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Ritratto dell'artista Fulvio Morella ©Sergio Banfi

 

Il Premio alla carriera Alfredo D'Andrade 2023 assegnato a Fulvio Morella per la sua arte inclusiva e multisensoriale 


"Alfredo d'Andrade Prize in defense of Cultural Heritages Values” viene conferito ogni anno a prominenti esponenti della cultura italiana in memoria dell'archeologo Khaled al-Asaad, che sacrificò la propria vita per difendere dall'ISIS i tesori archeologici di Palmira.


Dopo Giulio Paolini e Michele De Lucchi, il prestigioso Premio alla Carriera Alfredo d'Andrade è assegnato nel 2023 a Fulvio Morella, l'artista del braille. La cerimonia di premiazione si terrà il 7 novembre a Torino presso Il Circolo dei lettori a Palazzo Graneri della Roccia alle ore 9:30. Dal 2015 l' "Alfredo d'Andrade Prize in defense of Cultural Heritages Values” viene conferito ogni anno a prominenti esponenti della cultura italiana in memoria dell'archeologo Khaled al-Asaad, che sacrificò la propria vita per difendere dall'ISIS i tesori archeologici di Palmira, riconosciuto Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1980.

Da allora il Premio è stato assegnato quale tributo alla carriera di artisti, architetti e intellettuali che hanno contribuito allo sviluppo culturale e sociale dell'Italia. Il premio è stato conferito negli anni a: Pinin Brambilla Barcilon (Architetto), Andrea Bruno (Architetto), Michele De Lucchi (Architetto), Aimaro Oreglia d’Isola (Architetto), Paolo Matthiae (Archeologo), Franco Mazzucchelli (Artista), Enrica Pagella (Museologa) e Giulio Paolini (Artista).

LA MOTIVAZIONE DEL PREMIO 2023 A FULVIO MORELLA

Maria Aprile, Presidente dell'Associazione, spiega così il perché dell'assegnazione del Premio alla Carriera Alfredo d'Andrade 2023 a Fulvio Morella: "Come tanti istituzioni ovunque nel mondo - da Cramum, alla Biennale del Libro di Milano, a Gaggenau, all'Istituto dei ciechi di Milano, al Sant'Alessio di Roma, al Musée Louis Braille di Parigi - abbiamo sinceramente apprezzato la visione olistica dell'arte promossa da Fulvio Morella secondo cui ognuno di noi «è nello stesso momento limite e infinito». I nostri limiti possono essere superati attraverso la rivoluzione della condivisione, anche nell'arte: le opere del maestro, per essere comprese, devono essere viste, toccate e vissute dal pubblico che, solo unendo i propri limiti, giungerà a comprenderne il senso finale. In bilico tra concettuale e ironico rebus, l’arte di Morella ha dimostrato che l’inclusività e la multisensorialità possono essere sinonimi di arte, bellezza e armonia. Riconoscendo l’unicità e l’importanza sociale oltre che artistica di tale ricerca, siamo lieti di assegnare a Fulvio Morella il nostro Premio alla Carriera Alfredo d’Andrade 2023."

L'ASSOCIAZIONE

L'Associazione europea “Alfredo D'Andrade" persegue finalità ispirate alla valorizzazione della figura e dell'opera di Alfredo Cesar Reis Freire de Andrade, conosciuto anche semplicemente come Alfredo d'Andrade (Lisbona, 26 agosto 1839 – Genova, 30 novembre 1915) è noto per esser stato tra i massimi esponenti della cultura e architettura neogotica in Italia: suoi i progetti del Borgo Medioevale del Valentino a Torino e il Castello di Pavone Canavese.

 



 

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André Kestész, Danseuse satirique, Paris, 1926 © Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GP

 

Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari alla CAMERA di Torino 


Quattro giovani artisti in dialogo con il patrimonio fotografico dell’Archivio Alinari.


CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia di Torino inaugura la stagione autunnale a partire dal 19 ottobre con la grande antologica dedicata a uno dei maestri assoluti della fotografia del XX secolo, André Kertész, mentre in contemporanea, in Project Room, prende vita la collettiva Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari che coinvolge quattro giovani artisti in dialogo con il patrimonio fotografico dell’Archivio Alinari.

Realizzata in collaborazione con la Médiathèque du patrimoine et de la photographie (MPP) di Parigi – istituto che conserva gli oltre centomila negativi e tutti gli archivi donati dal fotografo allo Stato francese nel 1984 – la mostra è composta da oltre centocinquanta immagini che ripercorrono l’intera carriera di André Kertész, fotografo di origini ungheresi, nato a Budapest nel 1894, giunto in Francia nel 1925 e trasferitosi infine negli Stati Uniti nel 1936, dove morirà nel 1985. 

