettura dell’opera.
Questa scoperta, motivo dominante della sua ricerca fino agli anni Ottanta, lo porta anche a riflettere sulle antinomie luce-ombra, pieno-vuoto, presenza-assenza. È dunque lo spazio a farsi materia dell’atto costruttivo dell’artista e non esiste più distinzione tra il fare pittura e il fare scultura.
 
“Fino ad allora avevo pensato di essere e di voler fare il pittore. Poi questa convinzione a poco a poco mi cadde sotto le mani. In seguito sono diventato, mi dicono, scultore. Io ancora non ci credo e mi sento tra la scultura e la pittura e mi va benissimo, non c’è problema in questo.” (G. Uncini, 1998)
 
Per la sua maestosità, la Grande parete rappresenta un momento apicale della ricerca di Uncini e segna la sua definitiva conquista di quella “fuggevole essenza” che fa ormai parte integrante dell’opera stessa.
 
“L’ombra, questa fuggevole essenza, questa negatività del segno, che troppo spesso viene ignorata o passata sotto silenzio, che quasi sempre vale solo come fattore passivo, di assenza, tutt’al più di completamento dell’indagine – doveva invece costituire, a un certo punto, il centro delle indagini dell’artista; non già come artificio per una resa prospettica o naturalistica, ma come ‘messa in luce’ (non solo metaforicamente) di un elemento sostanziale dell’opera.” (G. Dorfles, 1976)
 
La mostra presenta un nucleo di opere, comprese tra il 1968 e il 1977, con l’obiettivo di fornire un excursus completo sulla produzione creativa di Uncini in questo arco temporale.
Verranno così passate in rassegna tutte le principali declinazioni di quell’assidua necessità dell’artista di indagare la dimensione virtuale della proiezione dei volumi: dalle prime Sedia con ombra e Finestra con ombra (1968), alle Colonne con ombra (1969), Ombra di un cubo sospeso (1973), Muro con ombra T.23 (1976).
A questi si aggiungono alcuni significativi lavori provenienti dal fondo dell’Archivio Uncini: Mattoni con ombra n. 12 (1969), Parete interrotta (1971), Ombra di due parallelepipedi T.1 (1972), Ombra di un parallelepipedo M.29 e Ombra di tre quadrati M.30 (1975).

Accanto alla Grande parete saranno esposte la maquette originale dell’opera, realizzata in cemento e laminato di legno (1975-1976), alcune foto documentarie scattate durante l’esecuzione dell’opera e una selezione di disegni eseguiti negli stessi anni, visto che in Uncini il disegno ha rivestito, sin dagli inizi della sua attività, un ruolo di primaria importanza per la progettualità del suo lavoro.

“Nella nostra cultura, nella nostra storia, penso che il disegno sia il nostro linguaggio, il nostro modo di memorizzare le cose, di costruire. Ritengo che sia molto difficile pensare senza il disegno… Qualsiasi disegno su di un foglio è uno strumento, un linguaggio per individuare il nostro pensiero.” (G. Uncini, 1998) 

Farà seguito alla mostra un volume sul tema delle ombre, a cura di Bruno Corà, e in collaborazione con l’Archivio Uncini.

 

 cracco

Giovanni Ozzola, Through a day, Courtesy the artist and Galleria Continua

 

Artissima con Giovanni Ozzola alla Galleria Cracco

Artissima diventa guest curator di Galleria Cracco, che dal 2018 trasforma le lunette sopra le vetrie del Ristorante Carlo Cracco in installazioni site specific commissionate ad artisti contemporanei italiani. 

Artissima diventa guest curator della nuova installazione destinata alle lunette sopra le vetrine del Ristorante Carlo Cracco in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano invitando l’artista Giovanni Ozzola (Firenze, 1982) a confrontarsi con lo spazio.

La partecipazione al quarto episodio di “Galleria Cracco” amplifica il dialogo con Sky Arte, già media partner della fiera. Il progetto è stato concepito dallo chef Carlo Cracco insieme all’agenzia di comunicazione Paridevitale e a Sky Arte per sostenere l’arte contemporanea italiana portandola in un luogo simbolo del made in Italy.

