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Hedi Mertens, Unità quadrilatere uguali si incontrano in un quadrato centrale, 1969, olio su tela, Collezione privata 

 

Hedi Mertens "La logica dell’intuizione" al MASI di Lugano 

Il progetto espositivo restituisce al pubblico l'opera e la singolare storia di un’artista che partendo da una profonda conoscenza teorica ha trovato in Ticino le condizioni favorevoli per applicarla e sviluppare la propria arte.

Il Museo d'arte della Svizzera italiana presenta nella sede di Palazzo Reali la mostra "Hedi Mertens. La logica dell’intuizione." Il progetto espositivo restituisce al pubblico l'opera e la singolare storia di un’artista che partendo da una profonda conoscenza teorica ha trovato in Ticino le condizioni favorevoli per applicarla e sviluppare la propria arte.

Personalità estremamente versatile, Hedi Mertens (Gossau, 1893 – Carona, 1982) segue una formazione pittorica classica, ma inizia a dipingere con costanza soltanto negli anni Sessanta, in età ormai avanzata, dopo un percorso di vita ricco di esperienze ed incontri eccezionali in Svizzera e all’estero. Ciò nonostante riesce a sviluppare, in poco più di vent'anni, un corpus di opere di straordinaria intensità, da cui si sprigiona tutta l'energia e la forza di un lavoro giovanile. Nella sua ricerca Mertens abbraccia i principi dell'arte costruttivo-concreta svizzera, rispetto alla quale il suo lavoro si può considerare una “variante poetica”.

Attraverso una selezione di oltre 30 dipinti che coprono l'intero arco di produzione di Hedi Mertens dai primi anni Sessanta fino alla fine degli anni Settanta, l'esposizione al MASI ripercorre le diverse fasi e lo sviluppo dell'opera di quest'artista ancora poco nota al grande pubblico. Le analisi e le teorie compositive assimilate da Mertens grazie all’intenso scambio di idee con artisti e intellettuali vicini all’astrattismo e all’arte concreta svizzera sono rievocate in mostra da alcune opere puntuali dei quattro principali rappresentanti dell’arte concreta zurighese: Richard Paul Lohse, Max Bill, Camille Graeser e Verena Loewensberg.

Nella sua ricerca artistica Hedi Mertens riprende e indaga alcuni dei fondamenti dell’astrazione geometrica. Il quadrato, protagonista della sua produzione, le permette nella sua forma assoluta di coniugare la logica di infinite possibilità combinatorie con una certa libertà, che segue la sua intuizione personale. Un approccio che si riflette soprattutto nella scelta dei colori, per cui l'artista rinuncia a schemi rigidi e sceglie piuttosto contrasti e accostamenti cromatici guidati dalla propria sensibilità individuale. Nella fase finale del suo lavoro si riconosce un allontanamento dai modelli assimilati per approdare ad uno stile decisamente più personale. Negli ultimi dipinti è lo sfondo bianco a dominare sugli altri elementi: la tela risulta pervasa da una più profonda spazialità e da un'atmosfera meditativa, una condizione che ben rispecchia il periodo trascorso in Ticino dall’artista.

Nel percorso espositivo sono presentate anche alcune lettere, documenti e testimonianze sulle vicende biografiche dell'artista.

L’esposizione è realizzata in collaborazione con il Museum Haus Konstruktiv di Zurigo, dove verrà presentata nella primavera 2024. In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo bilingue italiano/tedesco edito da MASI Lugano / Museum Haus Konstruktiv / Scheidegger & Spiess / Edizioni Casagrande, con testi di Francesca Benini ed Evelyne Bucher e un saggio di approfondimento di Medea Hoch sull’opera di Hedi Mertens, come pure le immagini di tutte le opere esposte a Lugano e a Zurigo.

