Basir Mahmood 2

Basir MahmoodSunsets, everyday,2020Video, 14’ 55’’Courtesy l’artista e Fondazione In Between Art Film

La Fondazione In Between Art Film è lieta di annunciare l’opera Sunsets, everyday di Basir Mahmood

È uno dei tre film vincitori del prestigioso Ammodo Tiger Short Award.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
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La Fondazione In Between Art Film è lieta di annunciare che l’opera Sunsets, everyday di Basir Mahmood – commissionata e prodotta in occasione del progetto Mascarilla 19. Codes of Domestic Violence – è uno dei tre film vincitori del prestigioso Ammodo Tiger Short Award, assegnato nel corso della cinquantesima edizione dell’International Film Festival Rotterdam.

La giuria, costituita da Anna Abrahams, Amira Gad e Vincent Meessen ha selezionato, tra le 22 opere in concorso, il video di Mahmood con la seguente motivazione:

“Questo è un film coraggioso che si avvale di strumenti cinematografici, indizi visivi e simbolici per introdurre lo spettatore a un argomento delicato. La giuria è rimasta colpita dalla capacità del regista di realizzare a distanza un’opera così complessa. L’artista mette in discussione l’autorità del regista e amplia il ruolo dello spettatore. È un lavoro complesso che coinvolge il pubblico in un processo intimo di interpretazione, costringendoci a essere testimoni attivi della messa in scena per poter comprendere la narrazione. Il regista adotta un approccio sensibile a un argomento delicato, conducendo lo spettatore in un viaggio emotivo che inverte la relazione tra gli ambienti dominati dagli uomini e la dimensione domestica, e offrendo uno sguardo ravvicinato per poi mostrare l’ampiezza del tema trattato.”

“Sono emozionato e onorato di aver ricevuto questo prestigioso riconoscimento per il mio film ‘Sunsets, everyday’ – dichiara Basir Mahmood –. Un film che, durante la sua realizzazione, si è rivelato essere il più complesso che io abbia fatto sino ad ora. L'Ammodo Tiger Short Award dell’International Film Festival Rotterdam mi stimola a correre rischi e a sviluppare opere ancora più complesse in futuro. Questo progetto è stato una sfida entusiasmante da affrontare durante il periodo difficile della pandemia, che presto è diventata sia il contesto sia la condizione stessa del film. Vorrei ringraziare il Festival e i membri della giuria per aver apprezzato il film e riconosciuto l'urgenza dell’argomento. Voglio esprimere la mia gratitudine verso Beatrice Bulgari e la sua Fondazione In Between Art Film per aver concepito il progetto ‘Mascarilla 19 - Codes of Domestic Violence’, che ha ispirato profondamente tanti di noi. Infine, un ringraziamento speciale al curatore Leonardo Bigazzi per avermi invitato a far parte di questa commissione e aver reso possibile questo film da tutti i punti da vista; un film che credo abbia spinto la mia pratica in una nuova direzione.”

IFFR ha inoltre nominato Flowers blooming in our throats di Eva Giolo per gli European Film Awards (EFA) nella categoria cortometraggi. Gli European Film Awards sono assegnati ogni anno dal 1988 dalla European Film Academy per riconoscere l'eccellenza del cinema europeo. Il vincitore sarà selezionato dai 24 film nominati da altrettanti Festival internazionali, tra cui i Festival di Berlino, Venezia e Locarno, e annunciato l'11 Dicembre 2021 a Berlino.

“Sono davvero orgogliosa che l'opera di Basir Mahmood abbia ricevuto un premio così ambito e importante – afferma Beatrice Bulgari, fondatrice e Presidente della Fondazione In Between Art Film –. Questo riconoscimento è una conferma della qualità del suo lavoro e uno stimolo per noi a proseguire nel sostegno agli artisti emergenti di tutto il mondo, che è uno degli scopi principali della Fondazione In Between Art Film. Quando Basir ha accettato il nostro invito a realizzare un film su commissione per il progetto ‘Mascarilla 19 - Codes of Domestic Violence’, ci è apparso subito evidente che il suo approccio a un tema così delicato e drammatico si sarebbe sviluppato in modo non convenzionale. Insieme con il mio team di curatori, sono felice che la sua visione, il suo coraggio intellettuale e il suo modo di girare ‘in absentia’ siano stati riconosciuti in un ambito così prestigioso come l' International Film Festival di Rotterdam.

