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"Giochi di verità. Rappresentazione, ritratto, documento" oltre 80 fotografie provenienti dalla Collezione Donata Pizzi 

Vero e falso si contaminano, in una riflessione che disancora l'idea di realtà da quella di verità e spinge verso l'idea di libertà.

S'intitola Giochi di verità. Rappresentazione, ritratto, documento la grande mostra promossa dal Comune di Soliera e dalla Fondazione Campori con oltre 80 fotografie provenienti dalla Collezione Donata Pizzi, nata per sostenere e valorizzare le più significative interpreti nel panorama fotografico italiano dalla metà degli anni Sessanta ad oggi. Curata da Marcella Manni, l'esposizione sarà inaugurata fino al 15 gennaio all'interno del Castello Campori di Soliera (Mo), meglio noto come il Castello dell'Arte.

La mostra ripercorre la storia della fotografia italiana, mettendo in luce le evoluzioni concettuali, estetiche e tecnologiche che si sono sviluppate negli ultimi decenni. La centralità del corpo, il rapporto tra memoria privata e collettiva, le dinamiche e i riti della vita familiare, sono elementi costitutivi e identitari che si leggono oltre le singole voci delle artiste e i momenti storici in cui sono vissute o vivono e operano.

«Con Giochi di verità - spiega il sindaco di Soliera Roberto Solomita - proseguiamo un percorso avviato nel 2018, che ha visto il nostro Castello Campori configurarsi come contenitore per mostre di elevato spessore artistico, sia per la qualità delle opere esposte che per l'elaborazione di pensiero che le ha accompagnate. Dopo Intra moenia - Collezioni Cattelani, le fotografie di Un paese ci vuole, la personale di Arnaldo Pomodoro e quella di Mauro Staccioli (queste ultime due esposizioni hanno avuto anche un'estensione ancora ben visibile nel tessuto urbano, e penso all'Obelisco per Cleopatra in piazza Lusvardi e al Portale in via Nenni), proponiamo un coinvolgente percorso dentro la straordinaria Collezione Donata Pizzi. Nessun compiacimento, tuttavia. Il fatto è che siamo convinti che, attraverso vie inattese e mai convenzionali, l'arte sia davvero capace di produrre senso, quantomeno di fornire strumenti di interpretazione della realtà».

«La Collezione Donata Pizzi, anche in virtù dei criteri stringenti che la caratterizzano, offre numerosi spunti di lettura.  Nel considerare gli spazi del Castello dell'Arte e una necessaria selezione di opere e artiste - spiega la curatrice Marcella Manni - ho scelto di affidarmi alle immagini e alle complesse architetture di segni e simboli che ci offrono. Giocando, appunto, con paradigmi che pertengono all'ambito della ricerca teorica sul mezzo fotografico e sui criteri e le presunzioni di verità che il contesto contemporaneo della comunicazione, non solo visiva, ci obbliga ad affrontare. La rappresentazione del corpo è sempre stata usata come strumento per affermazioni identitarie e di genere, il reportage ha conquistato e avuto il ruolo di azione politica e di cittadinanza attiva, la documentazione privata o pubblica di usi, costumi, riti, ha perseguito con determinazione la possibilità di entrare e affrontare, con lo scudo dell'ironia, questioni sociali tra stereotipo di ruoli e emancipazione. La storia degli usi della fotografia in Italia che si deduce dai lavori delle artiste è un efficace e immediato strumento per mettere alla prova l'attualità di istanze e, allo stesso tempo, affrontare il non visto, il nascosto e celato».

«All'inizio della mia carriera - conclude Donata Pizzi - si lavorava realizzando reportage in bianco e nero, l'ambito di indagine della fotografia era quello di ripresa e di registrazione degli eventi. Con il passare del tempo, complici i cambiamenti sociali, politici e anche l'evoluzione tecnologica del mezzo, il linguaggio e gli ambiti di ricerca si sono ampliati per comprendere anche esiti concettuali che anni prima erano impensati. Come questo passaggio è avvenuto è la storia della Collezione».