Il percorso

"Dipingo quadri simili ai suoi, ma solo in sogno!" (Ich male Bilder den Ihren verwandt aber nur in Traum!) scrive Hedi Mertens nel 1951 a Richard Paul Lohse, artista e teorico, tra i maggiori portavoce e promotori dell'arte concreta. Insieme all’artista Leo Leuppi, un altro importante esponente della scena artistica svizzera, Lohse è assiduo frequentatore del Bünishof, la villa nella periferia zurighese dove Mertens vive con il secondo marito e che negli anni trenta diventa un punto di ritrovo per importanti intellettuali e personalità di spicco dell’epoca, tra cui Carl Gustav Jung ed Hermann Hesse. Gli scambi e le preziose esperienze vissute da Hedi Mertens in questo periodo troveranno espressione nella sua ricerca artistica successiva, influenzata anche dal legame con l'India, nato attraverso il contatto con il santone indiano Shri Meher Baba e il viaggio durato due anni nel subcontinente indiano. Il trasferimento in Ticino nel 1952 – prima a Solduno e poi a Carona vicino a Lugano – risulta condizione ideale per l'ultimo progetto di vita di Mertens che, forse proprio grazie alla tranquillità trovata nel sud della Svizzera, riprende a dipingere nel 1960.

Come emerge dai primi lavori in mostra, realizzati all'inizio degli anni Sessanta, per le sue composizioni Mertens prende le mosse dai metodi sistematici elaborati dagli artisti concreti, che aveva analizzato a fondo. Il quadrato è il soggetto eletto a protagonista di tutte le sue opere, costruite su ordini pittorici spesso regolati da operazioni aritmetiche e geometriche come la divisione, la moltiplicazione, il contrasto, la centratura, la dispersione, la digressione, la progressione, la simmetria, l'intreccio, la rotazione, ecc.

Nei lavori delle fasi iniziali emergono chiare le influenze degli artisti concreti svizzeri, con cui si apre la prima sala della mostra. Ad esempio, l'opera Quadrato costituito da unità colorate, con quattro quadrati uniti a formare un blocco del 1965, evoca la struttura dei dipinti dell'artista Camille Graeser, che compone sulla tela strutture basate sull'equivalenza dei quanti, in cui quadrati di dimensioni diverse sono ordinati in modo da generare una progressione. La serie di opere intitolate Unità quadrilatere uguali è caratterizzata da griglie a unità quadrata e fitti reticolati che richiamano invece le composizioni di Richard Paul Lohse. Le opere concrete di Max Bill sembrano aver influenzato alcuni dipinti come Sequenza diagonale di quadrati con quadrato rosso del 1973, in cui Mertens applica la rotazione della tela di 90 gradi, che diventa così un rombo. Costantemente alla ricerca di nuove soluzioni formali, in quegli stessi anni l'artista sperimenta diversi motivi, come quello del quadrato nel quadrato, che sottintende il principio della cornice all’interno del dipinto, o quello della suddivisione della tela attraverso elementi a “L”.

“Una simbiosi di rigore quadrato e di cromaticità intuitiva” (eine Symbiose von quadratischer Strenge und intuitiver Farbigkeit), così è stata definita la sua opera dalla storica dell'arte Ludmila Vachtová. Al rigore dei sistemi per le sue composizioni basate sulla logica, Hedi Mertens accosta infatti una scelta dei colori più libera, passando da pastelli a toni intensi, da colori primari – integrando il bianco e il nero – a colori mescolati, creando contrasti chiaro-scuro o freddo-caldo che seguono un suo personale senso dei colori.

Avvicinandosi alle opere dell'ultimo periodo, le regole geometriche complesse che caratterizzavano i primi lavori dell'artista giungono a una semplificazione, per risolversi in un linguaggio più lirico e meditativo. Il colore bianco, che nei titoli viene definito dall’artista elemento muto della tela, prende il sopravvento sugli altri elementi: si genera così una spazialità più mistica, in cui le forme sembrano sospese nel campo pittorico e spesso sono raggruppate ai margini della tela (Quattro quadrati nello spazio). La tavolozza si fa più fredda, predilige le tonalità scure luminose e insieme una gamma cromatica opaca che conferisce maggiore solennità alla composizione. Una tensione verso l’armonia e la contemplazione, questa delle ultime opere, che caratterizza la cifra più autonoma della ricerca di Hedi Mertens e rimane come testamento di un'artista ancora troppo poco conosciuta, che con questa mostra si vuole far riscoprire.

 



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"Edmondo Bacci. L’energia della luce". alla Collezione Peggy Guggenheim 

"Bacci dipingeva la luce, quella luce che per lui era pregnanza delle cose, e da cui deriva il titolo della mostra stessa, una mostra che presenta le fasi più salienti, liriche ed esplosive del percorso artistico del pittore".