Quest'edizione dell'IFFR ha rappresentato per il nostro progetto 'Mascarilla 19' un'importante momento di conferma e di apprezzamento, cui si aggiunge la candidatura da parte del Festival dell'opera di Eva Giolo 'Flowers blooming in our throats' agli European Film Awards”.

Sunsets, everyday di Basir Mahmood e Flowers blooming in our throats di Eva Giolo sono due delle otto opere video che compongono Mascarilla 19. Codes of Domestic Violence, un progetto di commissioni promosso da Fondazione In Between Art Film per promuovere la conoscenza e la sensibilizzazione intorno al tema della violenza domestica sulle donne e il suo inasprirsi a livello globale in conseguenza delle misure di contenimento della pandemia da Covid-19. Il progetto, a cura di Leonardo Bigazzi, Alessandro Rabottini e Paola Ugolini, ha visto la partecipazione, oltre che di Basir Mahmood (Pakistan/Paesi Bassi, 1985) e Eva Giolo (Belgio, 1991), degli artisti Iván Argote (Colombia/Francia, 1983), Silvia Giambrone (Italia/Gran Bretagna, 1981), MASBEDO (Italia, Nicolò Massazza, 1973 e Iacopo Bedogni, 1970), Elena Mazzi (Italia, 1984), Adrian Paci (Albania/Italia, 1969), Janis Rafa (Grecia, 1984)

 

BASIR MAHMOOD

SUNSETS, EVERYDAY, 2020

Video, 14’ 55’’

Formatosi come scultore, Basir Mahmood (n. 1985, Lahore; vive e lavora ad Amsterdam) utilizza il video e la fotografia per riflettere sui meccanismi di costruzione del linguaggio cinematografico e per confrontarsi con il valore estetico e politico della realtà quotidiana.

Sunsets, everyday è il risultato di una ricerca iniziata dall’artista immaginando il processo, sia fisico che cinematografico, che genera le immagini di violenza domestica. Durante il lockdown alcune vittime hanno coraggiosamente utilizzato i social media per condividere fotografie dei loro volti, per incoraggiare altre donne a denunciare. Le ferite e i segni sui loro corpi erano l'unica prova tangibile dei colpi e del dolore che avevano subito, e per l’artista sono state il punto di partenza per riflettere su tutto quello che accade lontano dal nostro sguardo.

Mahmood ha quindi commissionato a un team di produzione cinematografica in Pakistan di ricreare e filmare in sua assenza una scena ripetuta di violenza domestica, seguendo le sue istruzioni e alcune immagini di riferimento. Mentre la troupe principale era impegnata a lavorare, due cameramen avevano l’indicazione di filmare in continuo l'intero processo e gli elementi del set nei minimi dettagli. Questa metodologia di lavoro a distanza, da lui spesso utilizzata, attiva una riflessione su un piano concettuale sul ruolo dell’artista e sulla sua autorialità, rendendolo testimone e osservatore della sua stessa opera.

La messa in scena della violenza è quindi ciò che genera le immagini sullo schermo, ma l'atto in sé è quasi del tutto negato allo spettatore. Sono infatti visibili solo stretti primi piani e piccole porzioni di corpi femminili. L’artista rifiuta così qualsiasi spettacolarizzazione e si concentra invece sul processo cinematografico e sui codici del suo linguaggio. Un metacinema della violenza i cui protagonisti sono tecnici e membri della troupe sottoposti alla richiesta estenuante di ripetere la scena per 16 ore consecutive di riprese. Il set stesso è indagato dalla telecamera con uno sguardo forense, e gli oggetti che lo compongono sono portati sullo stesso piano di valore delle persone. Testimoni forzati della violenza che si consuma di fronte a loro. La riproposizione quasi ossessiva degli stessi gesti, come la pulizia del pavimento, diventa così espressione della quotidianità della violenza. Un atto che si ripete attraverso una tragica continuità. Tutti i giorni, inevitabile come un “tramonto”.