Donata Pizzi (*1957, vive tra Roma e Milano) fotografa e photo-editor, inizia nel 2013 a collezionare opere di fotografe italiane attive dal 1965 ad oggi. La collezione ha preso avvio da una fotografia di Lisetta Carmi e si è sviluppata fino a comprendere oltre 300 opere di più di 70 fotografe di diverse generazioni. L'obiettivo della collezione è quello di studiare, raccogliere, promuovere e sostenere il lavoro delle fotografe italiane, costruendo un percorso su un doppio asse, cronologico e tematico, attraverso la selezione di opere e autrici tra le più influenti del panorama contemporaneo. La collezione è una delle poche raccolte riservata al lavoro di artiste donne ed è in continua espansione.

L'esposizione, realizzata con il supporto di Regione Emilia Romagna (nell'ambito della Legge regionale 37/94) e Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e il contributo di Esselunga, Le Gallerie Shopping Center, Reinova e Porfirea Srl, è accompagnata da un catalogo edito da Metronom Books e curato da Marcella Manni con un'intervista a Donata Pizzi, la riproduzione fotografica e la schedatura di tutte le opere esposte.

Il progetto rientra nell'attività di monitoraggio del collezionismo privato avviata dall'Amministrazione comunale nel 2018 con la mostra dedicata alle Collezioni Cattelani. Nell'ambito del programma espositivo denominato Castello dell'Arte, sono state inoltre organizzate mostre monografiche dedicate ad Arnaldo Pomodoro e Mauro Staccioli, con la contestuale installazione di opere d'arte monumentali nel centro storico di Soliera, concesse in comodato d'uso gratuito pluriennale dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro e dall'Associazione Archivio Mauro Staccioli.

L'esposizione Giochi di verità. Rappresentazione, ritratto, documento è aperta al pubblico il sabato e la domenica con orario 9.30-13.00 e 15.00-19.30. In occasione delle festività, il Castello Campori osserverà i seguenti orari: 1 novembre e 8 dicembre ore 9.30-13.00 e 15.00-19.30, 31 dicembre ore 9.30-13.00, 1 gennaio ore 15.00-19.30, chiuso 24, 25 e 26 dicembre. Ingresso gratuito. Nel corso della mostra, sono in programma diverse visite guidate gratuite (15 ottobre, 30 ottobre, 1 novembre, 12 novembre, 27 novembre, 3 dicembre, 18 dicembre), con partenza alle ore 15.30 e 17.30, per un numero massimo di 15 persone. È consigliata la prenotazione all'indirizzo https://www.eventbrite.it/o/fondazione-campori-30377037132. Per informazioni: T. +39 059 568580, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.fondazionecampori.it, www.solieracastelloarte.it.

Opere di: Paola Agosti, Meris Angioletti, Martina Bacigalupo, Isabella Balena, Liliana Barchiesi, Betty Bee, Mariella Bettineschi, Silvia Bigi, Tomaso Binga, Marcella Campagnano, Silvia Camporesi, Lisetta Carmi, Monica Carocci, Elisabetta Catalano, Francesca Catastini, Daniela Comani, Agnese De Donato, Erminia De Luca, Martina Della Valle, Paola Di Bello, Ra di Martino, Eva Frapiccini, Simona Ghizzoni, Bruna Ginammi, Nicole Gravier, Gruppo del Mercoledì, Adelita Husni-Bey, Giulia Iacolutti, Luisa Lambri, Elisa Magri, Lucia Marcucci, Allegra Martin, Paola Mattioli, Malena Mazza, Libera Mazzoleni, Gabriella Mercadini, Ottonella Mocellin, Verita Monselles, Brigitte Niedermair, Lina Pallotta, Giulia Parlato, Beatrice Pediconi, Francesca Rivetti, Silvia Rosi, Marialba Russo, Marinella Senatore, Shobha, Alessandra Spranzi, Sofia Uslenghi, Francesca Volpi, Alba Zari.

 



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 ITALY. Near Troina. August, 1943. Sicilian peasant telling an American officer which way the Germans had gone. ©Robert Capa © International Center of Photography / Magnum Photos

 

ROBERT CAPA "L’Opera 1932-1954" al Palazzo Roverella di Rovigo 

Il nuovo appuntamento con la fotografia internazionale proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

Robert Capa. L’Opera 1932-1954”, al Roverella, dall’8 ottobre 2022 al 29 gennaio 2023, a cura di Gabriel Bauret, è il nuovo appuntamento con la fotografia internazionale proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, ancora una volta affiancata dal Comune di Rovigo e dall’Accademia dei Concordi.