È stata presentata alla stampa Edmondo Bacci. L’energia della luce, a cura di Chiara Bertola, Responsabile del programma di arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia, Venezia, allestita negli spazi espositivi della Collezione Peggy Guggenheim dall’1 aprile al 18 settembre, 2023.

A fare gli onori di casa la direttrice Karole P. B. Vail, che ha salutato i numerosi giornalisti e ospiti presenti. Vail ha sottolineato l’importanza di questo omaggio all’artista veneziano Edmondo Bacci, prima e più esaustiva personale a lui dedicata, che ben si inserisce nella tradizione espositiva del museo che, da anni, accanto ad esposizioni di respiro internazionale, ospita rassegne volte a celebrare i protagonisti della scena artistica nazionale del secondo dopoguerra, quali Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Tancredi Parmeggiani, e ora Bacci. “Nel 1949 Peggy Guggenheim si trasferisce a Venezia, a Palazzo Venier dei Leoni”, ricorda Vail. “In laguna prosegue con entusiasmo la sua attività di collezionista e mecenate, ma invece di aprire una galleria, come aveva fatto a Londra e a New York, decide di sostenere alcuni artisti veneziani, che guardano a lei come a un faro di speranza nell’Italia del dopoguerra. Tra questi artisti c’è appunto Bacci. Nella sua autobiografia Peggy lo descrive come il suo “secondo protégé…un pittore molto lirico…le cui opere erano ispirate a Kandinsky”. È dunque per noi estremamente significativo ricordarlo oggi con una monografica”.

Accanto alla direttrice, Francesca Lavazza, Board Member di Lavazza Group, Institutional Patron della Collezione Peggy Guggenheim e sostenitore della mostra, che ha aggiunto: “Questa mostra ha un significato profondo e coerente con il percorso iniziato nel 2017 con la Collezione Peggy Guggenheim. Venezia è per noi città di elezione, simbolo culturale del nostro Paese, e del fragile rapporto tra natura e arte, tra uomo ed ecosistema. Qui hanno trovato voce avanguardie e artisti nazionali e internazionali, valorizzati e scoperti dalla stessa Peggy Guggenheim, figura fondamentale nel mondo dell’arte che ammiro profondamente. Le opere di Edmondo Bacci esprimono la sua capacità di rappresentare la luce del mondo, e quella interiore che risiede nelle cose e nell’uomo. La mostra rende omaggio a questo grande artista e alla sua cifra espressiva, presentando opere che, al di là della pittura stessa, sono dense di significato e potenza creativa”.

La curatrice Chiara Bertola ha successivamente preso la parola, entrando nel cuore del percorso espositivo. “Per me questa mostra rappresenta un ritorno a casa di Edmondo Bacci, a casa di Peggy Guggenheim, collezionista sensibile e rara, che aveva intuito come, dietro a una figura così timida e schiva, quale era Bacci, si celasse un grandissimo artista. Fu lei, per prima, a capire che l’energia del colore delle sue opere era qualcosa di speciale, di unico. Dal percorso espositivo ho cercato di far emergere, il più possibile, il linguaggio di Bacci, cercando di portare lo sguardo dentro l’esperienza dell’artista stesso [..] Bacci dipingeva la luce, quella luce che per lui era pregnanza delle cose, e da cui deriva il titolo della mostra stessa, una mostra che presenta le fasi più salienti, liriche ed esplosive del percorso artistico del pittore, dalle sue “Fabbriche”, alle “Albe”, per arrivare ai più noti “Avvenimenti”. Nel percorso non manca una sorta di deviazione, che definisco inedita, dedicata ai suoi lavori più sperimentali, e in qualche modo tattili, per terminare poi con il grande tributo che la XXIX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1958 gli dedica, offrendogli un’intera sala, ricreata ora in mostra”.