EVA GIOLO

FLOWERS BLOOMING IN OUR THROATS, 2020

16mm trasferito su supporto digitale, 8’ 42"

Eva Giolo (n.1991 Bruxelles) è un’artista visiva che impiega strategie documentarie per indagare storie personali e familiari, con uno sguardo intenso e sensibile sul mondo femminile. Nella sua pratica utilizza spesso riprese in 16mm e found footage provenienti da archivi di home video e dal suo privato.

Filmato in 16mm subito dopo il lockdown dovuto alla pandemia di COVID-19, Flowers blooming in our throats è un ritratto cinematografico intimo e poetico dei fragili equilibri che regolano la quotidianità nel contesto domestico. L’artista riprende un gruppo di donne, con cui condivide legami di amicizia, mentre nelle loro case eseguono piccole azioni seguendo le sue indicazioni. Giolo sceglie di percorrere un confine labile dove i gesti rimangono simbolicamente ambigui, espressione di una violenza non immediatamente riconoscibile. Mani che cercano di sostenersi e di sottrarsi, ma anche di stringere e colpire, in un gioco sottile di suoni e riferimenti che alimenta il senso di tensione e disagio nello spettatore. Una conversazione gestuale, composta da sequenze visive che si ripetono, in cui il tempo è scandito dalla rotazione di una piccola trottola, anch’essa instabile e precaria come gli equilibri in una relazione affettiva.

L’artista utilizza ripetutamente un filtro rosso sull’obiettivo, creando un dispositivo concettuale che sfrutta un elemento di astrazione per occultare e trasfigurare le immagini. L’inserimento meccanico del filtro nell’obiettivo diventa così una simulazione di un atto violento, che immediatamente cambia la nostra percezione della memoria di uno stesso gesto già visto in precedenza.

Questa compresenza di opposti si ritrova anche nel titolo che metaforicamente associa alla bellezza di un fenomeno naturale, e implicitamente all’amore, il rischio di trasformarsi in un impulso soffocante.

 

 

gastel

In copertina, Michele De Lucchi, courtesy l'atista e Giovanni Gastel , 2014

Michele De Lucchi tra gli artisti fuori concorso all'ottava edizione del premio Cramum

La nuova edizione del premio meneghino per l'arte contemporanea indagherà il legame tra uomo e natura.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
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Anche l'architetto Michele De Lucchi sarà tra gli artisti fuori concorso - in mostra e in giuria - dell'ottava edizione del Premio Cramum. La nuova edizione del premio meneghino per l'arte contemporanea indagherà il legame tra uomo e natura e sarà ospitata a Villa Mirabello di Milano a partire dal 3 settembre 2021.

Michele De Lucchi ritratto da Giovanni Gastel direttore artistico del Premio Sabino Maria Frassà completa con De Lucchi la squadra di artisti di fama internazionale che sosterrà i giovani artisti finalisti selezionati attraverso un bando che si chiude il 6 aprile 2021. Oltre a De Lucchi il direttore aveva già raccolto le adesioni di altri noti artisti: Bloom&me, Ludovico Bomben, Letizia Cariello, Gianluca Capozzi, David LaChaeplle, Alberto Emiliano Durante, Ingar Krauss, Fulvio Morella, Paola Pezzi e Carla Tolomeo.

Sabino Maria Frassà accoglie l'adesione dell'architetto Michele De Lucchi ricordando che "il Maestro è stato tra i protagonisti delle correnti di avanguardia nell’architettura e nel design sin dagli anni Settanta. Ha disegnato oggetti per le più conosciute aziende italiane ed europee. Ha realizzato progetti architettonici in Italia e nel mondo, che spaziano dagli edifici industriali ai centri culturali. Pertanto è un onore averlo nella nostra squadra e il suo contributo e la sua visione sul futuro incentrata sul senso di comunità sarà una grande possibilità di riflessione per tutti. Del resto l'importanza delle relazioni umane è alla base anche di AMDL CIRCLE, lo studio multidisciplinare fondato da De Lucchi nel 2018 rinomato per l’approccio umanistico alla progettazione".