La mostra, che segue per qualità ed originalità quella recente di Robert Doisneau, consta di ben 366 fotografie selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum Photos e ripercorre le tappe principali della sua carriera, dando il giusto spazio ad alcune delle opere più iconiche che hanno incarnato la storia della fotografia del Novecento. Tuttavia essa non è pensata solo come una retrospettiva dell’opera di Robert Capa, ma mira piuttosto a rivelare attraverso le immagini proposte le sfaccettature, le minime pieghe di un personaggio passionale e in definitiva sfuggente, insaziabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esita a rischiare la vita per i suoi reportage. Capa infatti ha sempre manifestato un temperamento da giocatore, ma un giocatore libero. Nel mostrare, cerca anche di capire, gira intorno al suo soggetto, tanto in senso letterale quanto figurato. La mostra riunisce in occasioni diverse più punti di vista dello stesso evento, come a riprodurre un movimento di campo-controcampo, e restituisce un respiro cinematografico spesso percepibile in molte sequenze.

«Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria”, ebbe a scrivere di lui Henry Cartier-Bresson.

L’esposizione non si limiterà alle rappresentazioni della guerra che hanno forgiato la leggenda di Capa. Nei reportage del fotografo, come in tutta la sua opera, esistono quelli che Raymond Depardon chiama “tempi deboli”, contrapposti ai tempi forti che caratterizzano le azioni; i tempi deboli ci riportano all’uomo André Friedmann, alla sua sensibilità verso le vittime e i diseredati, a quello che in fin dei conti è stato il suo percorso personale dall’Ungheria in poi. Immagini che lasciano trapelare la complicità e l’empatia dell’artista rispetto ai soggetti ritratti, soldati, ma anche civili, sui terreni di scontro, in cui ha maggiormente operato e si è distinto. Così, sulla scia delle sue vicende umane, ricorre a più riprese il tema delle migrazioni delle popolazioni (in Spagna e in Cina, in particolare). E tra un’immagine e l’altra, si profila anche l’identità di Capa.

La mostra si articolerà in 9 sezioni tematiche:

Fotografie degli esordi, 1932 – 1935

La speranza di una società più giusta, 1936

Spagna: l’impegno civile, 1936 – 1939

La Cina sotto il fuoco del Giappone, 1938

A fianco dei soldati americani, 1943 – 1945

Verso una pace ritrovata, 1944 – 1954

Viaggi a est, 1947 – 1948

Israele terra promessa, 1948 – 1950

Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua, 1954

Il pubblico potrà anche ammirare le pubblicazioni dei reportage di Robert Capa sulla stampa francese e americana dell’epoca e gli estratti di suoi testi sulla fotografia, che tra gli altri toccano argomenti come la sfocatura, la distanza, il mestiere, l’impegno politico, la guerra. Inoltre, saranno disponibili gli estratti di un film di Patrick Jeudy su Robert Capa in cui John G. Morris commenta con emozione documenti che mostrano Capa in azione sul campo e infine la registrazione sonora di un’intervista di Capa a Radio Canada. 

Robert Capa nasce nel 1913 a Budapest; in gioventù si trasferisce a Berlino, dove inizia la sua grande carriera di fotoreporter che lo porterà a viaggiare in tutto il mondo. Nel 1947 fonda con Henri Cartier-Bresson e David Seymour la celebre agenzia Magnum Photos. Muore in Indocina nel 1954, ferito da una mina antiuomo mentre documenta la guerra al fronte.

Info: www.palazzoroverella.com

tel 0425460093

 



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CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia rende omaggio a Giosetta Fioroni 

Dalle esperienze degli anni Sessanta legate alla Scuola di Piazza del Popolo fino al presente.

Il CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia rende omaggio a Giosetta Fioroni, tra le artiste viventi più importanti del secondo Novecento italiano, attraverso una grande mostra che ripercorre la sua intera carriera, dalle esperienze degli anni Sessanta legate alla Scuola di Piazza del Popolo fino al presente.