Con un’ottantina di opere, molte delle quali mai esposte prima, tra dipinti e disegni inediti, provenienti dall’Archivio Edmondo Bacci, collezioni private e musei internazionali, tra cui il Museum of Modern Art di New York e l’Art Museum di Palm Springs, California, si tratta della prima e più esaustiva personale dedicata all’artista veneziano Edmondo Bacci (1913-1978). Il percorso espositivo prende il via dal nucleo di tele, in bianco e nero, intitolate Cantieri e Fabbriche, che l’artista realizza tra il 1945 e il 1953, ispirate agli altiforni dell’area industriale della vicina Marghera, e influenzate dal contatto con gli artisti del Fronte Nuovo delle Arti, in particolare Vedova e Armando Pizzinato. Bacci esclude qui il colore: i soggetti sono risolti pittoricamente attraverso la contrapposizione di soli bianchi e neri che intessono un’imprevedibile geometria di movimenti accidentati, resi dall’alternarsi dinamico delle masse luminose bianche con quelle della tenebra assoluta. Tra il 1952 e il 1953 lo spazio frontale e in bianco e nero delle prime Fabbriche subisce un importante mutamento strutturale aprendosi sempre di più verso significative valenze cromatiche. È qui che cominciano a capirsi e formarsi quelle che saranno le caratteristiche linguistiche della pittura di Bacci: una pittura astratta che elimina progressivamente il segno per fondarsi invece, sempre di più, sulla funzione spaziale del colore. Si prosegue con le Albe, tele del 1954, caratterizzate dalla rottura definitiva dei piani cromatici, testimonianza del delicato e quanto mai affascinante percorso di ricerca che conduce l’artista dalle Fabbriche ai suoi celebri Avvenimenti, realizzati nel corso degli anni Cinquanta e i successivi Sessanta, protagonisti delle sale successive. Gli Avvenimenti rappresentano il nucleo più poetico, creativo e felice del lavoro dell’artista e il cuore pulsante della mostra stessa, opere dove lo spazio non è più sorretto da una griglia geometrica ma si genera unicamente dalle relazioni degli eventi di colore. Un colore che diventa spazio assoluto e che abolisce ogni limite tra superficie e volume, tra dimensione e traiettoria; il colore diventa pura materia di luce nel suo graduale processo di affrancamento dalla più pesante materia dell’Informale. Sarà questa l’occasione per poter ammirare una serie di Avvenimenti che nel corso degli anni Cinquanta sono stati acquisiti da diversi collezionisti statunitensi grazie alla mediazione di Peggy Guggenheim e di Alfred H. Barr Jr, allora direttore del Museum of Modern Art di New York, che acquistò dall’artista Avvenimento #13 R, del 1953, e che tornano ora in Italia per la prima volta. Intorno al 1956, infatti, molte tele del giovane Bacci varcano l’oceano, aprendo così un importante periodo espositivo americano che culmina nella sua personale tenutasi alla storica Seventy-Five Gallery di New York nello stesso anno.

La mostra dà altresì spazio a un altro aspetto interessante, e meno noto, del linguaggio dell’artista: lo sperimentalismo degli anni Sessanta-Settanta a cui Bacci rivolge la sua ricerca negli ultimi anni di lavoro. È qui che si incontrano i suoi “Gessi”, le “Sagome”, i “Teatrini”, tutte opere che riflettono l’incessante ricerca artistica di Bacci che in quegli anni si spinge verso nuove indagini extra pittoriche, rivolte alla materia. Ad affiancare questi lavori, un’importante sezione è dedicata a un gruppo inedito di disegni e “Carte bruciate”, provenienti da diverse collezioni italiane e soprattutto dall’Archivio Edmondo Bacci, dove l’artista interpreta su carta le potenzialità proprie del segno grafico e del colore, approfondendo la sua ricerca attraverso una serie di opere apparentemente dissimili ma accomunate tutte da una forza evocativa – creativa.

Il percorso espositivo si conclude con un tributo alla partecipazione di Bacci alla XXIX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, nel 1958. Dalla sua prima partecipazione, nel 1948, l’artista viene regolarmente invitato ad esporre alla celebre manifestazione, ma in questa occasione gli viene dedicata un’intera sala, ricreata ora in parte nella mostra a Palazzo Venier dei Leoni con i più celebri Avvenimenti dell’epoca, tra cui spicca Avvenimento #299, del 1958, proveniente dall’Art Museum di Palm Springs. Nella prefazione del catalogo realizzato per la Biennale Peggy Guggenheim scrisse: “c’è una veggenza nel colore, il quale esplode in tutta la sua gioiosa ebbrezza…Potrei suggerire Kandinsky per una uguale potenza poetica” (Catalogo della XXIX Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, 1958). A chiudere la sala una sorprendente tela di Giambattista Tiepolo, Il Giudizio finale (1730-35 c.), della Collezione Intesa Sanpaolo, alla Fondazione Querini Stampalia, Venezia, testimonianza di come, fin dalla sua formazione artistica, presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, Bacci sia stato fortemente influenzato dalle grandi tele del passato, in particolare dal colorismo luministico di Giovanni Bellini, Giorgione, e soprattutto dalla spazialità dei grandi affreschi e cieli di Tiepolo.