La nuova installazione di Giovanni Ozzola intitolata Through a Day sarà visibile a partire dal 22 ottobre 2019 fino ad aprile 2020. Toscano di nascita ma viaggiatore instancabile, Ozzola per il progetto Galleria Cracco ha scelto di catturare il passare del tempo attraverso immagini di spazi industriali abbandonati segnati da graffiti, illuminate da “tondi di cielo” degli oculi che innescano un inaspettato effetto trompe l’oeil, aprendo lo sguardo a un orizzonte impossibile. L’artista, nel suo lavoro, parte dall’osservazione del mondo nei suoi dettagli quotidiani attraverso l’analisi dello spazio e della luce, per cercare di fissare momenti fugaci capaci di catturare la relazione spirituale tra l’uomo e l’universo. Giovanni Ozzola ricorre a diverse pratiche quali fotografia, video e installazione per dar vita ad opere caratterizzate da un forte senso pittorico, concentrandosi sul contrasto e sull’equilibrio tra le dimensioni di luce e buio, tra il misticismo e la realtà.
 
In Through a Day, le aperture circolari che sfondano lo spazio delle lunette – evocando espedienti caratteristici del barocco – lasciano illusionisticamente immaginare l’esistenza di una dimensione altra ed astratta all’interno dell’edificio, in contrasto con l’estetica urbana, industriale e abbandonata, delle superfici che invece affacciano sulla Galleria, integrandosi con l’architettura neoclassica del contesto.“La struttura Neorinascimentale della Galleria Vittorio Emanuele è un passaggio, sia fisico che simbolico: protetti dalla storia non solo architettonica del luogo ci confrontiamo con il nostro presente sospeso tra armonia e contrasto come nella cucina di Carlo Cracco – dichiara l’artista Giovanni Ozzola. Il nostro individuale cammino, il susseguirsi dei giorni legati ad una storia che tocca ciascuno andando oltre il singolo individuo. Il segno lasciato come graffito afferma l’esistenza del singolo, ma la parete colma di segni diventa la mappa che racconta un luogo e un tempo...”
 
Nelle parole di Ilaria Bonacossa, direttrice di Artissima: “Giovanni Ozzola riesce a rivelare una dimensione emotiva nelle sue fotografie in cui ritrae luoghi inaspettati con spicchi di cielo e di acqua. In questo intervento site specific, il cambiamento dei toni di luce nelle tre lunette racconta l’evoluzione di una giornata e dei suoi orizzonti”.
 
Dall’apertura del Ristorante Carlo Cracco nel febbraio 2018, le tre lunette si sono trasformate, grazie agli interventi di Patrick Tuttofuoco, e successivamente dei MASBEDO e di Goldschmied & Chiari, in vere e proprie vetrine d’arte fruibili gratuitamente da tutti coloro che ogni giorno attraversano la Galleria, confermando la vocazione pubblica del progetto.

Giovanni Ozzola
Nato a Firenze nel 1982, attualmente vive e lavora alle Isole Canarie, Spagna.
Il lavoro di Giovanni Ozzola è stato esposto a livello internazionale presso numerose istituzioni pubbliche e private, tra le esposizioni più recenti: IF I HAD TO EXPLAIN, YOU WOULDN’T UNDERSTAND, FOSUN FOUNDATION, SHANGHAI, CHINA; Pitch Black, Museo Fundación Unicaja Joaquin Peinado, Málaga, Spagna; Foundation Louis Vuitton, Parigi, Francia; MANIFESTA 12, evento collaterale, Palazzo Mazzarino, Palermo, Italia; MAXXI, Roma, Italia nel 2018; Untitled Association Lynchen, Berlino, Germania; District 6 Museum, Cape Town, Sud Africa; Le sue opere sono conservate in numerose collezioni private e pubbliche, tra cui il MART di Rovereto, in Italia; Chelsea Art Museum a New York, Stati Uniti; Sharjah Maraya Art Center a Dubai; Mori Museum a Tokyo in Giappone; Schunck-Glaspaleis a Herleen, Paesi Bassi; Künstlerhaus Palais Thurn Und Taxis, a Bregenz in Austria; Man Museo d’Arte, Nuoro, Italia; Waseda University, Tokyo, Giappone; Centre d’Art Bastille, Grenoble, Francia; GC, AC, Monfalcone, Ita- lia; Viafarini Docva, Milano, Italia; Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro, Italia; OCAT - Contemporay Art Terminal, Shanghai, Guandong Museum of Art, Guangzhou, Cina; 2139, Jeddah, Arabia Saudita; District Six Museum, Città del Capo, Sudafrica, Star Museum, Shanghai, Cina. Tra I premi: “Premio Terna” (2008), “The Talent Prize” (2010) e il “Premio Cairo” (2011), Seat Pagine Gialle, Regione Toscana (2007).