La mostra, curata da Matthieu Rivallin – responsabile del Dipartimento di fotografia della MPP, grande esperto di Kertész – e da Walter Guadagnini – direttore artistico di CAMERA  –, celebra anche il sessantesimo anniversario della presenza del fotografo alla Biennale di Venezia: la traccia delle opere in mostra si basa infatti sulla lista manoscritta delle opere esposte in quell’occasione, ritrovata tra i documenti presenti negli archivi della MPP, una curiosità in più che lega il grande maestro al nostro paese.  

Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari, è un progetto di CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia e FAF Toscana - Fondazione Alinari per la Fotografia, a cura di Giangavino Pazzola e Monica Poggi, finalizzato all’incremento del patrimonio fotografico pubblico attraverso la committenza di progetti inediti a quattro giovani artisti. Il progetto è vincitore di "Strategia Fotografia 2022", promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per promuovere e sostenere la ricerca, i talenti e le eccellenze italiane nel campo della fotografia.   

silvia rossi

Silvia Rosi, Self Portrait, 2016

 

Matteo de Mayda, Leonardo Magrelli, Giovanna Petrocchi e Silvia Rosi stanno realizzando dei progetti che, partendo dalle raccolte Alinari, indagano il tema degli archivi come fondamentali giacimenti di storie da interrogare e ampliare.

A queste due mostre si affianca una grande novità: l'esposizione multimediale permanente La storia della fotografia nelle tue mani, nella Manica Lunga. Una proposta originale di CAMERA, la prima in Italia per tipologia e concezione, una lunga time-line costruita attraverso diversi strumenti - immagini, contenuti digitali, video, testi scritti -, nata dalla volontà di consentire a tutte e tutti, anche alle persone cieche o ipovedenti, di fruire dei testi, delle immagini e dei contenuti digitali.

 



 

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LUIGI ROSSI - ARTISTA EUROPEO TRA REALTÀ E SIMBOLO alla Pinacoteca Zust 


La mostra è a cura di Matteo Bianchi.


La Pinacoteca Züst di Rancate propone, dal 15 ottobre fino al 25 febbraio 2024, un’ampia retrospettiva su un artista che a pieno titolo è da definirsi “europeo”, non solo perché visse tra Italia, Svizzera e Francia, Parigi soprattutto, ma perché elaborò, in modo del tutto originale, il nuovo che percorreva l’Europa dell’arte.

Accanto al corpo centrale dei dipinti, l’attenzione è rivolta all’attività legata all’illustrazione del libro svolta con successo da Luigi Rossi a Parigi. Questo aspetto permette di leggere l’opera dell’artista attraverso l’uso delle diverse tecniche del disegno, dell’acquerello e della fotografia.  

 

 



 

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 Marcel Duchamp e la seduzione della copia - Ph. Matteo De Fina. © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023.

 

Marcel Duchamp e la seduzione della copia alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia 


Duchamp è stata una figura fondamentale per la carriera che Guggenheim inizia a intraprendere nell’ambito dell’arte moderna.


È stata presentata oggi alla stampa Marcel Duchamp e la seduzione della copia, a cura di Paul B. Franklin, studioso indipendente e tra i massimi esperti di Marcel Duchamp, allestita negli spazi espositivi della Collezione fino al 18 marzo, 2024.

La direttrice Karole P. B. Vail ha sottolineato l’importanza di questo tributo a Duchamp, prima, grande personale che il museo veneziano dedica a uno degli artisti più influenti e innovativi del Novecento, storico amico e consigliere della mecenate americana Peggy Guggenheim. “Duchamp è stata una figura fondamentale per la carriera che Guggenheim inizia a intraprendere nell’ambito dell’arte moderna. Si conoscono a Parigi, intorno al 1923, mentre Guggenheim sta ancora scoprendo quella che allora era la capitale mondiale dell’arte, e l’Europa, ma solo più avanti diventerà suo amico e consigliere di fiducia”, ricorda Vail. “E poi, successivamente, nel 1941, Guggenheim acquista da Duchamp il primo esemplare dell'edizione deluxe del suo capolavoro Scatola in una valigia, divenendo così una delle sue prime sostenitrici”.