Il Comitato scientifico del premio è composto non solo dagli artisti fuori concorso ma anche da collezionisti, giornalisti, critici e cultori dell'arte di fama internazionale: Valentina Ardia, Loredana Barillaro, Giulia Biafore, Paolo Bonacina, Ettore Buganza, Cristiana Campanini, Valeria Cerabolini, Jacqueline Ceresoli, Carolina Conforti, Stefano Contini, Camilla Delpero, Riccardo Fausone, Chiara Ferella Falda, Raffaella Ferrari, Antonio Frassà, Maria Fratelli, Giovanni Gazzaneo, Giulia Guzzini, Rosella Ghezzi, Pier Luigi Gibelli, Giuseppe Iannaccone, Alice Ioffrida, Gian Luigi Lenti, Angela Madesani, Achille Mauri, Fiorella Minervino, Fabio Muggia, Annapaola Negri-Clementi, Antonella Palladino, Rischa Paterlini, Francesca Pini, Giovanni Pelloso, Ilenia e Bruno Paneghini, Alessandra Quattordio, Fulvia Ramogida, Iolanda Ratti, Alessandro Remia, Elisabetta Roncati, Livia Savorelli, Massimiliano Tonelli, Patrizia Varone,Nicla Vassallo, Giorgio Zanchetti, Emanuela Zanon.

Si ricorda che il bando per la selezione dei finalisti del premio Cramum rimarrà invece aperto fino al 6 aprile.

Scarica qui il bando -> QUI

 

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Enrico DAVID, June Sky Sunset, 2020. © Enrico DAVID

Gió Marconi ha il piacere di annunciare "Cielo di giugno" di Enrico David

Enrico DAVID "Cielo di giugno" visibile dal 9 febbraio al 20 marzo. 

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
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Enrico DAVID "Cielo di giugno" è visibile dal 9 febbraio al 20 marzo. Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete di orizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze e disegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensati e appuntati durante il periodo di concepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale. Cielo di giugno marca una soglia nella pratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi” e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati in  media e linguaggi differenti. La loro sequenza, oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David come pittore e ha come  pretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primo buio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terra o su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che come scriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e in pratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.

La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dello spazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono i contenuti. Il fraterno silenzio del fango (2020) e Zattera viva (2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura, costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora, aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno della malinconia si abbandonano alla caducità, o zattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consueta intonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non ha corpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come in una sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, o meglio, del come fare della pittura nel modo meno pittorico possibile.

Bassa marea al molo, Fossa madre, Cielo trema o niente, o Punti di fiamma, Salvezza trovata in cielo tutti del 2020, come Cielo di giugno che da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo più rapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poi ricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementi di natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dello spazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale la materialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.

Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro tra la caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravvive all’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.


Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.
Tra le sue mostre più recenti: Gradations of Slow Release, MCA, Chicago, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington (2019); 58° Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019); Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016); Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore (2016); The Hepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum, Los Angeles (2013); 55° Biennale di Venezia a cura di Massimiliano Gioni, Venezia (2013); Head Gas, New Museum, New York (2011); Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011); How Do You Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009); Bulbous Marauder, Seattle Art Museum, Seattle (2008); Ultra Paste, ICA, Londra (2007) e 50° Biennale di Venezia a cura di Francesco Bonami, Venezia (2003).

 

Nerina Toci ritratto 

Nerina Toci, Ritratto, © Nerina Toci_courtesy Fondazione Mudima

 

Nerina Toci "UN SEME DI COLLINA" alla Fondazione Mudima

Un progetto work in progress che comprende una selezione di fotografie realizzate tra il 2017 e il 2020 in Sicilia

Curato da Davide di Maggio ed edito da Fondazione Mudima, è un progetto work in progress che comprende una selezione di fotografie realizzate tra il 2017 e il 2020 in Sicilia, principalmente tra i versanti asimmetrici dei monti Nebrodi, e che nasce da un ben precisa esigenza di definizione del reale.

All’inizio del suo percorso di ricerca artistica, lo sguardo di Toci era condizionato dai sogni e dall’emotività; il punto focale della sua indagine era la sua identità e ciò che per lei rappresentava il reale. Questo volume raccoglie un intenso lavoro, che esemplifica l’evoluzione artistica della fotografa: dopo aver gradualmente eliminato la propria figura dagli scatti, Toci cerca di catturare l’identità universale attraverso l’esperienza del sensibile.