Promossa dal Comune della Spezia e prodotta dal CAMeC in collaborazione con la Fondazione Goffredo Parise e Giosetta Fioroni e la galleria MARCOROSSI artecontemporanea, la personale sarà inaugurata sabato 8 ottobre alle ore 18.00, in occasione della XVIII Giornata del Contemporaneo AMACI.

Il titolo della mostra - Il piccolo grande cuore di Giosetta - trae spunto dall'autobiografia scritta nel 2013 dall'artista stessa (La mia storia / My Story. Giosetta Fioroni) e pubblicata da Corraini editore in occasione dell'esposizione che l'ha celebrata alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

In oltre cinquant'anni di carriera, Giosetta Fioroni è stata capace di raccontare, attraverso i linguaggi propri della Pop Art, i legami, le relazioni e i sentimenti che accomunano gli esseri umani. L'esposizione, a cura di Eleonora Acerbi e Cinzia Compalati, sarà anche l'occasione per festeggiare il novantesimo compleanno di un'artista determinata e anticonformista, tra le poche presenze femminili nella compagine del Caffè Rosati.

«Lo scenario dell'universo visivo di Fioroni - scrive Gemma Gulisano, curatrice della Fondazione Goffredo Parise e Giosetta Fioroni - è il Teatrone. Presentato in occasione della XLV Biennale d'Arte di Venezia del 1993, oggi ospita vecchi e nuovi lavori che l'artista dispone come dentro una vetrina che affaccia sul divano del proprio studio. Tra i teatrini di cartone, quelli di ceramica, i disegni fissati al grande teatro e i dipinti appesi o accostati alle pareti, un'opera di grandi dimensioni cattura lo sguardo di molti: Ramo d'oro. Due tronchi, disposti come colonne di un portale architettonico, aprono un varco su un sentiero non ancora tracciato; lo sfondo si smaterializza lasciando convergere lo sguardo dello spettatore su un piccolo dettaglio che sporge alla base del pannello, una casetta. Eseguita nel 2014 durante una collaborazione artistica con la maison Valentino, l'opera venne selezionata dalla stilista Maria Grazia Chiuri per un video girato con l'artista. Avvolto nel pluriball, Ramo d'oro si prepara a lasciare lo studio e la città capitolina per raggiungere le sale del Centro d'Arte Moderna e Contemporanea della Spezia. Tutto è quasi pronto per festeggiare un'artista senza apostrofo, come la stessa Fioroni ama definirsi, con un'antologica a lei dedicata».

L'esposizione si articolerà in quattro grandi sale al primo piano del Museo: la prima sala vedrà le ricerche degli anni Sessanta e Settanta, la seconda le opere degli anni Ottanta e Novanta, la terza sarà dedicata al lavoro su ceramica, mentre l'ultima alle opere dal 2000 ad oggi. Tra i lavori principali, si segnalano, oltre a Ramo d'oro, alcune carte d'argento (Venere, 1968; Il Cappello, 1966; Liberty nelle stelle, 1970), Nudo di Rossana (1965), Il colle dei sette venti (1997) e il nucleo di ceramiche provenienti dalla Bottega Gatti di Faenza, tra cui i Vestiti ispirati alle eroine di Jane Austen (esposti alla GNAM nel 2013) e le maioliche smaltate dedicate a racconti di fate e reami lontani.

Le opere esposte provengono principalmente dalla Fondazione Parise - Fioroni, presieduta da Francesco Adornato, dalla Bottega Gatti di Davide Servadei e dai collezionisti della MARCOROSSI artecontemporanea, storica galleria di riferimento dell'artista.

L'esposizione sarà visitabile dal 9 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023, da martedì a domenica dalle 11.00 alle 18.00, chiuso il lunedì.

Ingresso intero euro 5, ridotto euro 4, ridotto speciale euro 3,50. Per informazioni: tel. +39 0187 727530, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., http://camec.museilaspezia.it.

Nel corso della mostra sarà pubblicato un catalogo edito dal CAMeC con testi di Eleonora Acerbi, Cinzia Compalati, Gemma Gulisano e ricco apparato iconografico

 



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©Francesca Piovesan - Courtesy Stefano Cescon, Gaggenau e Cramum.

 

Apre oggi a Milano la prima mostra personale di Stefano Cescon 

Prima mostra personale dedicata a Stefano Cescon, che nel 2021 vinse l’ottava edizione del Premio Cramum.