“Duchamp è stato un artista che ha sempre sfidato le convenzioni, dal momento in cui ha cominciato a fare arte, nel 1902, alla sua morte, nel 1968”, afferma il curatore Franklin. “Duchamp sosteneva che un duplicato o una ripetizione meccanica hanno lo stesso valore dell’originale; pertanto, nelle sue opere voleva dimostrare la veridicità di questa affermazione, proponendo un nuovo paradigma per la storia dell’arte moderna, secondo il quale alcune copie e i rispettivi originali suscitano forme analoghe di piacere estetico”. È su questo principio che si basa la mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia, che “esplora i molteplici approcci adottati dall’artista per duplicare le proprie opere senza soccombere alla copia pura e semplice”, prosegue Franklin.

Con una sessantina di opere realizzate tra il 1911 e il 1968, la mostra presenta lavori iconici provenienti dalla Collezione Peggy Guggenheim, quali Nudo (schizzo), Giovane triste in treno (1911-12) e da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy (Scatola in una valigia) (1935-41), e da altre prestigiose istituzioni museali italiane e statunitensi, tra cui la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Philadelphia Museum of Art, il Museum of Modern Art di New York, il Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Ad affiancare questo prezioso nucleo di opere, una serie di lavori meno noti al grande pubblico appartenenti al lascito dell’artista nonché a collezioni private. Molte opere esposte, la metà circa, provengono inoltre dall’eminente collezione veneziana di Attilio Codognato, lungimirante collezionista che fin dai primi anni ’70 si è interessato alla produzione dell’artista francese. È la prima volta che un così ampio nucleo di opere di Duchamp appartenenti alla collezione Codognato viene esposto in occasione di una mostra pubblica.

Nonostante crei alcuni dei dipinti più noti del XX secolo, tra cui Nudo (schizzo), Giovane triste in treno e Il re e la regina circondati da nudi veloci (1912) capolavoro proveniente dal Philadelphia Museum of Art, presente in mostra – e per la prima volta messo in dialogo con la sua riproduzione colorata dall’artista (coloriage original), contenuta all’interno di Scatola in una valigia – Duchamp abbandona la pittura da cavalletto a trentun anni, nel 1918. Nei successivi cinquant’anni si dedica a molteplici attività creative, quasi nessuna all’epoca considerata vera arte. Oltre a queste iniziative, riproduce ripetutamente le proprie opere in tecniche e dimensioni diverse e con la massima cura, e grazie a queste copie diffonde il suo corpus di opere, altrimenti modesto, senza generare nulla di indiscutibilmente nuovo, aggirando così con grande abilità il mercato dell’arte e la sua voracità. Ricreando i suoi lavori Duchamp dimostra che alcuni duplicati e i loro originali offrono un analogo piacere estetico, e mettendo costantemente in discussione la gerarchia tradizionale tra originale e copia ridefinisce ciò che costituisce un'opera d'arte e, per estensione, l'identità dell'artista. “Distinguere il vero dal falso, così come l'imitazione dalla copia, è una questione tecnica del tutto idiota”, dichiara Duchamp nel 1967 in un’intervista, mentre in un'altra occasione afferma: “Un duplicato o una ripetizione meccanica ha lo stesso valore dell'originale”. Secondo l’artista le idee che un'opera d'arte incarna, hanno lo stesso significato dell'oggetto in sé. È l'importanza che attribuisce ai concetti estetici a spingerlo a riprodurre ripetutamente e con meticolosa esattezza le proprie opere, e così fa a partire dalla Scatola del 1914 del 1913-14/15, dove riunisce una serie di facsimili fotografici di appunti manoscritti, per proseguire poi fino agli anni '60, con le repliche dei suoi ready made storici.

Marcel Duchamp e la seduzione della copia esplora i molteplici approcci adottati dall’artista per duplicare le proprie opere senza soccombere alla copia pura e semplice. Organizzata intorno a vari temi tra loro correlati – origini, originali e somiglianze di famiglia; il passato è un prologo; la magia del facsimile; copie autentiche; disciplinare e rendere più audace la mano; clonare il sé, vestire l’altro; ripetizione ipnotica; temi e variazioni – la mostra ruota intorno a Scatola in una valigia, raccolta innovativa di riproduzioni e repliche in miniatura dei lavori di Duchamp, prima di un’edizione deluxe di venti valigette da viaggio, i cui primi esemplari, tra cui questo, sono di Louis Vuitton, contenente la dedica dell’artista a Guggenheim: “Pour Peggy Guggenheim ce No. 1 de vingt boîtes-en-valise contenant chacune 69 items et un original et par Marcel Duchamp Paris Janvier 1941”. “Tutto quello che ho fatto di importante potrebbe stare in una piccola valigia”, dichiarò Duchamp. Scatola in una valigia è la sintesi più coinvolgente mai creata dall’artista della sua passione per la replica come modalità di espressione creativa. Grazie a una tale panoramica si può cogliere la portata straordinaria dell’ossessione di Duchamp per la copia come mezzo specifico di espressione artistica e comprendere fino a che punto le sue creazioni bizzarre e spesso ibride abbiano confuso e talvolta del tutto eluso le classificazioni artistiche in uso al momento in cui furono create.