L’interesse antropologico – con la costante riflessione sulla figura femminile, sul senso del luogo e del confine – e l’interrogazione sul reale spostano la funzione della fotografia da quella estetica a quella reale: la vera risposta sta non nel catturare e possedere la realtà, ma nell'accettazione della sua esistenza.

La giovane fotografa albanese, originaria di Tirana, che per molti anni ha vissuto in Sicilia, si occupa di fotografia dal 2015 e riserva da sempre, nel suo lavoro, un ruolo centrale alla sua terra di adozione.

Nei sui lavori sensuali e misteriosi – dei quali anche Letizia Battaglia ha sottolineato l’inquietudine e la grazia – riesce a rappresentare la sua realtà, la sua immaginazione sconfinata, che varca i confini della fotografia e ci porta in un mondo incantato dove la mente è libera di viaggiare. La chiave per capire il suo lavoro va cercata nel fatto che, applicando leggi proprie, supera la visione monoculare che la fotografia impone. Il lavoro di Nerina Toci parte dalla fotografia ma prende subito altre rotte, diventando opera d’arte. La macchina fotografica è semplicemente un mezzo che le consente di esprimere quello che per un fotografo è impossibile: uscire dalla realtà che ci circonda per addentrarsi in una sorta di Wunderkammer – una realtà personale che diventa universale – nella quale entriamo insieme a lei.

Davide di Maggio, curatore del volume, dice di lei: «Il fotografo blocca un istante in eterno, lei apre quell’istante all’infinito. Le sue fotografie non hanno a che fare con l’effimero della nostra società, ma hanno piuttosto quella “perennità” delle opere che si tramandano nel tempo. Il tempo non è un limite ma diventa suo alleato. La realtà che la circonda non le interessa, la sua è un instancabile ricerca di un mondo che non trova, ma che è ben chiaro nella sua lucidissima immaginazione e che riesce a esprimere nelle sue fotografie anche grazie ad un grandissimo talento. Questa è la forza di Nerina Toci, il suo fascino, il suo magnetismo. E questo è il sogno dell’arte che grazie a lei si avvera e che questo nuovo libro ci restituisce in tutte le sue parti mettendo in luce il ruolo centrale da lei assunto tanto come testimone del mondo dell'arte e della realtà sociale in profondo mutamento che la circonda, quanto come protagonista di nuovi percorsi di ricerca e di espressione artistica».

Il libro è acquistabile sul sito di Fondazione Mudima: www.mudima.net (sezione Shop) e in libreria.

Alcuni degli scatti di Nerina Toci possono essere ammirati dal pubblico nella mostra collettiva La Face autre de l'autre Face, alla Fondazione Mudima fino al 12 marzo 2021.

L’esposizione, curata da Davide di Maggio, arriva a Milano dopo essere stata ospitata al Muc - Musée Urbain Cabrol di Villefranche de Rouergue e raccoglie opere di 21 artisti, principalmente italiani, attivi in diversi campi dell’arte, da quella visiva, alla fotografia, ai video e alle installazioni. Oltre a Nerina Toci, sono: Daniela Alfarano; Gabriele Basilico; Renata Boero; Loris Cecchini; Pierpaolo Curti; Diamante Faraldo; Claudio Gobbi; Francesco Jodice; Christiane Löhr; Uliano Lucas; Giovanni Manfredini; Sabrina Mezzaqui; Ugo Mulas; Federico Pietrella; Alfredo Pirri; Andrea Salvino; Nicola Samorì; Andrea Santarlasci; Alessandro Verdi; Nicola Verlato.

L’esposizione sarà visitabile in assoluta sicurezza, con accessi contingentati nella quantità e nella frequenza.