Edmondo Bacci. L’energia della luce è accompagnata da un ricco catalogo illustrato, edito da Marsilio Arte, con saggi della curatrice Chiara Bertola, Martina Manganello, Barry Schwabsky, Toni Toniato, Riccardo Venturi.

 



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 Attasit Pokpong, Transition Time, 2023, olio su tela. 79,5 × 129 cm. ©Attasit Pokpong

 

La personale di ATTASIT POKPONG uno dei maggiori esponenti dell'arte contemporanea thailandese 

La rassegna inaugura il progetto Global Aesthetics del MUSEC, dedicato all’esplorazione del rapporto tra l’arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove.

Il MUSEC ospita dal 7 aprile all’11 giugno 2023 la personale di Attasit Pokpong (Bangkok, 1977), uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea thailandese.

L’esposizione dal titolo The Presence, curata da Giancarlo Ermotti, Paolo Maiullari e Nora Segreto, raccoglie 29 dipinti a olio di grandi dimensioni e 22 acquerelli raffiguranti volti di donna. È questo il soggetto che, dopo la ricognizione sui paesaggi naturali della Thailandia e su quelli urbani di Bangkok, è diventato l’elemento più caratteristico della produzione di Pokpong tra il 2008 e il 2023, nella quale l’artista elabora uno stile tutto personale, diventando anche il precursore di un nuovo modo di proporre il ritratto femminile. Nei primi mesi del 2023 l’artista ha creato 14 nuove opere appositamente pensate per essere esposte nello Spazio Cielo del MUSEC.

La donna di Attasit Pokpong, i cui lineamenti sono ispirati a quelli della moglie, è quasi sempre impassibile, ritratta in primo piano e frontalmente. Il taglio netto dei capelli incornicia il viso, dove si distinguono le labbra dai toni accesi che sottolineano il suo fascino e i tratti orientali dell’ovale rendono il suo sguardo penetrante, capace di comunicare con lo spettatore.L’artista thailandese definisce il suo lavoro “un’arte della presenza”, dove la mediazione della figura femminile testimonia l’incontro tra le molteplici specificità del mondo. Per Pokpong, il volto femminile è il simbolo assoluto dell’emozione e la forma comunicativa per antonomasia, nonché il veicolo espressivo ideale della sua2arte, in quanto capace di affascinare e inquietare il suo mondo interiore, accrescendone le potenzialità creative.

Una delle cifre più riconoscibili del lavoro di Pokpong è anche il colore. Dopo un primo periodo in cui l’impatto dei ritratti di donna era centrato sulle labbra, la vividezza cromatica si è estesa a tutto il volto, fino a impossessarsi della superficie intera della tela nelle opere più recenti. Un tale cambiamento corrisponde a un’espansione dell’indagine dell’artista che, attraverso l’estetica femminile, indaga anche la società contemporanea. Le cromie dei suoi dipinti attingono i significati dai colori della storia, della società, della politica e della cultura sia thailandesi sia del mondo globalizzato, assumendo la funzione di un codice che celebra la diversità e auspica un presente di convivenza rispettosa. Pokpong ha recentemente sperimentato un nuovo registro comunicativo costituito dal riflesso di persone e cose sulle lenti degli occhiali da sole delle sue protagoniste. I soggetti non mostrano solamente la realtà sensibile, ma anche quella interiore, fatta di passato e presente, radici e nuove identità. Attraverso lo specchio Pokpong evoca la società contemporanea, il passato, l’altro, il futuro, il cambiamento e invita lo spettatore a posizionarsi fisicamente dinanzi all'opera e calarsi direttamente nei temi proposti.