Non manca in mostra una sezione dedicata alla lunga amicizia che legò Duchamp a Guggenheim: fotografie, documenti d’archivio e pubblicazioni ripercorrono il legame che intercorre tra loro, due personalità molto diverse ma altrettanto vivaci, rivelando il posto speciale occupato da Duchamp nella collezione che Guggenheim raccoglie grazie ai suoi consigli. Fu Duchamp a presentarle gli artisti e a insegnarle, come lei stessa ebbe a dire nella sua autobiografia "la differenza tra l'arte astratta e surrealista". Mentre in merito a Scatola in una valigia, sempre nell’autobiografia, Guggenheim scrive: “Spesso pensavo che sarebbe stato molto divertente andare a trascorrere un fine settimana portandosi dietro quella valigia invece della solita borsa che si riteneva indispensabile”.

Marcel Duchamp e la seduzione della copia offre l’occasione unica di mettere in relazione una selezione fondamentale di opere del dissacrante artista francese, che sempre sfidò le convenzioni rifiutando di rispettare le gerarchie culturali e commerciali dettate dal mondo dell’arte di inizi Novecento. Attraverso il percorso espositivo curato da Franklin non solo si potranno discernere le intricate connessioni visive, tematiche e concettuali che uniscono i diversi lavori di Duchamp in un unico corpus, ma si potrà anche cogliere la misura in cui questi "oggetti" stravaganti, spesso ibridi, hanno turbato e talvolta rifuggito totalmente le classificazioni artistiche tradizionali dell’epoca in cui sono stati creati. La mostra è accompagnata da un ricco catalogo illustrato, edito da Marsilio Arte, con il saggio del curatore.

Si sviluppa parallelamente all’esposizione, una sezione scientifica, organizzata dal dipartimento di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Marcel Duchamp: un viaggio nella “Scatola in una valigia” presenta i risultati dello studio scientifico e dell’intervento di conservazione sull’opera Scatola in una valigia condotto in due fasi, nel 2019 e nel 2023, nei laboratori di restauro dell’Opificio delle Pietre Dure, e sostenuto da EFG, Institutional Patron della Collezione Peggy Guggenheim dal 2006. Un approfondimento scientifico e didattico che attraverso un allestimento multimediale conduce i visitatori all’interno del mondo di un conservatore e restauratore d'arte, permettendo loro di scoprire le scelte tecniche e i materiali che l'artista ha utilizzato per creare un'icona della storia dell'arte del XX secolo, nonché le tecniche di indagine scientifiche utilizzate per approfondirne la conoscenza e le soluzioni scelte per assicurare all'opera una migliore conservazione. Video e touch-screen offrono la possibilità di visionare virtualmente l’opera come lavoro unitario e di leggerla nel suo complesso, così come nelle intenzioni dell’artista, ma anche di esaminare singolarmente ciascuno dei 69 elementi che la compongono e di comprenderne il complesso sistema di costruzione.

 

 



 

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Veduta dell'allestimento “Thomas Huber. Lago Maggiore” © MASI Lugano, foto: Sabrina Montiglia

 

Il MASI presenta Thomas Huber Lago Maggiore


Celebre per i suoi dipinti di architetture quasi irreali, ricche di mise en abyme e per il suo mondo interiore onirico.


Prende il nome dalla serie di dipinti dell'artista svizzero Thomas Huber (Zurigo, 1955) la mostra "Lago Maggiore", che presenta al pubblico settanta opere tra grandi tele ad olio e acquerelli visibile fino al 28 gennaio. Celebre per i suoi dipinti di architetture quasi irreali, ricche di mise en abyme e per il suo mondo interiore onirico, Thomas Huber, che vive da tempo a Berlino, da qualche anno ha sentito il bisogno di tornare tra i paesaggi della sua giovinezza, prendendo casa sul confine italo svizzero vicino a Cannobio.