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Man Ray. The Fifty Faces of Juliet, 1941/1943. Cm 39,5 x 34 x 2,7. Collezione privata. Courtesy Fondazione Marconi, Milano © Man Ray Trust by SIAE 2019.  

 

CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia rende omaggio al grande maestro con la mostra wo/MAN RAY

Le seduzioni della fotografia che racchiuderà circa duecento fotografie, realizzate a partire dagli anni Venti fino alla morte, tutte dedicate a un preciso soggetto, la donna.

"Solo da Man Ray potevamo attenderci la Ballata delle donne del tempo presente”, scriveva André Breton a proposito dei ritratti femminili del genio nato a Philadelphia nel 1890, sbarcato a Parigi nel 1921 e lì divenuto protagonista assoluto delle stagioni dadaista prima e surrealista poi.

Dal 17 ottobre 2019 al 19 gennaio 2020, CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia rende omaggio al grande maestro con la mostra wo/MAN RAY. Le seduzioni della fotografia che racchiuderà circa duecento fotografie, realizzate a partire dagli anni Venti fino alla morte (avvenuta nel 1976), tutte dedicate a un preciso soggetto, la donna, fonte di ispirazione primaria dell’intera sua poetica, proprio nella sua declinazione fotografica.

In mostra alcune delle immagini che hanno fatto la storia della fotografia del XX secolo e che sono entrate nell’immaginario collettivo grazie alla capacità di Man Ray di reinventare non solo il linguaggio fotografico, ma anche la rappresentazione del corpo e del volto, i generi stessi del nudo e del ritratto. Attraverso i suoi rayographs, le solarizzazioni, le doppie esposizioni, il corpo femminile è sottoposto a una continua metamorfosi di forme e significati, divenendo di volta in volta forma astratta, oggetto di seduzione, memoria classica, ritratto realista, in una straordinaria - giocosa e raffinatissima - riflessione sul tempo e sui modi della rappresentazione, fotografica e non solo.

Assistenti, muse ispiratrici, complici in diversi passi di questa avventura di vita e intellettuale sono state figure come quelle di Lee Miller, Berenice Abbott, Dora Maar, con la costante, ineludibile presenza di Juliet, la compagna di una vita a cui è dedicato lo strepitoso portfolio “The Fifty Faces of Juliet” (1943-1944) dove si assiste alla sua straordinaria trasformazione in tante figure diverse, in un gioco di affetti e seduzioni, citazioni e provocazioni.
Queste donne sono state, a loro volta, grandi artiste, e la mostra si concentrerà anche su questo aspetto, presentando un corpus di opere, riferite in particolare agli anni Trenta e Quaranta, vale a dire quelli della loro più diretta frequentazione con Man Ray e con l’ambiente dell’avanguardia dada e surrealista parigina. Ecco allora gli splendidi ritratti dei protagonisti di quella stagione di Berenice Abbott, le stranianti visioni della quotidianità di Lee Miller e di Dora Maar: figure, tutte, che oggi ottengono i meritati riconoscimenti al loro lavoro artistico, all’interno di una generale revisione dei modi di narrazione della storia dell’arte del Novecento.
A rappresentare l’opera di Berenice Abbott saranno in mostra i ritratti scattati tra il 1926 e il 1938 a Parigi e a New York, capitali dell’arte di avanguardia della prima metà del XX secolo, come quello iconico a Eugene Atget o James Joyce. Dora Maar - alla quale nello stesso periodo della mostra Centre Pompidou e TATE Modern dedicheranno la prima grande ricognizione mondiale - sarà presente con opere riconducibili ad un linguaggio di street photography e di paesaggio come in “Gamin aux Chaussures Dépareillés” (1933). L’indagine del corpo femminile sarà il fulcro del lavoro di Lee Miller, con numerosi autoritratti e nudi di modelle e modelli che lavoravano con lei sia in ambito di ricerca che di fotografia di moda.

