Il nuovo progetto del ciclo «Global Aesthetics» del MUSEC vede protagonista l’artista cinese Yang Xiaojian che confrontandosi sia con l’antica tradizione della calligrafia sia con gli influssi dell’astrattismo occidentale, ha saputo costruire un linguaggio personale in cui tradizione e modernità si intrecciano e si rispecchiano. L’esposizione Landscapes of Identity, curata da Giancarlo Ermotti e Massimiliano Vitali, presenta 156 opere su carta di riso dipinte a inchiostro e acqua, con talvolta l’aggiunta di colori acrilici, tutte realizzate tra il 2004 e il 2021. La selezione restituisce gli esiti dell’itinerario che ha portato l’artista, nato nel 1960, ad abbandonare l’arte della calligrafia tradizionale a favore dell’astrazione: dalla parola dipinta che condensa il pensiero alla possibilità di restituire, via la pittura astratta, un rapporto più ampio, aperto e comprensivo con l’universo.
Per Yang Xiaojian tutto ha inizio con la contemplazione: una nuvola che lentamente avvolge e nasconde il profilo di una montagna, una sedia o altri oggetti, un particolare evento nella società come nella vita personale, ogni cosa può essere fonte d’ispirazione. L’arte nasce sempre dalla vita e torna alla vita: è questa una lezione che l’artista apprende presto, quando poco più che ventenne si dedica alla calligrafia tradizionale. Anche la «bella scrittura» non dipende dalla forma e dalla precisione degli ideogrammi, essa è tanto più bella quanto più è il riflesso delle emozioni di chi la realizza. I segni di inchiostro nero, acrilico e acqua sui fogli di carta di riso sono la traccia visibile delle emozioni e dei pensieri dell’artista. Oltrepassando il rapporto tradizionale tra mimesi e realtà, le sue opere astratte lasciano intravedere uno spazio interiore che ondeggia e risuona come foglie e steli di bambù al vento. Simili a veri e propri paesaggi che si svelano agli occhi, le opere esposte invitano così anche chi le osserva a concedersi il tempo e il silenzio della contemplazione.
Il percorso espositivo è scandito da cinque concetti chiave, significativi per la ricerca artistica e personale dell’artista: contemplazione, concentrazione, spazio interiore, specchio e identità. Partendo sempre dalla contemplazione della natura, il processo creativo di Yang Xiaojian arriva, o forse ritorna, al cuore pulsante della sua stessa identità: dalle opere più grandi, ampie superfici dipinte che arrivano a ricoprire in altezza le pareti delle sale espositive, per arrivare alle carte di riso più piccole, il cui numero cresce in maniera inversamente proporzionale alle loro dimensioni. Queste ultime opere, allestite prima lungo file ortogonali e poi in maniera più libera e frammentata, quasi a voler formare una trama organica, si offrono come piccoli specchi in cui scorgere la storia di un uomo e di un artista che ha trovato nell’arte l’unica forma possibile di espressione di sé.
La ricerca espressiva di Yang Xiaojian va letta nel più ampio contesto contemporaneo per cui un artista cinese si trova sempre di fronte a due opzioni significative se desidera intraprendere un proprio percorso. La prima è quella di uscire dalla tradizione dell’arte cinese, la seconda è quella di staccarsi dall’influenza dell’arte occidentale. A tale proposito, così si esprime in apertura del catalogo Fan Di’an, critico e Presidente dell’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino: «Yang Xiaojian è un artista che sfida sia la tradizione locale sia l’influenza occidentale con una tecnica cinese, ossia la pittura a inchiostro e acqua; una forma d’arte alla quale si è dedicato negli ultimi 40 anni, dimostrando che l’arte è sia uno strumento di redenzione spirituale sia un atto di trascendenza culturale di portata universale».
Cenni biografici
Yang Xiaojian nasce nel 1960 a Taiyuan, capitale della provincia settentrionale dello Shanxi. Sin dalla scuola elementare manifesta la sua naturale propensione per la calligrafia che continua a praticare, anche negli anni del servizio militare, tra il 1976 e il 1981. Approfondisce poi lo studio dei grandi calligrafi del passato e nel 1985 partecipa a un concorso di calligrafia dove vince il primo premio, cui seguiranno numerosi altri riconoscimenti. Negli anni ‘80 inizia a vendere le sue calligrafie e il buon riscontro lo porta a dedicarsi sempre più assiduamente all’attività artistica. Nel 1992 è invitato in Giappone per esporre in diverse città, tra cui Kobe, Osaka, Tokyo, dove tiene performance di scrittura e lezioni. Grazie alla frequentazione di altri importanti calligrafi e artisti cinesi inizia a sviluppare un proprio pensiero artistico e a progredire dal punto di vista tecnico e stilistico. I suoi lavori vengono inclusi in importanti rassegne d’arte in Cina e si susseguono premi nazionali e internazionali. Dopo la morte di suo padre nel 1998, Yang Xiaojian inizia a viaggiare: Hong Kong, Macao, Thailandia, Corea. Durante i suoi viaggi, l’artista raccoglie nuove idee e ispirazioni per i suoi dipinti. Nel 1999 si installa a Shanghai con la moglie e le due figlie. Legge molto e si interessa ai grandi della pittura moderna occidentale, tra i quali: Motherwell, Dubuffet, Soulages, de Kooning, Rotko. Inizia a elaborare lo stile di pittura che lo avrebbe poi reso noto e nei primi anni 2000 il suo lavoro diventa sempre più astratto. Il suo stile dai contrasti netti (hard hedge) inizia a richiamare l’interesse di collezionisti americani ed europei. Partecipa a numerose mostre collettive di calligrafia e di arte contemporanea a Pechino, Seul, Hong Kong, Macao, Shanghai. Nel 2007 il Museo della città di Kyoto gli organizza una personale e il Giappone ospita diverse sue esposizioni. In Europa, ha esposto soprattutto in Francia e Germania; la mostra al MUSEC è la sua seconda mostra personale in Svizzera, dopo quella organizzata nel 2013 a Massagno (Casa Pasquee).
Il catalogo
Accompagna la mostra un catalogo in lingua inglese a cura di Massimiliano Vitali, Yang Xiaojian. Landscapes of Identity, con testi di: Fan Di’an («From Calligraphy to Scripting», pp. 9-12); Massimiliano Vitali («Yang Xiaojian. An Artist’s Biography», pp. 131-138); Sun Yiyu («Artistic Calligraphy, Hard Edge, The Ink Beast», pp. 141-147); Men Cong («Ink Painting Black Vision», pp. 149-151). Edizioni Fondazione culture e musei, Lugano 2024, 168 pagine, 201 immagini a colori.
«Global Aesthetics» esplora le forme e i linguaggi della creatività contemporanea, con l’ambizione di riportare al centro dell’attenzione le ragioni profonde e il contesto dei processi di creazione artistica, ponendo al contempo il visitatore nelle condizioni ideali per vivere una esperienza estetica ricca di sfumature. I precedenti progetti di «Global Aesthetics» sono stati dedicati ad Attasit Pokpong (Thailandia), Filipe Branquinho (Mozambico), Simone Pellegrini (Italia) e, infine, Luca Pignatelli (Italia), la cui grande esposizione Astratto può essere visitata fino al 12 maggio.