La rassegna inaugura il progetto Global Aesthetics del MUSEC, dedicato all’esplorazione del rapporto tra l’arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove. I primi appuntamenti si soffermano in particolar modo all’Asia e all’Africa, oggi vivaci laboratori di sperimentazione artistica. “Le categorie che hanno sino a oggi circoscritto i diversi generi di museo risultano sempre più insufficienti per definire il complesso delle trasformazioni che investe la cultura - afferma Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC. L’approccio antropologico, alla base del progetto Global Aesthetics, prevede per sua natura il confronto e l’interazione delle diverse discipline con cui leggere la creatività contemporanea e si offre così come una sperimentata metodologia in grado di conciliare le diverse prospettive in gioco”.Accompagna la mostra un catalogo in lingua inglese pubblicato dalla Fondazione culture e musei.

Attasit Pokpong. Note biografiche

Attasit Pokpong è nato a Bangkok nel 1977. Sin da giovane è attirato verso il disegno, che approfondisce frequentando la Rajamangala University of Technology di Bangkok, dove si diploma in Belle arti nel 1998. La sua carriera inizia subito dopo gli studi. Dal 1999 prende parte a numerose mostre collettive e nel 2009, nella capitale thailandese, apre la Magic Gallery al fine di disporre di uno spazio permanente dove presentare i suoi lavori. Dal 2009 in poi espone in numerose mostre personali che lo portano oltre i confini della Thailandia e dell’Asia, in Paesi quali Cambogia, Cina, Corea, Taiwan, Belgio, Francia, Italia e gli Stati Uniti. L’esposizione del MUSEC è la sua prima personale in Svizzera.Sensibile al riconoscimento di una nuova realtà multiculturale e conscio dell’apporto costruttivo che l’artista può dare all’attuale contesto segnato da molte fragilità, nel 2012 Pokpong ha inaugurato il progetto V64 Art Studio, un punto d’incontro a disposizione della comunità artistica thailandese, un “luogo della creatività” ben visibile e aperto al mondo.ATTASIT POKPONG. The PresenceMUSECVilla Malpensata (via Giuseppe Mazzini 5), Lugano7 aprile – 11 giugno 2023Con il sostegno diCittà di LuganoRepubblica e Cantone Ticino, Fondo SwisslosFondazione Ada Ceschin e Rosanna Pilone, Zurigo.

 



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Alle OGR Torino "Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dall’algoritmo" 

La mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero.

Mercoledì 29 marzo alle OGR Torino, cultura contemporanea e tecnologia si fondono con Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dell’algoritmo la mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero, che rappresenta un’indagine sul cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi in una società in cui si è costantemente classificati, misurati, simulati e riprogrammati.

Per la giornata inaugurale della mostra, le OGR Torino propongono al pubblico un programma articolato, con un appuntamento del Public Program a cura della Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea CRT dedicato al tema del metaverso; una serata di opening pubblico che lascia aperti i binari fino a mezzanotte, e una performance musicale live realizzata in occasione della mostra. Dopo la presentazione stampa della mattina, alle ore 18.00 nel Duomo, il pubblico è invitato a partecipare a Metaversando...prospettive e percorsi nei metaversi dell'arte contemporanea, incontro con Luisa Ausenda e Marco Mancuso, moderate da Ilaria Bonacossa, parte del progetto METAmorphosis. L'accesso è gratuito su prenotazione.

Dalle ore 20.00 alle ore 24.00 i Binari 1 e 2 si aprono per il lungo opening della mostra collettiva. Fino al 25 giugno l’esposizione presenta opere di Universal Everything (Regno Unito), Paolo Cirio (Italia), Eva e Franco Mattes (Italia), Brent Watanabe (Stati Uniti), Geumhyung Jeong (Corea del Sud) e James Bridle (Regno Unito) orientate al raggiungimento di un obiettivo comune: restituire al visitatore narrazioni alternative al determinismo tecnologico dominante, contribuendo a rendere visibile ciò che è invisibile, anche se vicino. In un contesto in cui la quantificazione della vita quotidiana è ad opera di sistemi sempre più sofisticati di raccolta dati, la mostra mette in discussione l’idea di intelligenza artificiale come potente creatura autonoma all’interno di opache scatole nere, sottolineando invece come, dietro agli strumenti di misurazione delle interazioni, ci sia sempre l’intervento di qualcuno.