Il Gaggenau DesignElementi di Milano ospita fino al 22 dicembre Terra! prima mostra personale dedicata a Stefano Cescon, che nel 2021 vinse l’ottava edizione del Premio Cramum grazie alla sua nuova tecnica che fonde la pittura con la scultura grazie alla cera e alla paraffina. La mostra, curata da Sabino Maria Frassà, è la terza tappa del progetto artistico Materiabilia.

Dal 6 ottobre al 22 dicembre il Gaggenau DesignElementi Hub di Milano (Corso Magenta 2) ospita la mostra Terra! di Stefano Cescon, terzo appuntamento del ciclo “Materiabilia” promosso da Gaggenau e CRAMUM. La mostra, curata da Sabino Maria Frassà, è la prima personale a Milano del vincitore dell’ottava edizione del Premio Cramum, che ha inventato una nuova tecnica che fonde la pittura con la scultura grazie alla cera e alla paraffina. Le “stanze delle meraviglie” dello spazio meneghino di Gaggenau si popolano così di quadri-scultura che si proiettano nello spazio e offrono all’osservatore l'illusione di trovarsi di fronte a vere e proprie concrezioni minerarie.

“Terra! Terra!” esclamava Cristoforo Colombo dopo settimane di navigazione, vedendo da lontano per la prima volta l'America. Proprio come il navigatore genovese, l’artista Stefano Cescon, dopo anni di carriera artistica all'insegna di uno stile pittorico materico e a tratti informale, inverte la rotta per intraprendere una nuova via che gli permetta di ripensare il ruolo stesso della pittura.

Come spiega il curatore della mostra Sabino Maria Frassà "Terra! è il culmine dell’odissea di Stefano Cescon nell’arte contemporanea e celebra l’approdo dell’artista a un lessico artistico nuovo, che unisce passato e presente e si basa sulla fusione di linguaggi diversi. Lungo le pareti delle “stanze delle meraviglie” dello spazio milanese di Gaggenau, l'artista presenta una produzione inedita: i quadri-scultura in cera e paraffina per la prima volta di grande formato si proiettano nello spazio. Il gesto pittorico quasi scompare, sostituito da una sedimentazione di colori che offre all’osservatore l’illusione di trovarsi di fronte a concrezioni minerarie stratificate e caratterizzate da inattesi collassi di colore tra uno strato e l’altro. L’arte di Cescon vive così nell’incessante ricerca di equilibrio tra tecnica ed estro creativo, controllo e imprevedibilità. Cristoforo Colombo nel suo diario scriveva che non si può attraversare l’oceano se non si ha il coraggio di perdere di vista la riva. Per Stefano Cescon l’arte è tutto questo: ha significato viaggiare, scoprire una nuova terra e farla diventare casa. È riuscito ad andare oltre le proprie Colonne d’Ercole e ha continuato a navigare in modo costante e coerente verso una nuova direzione: liberarsi delle etichette e delle distinzioni tra ambiti artistici (pittura e scultura, bi-tridimensionalità) unendo il passato (la cera) con il presente (la paraffina derivante dagli idrocarburi)".

Estratto dal testo critico "Stefano Cescon: il Cristoforo Colombo della pittura contemporanea" scritto dal curatore della mostra Sabino Maria Frassà.

"Marcel Proust, riguardo a Cristoforo Colombo, diceva: "il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi". La scoperta di una nuova materia (la cera d’api) e della scultura sono stati i nuovi occhi di Stefano Cescon, il cui percorso prende le mosse dall’esperienza maturata attraverso la pittura - dallo studio della luce e dell’equilibrio cromatico - per poi volgere a una dimensione creativa più vicina all’atto di “costruire” e all’aspetto artigianale e materico dell’opera.

Se la cera è stato uno dei primi materiali impiegati nella pittura (basti pensare all'encausto egiziano, greco e romano), l’artista conferisce a questa sostanza vita e tridimensionalità, realizzando opere che non sono semplici quadri, ma materia che si proietta nello spazio.