Informazioni e prenotazioni: www.mudima.net

Biografia 

Nerina Toci nasce a Tirana il 21 gennaio del 1988. Vive e lavora tra Palermo e Milano. Nel 2015 inizia a fotografare, prediligendo il bianco e nero. Ha esposto in Italia, Albania e in Cile. Nel 2015 prende parte alle mostre collettive Interior intimo meo al Castello Gallego di Sant’Agata di Militello e a Kermesse d’Arte” presso la Biblioteca Comunale di Mistretta. Nel 2016 le prime mostre personali in Italia: La fotografia media i conflitti, alla Casa delle Culture a Palermo, Nuk bëhet allo Spazio Loc a Capo d’Orlando; quindi la collettiva Cupiditas presso l’Archivio Storico Comunale di Palermo. Nel 2016 realizza anche la prima personale all’estero: Imazhi është e vetmja kujtesë që unë kam, al Concord Center Galeri di Tirana. Ancora, nello stesso anno vince il premio “Guido Orlando - Premio fotografico Peppino Impastato.” Dal 2017 inizia il ciclo di mostre personali in Cile, Buscandome, all’Istituto Italiano di Cultura a Santiago e a La Sebastiana Museo Pablo Neruda di Valparaiso. Il ciclo di mostre in Cile continua nel 2018 con le mostre al Museo Gabriela Mistral Vicuña e al Museo Histórico Gabriel González Videla La Serena. Nello stesso anno partecipa alle collettive Baus°Art al Castello di Bauso di Villafranca Tirrena e Segreto al Centro Internazionale di Fotografia di Palermo. Nel 2017 esce il suo primo libro, L’immagine è l’unico ricordo che ho, edito da Navarra, con la prefazione di Letizia Battaglia. Inoltre collabora con la rivista indipendente di poesia e cultura Niederngasse. Le collettive continuano nel 2019, con la mostra Visionari al Centro Internazionale di fotografia di Palermo. Sempre nel 2019 cura con Davide Di Maggio la mostra Il corpo è un livido a Palazzo Ducale di Massa.

 

 

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Il fotografo Rudolf Steiner allo spazio Choisi di Lugano

Una serie di immagini che documentano la sua attrazione per il misterioso.

Con Ricochet, l'artista e fotografo Rudolf Steiner presenta dal 28.01.2021 al 09.04.2021 una serie di immagini che documentano la sua attrazione per il misterioso. Le fotografie, scattate negli ultimi sei anni nei dintorni del suo studio a Rondchâtel, vicino a Bienne, traducono – grazie all'uso di una speciale tecnica di ripresa digitale – paesaggi di aspre rocce, tunnel abbandonati e grandi impianti industriali in "tableaux" di strana bellezza.

Il termine Ricochet deriva dal francese e significa "rimbalzo" o "contraccolpo" ed è spesso usato in connessione con armi da fuoco o artiglieria. Con questa parola, Steiner si riferisce a una teoria della visione di Platone, che afferma che un "raggio di visione" emana dall'occhio in movimento e scansiona il mondo nel campo visivo - come un cieco con il suo bastone che scansiona la strada di fronte a lui, o come uno scanner che registra il visibile riga per riga per emetterlo come immagine.

A causa della lunga durata della sessione di registrazione, le influenze atmosferiche come il vento, i cambiamenti di luce dovuti alle nuvole e alla nebbia sono inscritti nell'immagine - il "raggio visivo" rimbalza, i "ricochet" vengono registrati.

Spazio Choisi 1, via Pelli 13, Lugano
per visite contattate Spazio Choisi 01 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

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Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato riapre al pubblico

 Dal 20 gennaio il museo è pronto ad accogliere il suo pubblico in piena sicurezza e con una ricca programmazione.

In ottemperanza al Dpcm del 16 gennaio 2021 che ufficializza l’apertura dei musei nelle regioni in zona gialla, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato annuncia che da mercoledì 20 gennaio potrà accogliere nuovamente i suoi visitatori, in piena sicurezza e con le proroghe delle mostre e progetti in corso: Jacopo Benassi. Vuoto; Protext! e Litosfera.

Il museo sarà visitabile dal mercoledì al venerdì dalle 12.00 alle 20.00 (chiuso nel fine settimana). L’ingresso sarà gratuito per le prime due settimane, salvo la mostra Protext! a prezzo ridotto.

“Abbiamo già dimostrato come un luogo della cultura possa essere un presidio importante e sicuro per la collettività in un periodo difficile come quello che stiamo tutti vivendo – dichiara Cristiana Perrella, Direttrice del Centro Pecci –. Con la riapertura vogliamo continuare a dare un segnale positivo di energia e accoglienza. Le nostre procedure di sicurezza sono state sempre accurate: siamo un museo grande, con sale ampie e spazi esterni importanti, in cui il distanziamento fisico e la gestione contingentata del flusso di visitatori sono facili da attuare. Riaprire le porte del museo al pubblico è un’opportunità per aumentare la familiarità con il museo e con il suo ruolo di servizio d’interesse generale, per offrire ai cittadini cibo per la mente e una forma di socialità e condivisione sicura, in un momento in cui ce n’è un enorme bisogno.”