Dalle 21.00 alle 21.45 nel Binario 3Lorem, artista visivo e musicista,  presenta in occasione dell’opening il nuovo live AV, Tesh. Versione performativa del nuovo capitolo dell'opera Distrust Everything, il live combina trascrizioni di sogni e letteratura weird attraverso l'uso di sistemi di machine learning, intrecciando elementi sonori e narrativi all'interno dell'immaginario distorto e onirico tipico della sua produzione. Tesh è un inno all'immaginazione come via di fuga dal realismo che grava sul nostro linguaggio e sulla nostra esperienza del mondo. Accesso gratuito su prenotazione.

 



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SARENCO. La Platea dell'Umanità alla CAMeC di La Spezia 

Fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, Sarenco è stato poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore di eventi culturali internazionali.

Sarenco al CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia nel nome della Poesia Totale. S'intitola "La Platea dell'Umanità" la grande mostra antologica curata da Giosuè Allegrini, che dal 31 marzo 2023 al 14 gennaio 2024 sarà allestita al primo piano del museo.

Promossa dal Comune della Spezia, prodotta dal CAMeC e dalla Fondazione Sarenco, l'esposizione antologica sarà inaugurata venerdì 31 marzo alle ore 18.00.

Fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, con presenze a Documenta 5 di Kassel e a varie edizioni della Biennale di Venezia, Sarenco è stato poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore di eventi culturali internazionali come la Biennale di Malindi, la cui terza e quarta edizione furono curate da Achille Bonito Oliva.

«Sarenco - scrive il curatore Giosuè Allegrini - è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e non solo. Teoretico della Poesia Totale, l'idea creativa di Sarenco era quella di manifestare il fatto che ai poeti niente potesse essere precluso: la pittura, la scultura, la ceramica, la performance, i concerti, il teatro, il video e il cinema: da qui il concetto, appunto, di Poesia Totale. Ciò che desideriamo proporre, con questa mostra, è il "Sogno di Sarenco sull'Arte"; quella forma poetica anarchica e rivoluzionaria, al contempo pubblica, anticonformista e dissacrante, tramutato in realtà, ed attraverso di essa porre la luce dei riflettori sulla cultura italiana, europea e internazionale del secondo Novecento, in rapporto alla società dei consumi e della comunicazione e più in generale a tutti gli "ismi" condizionanti, a vario titolo, il mondo in cui viviamo».

Il percorso espositivo comprende circa 170 opere rappresentative di un percorso cinquantennale, a loro volta affiancate da immagini e documenti bibliografici e archivistici, rivelativi del particolare periodo storico vissuto (riviste di esoeditoria, manifesti, fotografie, locandine ecc), molti dei quali estremamente rari e alcuni anche inediti.

Un florilegio di opere, dai progetti visual-poetici del 1963, "Traditi", "Grande Strage", "Finalmente l'Avanguardia", governati dalla potenza paroliberista futurista e dagli echi grafici di Mallarmè, transitando per le tele emulsionate, ironiche e rivoluzionarie, come "Il popolo è forte armato vincerà" o "Avanti o popolo alla riscossa", in cui gli angeli oranti di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni di Padova, si trasformano in coristi del ritornello di Bandiera Rossa. Altro esempio è costituito dal ciclo di lavori in cui Sarenco ironizza sulle nature morte di Morandi, il pittore di Grizzana, sbeffeggiando la loro freschezza e originalità con giochi di parole quali "Più morta che natura", "Mors tua natura mea", "Morituri te naturant". Seguono i collage e gli assemblage degli anni ‘70 e successivi, come "Poetical Licence" e i cicli "Tabù" e "Tempo"; quindi le grandi installazioni, come "I miei poeti": quattro gigantesche sculture bianche raffiguranti Marinetti, Breton, Tsara e Apollinaire, rappresentative della levatura infinita della poesia, o gli "Autoritratti africani", ironici e beffardi. Ecco poi comparire, il ciclo di opere legate ai ritratti delle "Poetesse" pellerossa di stirpe sioux, apache, comanche, navajo e in generale di tutti i popoli nativi dell'America, che rimandano al senso assoluto di libertà, di emancipazione da tutti i condizionamenti di ogni epoca e grado. Infine i cicli di opere "Il Poeta è nudo", "Solo come un poeta" e "Andiamo a scuola" danno palese evidenza di quanto Sarenco abbia caparbiamente rifuggito l'omologazione, nel corso dell'intera esistenza, sempre pronto a testimoniare attraverso l'azione poetica, creatrice e rivoluzionaria, provocatoria e dissacrante, il senso profondo della vita.