Il risultato sono lavori a cavallo tra pittura e scultura, che richiamano sedimentazioni calcaree o marmoree e sono frutto di un processo chimico che non permette mai di prevedere un effetto estetico preciso: diverse dinamiche portano a ottenere relazioni e ritmi differenti, dando vita a lavori che trovano ogni volta il modo di rinnovarsi, sfuggendo e offrendo un compromesso alle premesse stabilite dall'artista. Così che l'opera finale è caratterizzata, ad esempio, da inattesi collassi di colore tra uno strato e l'altro. L'arte di Stefano Cescon appare in questo senso un’incessante ricerca di equilibrio tra tecnica ed estro creativo, controllo e imprevedibilità. Non esiste l’idea di errore o correzione: al termine del procedimento di realizzazione, l'opera semplicemente funziona o viene distrutta. Una scelta che dipende solo dall'artefice, in base alla sua sensibilità e al suo viscerale senso della composizione pittorica. In questa tensione verso un nuovo ordine, dopo aver innescato il processo, risiede tutto il piacere dell'artista: l'arte è viaggiare, scoprire una nuova terra e farla diventare “casa”."

Materiabilia

Con il ciclo di mostre “Materiabilia”, Gaggenau e CRAMUM raccontano la materia che si fa meraviglia attraverso il genio umano. Gli showroom Gaggenau DesignElementi di Milano e Roma si trasformano in una ideale Wunderkammer, in cui l'arte e il design ci permettono di riconoscere un ordine apparentemente perso: se la natura è straordinaria, la capacità dell'essere umano di plasmare la materia ci avvicina a tale perfezione. Oggi più che mai l'arte ci permette di sognare ad occhi aperti, trasformando la materia e la realtà che ci circonda in meraviglia. Se fino a poco tempo fa sembrava fossimo destinati a vivere in una società sempre più virtuale, la pandemia di Covid-19 ha invece mostrato il profondo bisogno - quasi ancestrale e viscerale - di materia e realtà: dopo anni di frustrazione e limitazioni anche fisiche, ai bitcoin e ai social fa sempre più da contraltare un bisogno di vedere, fare e toccare. L'essere umano è tornato a volere concretezza e realtà, anche quando sogna: affamati di presente e carichi di paure sul domani, cerchiamo di vivere ogni giorno il sogno, piuttosto che limitarci a pensarlo e progettarlo. Il nostro sguardo ricerca nella meraviglia per la realtà che ci circonda la speranza e la forza per andare avanti. Capiamo quindi il perché del successo dell'arte contemporanea nella nostra società: l'arte è materia che riflette sulla materia, riuscendo a dare forma e concretezza al pensiero umano... alle sue angosce, alle sue paure, ma anche alle sue gioie e alle sue speranze. Nel gesto artistico, capace di rappresentare una realtà diversa, l'essere umano ritrova il coraggio di ripensare il futuro al di là del presente contingente. Capace di sintesi come solo un'immagine può esserlo, empatica e mai banale nella sua complessità, l'arte contemporanea è oggi la materia del futuro. Non è però la preziosità della materia a determinare la qualità dell'opera d'arte, quanto la capacità dell'artista di vedere il futuro dando forma a qualsiasi sostanza. In fondo anche le stelle non sono fatte d'oro, ma di idrogeno, elio e carbone. A raccontare la “materiabilia” che ci circonda, e che non sempre riusciamo a vedere, quattro artisti che per tutto il 2022 mostreranno, con materiali comuni, immaginifici futuri… dietro l'angolo. Un messaggio di responsabilità e possibilità di ripensare, con ciò che abbiamo, un futuro migliore. Il ciclo ha visto protagonisti a Roma il lessico familiare fatto di semi e cioccolato di Flora Deborah e a Milano le spirali di materia di Paola Pezzi; un viaggio che continua oggi con i quadri di cera e paraffina di Stefano Cescon, sempre a Milano, e terminerà con le sculture naturali di Giulia Manfredi a Roma.