L’impagabile vista sul lago ha ispirato così le vedute in mostra. Come un diario visivo, i dipinti raccontano le variazioni potenzialmente infinite di uno stesso paesaggio, in cui monti, acqua, cielo e luce sono attraversati dal ritmo naturale delle stagioni e del trascorrere del giorno. Sono quindi opere omaggio alla bellezza e alla semplicità del paesaggio quelle della serie “Lago Maggiore” che segna un nuovo, importante tassello nella ricerca dell’artista: pur mantenendo i colori vivaci e le forme ben definite tipiche della sua produzione, i grandi oli su tela esposti al MASI rompono, infatti, con il suo mondo pittorico precedente. Gli spazi costruiti e le architetture irreali lasciano posto alla potenza immaginaria e inafferrabile del lago, catturato in un momento e in un luogo specifici. In questo senso, molti dipinti portano il titolo del giorno di creazione e rivelano l’approccio quasi scientifico dell’artista. Ne nasce così un’indagine che si inserisce tra gli esempi illustri della storia dell’arte che hanno dato vita a cicli specifici, come Claude Monet, Paul Cézanne o Ferdinand Hodler.

Il percorso espositivo, elaborato in stretta collaborazione con l’artista, si apre, programmaticamente, con il dipinto Heimkehr (ritorno a casa), momento di snodo, in cui “vecchio e nuovo, interno ed esterno, distanza e vicinanza vengono riorganizzati”, come sottolinea Barbara Alms nel suo saggio nel catalogo della mostra. Il dipinto – denso di riferimenti simbolici cari all’artista, come l’elemento dell’acqua e della barca – riporta un paesaggio ancora controllato e “addomesticato” dall’architettura. Al contempo, esso si apre verso quello che sarà il motivo centrale e il protagonista assoluto della nuova serie, il Lago Maggiore.

Le pareti espositive del museo sono attraversate da un’ampia fascia cromatica che rievoca i colori lacustri. Il pubblico è condotto così in una passeggiata immersiva tra le vedute del lago, in cui anche il formato allungato delle tele, in alcuni casi quasi panoramico, rende l’essenza del paesaggio fisicamente tangibile.

Rimandi, equilibri e nessi visivi scandiscono le diverse vedute dello specchio d’acqua, immortalato in forme e colori chiari. Un ritmo rigoroso orienta la struttura delle composizioni, in cui l’artista guida lo sguardo verso punti di fuga laterali, tra lo sfalsamento delle catene montuose. Nelle forme nette e nelle superfici lisce e impeccabili, freddezza ed equilibrio rimangono elementi decisivi. Nessuna costruzione o presenza umana “sporca” i paesaggi di Huber, in cui nemmeno la pennellata dell’artista si rivela all’occhio. Eppure, lo specchio d’acqua del lago vibra di luce scintillante e riflessi delicati. Le stesse atmosfere dei dipinti si ritrovano nel corpus di acquerelli leggeri e luminosi a cui è dedicata una “stanza nella stanza”, uno spazio più intimo all’interno della grande sala in cui è ospitata la mostra.

“Un’ossessione, una devozione e una passione”: così descrive l’artista questa nuova serie, in cui la ciclicità, la ripetizione e la variazione, mostrano le possibilità illimitate della pittura.

La mostra è stata ideata da Thomas Huber e coordinata e organizzata da Ludovica Introini.

Per l’occasione verrà presentato un catalogo trilingue in italiano, tedesco e francese con testi di Barbara Alms e Thomas Huber, pubblicato da DISTANZ.

Biografia

Di origini zurighesi, figlio di architetti, dal 1977 al 1978 Thomas Huber ha studiato alla Kunstgewerbeschule di Basilea per continuare la sua formazione al Royal College of Art di Londra nel 1979 e alla Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf dal 1980 al 1983.

Nel 1984, invitato da Kasper König a Düsseldorf, partecipa alla mostra collettiva “Von hier aus” (Da qui in poi), che gli aprirà le porte del riconoscimento internazionale. Da allora, le sue opere sono esposte nelle più importanti istituzioni e musei internazionali quali il Centre Pompidou di Parigi (1988), il Kunsthaus di Zurigo (1993), la Fundación Joan Miró di Barcellona (2002), il Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam (2004), l’Aargauer Kunsthaus di Aarau (2004), il MAMCO di Ginevra (2012), il Kunstmuseum di Bonn (2016) e il MONA di Hobart (2017). Dal 1992 al 1999 è professore alla Hochschule für Bildende Künste di Braunschweig e nel 1992 assume la direzione temporanea del Centraal Museum di Utrecht. Dal 2000 al 2002 è presidente del Deutscher Künstlerbund. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Kiefer Hablitzel (1984), il premio per giovani artiste e artisti svizzeri della Kunstgesellschaft di Zurigo (1993), il premio della Heitland Foundation (2004) e il premio Meret Oppenheim (2013). Nel 2023 Thomas Huber è stato selezionato per partecipare con il progetto Dawn / Dusk alla sezione Art Unlimited di Art Basel 2023.