Il museo riapre con la collettiva Protext! Quando il tessuto si fa manifesto, prorogata fino al 14 marzo: attraverso il lavoro di Pia Camil, Otobong Kkanga, Vladislav Shapovalov, Tschabalala Self, Marinella Senatore, Serapis Maritime and Güneş Terkol la mostra esplora il ruolo del tessuto non solo nei dibattiti critici su lavoro, identità e cambiamento ambientale, ma anche come medium per eccellenza nella rappresentazione del dissenso. In occasione della riapertura sarà disponibile la pubblicazione di Nero Editions in due volumi: il catalogo della mostra con il testo critico delle curatrici Camilla Mozzato e Marta Papini, le interviste agli artisti, biografie e fotografie delle opere, e un secondo volume, un vero e proprio libro d’artista firmato da Marinella Senatore, introdotto da Cristiana Perrella, Direttrice del Centro Pecci.

Tornerà visibile anche il progetto Litosfera – prorogato fino al 18 aprile – che mette in dialogo il video A Fragmented World (2016) di Elena Mazzi e Sara Tirelli con l’installazione ambientale Produttivo (2018-2019) di Giorgio Andreotta Calò: due progetti nati dal desiderio di rappresentare forze e materie che nel corso di ere geologiche hanno dato forma al nostro pianeta. Proseguirà anche l’esposizione della nuova acquisizione RAID, video di Marcello Maloberti.

Dato il grande successo di pubblico e critica, si è deciso di prorogare fino al 30 gennaio anche Jacopo Benassi. Vuoto, la prima personale in un museo dedicata al fotografo ligure. La riapertura della mostra, accompagnata dalla pubblicazione del libro FAGS, diventa l’occasione per rilanciare la campagna di fundraising: acquistando una fotografia di Benassi a tiratura limitata, sarà possibile sostenere le attività del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci.

In parallelo alla riapertura fisica delle sale del museo, prosegue il palinsesto digitale PECCI ON: un programma creato per alimentare il pensiero critico e il confronto con la scena culturale globale, ma anche un modo per sottolineare come un’istituzione d’arte contemporanea come il Centro Pecci abbia la vocazione e il ruolo di catalizzatore per la propria comunità, di antenna che capta il presente attraendo idee, voci, artisti per leggere le evoluzioni del nostro tempo per restituirle amplificate al territorio e al mondo.

In occasione della riapertura, per EXTRA FLAGS, sul pennone davanti al Centro verrà issata una nuova bandiera, quella di Jeremy Deller (Londra, 1966). Intitolata A flag for a new Pangolin Nation, la bandiera riporta quello che l’artista considera come l’animale forse più perseguitato al mondo, indicato da alcuni centri di ricerca come il probabile ospite intermedio che ha consentito il passaggio del virus Covid-19 dal pipistrello all’uomo. Dedicargli una bandiera è dedicarla al capro espiatorio, alla vittima inconsapevole, ma è anche un commento sarcastico sulle strumentalizzazioni politiche nazionaliste e populiste generate dalla pandemia. Come sempre nel suo lavoro, Deller attiva anche qui un dialogo trasversale che cortocircuita tra significati opposti, creando un’immagine allo stesso tempo ironica e provocatoria, che rivela il rimosso dei nostri sistemi di convivenza ed espressione. Nonostante il suo approccio anticonvenzionale e controverso, l’artista è diventato un’icona dell’arte inglese, vincendo il prestigioso Turner Prize nel 2004 e rappresentando la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia nel 2013. Nel 2019 ha esposto al Centro Pecci il suo progetto Wiltshire Before Christ, realizzato in collaborazione con il marchio di streetwear Aries e il fortografo David Sims.

Per rafforzare il legame con Prato anche in questi tempi difficili, da febbraio il Centro Pecci lancerà una promozione con i ristoranti della città: il coupon, distribuito nei ristoranti aderenti, darà diritto a ricevere un ingresso omaggio per ogni biglietto acquistato per la mostra Protext!