Stefano Cescon - biografia

Stefano Cescon (classe 1989) nasce a Pordenone ma dal 2017 vive e lavora tra Treviso e Venezia. Dopo il diploma di I livello in Arti Visive indirizzo Pittura presso l'Accademia Cignaroli di Verona, si laurea con lode in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Il suo percorso prende le mosse proprio dall’esperienza maturata attraverso la pittura: dallo studio della luce e dell’equilibrio cromatico, scaturisce nell'artista friulano l’esigenza di volgere a una dimensione creativa più vicina all’aspetto artigianale e materico dell’opera. Dal 2018 Cescon inizia così una ricerca basata sulle potenzialità intrinseche di un nuovo materiale: la cera d’api, indagata secondo diverse composizioni chimiche (mista a stearina e paraffina) che la rendono organica e viva. Il processo chimico di realizzazione delle opere di Cescon non permette mai di prevedere un risultato estetico preciso: diverse dinamiche portano a ottenere relazioni e ritmi differenti, dando vita a lavori che trovano ogni volta il modo di rinnovarsi, sfuggendo e offrendo un compromesso alle premesse stabilite dall'artista. Un approccio innovativo e totalmente inedito, sia in ambito tecnico che contenutistico, nello scenario artistico italiano, che porta Cescon ad aggiudicarsi nel 2021 la vittoria dell'ottava edizione del Premio Cramum.

Informazioni su Gaggenau

Gaggenau produce elettrodomestici professionali di altissima qualità ed è al contempo simbolo di innovazione tecnologica e design “Made in Germany”. L’azienda, la cui origine risale addirittura al 1683, rivoluziona l’universo degli elettrodomestici portando caratteristiche professionali nelle case di chi ricerca la differenza, anche nella cucina privata. Il successo delle sue soluzioni si fonda su una forte componente artigianale della manifattura e su un design senza tempo dalle forme pure e lineari, associati a un’elevata funzionalità e avanguardia tecnologica. Dal 1995 Gaggenau fa parte del gruppo BSH Hausgeräte GmbH, con sede centrale a Monaco, in Germania, ed è presente in più di 50 Paesi in tutto il mondo con 25 flagship store nelle principali metropoli, tra cui quelli di Milano e Roma inaugurati in collaborazione con il partner DesignElementi rispettivamente nel 2018 e nel 2020.       

 

"Terra!"- mostra personale di Stefano Cescon a cura di Sabino Maria Frassà

Un progetto di Cramum & Gaggenau in collaborazione con DesignElementi

Dal 6 ottobre al 22 dicembre 2022

lunedì-venerdì ore 10:00 - 18:30

Gaggenau DesignElementi Hub

Corso Magenta 2 (cortile interno, citofono 33), Milano

  

 



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  Florence Peake, RITE. Dancers Samir Kennedy, A de la Fe, Katye Coe, Iris Chan, Susanna Recchia. ph Anne Tetzlaff

 

 

FOROF presenta Florence Peake Interior Pull

Creata in esclusiva per FOROF, la performance entra in dialogo con il sito archeologico della Basilica Ulpia al piano ipogeo.

Un “Episodio Speciale” che preannuncia la seconda stagione di attività culturali in programma da novembre 2022 a FOROF. Interior Pull è una performance collaborativa ideata da Florence Peake con la partecipazione delle performer Vanshika Agrawal, Flaminia Celata e Anica Huck. Creata in esclusiva per FOROF, la performance entra in dialogo con il sito archeologico della Basilica Ulpia al piano ipogeo. Nel richiamo ad un rituale di sepoltura, attraverso un processo di encasement, Peake avvolgerà un corpo nell'argilla per poi estrarlo, lasciando come testimonianza un "guscio scultoreo" che verrà esposto nello spazio fino all’8 ottobre insieme ad altre opere dell’artista e successivamente portato al Laboratorio di Ceramiche Piramide per essere cotto.

Le emozioni sensoriali dell'artista, vissute durante il processo, diventeranno invece partiture vocali, che saranno amplificate nella stanza dall’interno della scultura in argilla.

“Questo Episodio Speciale, anche se slegato dalla programmazione della nuova seconda stagione, è occasione per ribadire l’identità coraggiosa e libera del nostro spazio culturale” spiega Giovanna Caruso Fendi, fondatrice di FOROF. “Partendo dall’archeologia come profusione artistica di storia e bellezza per la nostra produzione culturale contemporanea, facciamo opera di tutela, valorizzazione e promozione; l’obiettivo della società benefit FOROF è di operare in questo importante settore in modo innovativo, trasparente ed originale”.

In collaborazione con la Richard Saltoun Gallery di Roma.