L'esposizione sarà visitabile fino al 14 gennaio 2024, da martedì a domenica dalle 11.00 alle 18.00, chiuso il lunedì, aperto il Lunedì di Pasqua e il 1° maggio, Natale e Capodanno. Ingresso intero euro 5, ridotto euro 4, ridotto speciale euro 3,50. Per informazioni: tel. +39 0187 727530, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., http://camec.museilaspezia.it.

Nel corso della mostra, la Fondazione Sarenco pubblicherà un catalogo bilingue italiano / inglese a cura di Giosuè Allegrini con fotoriproduzioni a colori delle opere e dei documenti esposti e saggi critici di vari autori: Giosuè Allegrini, Achille Bonito Oliva, Bernard Heidsieck, Oriano Mabellini, Enrico Mascelloni, oltre all'ultima intervista di Sarenco, rilasciata a Claudia Capelli.

Sarenco, al secolo Isaia Mabellini (Vobarno, 1945 - Salò, 2017). Poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo, organizzatore: è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e nel mondo. Frequenta il Liceo Classico "Arnaldo" di Brescia e studia Filosofia alla Statale di Milano. Nel 1961 inizia a scrivere le sue prime poesie lineari. A partire dal 1963 inizia ad occuparsi di ricerche poetico-visive stringendo i primi contatti con gli artisti del "Gruppo 70", nel quale entrerà ufficialmente l'anno successivo. Il suo contributo al movimento si contraddistingue per il tono graffiante e caustico con cui elabora testi epigrammatici che associa ad immagini di provenienza varia dal mondo della comunicazione a quello dell'arte. Servendosi delle tecniche del collage, dell'assemblage o della tela emulsionata ottiene opere di forte impatto, che utilizza come strumento di lotta politica e culturale. Nel 1965 comincia la sua attività espositiva, avendo al suo attivo oltre 50 mostre personali e circa 1000 esposizioni collettive. Svolge un'intensa attività editoriale e organizzativa. Fonda riviste fra cui "Amodulo" nel 1968 e "Lotta poetica" nel 1971 e case editrici quali Edizioni Amodulo nel 1969, SAR.MIC nel 1972 e Factotum Art nel 1977. Fonda gruppi come il Gruppo Internazionale di Poesia Visiva (o Gruppo dei Nove) e i Logomotives. Dal 1982 Sarenco intraprende numerosi viaggi fra Asia e Africa, immettendo energie nuove nelle sue creazioni cariche di ironia. Da questo momento il continente africano diventa protagonista all'interno della sua produzione artistica. è stato organizzatore di quattro edizioni della Biennale Internazionale d'Arte di Malindi, in Kenya (2006-2008-2010-2012). Scrive il suo primo soggetto cinematografico nel 1968, che poi girerà nel 1984 con il titolo "Collage". L'anno successivo viene invitato a presentare la pellicola al Festival del Cinema di Venezia. Seguiranno molti altri lungometraggi. Ha pubblicato oltre quaranta libri e realizzato quindici film. È stato regolarmente presente nelle più importanti rassegne d'arte internazionali, fra cui quattro edizioni della Biennale di Venezia (1972, 1986, 2001 - curatore Harald Szeemann, con Sala Personale - e 2011), Documenta Kassel (1972), la Biennale di Siviglia (2004, insieme a Cattelan), Stedelijk Museum di Amsterdam (1970), Centre Pompidou di Parigi (1989-1994), Museum of Modern Art di New York (1986), MART di Rovereto (2007-2013-2015), Museo del Novecento di Milano (2013). Nel 2018 alcune sue opere sono state esposte al CAMeC della Spezia nell'ambito della mostra "Poetry and Pottery. Un'inedita avventura fra ceramica e Poesia Visiva", a cura di Giosuè Allegrini e Marzia Ratti.