Una mostra unica, dunque, sia per la qualità delle fotografie esposte, sia per il taglio innovativo nell’accostamento insieme biografico e artistico dei protagonisti di queste vicende. Un grande repertorio di immagini a disposizione del pubblico reso possibile grazie alla collaborazione con numerose istituzioni e gallerie nazionali e internazionali dallo CSAC di Parma all’ASAC di Venezia, dal Lee Miller Archive del Sussex al Mast di Bologna alla Fondazione Marconi di Milano. Realtà che hanno contribuito, tanto con i prestiti quanto con le proprie competenze scientifiche, a rendere il più esaustiva possibile tale ricognizione su uno dei periodi più innovativi del Novecento, con autentici capolavori dell’arte fotografica come i portfoli “Electricitè” (1931) e il rarissimo “Les mannequins. Résurrection des mannequins” (1938), testimonianza unica di uno degli eventi cruciali della storia del surrealismo e delle pratiche espositive del XX secolo, l’Exposition Internationale du Surréalisme di Parigi del 1938.

Curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola, la mostra sarà accompagnata da un catalogo contenente la riproduzione delle opere esposte, i saggi dei curatori e di altri studiosi, nonché essenziali note bio-bibliografiche.

L’attività di CAMERA è realizzata grazie a Intesa Sanpaolo, Lavazza, Eni, Reda, in particolare la programmazione espositiva e culturale è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo.

INFORMAZIONI

CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia
Via delle Rosine 18, 10123 - Torino www.camera.to |Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

 

 morris

  

 

Mo(nu)mentum.  Robert Morris 2015 - 2018 alla Galleria Nazionale

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea dal 15 ottobre al 26 gennaio celebra un artista fondamentale per la storia dell’arte contemporanea.

A distanza di circa 40 anni dalla prima mostra personale di Robert Morris tenutasi nel 1980, a cura di Ida Panicelli e dedicata alla scultura minimal, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea dal 15 ottobre al 26 gennaio celebra un artista fondamentale per la storia dell’arte contemporanea, maestro del Minimalismo americano di cui è stato uno dei fondatori, della Process Art e della Land Art, per citare solamente alcune grandi correnti che hanno rappresentato tappe di una ricerca incredibilmente prolifica e multidirezionale durata una sessantina di anni.

Mo(nu)mentum. Robert Morris 2015 - 2018 a cura di Saretto Cincinelli è la prima mostra che viene dedicata all’artista dopo la sua morte, avvenuta nel novembre del 2018, ed espone una serie di opere realizzate da Morris negli ultimi anni della sua attività e mai esposte prima in Europa. Sono sculture che richiamano figure umane appartenenti alle due serie MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS, realizzate in tela belga bagnata in una particolare resina e apposta su modelli per ottenerne la forma, e Boustrophedons, in fibra di carbonio, esposte rispettivamente nel 2015 e nel 2017 alla Galleria Castelli di New York. L’inedita relazione spaziale tra i due nuclei esposti in questa occasione alla Galleria Nazionale nasce da un progetto concordato con lo stesso Morris prima della sua scomparsa.

I recenti gruppi scultorei di Morris testimoniano il crescente interesse dell’artista per la figura umana e per l’opera dei maestri del passato, segnando una svolta anche nel suo vocabolario formale che sembra affrancarsi definitivamente dal senso di ordine e astrazione tipiche di una parte dell’avanguardia americana per orientarsi verso elementi più marcatamente barocchi e allegorici. In questa esposizione, oltre ai richiami a Donatello risuonano espliciti anche quelli a Auguste Rodin, ai tardi disegni di Francisco Goya, alle statue piangenti dello scultore gotico Carl Sluter.

Utilizzando materiali associati alla pittura, come il lino belga e la vernice, per formare sudari di figure scultoree, Morris crea notevoli tensioni: tra l’apparente presenza delle figure e la loro assenza, tra l’idea di scultura come un’arte eminentemente spaziale e quella dei gruppi di figure interagenti tra loro che rivela un trattamento quasi pittorico e, infine, tra lo spettatore e la sua percezione di ogni singola scena.

Informazioni

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

viale delle Belle Arti, 131 - Roma

T +39 06 3229 8221

orari: dal martedì alla domenica 8.30 - 19.30 (ultimo ingresso 18.45)

lagallerianazionale.com